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Autore: Ella Rogers    16/05/2020    1 recensioni
"Chi non muore si rivede, eh Rogers?"
Brock Rumlow era lì, con le braccia incrociate dietro la schiena e il portamento fiero. Il volto era sfregiato e deturpato, ma non abbastanza da renderlo irriconoscibile, perché lo sguardo affilato e il ghigno strafottente erano gli stessi, così come non erano affatto cambiati i lineamenti duri e spigolosi.
"Ti credevo sepolto sotto le macerie del Triskelion."
La risata tagliente di Rumlow riempì l'aria per alcuni interminabili secondi, poi si arrestò di colpo. L'uomo assunse un'espressione truce, che le cicatrici trasformarono in una maschera di folle sadismo.
E Steve si rese conto che, per la prima volta da quando l'aveva conosciuto, Brock Rumlow si mostrava a lui per quello che realmente era, privo di qualsiasi velo di finzione.
"Credevi male, Rogers. Credevi male."
Genere: Angst, Azione, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Clint Barton/Occhio di Falco, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: Movieverse | Avvertimenti: Violenza
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- Questa storia fa parte della serie 'The Road of the Hero'
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Into Pieces
 
 
 
Kristen era rimasta a guardare Steve Rogers andare via assieme alla misteriosa ragazza, finché non erano spariti fuori dal vicolo in cui i Vendicatori si erano riuniti per quella che le era sembrata una ritirata strategica.
Essere stata tanto vicina a quel gruppo di persone straordinarie le aveva fatto venire brividi in grado di scuoterla da capo a piedi. Guardarli farsi forza a vicenda, motivarsi per affrontare una battaglia che li avrebbe messi a dura prova, fino a poter risultare letale, aveva fatto nascere in lei un’ammirazione che mai aveva provato prima. Una volta che era rimasta sola, si era lasciata scivolare contro la parete ed era finita seduta per terra, incapace di muoversi.
Non aveva idea di quanto tempo fosse trascorso, ma non si era ancora mossa da lì. Era stanca di scappare e non trovava la spinta necessaria per andare alla ricerca di un posto dove mettersi al riparo. Non voleva morire, eppure sentiva di meritarlo.
 
“Sei stata coraggiosa. Mettiti al sicuro e lascia fare a noi adesso. Troveremo un modo per sistemare le cose.”
 
Le parole di Steve le avevano riscaldato il cuore. Se lui l’aveva perdonata, allora forse anche lei sarebbe stata capace di perdonarsi, un giorno. Ripensò distrattamente alla ragazza dagli occhi blu e allo sguardo che il giovane Capitano le aveva riservato durante il breve discorso sul composto capace di inibire il dolore. Aveva visto negli occhi chiari di lui emergere una preoccupazione e un’agitazione che non era riuscito ad eclissare, nonostante ci avesse provato. Quel tipo di preoccupazione non l’aveva vista su di lui, nemmeno durante il breve periodo in cui Schmidt l’aveva tenuto prigioniero.
Kristen ammise di essersi sentita alquanto turbata dalla strana ragazza, tanto che aveva sentito scattare alcuni campanelli d’allarme dentro di sé e, se non ci fosse stato il super soldato, l’istinto l’avrebbe spinta a fuggire il più lontano possibile. Le era sembrato che la ragazza sapesse. Lei era…
 
“Allora sei passata dalla loro parte.”
 
L’aria le rimase incastrata nei polmoni, quando una voce familiare la raggiunse.
Alla voce sopraggiunse la figura di Brock Rumlow e Kristen né si mosse né parlò, rimanendo immobile e in attesa, conscia che un tentativo di fuga sarebbe risultato alquanto inutile.
 
“L’Hydra punisce il tradimento con una morte lenta e dolorosa” infierì Rumlow, eppure non diede segno di voler mettere in pratica le parole che le aveva sputato in faccia con gelida durezza.
Le offrì una mano invece e la aiutò a rimettersi in piedi, guardandola fissa negli occhi lucidi e arrossati.
Di fronte a quell’atteggiamento privo di qualsiasi tipo di violenza, Kristen prese coraggio e parlò con una fermezza che credeva di non possedere, soprattutto non in quel momento.
 
“Non sei stanco di essere trattato come uno strumento? Dai anima e corpo per la causa di un’organizzazione che per te non ha interesse. Che tu muoia o viva, per Schmidt o per Lewis non fa differenza. Ti hanno messo in testa che la causa di tutti i tuoi mali sia Capitan America, mentre quella causa è l’Hydra stessa, te ne sei reso conto?”
 
La Myers si sarebbe aspettata di tutto, che Rumlow si arrabbiasse, che la uccidesse, che almeno cercasse di rispondere a tono alla verità che gli aveva sbattuto in faccia, ma lui scoppiò semplicemente a ridere e una profonda tristezza tinse quella risata.
“Non sono riuscito ad ucciderlo. Ci ho provato in tutti i modi. Avrei dovuto piantargli davvero una pallottola in testa e chiudere la questione.”
Brock scosse il capo e rise ancora, stavolta con fare quasi isterico. Gli sarebbe bastato premere il grilletto, ma aveva rimandato, aveva deciso di affrontarlo diversamente, perché l’idea di piantargli una pallottola in testa e finirla lì, su due piedi, gli aveva fatto in qualche modo ribrezzo.
“Ho fatto della vendetta la mia ragione di vita e adesso credo di non volerla nemmeno più quella dannata vendetta. Patetico.”
 
Durante il periodo passato assieme a Steve Rogers, Rumlow era arrivato a sentirsi coinvolto in qualcosa che lui stesso si era poi ritrovato a dover distruggere. Era stato strano essere considerato un punto di riferimento da qualcuno ed era stato altrettanto strano provare fiducia nei confronti di quello stesso qualcuno, durante le missioni più complicate e pericolose che aveva svolto per lo SHIELD.
Dopo tanto tempo, Brock non ricordava più nemmeno cosa lo avesse spinto fra le braccia dell’Hydra. Però ricordava gli anni con la Strike come fra i più soddisfacenti della sua travagliata esistenza.
 
“Vendicati di coloro che ti hanno usato e gettato via, allora. Teschio Rosso non ha più bisogno di nessuno di noi. Fa allontanare dallo scontro i tuoi uomini o faranno tutti un’orrenda fine.”
Kristen si azzardò a stringerli un braccio con una mano tremante. Provava dolore per quell’uomo plagiato a tal punto, da non rendersi conto di aver messo la propria vita nelle mani di persone che non avevano interessa a preservarla. Il talento nel combattimento, la forza e la straordinaria resistenza avevano spinto l’Hydra a volerlo tra le proprie fila. Brock Rumlow non era riuscito ad opporsi e aveva lasciato che gli facessero il lavaggio del cervello.
Lei era stata al fianco di Rumlow durante tutta la fase di guarigione, ne aveva monitorato i progressi e aveva trovato la soluzione per far sparire le brutte cicatrici sul suo volto, fino a restituirgli i fieri e decisi lineamenti, da cui traspariva un dolore che lei era riuscita ad intravedere, nonostante lui fosse eccelso nell’ecclissare le emozioni, almeno finché non si trovava davanti agli occhi Capitan America. La prima volta che la Myers aveva visto Rumlow perdere le staffe, era stato durante il trasporto di Rogers nella base sotto le macerie del Triskelion, quando aveva minacciato di tagliare la lingua del ragazzo e l’avrebbe fatto se lei non l’avesse fermato.
 
“Ti sei proprio lasciata influenzare da lui, Kristen” disse l’uomo, ma senza rabbia o disprezzo nella voce.
“Forse in fondo l’hai fatto anche tu, Brock.”
La dura espressione di Rumlow vacillò.
“Mettiti in salvo. Per te c’è ancora speranza.”
“Mi troveranno e mi uccideranno.”
“Non lo permetterò.”
 
Dopo quelle parole, Brock la guardò con un’intensità tale da rubarle qualche battito del cuore.
Kristen intensificò la presa sul suo braccio e piegò le labbra piene in un sorriso, prima di parlare ancora una volta, cercando di essere il più convincente possibile, nonostante sentisse le gambe molli.
 
“Allora vieni con me.”
 
 
 
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Quando erano tornati sulla Terra, Stark aveva monopolizzato la linea di comunicazione per dieci minuti buoni, tanto che Rogers era arrivato al punto di togliere la ricetrasmittente dall’orecchio, solo che la Romanoff lo aveva guardato malissimo e allora l’aveva rimessa al suo posto, come un bambino colto in fallo.
I Vendicatori avevano stretto i denti e avevano raccolto tutte le energie a loro disposizione per abbattere gli ultimi Ultra Soldati rimasti, ormai disorientati e non più così pericolosi ora che Teschio Rosso era morto. Molti uomini dell’Hydra, per qualche motivo a loro sconosciuto, avevano smesso di combattere e si erano arresi, rendendo il processo di ritorno all’ordine più semplice e veloce.

Nel giro di un’ora, la battaglia fu estinta.

La luce del mattino si era fatta più intesa, segno che il Sole, coperto da una leggera cortina di nubi, era ormai alto.
Thor propose di far sparire tutti i resti degli Ultra Soldati in Vakuum, in modo che non rimanesse traccia di quel folle esperimento. Allora Rogers cercò di organizzare un piano d’azione sia per raccogliere i pezzi dei mostri viola, sia per aiutare i civili che non erano riusciti ad allontanarsi abbastanza dalla battaglia.
In collaborazione con lo SHIELD, gli Avengers cercarono di riportare l’intera zona in sicurezza e di rimediare almeno ai danni più grossi. Ci sarebbero voluti tempo e pazienza, ma non avrebbero abbandonato il campo ignorando la devastazione causata dallo scontro.
 
“Ho bisogna di una doccia calda e una lunga dormita.”
Clint si mise a sedere su un cumulo di detriti e si prese qualche attimo per prendere qualche respiro profondo. La stanchezza cominciava a farsi sentire. Si ritrovò a chiedersi come fossero riusciti a uscirne vivi. Forse si erano sottovalutati.

“Ti stai prendendo una pausa?”

Natasha, che si era avvicinata alle spalle dell’arciere, prese posto al suo fianco e gli poggiò il capo sulla spalla, rilassando i muscoli doloranti. Clint le avvolse un braccio attorno i fianchi e la tirò a sé, più vicina. Le posò un bacio sul capo e sorrise.
“Comincio a convincermi che siamo in grado di superare tutto, se lo vogliamo.”
La donna rise e sollevò il capo per guardare il compagno dritto negli occhi.
“Mi fa piacere che tu la pensi in questo modo, tesoro.”
Barton baciò la rossa con trasporto e le circondò il viso con entrambe le mani.
“Ti amo, Nat.”

“Sono incinta.”

Clint smise di respirare. Rimase a fissare il volto sporco e sudato della compagna, incapace di dire o fare qualsiasi cosa, come se le connessioni neuronali gli fossero saltate tutte assieme, in un colpo solo.
Natasha non si mosse e stette in attesa, carezzando con la mente la sensazione di averlo detto finalmente ad alta voce. Prima che potesse realizzarlo, si ritrovò stretta in un abbraccio tanto intenso da toglierle il fiato per un lungo istante.
Clint la pressò forte contro il proprio petto e le sussurrò all’orecchio che l’amava e che non credeva di poter essere tanto felice come in quel momento. Le disse che tutto sarebbe andato per il meglio.
Poi una gelida realizzazione colpì l’arciere, alla stregua di un pugno nello stomaco.
“Tu sei scesa sul campo di battaglia anche se...”
“Non sarei mai stata capace di andare avanti, se qualcuno di voi fosse morto mentre io stavo a guardare. Io non so nemmeno cosa pensare di questo.”
La donna posò le mani sulla pancia, ancora incapace di realizzare che dentro di lei stesse davvero prendendo forma una vita.
“Mi ci vedi a badare ad un bambino?”
Clint la baciò, prima di affondare nel suo sguardo smeraldino e sorriderle.
“Hai badato ad almeno cinque soggetti altamente instabili, me compreso. Credo che sarai una mamma fantastica.”
Natasha rise e, spinta dall’entusiasmo del compagno, decise di crederci a quelle parole.

“Agli altri lo diremo non appena sarà tutto finito. Sempre per quella cosa dell’instabilità.”
Clint annuì, accettando la richiesta della compagna.
“E Clint?”
“Sì, Nat?”
“Ti amo anch’io.”
 
 
“Abbiamo bisogno di più mano d’opera qui, piccioncini.”

Stark mandò in frantumi la calda atmosfera creatasi fra Clint e Natasha, invitandoli gentilmente a muovere il culo, perché c’era parecchio lavoro da fare ancora.
Non erano lì per raccogliere le margheritine e dilatare i tempi, già tremendamente lunghi, di rispristino delle condizioni di sicurezza sarebbe stato alquanto deprimente. Tony era certo che sarebbe crollato a momenti e non sarebbe stato il solo, ne era certissimo. Continuò il giro di ricognizione e individuò i membri della squadra che si stavano ancora dando da fare, nonostante le energie fossero in evidente fase di esaurimento.
Gli fece un certo effetto osservare James Barnes spostare un mucchio di detriti che aveva bloccato l’uscita di un appartamento divenuto poco sicuro e al cui interno erano rimaste intrappolate alcune persone. Non lontano notò Anthea e Thor alle prese con alcuni dei corpi degli Ultra Soldati e si chiese come facesse la ragazza a non sentire la brezza invernale che le stava carezzando la pelle nuda.
Poi Sam gli tagliò la strada, facendogli prendere un mezzo colpo.
“Non sfidarmi, Wilson” gli comunicò tramite la ricetrasmittente e poi minacciò di manomettergli le ali.
 
“Non era mia intenzione, Stark” si sentì in dovere di precisare il pararescue, prima di cambiare linea di comunicazione, tagliando fuori l’inventore senza troppi complimenti.
“Aggiornamenti, Capitano?”
“Lato ovest, Sam.”
Falcon girò attorno ad un alto palazzo che aveva subito parecchi danni. Le scale interne erano per la maggior parte franate e l’ascensore era troppo pericolante per rappresentare una sicura via di fuga.
Giunse in prossimità di quella che una volta era la vetrata di uno dei piani più alti, ma il cui vetro era stato ridotto in frantumi. Alcune persone lo stavano aspettando lì e, vedendolo arrivare, una di loro tese le braccia verso di lui. Sam le trasportò a terra, una ad una.
“Cap?” chiamò alla fine, non vedendolo ancora nel punto in cui avrebbe dovuto prenderlo.
“Arrivo.”
Steve si affacciò dalla vetrata orfana di vetri. Una bambina dai capelli scuri, sporca di polvere e visibilmente scossa, aveva le dita strette attorno la sua mano sinistra. Inoltre, il super soldato teneva con il braccio libero un bimbo dagli occhi gonfi di lacrime e le cui piccole braccia erano strette attorno al suo collo.
“Li porto giù entrambi.”
Wilson prese con sé la bambina e fece per prendere anche il piccolo, ma quello si strinse con più determinazione a Rogers, nascondendo il visino contro l’incavo della spalla.
“Non so se essere offeso o commosso” celiò Sam, prima di volare verso il basso, per restituire la bambina ai genitori. Non dovette risalire, perché Iron Man lo precedette e ripotò lui stesso Steve e il bambino a terra.
“Passavo da queste parti” fu la semplice spiegazione di Stark, il cui tono fece capire a Wilson che la questione fra loro era tutt’altro che cestinata.

Steve, intanto, aveva convinto con gentilezza il bimbo ad allentare la stretta su di lui. Lo restituì alla madre, che lo ringrazio con voce tremante di pianto.
Anche l’ultimo palazzo pericolante era stato svuotato e lo SHIELD si stava occupando di allontanare le persone dalle zone poco sicure.
Il Capitano raggiunse Stark, Wilson e le loro facce da schiaffi.
“Ho finito il giro di ricognizione e dovremmo aver fatto tutto quello andava fatto. All’appello manca lo scettro di Loki. Nel bunker c’era solo il Tesseract. Abbiamo trovato anche il corpo di Adam Lewis, insieme ai resti degli Ultra Soldati eliminati lì dentro.”
Tony strinse una mano metallica sulla spalla del super soldato. La maschera dell’elmetto era sollevata e perciò Steve poté vedere la preoccupazione segnare i tratti del viso stanco del compagno.
“C’è un’altra cosa e non ti piacerà. In lontananza ho visto i furgoni dell’esercito. Penso che Ross stia venendo a prenderci. Siamo ancora dei fuori legge.”

“Perché i guai sembrano non finire mai?” si lamentò Sam, poco prima che l’arrivo improvviso di Thor dal cielo gli fece venire un serio colpo e ci mancò poco che lo insultasse, per il modo poco delicato di arrivare alle spalle di una persona appena uscita viva da una battaglia infernale.
Stark mimò con la bocca la parola karma e Wilson preferì non dargli corda, volendo evitare di essere ripreso da Steve, fra le cui sopracciglia aveva già iniziato a delinearsi quella nota ruga di insofferenza.

“Abbiamo finito di raccogliere tutti i corpi degli Ultra Soldati. Siamo pronti per portarli a Vakuum” annunciò l’asgardiano, con una certa soddisfazione.
 
“Bene. Dove sono gli altri?” chiese allora il super soldato.

“Ci aspettano dove abbiamo raggruppato tutta la spazzatura” fu la rapida risposta di Tony.

“Muoviamoci allora.”

Stark, Thor e Wilson non se lo fecero ripetere due volte.
Rogers sospirò e portò una mano sulla fronte, scuotendo il capo con evidente rassegnazione, mentre guardava i compagni prendere il volo senza di lui. E dalle loro facce, fu intuibile asserire che l’avevano fatto di proposito.
Come se lui potesse spostarsi di qualche chilometro in una manciata di secondi.
“Figli di...”

Stark ridiscese alle spalle del Capitano e gli mise entrambe le mani metalliche sulle spalle, con fare tutt’altro che rassicurante.
“Stavi dicendo?”

Rogers roteò gli occhi.
“Potresti darmi un passaggio?”

“Manca la parolina magica.”

“Dacci un taglio, Stark.”

“Come vuoi tu, Rogers.”
 
 
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“Ehi, ti senti bene? Sei spaventosamente pallido.”
Anthea corse in contro a Steve, guardandolo seriamente preoccupata, pronta ad offrirgli un appoggio.

“Io gli avevo detto di non guardare in basso” si intromise Stark, uscito dall’armatura, il cui controllo fu assunto da JARVIS.

“Come se fosse stato possibile capire quale fosse il basso e quale l’alto.”
Rogers guardò malissimo la causa della propria attuale nausea e si trattenne dall’agire in modo dolorosamente vendicativo, solo perché Tony Stark gli serviva ancora intero e cominciava a dubitare che quella condizione potesse venire a mancare in qualche modo.

“Arriverà il giorno in cui dovrai guardarti le spalle, Tony” lo avvisò Banner, rivestito da indumenti dello SHIELD e abbastanza tranquillo rispetto i suoi standard.

“Credi che già non lo faccia? E parlando di guardarsi le spalle, Ross e i suoi sono in avvicinamento. Non sarebbe meglio liberarsi di tutto questo schifo prima che finisca nelle mani sbagliate?”
 
“Non credo sia il caso farlo mentre ci guarda, se non vogliamo peggiorare le cose.”
Natasha attestò lo stato delle cose con ferma risoluzione. Avrebbero dovuto affrontare Ross e il Governo, che lo volessero o meno.
 
Una fila di Jeep verdi militare arrivò a pochi metri dai Vendicatori, come un corteo di cattivi presagi.
Dall’auto di testa scese Ross, che venne seguito da un manipolo di soldati armati, come se quello fosse abbastanza per metterli in allerta o anche solo impensierirli. In ogni caso, gli Avengers non avrebbero mai fatto uso della loro forza che imporsi o per sottrarsi alle conseguenze delle loro azioni. Natasha Romanoff e Steve Rogers l’avevano dimostrato tempo addietro, dopo il crollo del Triskelion. Non erano fuggiti, né si erano nascosti, accettando le conseguenze delle loro azioni.
 
“Siete in stato di arresto finché non verranno chiarite tutte le questioni che sono state sollevate negli ultimi giorni. E il Soldato d’Inverno deve essere confinato con la massima urgenza” fu il cordiale saluto da parte del generale, che però aveva tutt’altro che finito.
“Inoltre, bisognerebbe iniziare ad imporre qualche dogana per l’ingresso sulla Terra o obbligare che si richieda prima un nullaosta. Questa situazione non è accettabile.”
Ross scansionò il gruppo di oneiriani ed infine posò lo sguardo su Anthea.
“Mi ricordo dei danni che hai causato anni fa. Quali sono le motivazioni della tua presenza qui?”
 
“Sono stato io a chiederle di aiutarci.”
Lo sguardo indagatore e freddo del generale saettò su Rogers.
Ad Anthea quello sguardo non piacque nemmeno un po’ e comprese di non avere molto autocontrollo al momento, quindi sperò che l’uomo non osasse troppo, per il bene della sua stessa salute.
 
“Non crede di star tirando troppo la corda, Capitano? Vorrei farle notare che non le converrebbe compiere altri passi falsi da qui in avanti.”
 
E adesso Ross stava guardando James, che Steve spinse istintivamente dietro di lui. Di fronte alla possibilità di perdere di nuovo Bucky, il sangue gli ribolliva nelle vene e la lucidità tendeva a venire meno. Tuttavia, c’era in gioco troppo, quindi si impose di mantenere la calma e di provare ad essere ragionevole.
 
“Voglio sperare che non stiate pensando di dare ausilio a quell’assassino. Avete la minima idea di cosa...”
“L’Hydra gli abbia fatto?” concluse Rogers, guadagnandosi un’altra occhiata poco rassicurante da parte del generale.
Ross allora decise di cambiare strategia ed indicò il mucchio dei resti di Ultra Soldati.
“Quelle sono prove. Non posso permettervi di portarle via.”
 
“Non credo che lei sia nella condizione di avanzare pretese, generale. Qui non si tratta solo della Terra, giusto Thor?”
Tony offrì un buono spunto per risolvere la questione ‘Ultra Soldati’. L’asgardiano però non fu troppo recettivo e annuì con fare incerto, domandandosi cosa precisamente il miliardario gli stesse chiedendo.
 
“Quei corpi verranno trasportati su Asgard. Sono sotto la mia giurisdizione” intervenne Anthea, senza la minima esitazione.
“E per quale motivo sarebbero sotto la tua giurisdizione?”
Ross non avrebbe mollato la presa facilmente, questo era un dato di fatto. Avrebbero dovuto essere molto più convincenti.
“Contengono parte del mio DNA. Se lei non vuole che porti qui il mio esercito per punire l’affronto che ho subito da parte della razza umana, le conviene lasciarmi potare via quei corpi.”
 
Stark si appuntò di congratularsi con la ragazzina per l’invidiabile recitazione. Dinanzi quella minaccia poco velata, il generale perse parte della sua compostezza.
Anthea aveva parlato con una tale convinzione, da far vacillare anche la maschera di ferma serietà indossata da Rogers, che si era voltato a guardarla come per verificare che fosse stata proprio lei a dire certe cose.
 
“Capisco” concesse il generale, conscio di non poter far nulla su quel fronte, non senza rischiare una nuova invasione aliena a quanto pareva.
“Ma non posso assolutamente soprassedere circa i danni e relative complicanze che la tua presenza ha portato qui sulla Terra. Dovrete rispondere…”
 
“Si rende conto che è stato raggirato dall’Hydra e ora è lei che pretende di arrestare noi e non il contrario?”
Tony partì in quarta, incapace di trattenersi ancora, e se Rogers non lo avesse richiamato all’ordine con una decisa stretta sulla spalla, probabilmente avrebbe preso a calci il bastardo.

“Henry Benson...” cominciò il Ross, ma venne bruscamente interrotto, di nuovo.

“Lui era dalla parte di Teschio Rosso” attestò con fermezza Natasha, facendosi avanti, stanca di sentire tutte quelle assurdità. Era chiaro che il Governo temesse i Vendicatori e che quindi stesse cercando, in qualche modo, di sfruttare il fatto che fossero stati dichiarati fuori legge, così da limitarne la libertà.
“Il Capitano ha visto in faccia tutti coloro che sono giunti a patti con l’Hydra e Benson è fra quelli” continuò la rossa, sfidando la pazienza di Ross.

“Raccoglieremo le testimonianze di tutti voi. È la vostra parola contro la loro. Benson ci ha aiutato nella vostra cattura, dopo le azioni al di fuori dalle regole da voi commesse. Ci sono stati tanti casi di lavaggio del cervello e puntare il dito è meno semplice di quel che crediate.”
Ross spostò l’attenzione su Rogers, cercando nella sua espressione una crepa o un cavillo che gli permettesse di fare breccia nelle sue difese.
“Sottrarvi a questo, non sosterrà la vostra innocenza.”
 
“Noi siamo innocenti e lei lo sa bene. Che fa? Nasconde la testa sottoterra come un dannato struzzo?” rincarò Iron Man, abbastanza fuori di sé.

“Va bene.”

“Cosa?!” sbottò lo stesso Tony, incredulo, e gli balzò in mente la malsana idea di tirare uno scappellotto poco delicato al super soldato troppo accondiscendente.

“Non peggioriamo le cose. Chiariremo la situazione e non saremo costretti a guardarci le spalle come fossimo criminali fuggitivi.”
La calma di Rogers raffreddò i bollenti spiriti dei suoi compagni non molto d’accordo con quel compromesso. Thor era l’unico che non sembrava troppo turbato da quella resa, forse perché conosceva bene cosa significasse doversi prendere la responsabilità delle proprie azioni, che fossero giuste o meno. Ogni decisione presa, portava sempre ed irrimediabilmente a delle conseguenze, con le quali era necessario confrontarsi, perché fuggire non era un’alternativa, o almeno non lo era sicuramente per gli Avengers, il cui impatto sul pianeta era tutt’altro che trascurabile. Una decisione presa da loro poteva pesare sull’umanità e dovevano esserne ben consapevoli, o avrebbero causato danni irreparabili.
 
“Saggia decisione, Capitano” fu l’unico commento di Ross, soddisfatto di aver premuto i giusti tasti.
 
“Io vorrei ritrattare.”
Una familiare voce, seguita da una figura vestita di scuro, sopraggiunse improvvisa, ma non del tutto inaspettata. Natasha, forse come mai prima, fu contenta di vedere il direttore Fury esporsi in prima linea, deciso a smettere di nascondersi nell’idea che fosse morto.
 
“Lei non era deceduto, direttore Fury?”
Ross riuscì ad eclissare la sorpresa provata nel ritrovarsi davanti Nick Fury. Il generale non aveva intenzione di lasciare a piede libero i Vendicatori e Fury non aveva più né il potere né i requisiti per imporsi in qualche modo.
“Ho preferito far credere al mondo che lo fossi, data la vostra incompetenza nel gestire ciò che era rimasto dell’Hydra. Vi abbiamo aperto gli occhi e voi vi siete bendati, fornendo a quei pazzi scellerati una seconda possibilità per dominare incontrastati su questo pianeta.”
“A me sembra che lei si sia fatto vivo solo per proteggere la sua squadra di pericolose mine vaganti” fu la tagliente risposta di Ross, posto dinanzi l’accusa di incompetenza.
“Non lo nego. Tutti cerchiamo di proteggere le cose a cui teniamo. Non lascerò che lei li rinchiuda da qualche parte, non senza uno straccio di prova coerente e reale a loro carico.”

Tony stava per aprire bocca, ma Steve, che lo conosceva bene, gli lanciò un’occhiata che non lasciò spazio a fraintendimenti. Così Stark sospirò, roteando gli occhi al cielo e trattenendo a stento una battuta che sarebbe risultata inadeguata adesso. Però Fury l’aveva commosso, questo doveva ammetterlo almeno a sé stesso.

“Allora mettiamo sul tavolo le prove e individuiamo i colpevoli, così da poter assegnare le giuste punizioni. Non posso soprassedere ad un secondo attacco al Governo. I suoi ragazzi dovrebbero porsi dei limiti. Chi dà loro il diritto di decidere cosa vada distrutto e cosa vada salvato?”
 
Steve e Natasha si sentirono chiaramente chiamati in causa.
“Lo SHIELD, l’HYDRA... sparisce tutto” erano state parole parecchio decisive mesi prima ed erano state concretizzate in modo alquanto spettacolare.

“Se non fosse stato per loro, nessuno di noi oggi sarebbe qui, lo tenga bene a mente, generale. E non dovrebbe essere lei a parlare di colpe e punizioni, dato il suo coinvolgimento con l’Hydra.”
Fury era deciso a mantenere la posizione. Non avrebbe lasciato che il Governo mettesse le mani sui Vendicatori.
“Si sbaglia. Io stavo collaborando con il signor Benson e ho seguito le sue direttive, dopo che i Vendicatori hanno messo in allarme gli Stati Uniti a causa delle loro azioni avventate e non controllate.”
Ross non vacillava nemmeno dinanzi l’accusa di aver collaborato con l’Hydra. Non gli importava di dove avesse messo le mani in pasta Benson al momento, ma solo di porre fine al libero arbitrio degli Avengers.

L’arrivo di un’auto decretò la fine del braccio di ferro tra Fury e Ross.
Dalla vettura uscì Henry Benson in persona.
Steve sudò freddo, perché non si fece sfuggire l’irrigidirsi minaccioso di James, Tony e della stessa Anthea. Stark arrivò addirittura a stringere un polso al super soldato, come se avesse timore che sarebbe stato lui il primo a scagliarsi contro quell’uomo subdolo e manipolatore.

“Sono qui per arrivare ad un compromesso che possa momentaneamente gestire la situazione” iniziò Benson, avanzando verso di loro, e continuò senza attendere una risposta e fregandosene degli sguardi poco rassicuranti che gli vennero rivolti.
“Un equo processo che assegni colpe e punizioni.”

“Equo processo? E per cosa? Per poter sostenere le sue sporche menzogne?” si scaldò allora Fury.

“No, va bene. Noi ci renderemo disponibili e rintracciabili. Ma ci lascerete tornare alla Tower. Nessuno verrà trattenuto o peggio rinchiuso da qualche parte. Siamo pronti a sottoporci a giudizio, se è quello che serve perché la smettiate di provare in tutti i modi a tenerci al guinzaglio.”

Fury, Ross e i Vendicatori rimasero sorpresi dinanzi le parole decise di Rogers. Tony pensò che quell’accondiscendenza che gli stonasse parecchio addosso. Solo Henry Benson sembrò rimanere impassibile, se non si contava il guizzo delle labbra che si piegarono verso l’alto, in un mezzo sorriso.
 
“Voglio una garanzia.”

A Stark venne voglia di sputargli in un occhio a quel bastardo di Benson. In cuor suo sapeva già dove volesse arrivare e l’intuizione avuta non gli piaceva affatto. Quell’uomo subdolo, fin dall’inizio, non aveva puntato ad altro e nemmeno stavolta si sarebbe smentito, nonostante la sua colpevolezza.
Come aveva detto Ross, era la loro parola contro quella dell’uomo. O meglio, era la parola di Benson e del Consiglio Mondiale contro quella dei Vendicatori, il cui status agli occhi del Governo era tutt’altro che quello di innocenti che si erano prodigati a fermare un attacco alla Terra da parte di un folle assetato di potere. Ci volevano prove concrete per delineare chi dicesse il vero e chi invece no.

“Quale garanzia?” domandò l’inventore, costringendosi a rimanere calmo.

Benson sistemò la cravatta bordeaux con una clama quasi snervante. Poi puntò il dito su Rogers.
“Sarai tu la nostra garanzia. Altrimenti delle celle di detenzione sono già pronte per tutti voi, in attesa di chiarire la situazione.”
 
Bel coraggio a minacciarli, come se potesse davvero costringerli in qualche modo a seguire le sue volontà.
 
“Il ragazzo non va da nessuna parte.”
Fury si fece avanti e Benson quasi temette per la sua stessa vita, data l’espressione gelida che si ritrovò a dover sostenere.
“Ma non può proteggerlo per sempre, mio caro Fury. È solo questione di tempo e verremo a prenderlo, che lei lo voglia o meno.”
Le parole che Henry Benson pronunciò anni prima, Nick le sentì risuonare nella testa con un’intensità fastidiosamente alta.
Fu Steve stesso a fermare il direttore dello SHIELD con un gesto della mano e uno sguardo fermo.
“Io...”
“Non se ne parla, Rogers. Tu non ti muovi da qui e andrò io se necessario.”
Tony era praticamente sul piede di guerra. Non avrebbe dato a Benson un’altra occasione per mettere le mani sul Capitano, soprattutto non adesso. Sapeva che le intenzioni del subdolo bastardo erano tutt’altro che buone, senza contare che era Rogers quello che aveva visto in faccia i potenti traditori e questo lo rendeva un impiccio da eliminare il prima possibile.
“Ci è scappato, è vero, ma è stato davvero appagante vederlo gridare, dibattersi e piangere. Lo abbiamo piegato e lo avremmo spezzato, se non fosse arrivato Barnes.”

“Signor Stark, mi dispiace deluderla, ma non è la sua presenza ad essere richiesta in questa situazione.”

Rogers fece per dire qualcosa, ma una stretta decisa attorno al gomito lo fermò. Il giovane voltò il capo e incontrò gli occhi smeraldini di Natasha. Era evidente come lei la pensasse: non voleva lasciarlo andare, non da solo.
“Se vai tu, vengo anche io.”
Steve si sottrasse con gentilezza alla sua presa decisa e le pose le mani sulle esili spalle, guardandola con sincero affetto.
“Dovrai tenerli a bada, mentre sarò via. Dovete fidarvi di me” le disse, prima di lasciarla andare.
 
“Le mie condizioni non cambieranno. Preferiamo che sia il Capitano a seguirci, data la sua influenza sugli altri. Il Consiglio sarebbe molto più tranquillo e eviterà di adottare misure estreme.”
Benson era certo che il super soldato non avrebbe potuto rifiutare. Osò poi rivolgersi direttamente ad Anthea, cercando di sostenere lo sguardo tetro e ostile della giovane.
“Devo chiederti di far lasciare la Terra ai tuoi soldati e di rispondere alle responsabilità che ti competono circa quanto è successo qui.”
 
“No. Partirà anche lei. È mia la responsabilità del suo coinvolgimento.”
Rogers si impose senza esitare e Anthea rimase alquanto spiazzata.
“La seguirò, Benson, ma solo se rispetterà due condizioni.”
 
“Sentiamo.”
 
“Non toccherete James Barnes e lascerete ripartire Anthea assieme ai suoi soldati e ai resti dei potenziati.”
 
La tensione che si era venuta a creare era palpabile. Ora erano Rogers e Benson a tenere in mano i fili di quella trattativa ingiustificata, ma necessaria a non scatenare altri disordini.
 
“Concesso” fu la risposta di Henry, sicuro che avrebbe trovato il modo di coinvolgere l’oneiriana in un secondo momento. Adesso le priorità erano altre. Finché aveva il controllo sui piani alti, poteva permettersi di osare tanto.
 
Rogers prese un respiro un po’ più profondo e si voltò verso Anthea, cercando dentro di sé la giusta risolutezza.
“Lasciate la Terra, Anthea.”
“Steve...” cercò allora di parlare l’oneiriana, non nascondendo il disappunto.
“Va’.”
 
Quella sola sillaba fu in grado di farle contrarre dolorosamente il cuore. Lui aveva usato un tono quasi glaciale e l’oneiriana capì che quello era un ordine non discutibile. Era proprio bravo Steve a suscitarle pensieri poco gentili nei suoi confronti. Lo avrebbe volentieri scosso con un eccesso di violenza.
Perché voleva allontanarla proprio adesso?
Anthea non voleva nel modo più assoluto lasciarlo in un momento tanto delicato. Aveva un brutto presentimento, come uno spillo conficcato nello stomaco. Era ovvio che Benson avesse tutt’altro che buone intenzioni e, nonostante si fidasse di Steve e degli Avengers, proprio faticava a digerire la concessione che stavano facendo a quell’uomo viscido. Sì, era riuscito ad ottenere che i suoi compagni e James fossero lasciati in pace, ma non poteva permettersi di pagare quel prezzo, non nelle sue attuali condizioni.
Steve le mise una mano sulla spalla e la guardò dritta negli occhi, per un lungo istante.
“Fa’ quello che deve essere fatto.”
E il silenzio si protrasse ulteriormente, prima che la giovane sovrana rispondesse con un debole “Va bene”.
Anthea si unì agli oneiriani, sotto gli sguardi di tutti i presenti, e ricevette dai Vendicatori occhiate che le dicevano di non preoccuparsi, che tutto sarebbe andato bene e di fidarsi. Lei di loro si fidava e fu per questo che seguì le indicazioni di Steve. Forse stavolta lo stava odiando un po’ meno e iniziò quasi a sentirsi stupida per aver dubitato troppo di lui.
 
Ross, rimasto in disparte, fece fatica a credere a quello che vide. La ragazza, i suoi soldati e i corpi degli Ultra Soldati sparirono in una colonna di luce accecante in pochi istanti. Non fu tanto l’evento in sé a suscitargli un certo stupore, ma il fatto che quell’essere potente e pericoloso aveva abbassato la testa dinanzi a Rogers. Gli aveva ubbidito, rinunciando a qualsiasi protesta o compromesso.
Il generale iniziava a capire l’ossessione di Benson circa il voler controllare il super soldato, a qualunque costo. Prima gli Avengers, poi lo SHIELD ed infine un’entità proveniente da oltre i confini della Terra, pronta a gettarsi nel mezzo di una rischiosa battaglia pur di aiutarlo. E il fatto più eclatante era che il ragazzo nemmeno si rendeva conto di quanto potere avesse fra le mani.

“Cinque minuti e il nostro trasporto verrà a prenderci. Voi altri sarete scortati alla Tower dal generale Ross. Cercate di collaborare. Una mossa falsa e il nostro accordo salta.”

“Ha idea di chi lei abbia di fronte? Noi...”

“Collaboreremo” fu Banner a concludere la frase per Stark, anche se il miliardario aveva in mente ben altro.
Bruce diede una leggera pacca sulla schiena di Tony, come per ricordargli di mantenere la calma. Non era quella la giusta risoluzione delle cose, ma non avevano altra scelta al momento. Essere dichiarati fuori legge non era ciò che volevano, non quando c’era la possibilità di sistemare tutto.
Il Governo non stava chiedendo loro di mettersi al suo servizio, né di chiudere baracca e burattini. Era una questione più burocratica quella, ovvero bisognava presente le giuste carte, ben formulate, riguardanti il fatto che non fossero stati i Vendicatori a voler compiere stragi sulla Terra con un esercito di uomini potenziati e l’aiuto di extraterrestri.

Ross lanciò un’occhiata interdetta a Benson, ma non lo contraddisse. Quell’uomo era riuscito dove lui aveva fallito, doveva riconoscerlo.
Benson, dal canto suo, estrasse il telefono dalla tasca e si allontanò, tornando verso l’auto.
 
“Sarà questione di ore e ti tirerò fuori, ragazzo” promise Fury e anche lui si mosse in direzione di un veicolo non troppo distante da lì, con tutta l’intenzione di mettersi immediatamente a lavoro.
 
“Questa cosa non mi piace, Steve.”
Sam si avvicinò all’amico.
“Sai che non ho mai contestato una tua decisione e sai che credo in te. Ma questo… è decisamente imprudente.”
Steve strinse una spalla di Wilson con energia e piegò le labbra spaccate in un mezzo sorriso di rassicurazione.
“Si scopriranno. Se Benson facesse un solo passo falso e lo farà, potremmo liberarci di lui. Non mi succederà niente, vedrai.”
Sam non sembrava affatto convinto da quelle parole. Erano da poco passati attraverso l’inferno. Non era giusto permettere al nemico di prendersi Steve adesso, dopo tutto ciò che era successo.
“Non ti ringrazierò mai abbastanza, Sam. Dopo il crollo dello SHIELD sarei stato perso senza di te.”
“Offrimi una birra dopo aver sistemato tutta questa merda e mi avrai ringraziato abbastanza” convenne Wilson, colpito profondamente dall’ammissione del Capitano.
“Contaci.”
 
Barton era stato stranamente taciturno, ma era arrivato alla conclusione che non ci fosse altra alternativa. E poi, non c’era da preoccuparsi. Non si era lasciato scappare i movimenti che c’erano stati dalla partenza di Anthea. L’arciere scambiò uno sguardo con Banner e il dottore gli fece un cenno con il capo, confermandogli di aver visto anche lui.
Dovevano fidarsi di Rogers.
 
“Steve. Fa’ attenzione ed evita mosse stupide. Ti conosco abbastanza da sapere che nulla ti farà cambiare idea, ma vedi di rimanere vivo. Se non vuoi farlo per te stesso, fallo per me.”
Steve fu scosso fin nel profondo dalle parole di Bucky, che aveva attestato, in modo non troppo velato, di aver bisogno di lui. Il biondo sapeva di star sottoponendo i nervi dell’amico ad uno stress ingente, ma non vedeva altra soluzione. Doveva assicurarsi di sistemare le cose, senza concedere al nemico appigli per riemergere dalla recente disfatta.
James perse del tutto la freddezza propria del Soldato d’Inverno e, mosso da sentimenti in lui radicati e non più silenti, strinse Steve in un rapido ma intenso abbraccio fraterno, per poi lasciarlo andare con riluttanza.
“Tieni questo per me. Tornerò a prenderlo. Promesso.”
Rogers rimosse lo scudo dai supporti dietro la schiena e lo consegnò ad un Bucky alquanto esitante e sorpreso da quel gesto. Si scambiarono un ultimo intenso sguardo, senza aggiungere parole che sarebbero state solo di troppo.
Fu Tony a rompere la bolla che si era creata attorno a loro, bofonchiando qualcosa come “Adesso tocca a me, fai spazio Manchurian Candidate” e prendendo da parte Rogers, prima che Benson venisse a reclamarlo.
“Non sono molto d’accordo con questa decisione, sappilo Rogers. Ma sei tu il capo, quindi me la farò andare bene, per il momento.”
“Tony...”
“Niente parole di rassicurazione per me, sono grande per certe cose. Avvicinati.”
Stark sollevò un braccio e gli poggiò la mano sul lato destro del collo.
“Dietro al tuo orecchio ho appena fissato una ricetrasmittente adesiva. Toccala o pronuncia Stark per attivarla, in caso le cose si mettano male. Sono ancora una via di fuga per te.”
 
“Lo siamo tutti” aggiunse la voce profonda di Thor, che si avvicinò ai due compagni con un’espressione più tesa del solito.
 
Steve sorrise. Così come loro lo avrebbero protetto a qualsiasi costo, lui avrebbe fatto in modo che fossero al sicuro, anche se ciò richiedeva consegnarsi a Benson momentaneamente.

“Andrà bene. Voi non combinate disastri, mentre non ci sono.”
 
“Tranquillo. Tu pensa a riportare a casa il culetto tutto intero” celiò Stark.
 
Il Capitano annuì. Sarebbe andata bene, perché non era solo.
 
 

֎
 
 

Steve salì sul blindato con una certa esitazione. Odiava ufficialmente il retro dei furgoni e ammise che il senso di claustrofobia iniziava farsi sentire.
 “Accomodati pure, ragazzo” lo invitò Benson, che salì subito dopo di lui.
 Il Capitano si sedette sulla panca d’acciaio posta ai lati del cubicolo e ai suoi fianchi presero posto due soldati armati, chiaramente una protezione per il farabutto.
Ci fu silenzio per l’intera parte iniziale del viaggio.
Rogers si chiese dove lo stessero portando, ma probabilmente la meta non gli sarebbe piaciuta affatto. Chiuse gli occhi, cercando di rilassarsi. Si sentiva piuttosto indolenzito e, adesso che l’adrenalina aveva smesso di circolargli in gran quantità nelle vene, cominciava a risentire degli effetti della battaglia e di tutti gli strascichi che si era portato dietro, a partire dai giorni precedenti. Era stanco.
 
“Devo ammettere che hai superato le nostre aspettative, Rogers” disse Benson, di punto in bianco.
“Non hanno saputo renderti obbediente come avrebbero dovuto. Avevo detto loro di prendere provvedimenti, quando potevano ancora farlo.”
 
Steve rimase in silenzio, lo sguardo puntato sugli stivali logori. Non aveva nemmeno avuto il tempo di rattoppare le ferite. Il braccio destro sanguinava ogni volta che la pelle si tendeva troppo e il collo pareva essere in fiamme. Il composto della Myers doveva star ancora agendo, perché sentiva meno dolore di quello che si aspettava.
 
“Sei silenzioso. Non è da te.”
Benson era invece in vena di stupide chiacchiere, che Rogers avrebbe volentieri evitato di ascoltare, se non gli fossero servite.
“Cosa vuole, Benson?”
Il giovane sollevò il capo, per guardare l’uomo dritto in faccia. Doveva mantenere il sangue freddo.
“Sistemare le cose, limitando il pericolo di peggiorarle, Capitano.”
“Basta con le stronzate” intimò Rogers, affilando lo sguardo, esausto dei raggiri e dei sotterfugi messi in atto dal nemico.
“Non parlerei così sfrontatamente nelle tue condizioni. Da quello che posso vedere, sei parecchio debilitato e le tue ferite non mi sembrano roba da niente.”
Benson ammiccò. Sapeva di certo come rigirare il coltello nella piaga.
“Mi sta minacciando?”
Steve non ne era sorpreso, ma non si aspettava di vederlo osare tanto dopo meno di un’ora di viaggio. Era ovvio che ci fosse qualcosa che tenesse ancora l’Hydra in piedi, nonostante la sconfitta e la morte di Schmidt, altrimenti l’uomo non si sarebbe spinto così in là, non davanti a Ross e soprattutto non davanti i Vendicatori.
“Affatto. Ti sto consigliando di stare buono, per il quieto vivere di entrambi.”
Il Capitano resistette alla tentazione di spaccargli il grugno e di cavargli personalmente le parole di bocca. Non sarebbe stato nel suo stile, ma poco gli sarebbe importato.
“Cosa vuole, Benson? Parli chiaro.”
Era stufo di quella inutile messinscena. Non era certo lì per farsi raccontare favolette, ma per capire come distruggere ciò che rimaneva delle resistenze nemiche.
 
“Se proprio insisti.”
 
A Benson bastò un singolo gesto e Rogers si ritrovò i polsi ancorati alla parete del blindato, tramite gli stessi congegni elettromagnetici che l’Hydra aveva usato su di lui durante l’attacco nell’ascensore.
Una mano guantata di nero gli chiuse la bocca con estrema rudezza, mentre un’altra mano gli afferrava ciuffi di capelli sulla nuca per tenergli ferma la testa. Il soldato alla sua sinistra era stato dannatamente rapido, c’era da ammetterlo. Troppo rapido.
Benson fece un cenno al secondo soldato, che si spostò di fronte al ragazzo e iniziò a perquisirlo con poca delicatezza. Poi tirò fuori un aggeggio simile ad una piccola torcia e tramite quello rilevò la ricetrasmittente dietro l’orecchio.
 
“Penso possa essere attivata con il tocco, signor Benson, ma non escludo un’attivazione vocale.”
 
“C’era da aspettarselo. Per evitare spiacevoli inconvenienti, tienilo zitto” ordinò Henry e il soldato incaricato si premurò di rafforzare la presa sul ragazzo, strappandogli un gemito, che fu però soffocato dal palmo della mano premuta con forza contro la sua bocca.
 
Benson non aveva avuto tutto i torti. Steve si rese conto di essere incapace di reagire, troppo debole per rompere le restrizioni o per ribellarsi in qualche modo. E poi era certo che quei due soldati non fossero propriamente normali. Forse aveva ricevuto lo stesso trattamento di Rumlow.
 
“Veniamo a noi, ragazzo. Perdona il trattamento poco gentile, ma non voglio rischiare inutili intromissioni. Questa è l’ultima occasione che ho per sistemare ciò che tu e i tuoi amici avete mandato a puttane.”
Benson curvò la bocca in un ghigno sadico. Attese che il suo sottoposto rimuovesse la ricetrasmittente e la disattivasse, godendosi l’odio nello sguardo del super soldato. Se glielo avessero assegnato fin dal suo ritrovamento nei ghiacci, avrebbe sicuramente fatto in modo di mettere un freno alla sua impertinenza e alla sua propensione a non ubbidire agli ordini dei superiori.
 
“Ho terminato, signor Benson” avvisò in soldato, mentre distruggeva definitivamente la ricetrasmittente.
 
“Ottimo. Metti il ragazzino in sicurezza.”
 
I congegni magnetici sui polsi furono staccati dalla parete e uniti fra loro, dietro la schiena del giovane. Il soldato che aveva rimosso la ricetrasmittente tirò fuori da borsoni neri altre restrizioni simili, ma di grandezze differenti. Gli bloccò le caviglie e ne applicò due sotto le ginocchia e altri due sopra di esse. Non era un segreto che lo temessero abbastanza, da non sottovalutarlo nemmeno nell’attuale stato di debolezza.
 
“Concedigli la parola” ordinò Benson, una volta soddisfatto delle misure di sicurezza adottate.
Steve fu libero dalla stretta di dita estranee sulle guance, ma rimase ferrea quella sui capelli.
 
“Cosa vuole fare?” chiese, con affilata rabbia nella voce.
“Anche se Teschio Rosso è morto, non vuol dire che io affonderò con lui. Tu collaborerai con me.”
“Sta scherzando vero? Deve avere qualche serio deficit cerebrale se pensa che io collaborerò con lei in qualche modo.”
Al ragazzo venne quasi da ridere, ma non capì fino in fondo se fosse per disperazione o per l’assurdità di quell’assunzione priva di fondamenta.
 
“Ti sbagli. L’unico che subirà un deficit a livello cognitivo sarai tu, mio caro ragazzo. Finirò quello che Teschio Rosso aveva iniziato e stavolta non c’è modo che possa fallire.”
 
“Di cosa diavolo sta parlando?”
Steve cominciava a perdere la calma e l’espressione soddisfatta dell’uomo di fronte a sé non lo aiutava affatto a mantenere i nervi saldi.
 
“Ti sto riportando sotto il Triskelion” fu la sentenza di Benson, che godette nell’osservare il ragazzo sbiancare e vacillare dinanzi alla realizzazione di ciò che gli sarebbe accaduto.
 
“Lei non può farlo. Abbiamo un accordo e se mi succedesse qualcosa...”
 
“Nessuno ti salverà. Secondo te perché ho potuto agire con tale libertà, nonostante tutto? La risposta è semplice...”
 
“Lo scettro di Loki” concluse il Capitano, conscio che fosse l’unica cosa a mancare ancora all’appello.
 
“Sei perspicace. Controlliamo più persone di quelle che tu possa anche solo immaginare. Una volta sotto il mio controllo, tu testimonierai a favore della mia innocenza. Poi ovviamente mi aiuterai ad ottenere il controllo sui tuoi compagni. Si fidano così ciecamente di te.”
Benson si lasciò scappare una mezza risata.
 
“Sei un lurido viscido bastardo che non otterrà assolutamente niente.”
 
Steve, devi portare rispetto per chi è più anziano di te. E poi non sono ancora arrivato alla parte migliore. Mi aiuterai a costruire un nuovo esercito di potenziati e farai in modo che la ragazza aliena contribuisca.”
 
“Sei solo un povero pazzo. Tu non avrai niente da me. Sarò però felice di spaccarti la faccia non appena ne avrò l’occasione.”
 
“Quanta arroganza. I bravi soldati dovrebbero essere obbedienti e dovrebbero tacere. Tu sei un bravo soldato, Steve?”
“Vada a farsi fottere.”
“Risposta sbagliata.”
 
Benson si alzò in piedi e si avvicinò al super soldato. Gli strinse una mano grassoccia attorno al collo, sorridendo maliziosamente.
“È una brutta ferita questa.”
L’uomo affondò le dita nella pelle ustionata e tumefatta, macchiandosi i polpastrelli di sangue.
Steve contrasse la mascella e si impose di non emettere alcun suono, nonostante il dolore che quel gesto gli stava provocando. Non intendeva dargli alcuna soddisfazione. Doveva rimanere calmo o avrebbe mandato a monte tutto quanto.
“Lei mi fa pena” sussurrò fra i denti e piegò la bocca in un sorrisetto sarcastico.
Benson fu accecato dalla rabbia e gli tirò un pugno in pieno viso, ma si ritrovò a gridare di dolore l’istante subito successivo.
“Ti farò rimpiangere di essere venuto al mondo, Rogers” gli sputò in faccia, mentre teneva stretta al petto la mano che si stava gonfiando a vista d’occhio. Era stato quasi come colpire un dannato muro.
“Certo. Può iniziare prendendomi a pugni con la mano ancora sana, così sarò contento di avergliele spaccate entrambe.”
Steve accentuò il sorriso, perfettamente consapevole di star osando troppo, considerando la sua posizione tutt’altro che favorevole. A volte era più forte di lui e più di qualcuno avrebbe sicuramente avuto da ridire.
L’espressione di Benson si accartocciò, rughe profonde si disegnarono sulla fronte sudata e le narici si dilatarono. Lo scoppio di rabbia fu bloccato solo dall’arrestarsi del veicolo e dalla voce del conducente.
 
“Siamo all’auto, signor Benson.”
 
Henry parve riscuotersi, ma non spezzò il contatto visivo con Rogers.
“Ottimo. Ti sistemo io adesso, in modo che non dovrò né vederti né sentirti per il resto del viaggio.”
 
“Mi sta facendo un favore, perché questo significherà che non sarò costretto ad averla davanti agli occhi ed ad ascoltare le sue stronzate.”
 
Un’ombra scura attraverso i tratti dell’uomo, che però non si mosse. Nella sua mente malata stava immaginando tutto ciò che avrebbe potuto fare per spezzare il ragazzo che aveva di fronte. Voleva vederlo prostrarsi ai suoi piedi e chiedere pietà, mentre piangeva con un bambino. Voleva spazzare via la luce da quegli occhi chiari. Glieli avrebbe volentieri cavati quegli occhi.
 
“L’hai voluto tu, Rogers. Regalategli il trattamento che merita e poi fatelo sparire dalla mia vista.”
 
Steve si pentì un po’ di non essere stato più ragionevole e arrendevole. La sua audacia gli costò un pestaggio con i fiocchi da parte dei due soldati, che furono capaci di mandarlo sull’orlo dell’incoscienza. L’attuale debolezza lo fece sentire di nuovo quel gracile ragazzino con la straordinaria capacità di infilarsi in risse troppo più grandi di lui. Fu senza dubbio una strana sensazione.
Ma doveva mantenere la calma e lo fece. Si lasciò rigirare come un pedalino, per un tempo che gli parve non finire mai e durante il quale perse a tratti coscienza.
Quando tornò finalmente vigile, non senza una certa fatica, era ormai solo. Non c’era muscolo che non gli dolesse e il collo bruciava al limite della sopportazione. Gli effetti del composto antidolore si stavano inevitabilmente esaurendo. Era ancora bloccato da quei dannati congegni magnetici, disteso su un fianco, nell’oscurità di un bagagliaio non troppo spazioso. Dalle vibrazioni era facile capire che fossero in movimento.
Benson era stato di parola. Non l’avrebbe né visto né sentito, dato che gli aveva fatto chiudere la bocca con uno strappo di nastro isolante. Era stato previdente, quel bastardo vigliacco.
Steve avrebbe dovuto sentirsi umiliato, ferito nell’orgoglio, avrebbe dovuto essere almeno incazzato, invece rimase calmo. Chiuse gli occhi, respirando piano e profondamente dal naso. Rilassò i muscoli doloranti e lasciò che la spossatezza prendesse il sopravvento. Stava bene, niente di rotto.
Non aveva nulla da temere. Doveva resistere ancora un altro po’.
Il battito regolare del cuore che gli rimbombava nelle orecchie sembrò quasi cullarlo. Pensò ai suoi amici, a quanto gli avessero dimostrato negli ultimi giorni e a quanto fosse felice nell’averli accanto. Senza di loro, sarebbe morto da un pezzo, oppure sarebbe diventato un burattino al servizio dell’Hydra.
Senza di loro, sarebbe stato perso.
Pensò alle ultime parole di Bucky e si ripromise che gli sarebbe rimasto accanto e non avrebbe permesso a nessuno di separarli ancora. Doveva anche parlare con Tony, dirgli la verità, nonostante la verità avrebbe potuto incrinare qualcosa o molto più di qualcosa.
Il veicolo si fermò di colpo, strappandolo dai suoi pensieri.
Steve ascoltò il suono di passi e il vociferare sommesso. Sarebbe rimasto volentieri lì dentro, al posto di dover avere a che fare ancora con Benson.
Il bagagliaio fu aperto con un gesto secco. Una luce soffusa e il freddo invernale lo accolsero, insieme alle braccia fin troppo forti di un soldato, che se lo caricò in spalla come se pesasse praticamente niente. Però almeno non era viola.
Rogers doveva abituarsi all’idea di non essere più un’esclusiva, nonostante conservasse ancora una invidiabile unicità.
Non oppose resistenza. Era esausto e non avrebbe avuto senso a quel punto. Una volta all’interno della base, si rese conto di ricordare con spaventosa chiarezza quei corridoi asettici, da cui era fuggito solo pochi giorni prima, grazie a Bucky e ad Anthea. Dalla scomoda posizione, intercettò pezzi di vetro sparsi sul pavimento e riconobbe l’ingresso della maledetta stanza, da dove Bucky l’aveva tirato fuori prima che fosse tardi. E si ritrovò di nuovo seduto sulla maledetta sedia, ma stavolta non provò il cieco terrore che l’aveva colto la prima volta. C’erano adesso una decina di soldati dell’Hydra a fare da scorta a Henry Benson. Doveva temerlo parecchio, quel bastardo, dato che aveva fatto in modo di ridurre al minimo le possibilità di un tentativo di fuga.
 
Benson raggiunse il ragazzo. Tirò fuori dalla tasca il telefono e fece partire una chiamata. Poco dopo, la voce di Adam Lewis venne fuori dal cellulare.
Questa svolta provocò nel super soldato un moto di agitazione, perché Adam Lewis avrebbe dovuto essere morto. Forse ce ne sarebbero voluti ancora diversi di morti resuscitati, perché smettesse di rimanerci male.
“Devo dedurre che ci siamo. Allora, Rogers, come ci si sente ad aver perso?” chiese la voce divertita di Lewis.
Henry concesse di nuovo al ragazzo l’opportunità di parlare, anche se con estrema reticenza, liberandolo da nastro nero.
 
“Anche lei ha cambiato corpo, ho indovinato?” fu la diretta domanda del giovane Capitano, non appena fu libero di esprimersi.
 
“Sei sveglio. Mi dispiace non poter assistere, ma la mia presenza era richiesta altrove.”
 
Un soldato passò a Benson lo scettro di Loki, tirato fuori da un borsone nero. Steve si irrigidì.
 
“Stavolta non perderemo tempo. Inizieremo con lo scettro e, quando sarei sottomesso, vedremo di riprogrammarti a dovere” parlò ancora la voce di Lewis.
“Sai Rogers. Dopo la prima volta che mi hai fottuto, ho imparato che bisogna sempre avere un piano di emergenza. Proceda, signor Benson, e mi contatti una volta terminato il lavoro.”
“Lewis!”
Rogers riuscì a trattenere il dottore, prima che chiudesse la chiamata.
“Cosa vuoi, ragazzo? Le suppliche non ti salveranno.”
“Dove si sta nascondendo? Perché non viene fuori e si occupa lei stesso della faccenda? Ha paura di me?”
Sapeva di star osando parecchio, Steve, ma non aveva altra scelta. Doveva costringerlo a parlare, a scoprirsi.
“L’unico che dovrebbe avere paura sei tu, Rogers. Ma non preoccuparti, avrai il piacere di vedermi una volta che sarai diventato un soldato obbediente.”
 
La linea divenne muta, prima che il super soldato potesse ribattere in qualche modo. La cosa lo fece agitare abbastanza da renderlo irrequieto.
“Mi faccia parlare con Lewis.”
 
Benson rimase inizialmente interdetto, mentre riponeva in tasca il telefono, ma poi parve riscuotersi e la sua espressione si rabbuiò, esternando una collera a stento trattenuta. Coprì la distanza che lo separava dal Capitano, lasciando lo scettro ad uno dei soldati che gli facevano da scorta, così da poter usare la mano sana per afferralo con violenza per i capelli.
“Non osare darmi ordini, ragazzino.”
Steve non rispose, ma non diede alcun segno di essere terrorizzato da ciò che avevano intenzione di fargli, anzi, c’era l’ombra di un sorriso che gli arricciava leggermente le labbra spaccate.
“Cancellerò quell’espressione impertinente dalla tua faccia e ti costringerò a lucidarmi le scarpe con quella maledetta lingua che ti ritrovi. Poi vedremo se avrai ancora voglia di ridere.”
Benson serrò maggiormente la presa sui capelli del super soldato, con l’unica intenzione di strappargli anche un solo cenno di sofferenza. Ma quegli occhi azzurri non vacillavano e non tradivano alcuna emozione, al di fuori di una ferma determinazione. Henry non riusciva a sopportare quella vista, non poteva sopportare l’idea di sottometterlo tramite lo scettro, senza averlo prima punito come meritava e senza averlo visto soffrire consapevolmente almeno un’ultima volta. Un’idea allettante gli balzò in mente e lo fece sorridere come uno psicopatico nel pieno di assurde elucubrazioni. A Lewis avrebbe detto che si era trattato di un incidente, che il ragazzo aveva cercato di fuggire e non c’era stato modo di fermarlo, non senza usare metodi poco ortodossi.
“Un coltello. Ora” ordinò allora, guadagnandosi un’occhiata sorpresa da parte del Capitano.
Un dei soldati si mosse per soddisfare la richiesta del suo superiore e gli porse l’arma.
“Tienigli ferma la testa” fu il successivo ordine dell’uomo e Steve fu libero dalla presa sui capelli, solo il tempo necessario perché il soldato incaricato si posizionasse alle sue spalle e gli piazzasse le mani ai lati della testa, impedendogli ogni tipo di movimento.
 
“Cosa vuole fare?” fu la legittima domanda di Rogers, che aveva cominciato suo malgrado a sudare freddo.
Benson ghignò, avvicinandogli il coltello al viso, con fare tutt’altro che rassicurante.
“Voglio cavarti via un occhio” disse, come se si trattasse di nulla più che ordinaria amministrazione.
“Tu sei pazzo.”
“Prova a ripeterlo quando avrò finito.”
Con la punta della lama, l’uomo spostò verso il basso la palpebra inferiore dell’occhio destro di Rogers, che trattenne istintivamente il fiato. Poi spinse l’arma in avanti, intenzionato a concretizzare ciò che aveva preannunciato.
 
“È uno scherzo?”
Benson ci mise tutta la forza. Spinse fino a divenire paonazzo, ma il coltello aveva smesso di muoversi e non riusciva a far avanzare la sua stessa mano.
 
“Riguardo il piano d’emergenza, il dottor Lewis aveva ragione” fu il semplice commento di Steve, che intanto aveva ripreso a respirare.
 
Dinanzi la faccia incredula di Benson cominciò a prendere forma una figura sempre più nitida. Involucro dopo involucro, l’energia che l’aveva resa invisibile svanì, mostrandola agli occhi di tutti i presenti.
“Tu sei...”
Henry cercò di indietreggiare con una certa urgenza, ma si rese conto che il polso era incastrato nella presa ferrea della figura ormai nitida.
 
“Il piano d’emergenza.”
Avrebbe dovuto essere una battuta di scherno, ma il tono tagliente e glaciale di Anthea la rese più una condanna a morte.
 
Il polso di Benson fece un rumoroso crack e il coltello gli scivolò dalla mano, mentre gridava disperato. L’oneiriana lo lasciò andare e lo osservò allontanarsi e andare a nascondersi alle spalle dei suoi sottoposti, come il vigliacco che era.
 
“Togligli le mani di dosso. Adesso.”
L’attenzione di Anthea era ora rivolta al sodato che ancora teneva Rogers per la testa.
L’uomo, come un automa, le obbedì e un chiaro terrore si dipinse sul suo volto, un terrore suscitato da quell’istinto innato proprio di ogni essere vivente.
 
Le restrizioni che immobilizzavano Steve furono polverizzate e il ragazzo si spinse in piedi, ma rimase alle spalle dell’oneiriana, incerto su cosa fare.
“Posso uccidere, Benson?” gli chiese lei.
“Sai che quasi mi spaventi, quando dice certe cose in quel modo?”
“Mi sto trattenendo. Credimi.”
Anthea sollevò un braccio e Benson iniziò a pregarla di risparmiarlo. Lo scettro di Loki scivolò dalle dita del soldato a cui era stato affidato e finì nella mano tesa della ragazza.
“Questo lo prendo io.”
 
“Fermatela!” gracchiò allora Henry e i soldati presenti si mossero immediatamente.
 
Steve si mise istintivamente sulla difensiva, ma l’oneiriana spinse gli assalitori violentemente fuori dalla stanza, senza né toccarli né guardarli, ma rilasciando un flusso consistente e poco controllato di energia. Il rumore di ossa che venivano spezzate fu ben udibile e risultò alquanto macabro.
 
“Anthea” la chiamò il Capitano, con voce non troppo ferma.
 
Lei non lo ascoltò e si avvicinò a Benson, che rimase immobile dinanzi le iridi cremisi fisse su di lui.
“Com’era? I bravi soldati dovrebbero essere obbedienti e dovrebbero tacere. Dopo aver sentito questo, ho desiderato farti a pezzi. Ma poi sei andato anche oltre, quindi mi sono resa conto che farti a pezzi sarebbe stato troppo poco.”
La ragazza si fece ancora più vicina. Benson smise di respirare. Lei gli afferrò la mano gonfia e la strinse con controllata violenza fra le dita, evitando di polverizzargli le ossa ma facendolo gridare disperato, fino a portarlo sull’orlo di un pianto isterico.
“È una brutta ferita questa” lo schernì.
 
Steve rimase fermo a guardare la scena. Provò quasi un senso di soddisfazione, dinanzi a quella parte di personalità così vendicativa e cruenta, che Anthea aveva già mostrato diverse volte in battaglia. Per la prima volta, venne meno la necessità di fermarla con urgenza.
Benson cadde in ginocchio.
La giovane mollò la presa sulla mano ormai in frantumi e lo osservò piangere e strisciare, come se allontanarsi da lei fosse sufficiente. Quello era niente, rispetto a ciò che meritava.
“Ti strapperei volentieri entrambi gli occhi. Così non potresti più guardarlo in quel modo viscido.”
 
Fu solo quando Benson iniziò a boccheggiare, il viso divenne mortalmente paonazzo e del sangue iniziò a colargli dagli occhi, che Steve intervenne, afferrando un braccio dell’oneiriana con decisione. Intensificò la presa quel tanto che bastò a dissuaderla dai suoi scopi omicidi.
“Non rischiamo di passare dalla parte del torto. Abbiamo lo scettro e abbiamo ricavato parecchie informazioni.”
Il viscido traditore tornò a respirare e prese a tossire violentemente, mentre un rivolo di bava gli colava dalla bocca semiaperta.
 
La ragazza si liberò dalla stretta del super soldato e lo afferrò per il colletto usurato della divisa, forzandolo a piegarsi leggermente in avanti, in modo da ridurre le distanze fra i loro visi ad un soffio. Era visibilmente arrabbiata.
Tutu hai messo a dura prova i miei nervi. Per una dannata volta avresti potuto essere un po’ più arrendevole, invece di provocare persone che non vedevano l’ora di farti seriamente male. Dannazione, sapevi che ero lì, Steve.”
Era tanto arrabbiata quanto disperata. Il Capitano riuscì a percepire distintamente una dolorosa stretta allo stomaco, nonostante di botte ne avesse prese abbastanza da rendergli complicato individuare un punto che non dolesse.
“Mi dispiace” si scusò, abbassando lo sguardo, improvvisamente incapace di sostenere quello di lei.
“Guardami” lo esortò però la ragazza, con meno durezza di quella che invece avrebbe voluto esternare.
Il giovane obbedì e trovò ad attenderlo il profondo blu di occhi il cui taglio si era adesso ammorbidito.
“Io sono terrorizzata da cosa sarei capace di fare per te. Vorrei che tu evitassi di mettermi troppo alla prova, anche se non intenzionalmente.”
Quella di Anthea suonò quasi come una supplica. La voce le tremava a causa di rabbia, tensione e ansia. Se Steve prima non l’avesse fermata…
“Dannazione” soffiò la ragazza fra i denti, cercando di recuperare la calma.
 
Il super soldato ritornò con la mente indietro di qualche ora, quando le aveva ordinato di lasciare la Terra, mentre tramite il pensiero le aveva chiesto di rimanere segretamente al suo fianco. Anthea aveva allora utilizzato lo stesso trucco che aveva permesso a lui e Bucky di percorrere le strade di Georgetown, senza che nessuno potesse avvertire la loro presenza. Le aveva chiesto di seguirlo e di aspettare, di non intervenire finché lui non avesse scoperto le intenzioni di Benson e finché non fosse venuto fuori lo scettro di Loki. Rogers aveva intuito fin da subito che la probabilità che ce l’avesse quell’uomo fosse molto alta, data la sicurezza che aveva ostentato dinanzi a Fury, i Vendicatori e Ross.
Il piano era andato a buon fine, ma Steve aveva costretto Anthea a fare da silenzioso spettatore. Aveva cercato di rimanere calmo e di fingere che il dolore nemmeno lo sentisse, per evitare che lei si agitasse, ma non era stato troppo arrendevole, così aveva dato a Benson e ai suoi un motivo per usare le maniere forti e la violenza. Nonostante tutto, lei aveva rispettato la sua volontà di rimanerne fuori, di non intervenire, a meno che non avessero tentato di ucciderlo o di provocargli danni irrimediabili.
Steve posò delicatamente la fronte contro quella della ragazza.
“Scusami” le sussurrò, sinceramente pentito.
Anthea lasciò la presa sul suo colletto e posò la mano appena dietro il suo orecchio, stringendogli fra le dita ciuffi di capelli.
“Ti sto momentaneamente odiando.”
Il super soldato la abbracciò, prendendola quasi di sorpresa. Fece scivolare una mano al centro della sua schiena nuda e l’altra la posò sulla sua nuca, facendole poggiare il mento sulla spalla sinistra.
Anthea fece inavvertitamente scivolare a terra lo scettro e si aggrappò alle sue spalle, stropicciando il tessuto dell’uniforme sporca di terra e sangue.
 
“Sei riuscito a costruirti una bella botte di ferro intorno, Rogers. Fury, gli Avengers, poi il Soldato d’Inverno e infine lei.”
 
L’oneiriana tese ogni singolo muscolo con uno spasimo e annullò il contatto con Steve, voltandosi in direzione di un Henry Benson che faticosamente cercava di rimettersi in piedi.
Respirò profondamente un paio di volte, si chinò a raccogliere lo scettro e si fece da parte, raggiungendo l’uscita della stanza, dove rimase in attesa.
 
“Dov’è Adam Lewis?” fu la domanda che Rogers rivolse all’uomo, tornando in un istante freddo e risoluto.
 
Benson scoppiò a ridere, finendo per tossire nuovamente in modo convulso. Non era riuscito a rimettersi in piedi, dato che le mani danneggiate non gli offrivano più l’adeguata leva per sollevare la non indifferente mole del suo corpo sudato e tremante.
“So bene che la tua è una minaccia, Capitano. Sarei disposto a tutto per salvarmi la pelle, quindi credimi quando ti dico che non ne ho idea. Si sarebbe presentato lui stesso, una volta che avessi finito con te.”
 
“Allora lo chiami e le dica che con me ha finito.”
Rogers incrociò le braccia al petto e attese che Henry obbedisse.
 
“Tieni quel demonio lontano da me e lo farò.”
Benson occhieggiò alla figura di Anthea. La ragazza aveva indossato una maschera di indifferenza, o almeno stava facendo del suo meglio per non cedere ad impulsi che prevedevano fondamentalmente spargimenti di sangue.
 
“Chiami Lewis” ripeté il Capitano e quello bastò perché Henry tirasse fuori il telefono dalla tasca e inoltrasse la chiamata richiesta, mettendo al contempo il dispositivo in vivavoce.
 
“Signor Benson, ha già portato a termine il lavoro?” esordì la voce di Adam Lewis, con una udibile vena scettica.
“Stavolta il ragazzo ha opposto meno resistenza del previsto.”
“Certo, lo vedo. Mi passi Rogers.”
 
La mascella di Steve guizzò in un moto di stizza. Gli ci volle poco ad individuare la piccola telecamera attiva, posta in un angolo della stanza. Lewis non era affatto uno sprovveduto e glielo dimostrò di nuovo, quando fu in comunicazione diretta con lui, con il vivavoce spento e il telefono accostato all’orecchio destro.
“Mi devo complimentare con te, ragazzo. Sapevo che sarebbe stato un azzardo riportarti lì dentro, ma ho voluto tentare lo stesso. Non avevo nulla da perdere, ma se tu fossi stato meno furbo, avrei vinto. Beh, poco importa. Goditi questa tua momentanea vittoria. A presto, Steve, e salutala da parte mia.”
Passò qualche secondo di silenzio e poi la chiamata si chiuse, lasciando il super soldato con lo stomaco sottosopra. Prima che la linea tornasse muta, la sua mente aveva registrato il rumore di una macchina che veniva messa in moto e l’idea che Adam Lewis fosse più vicino di quel che volesse far credere fu sufficiente a smuoverlo.
Rogers si lanciò in una corsa sfrenata fuori dalla stanza e, ripercorrendo i corridoio a ritroso, arrivò all’uscita, costituita dalla botola che lo aveva condotto fuori da quella base già una volta. La fredda aria invernale che lo accolse all’esterno gli diede quasi sollievo, mentre avanzava fra i detriti del Triskelion e spostava lo sguardo in tutte le direzioni possibili, nella ferma convinzione di riuscire ad individuare Lewis, prima che scappasse.
Fu allora che il cellulare che ancora stringeva in mano prese a vibrare con insistenza, bloccando quella ricerca disperata. Il Capitano rispose alla chiamata e portò il telefono all’orecchio, rimanendo però in silenzio.
 
“Mi fa piacere che tu voglia vedermi così disperatamente, ma questo non accadrà. Non oggi. Quindi smettila di affaticarti inutilmente e offri al tuo corpo la possibilità di guarire. Ti voglio sano, quando ci incontreremo di nuovo.”
La voce di Lewis era intrisa di soddisfazione, come se avesse previsto una simile reazione da parte del super soldato.
Quelle furono le ultime parole che rivolse a Rogers, prima di tranciare definitivamente l’unica linea di comunicazione esistente fra loro.
Steve continuò a guardarsi intorno, con il respiro accelerato, mentre la sensazione di fallimento gli attanagliava il petto. Strinse i pugni fino a far sbiancare le nocche e fino a ridurre in pezzi il cellulare ormai inutile. Fece per muoversi ancora, più per inerzia che per volontà di non arrendersi al fatto di essersi fatto sfuggire Lewis. Aveva avuto la possibilità di fermarlo una volta per tutte nel bunker, ma non l’aveva fatto.
 
“Basta, Steve.”
La voce morbida e cauta di Anthea lo bloccò sul posto. Non si voltò a guardarla, nonostante lei fosse alle sua spalle, a un passo di distanza.
“Devo trovare Adam Lewis. Lui potrebbe...”
La ragazza lo afferrò per un polso, strattonandolo appena in modo da costringerlo a fronteggiarla, e lasciò cadere a terra lo scettro di Loki, così da poter utilizzare anche l’altra mano, nel caso il super soldato avesse rifiutato di starla a sentire.
“Non puoi continuare in queste condizioni. Troveremo Adam Lewis, ma tu adesso non andrai da nessuna parte.”
L’espressione dell’oneiriana si indurì di colpo e rafforzò la presa sul polso del super soldato, decisa a non lasciarlo andare, decisa a non permettergli di allontanarsi da lei di nuovo.
Steve tentennava. Aveva la faccia sporca di sangue rappreso, i capelli bagnati di sudore e gli occhi arrossati. Il giovane era distrutto e aveva superato la soglia di sopportazione da un pezzo.
“Fermati” lo pregò l’oneiriana, in un sussurro appena udibile, e allentò la presa su di lui, solo quando vide l’ombra di un sorriso triste e stanco piegargli leggermente le labbra spaccate.
“Hai vinto” fu la risposta che le diede.
 
Wow, fantastico. Mi hai appena sottratto dalla spiacevole incombenza di doverti spezzare qualche ossicino delle gambe.”
Forse fu il tono scherzoso con cui lo disse, o l’espressione che tentò inutilmente di mantenere seria, o forse fu il drastico calo di tensione. Fatto stava che Steve rise, con fare un po’ isterico, ma con una intensità sufficiente a riaccendere qualche scintilla di luce nelle iridi chiare.
“Sono stanco, Anthea” le confessò poi e la profonda incrinatura nella sua voce mise la giovane in allerta. Le fece male scorgere una radicata sofferenza nel suo sguardo, ora che la facciata di determinazione e sicurezza si era sgretolata del tutto.
“Raggiungiamo gli altri, vuoi?” gli propose, perfettamente consapevole di cosa lui avesse bisogno.
 
“Devo occuparmi di Benson… impedire che scappi anche lui.”
 
“Non scapperà, fidati. Ci ho già pensato” lo informò l’oneiriana e, sia lo sguardo sia il tono, non presagivano nulla di buono.
L’espressione interdetta di Steve, accompagnata dall’inarcarsi di entrambe le sopracciglia, la spinse a specificare che no, non lo aveva ammazzato, nonostante lo meritasse.
“Ricordami di evitare di farti arrabbiare troppo.”
Lui le dedicò una lunga occhiata, rabbrividendo quasi. Era evidente che lei aveva tutt’altro che riposto l’ascia di guerra nei confronti di Benson.
“Ma tu mi hai già fatto arrabbiare troppo. Però sai, forse potrei ammettere di avere un occhio di riguardo nei tuoi confronti. Deve essere a causa del visino da angioletto ferito.”
“No, ti prego. Sapevo che l’influenza di Stark e Barton non sarebbe stata positiva. Ti vieto categoricamente di far comunella con quei due.”
Steve trattenne a stento un sorriso, fallendo nel volversi mostrare contrariato.
“Prenderò in considerazione la questione.”
“Sono serio, Anthea.”
“Prenderò seriamente in considerazione la questione, Capitano Rogers.”
Anthea rise dinanzi lo sbuffo rassegnato che ottenne in risposta. Poi lo osservò spostare il peso da un piede all’altro, con fare sofferente.
Era chiaramente visibile il fatto che la fatica stesse prendendo sempre più il sopravvento su di lui. Aveva il fiato corto e stava sudando freddo. Era spaventosamente pallido. Il composto della Myers doveva aver terminato la sua azione e il dolore si stava riaccendendo in quella che sarebbe stata una lenta agonia, la stessa che Anthea aveva provato sulla sua pelle.
Con un gesto repentino, senza rifletterci troppo su, gli strinse il braccio sinistro con una mano, assicurandosi che la presa fosse abbastanza ferrea. Il super soldato le rivolse uno sguardo interrogativo e, quando capì cosa stesse succedendo, parte del dolore e della stanchezza che lo opprimevano sembrava essere evaporata. Fece per parlare, ma lei lo precedette.
“Preferisco condividere con te un po’ di dolore fisico, che vederti in queste condizioni. Accettalo è sarà meno doloroso per entrambi.”
L’oneiriana lo sfidò a contraddirla, ma Rogers le rispose con un esitante “Mi arrendo”, conscio che nulla le avrebbe fatto cambiare idea. Sapeva essere dannatamente testarda, quando voleva.
Lei lo lasciò andare solo quando fu soddisfatta del tenue colore che aveva ripreso il suo viso.
 
Poco dopo, una brusca folata di vento li colse alla sprovvista, costringendoli a sollevare il capo verso l’alto. Fury si affacciò dal jet in volo, a una decina di metri dalle loro teste e, con un’espressione che sembrava quasi quella di un padre orgoglioso, lì invitò a salire, affermando che avrebbe pensato lui a tutto il resto. Ovviamente, il direttore aveva dato tutt’altro che carta bianca a Benson.
 
“Raggiungiamo gli altri, allora” disse Rogers, cercando di convincersi fino in fondo del fatto che, adesso, quella fosse la cosa più giusta e sensata da fare.
 
“Ai suoi ordini, Capitano.”
 
“È confortante sapere che rispetti ancora qualche mia volontà.”
 
“Rispetto fin troppo le tue volontà, Idiota.”
 
Steve scosse il capo e sorrise. Era esausto ed era al limite, eppure seppe che quel limite non l’avrebbe superato, non quel giorno, perché lei non glielo avrebbe permesso.
Dopo tanto tempo, la sensazione di sentirsi al sicuro gli accarezzò la mente, scaldandogli il petto, nonostante la fredda aria invernale portata da un gennaio più rigido del solito.
 



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“Stark stava seriamente iniziando a preoccuparsi” li accolse Barton, non appena Steve e Anthea uscirono dall’ascensore, facendo il loro ingresso nella Sala Comune.
Erano arrivati non visti dal tetto, in modo da non dover dare per il momento spiegazioni a Ross, i cui soldati presidiavano l’ingresso della Tower. Ci avrebbe pensato Fury al resto e Rogers si fidava di lui.
 
“Ti stai scavando la fossa, Barton” minacciò Stark, il cui orgoglio era stato punzecchiato dall’arciere senza troppi complimenti.
 
“Sono scese lacrime al testosterone qui. Passare una notte insieme, stretti l’uno fra le braccia dell’altro, cambia inevitabilmente un rapporto” continuò invece Barton, imperterrito.
 
“Forse facevo meglio a farmi arrestare.”
Steve sorrise delle sue stesse parole e colse lo sguardo di James, appoggiato ad una parete della stanza. Si scambiarono un cenno del capo.
 
“Non male, Capitano. Per una volta hai agito in modo maturo e coscienzioso. Siamo fieri di te.”
Clint sembrava in vena di sproloqui.
 
“Quindi voi lo sapevate?”
 
Io lo sapevo. Non a caso mi chiamano Occhio di Falco. Serve ben altro che una luce accecante e piena di colori luminescenti per ingannarmi. Ho rassicurato gli altri dopo che Ross se n’è andato.”
 
“Guarda che non sei stato il solo ad accorgertene” rettificò Banner.
 
“E così calò il sipario su Occhio di Falco e la sua vista fintamente più evoluta” rincarò Tony, per vendicarsi dell’affronto precedentemente subito.
 
“In ogni caso, sei stato fortunato che almeno qualcuno fra noi se ne sia accorto. Qui stavano già lucidando pistole, fucili, coltelli, ali, armature e pure martelli. Sai quando dici di mantenere la calma durante un’evacuazione, di non correre, di camminare in file ordinate verso l’uscita di sicurezza, senza farsi prendere dal panico? Facciamo finta che la tua partenza sia stato l’allarme di evacuazione. Da lì è stato come vedere gente correre a destra e manca, farsi gli sgambetti a vicenda perché inconsapevole di dove stesse mettendo i piedi, cadere e venir calpestata, gettarsi tra le fiamme e ovviamente, se non si fosse capito, andare nel panico. Hai presente? Tipo scenario apocalittico riprodotto in una stanza.”
 
“Non credi di star esagerando, tesoro?”
Natasha fulminò il compagno con uno sguardo glaciale e Clint pensò bene di battere in ritirata.
 
“Comunque, quando Barton si è degnato di dirci come stavano le cose, ci siamo messi a discutere su cosa ordinare per cena” volle precisare Tony, per oscurare l’immagine di un se stesso in lacrime, cosa che ovviamente non era avvenuta. Certo, forse una lacrimuccia stizzosa gli era pure scappata, ma con tutta la polvere che aveva addosso era giustificabile.
 
“Grazie della fiducia” volle sottolineare Steve, che però era conscio che non sarebbe rimasto calmo nemmeno per sogno, a parti invertite.
 
“Una volta saputo che c’era un piano, non abbiamo avuto più alcun dubbio. Abbiamo creduto assolutamente in te, Anthea.”
Stark scoccò un’occhiata ironica in direzione del Capitano, non riuscendo ad impedire che un sorriso prendesse forma sulla sua faccia da schiaffi.
 
“Sai che c’è, Tony?”
 
“Lo so benissimo che c’è, Steve. Nell’attesa, Thor ci ha raccontato del vostro rapporto a tre consumatosi su Asgard.”
 
“Sì, ma non suonava così, quando l’ho raccontato io” si giustificò l’asgardiano, sconfortato dal fatto che una storia di coraggio e onore fosse stata trasformata in una barzelletta dai suoi malpensanti compagni.
“Tranquillo, Thor. Non è colpa tua.”
Steve e Thor si scambiarono uno sguardo conciliatorio, rassegnati al fatto che quella storia li avrebbe accompagnati per un bel po’.
“Quella di Stark è invidia, perché Steve è degno mentre lui non lo è” fece presente il dio del tuono.
“Sono solo stanco. Dammi il tempo di mangiare qualcosa e ci riprovo.”
“Hai provato a sollevare il martello?”
“Oh, sì che l’ha fatto, Capitano. Una scena esilarante.”
“Ma se ci hai provato anche tu, caro Barton, fallendo miseramente” rispose a tono Stark, in modo da non affondare da solo.
 
La tensione era stata fatta praticamente a pezzi e Steve approfittò del momento di leggerezza per posare a terra il borsone nero contenente lo scettro e per tornare per qualche attimo alle cose serie.
“Abbiamo recuperato lo scettro. Fury sta gestendo la situazione. E poi…”
 
“Adam Lewis è ancora vivo.”
Fu Anthea a parlare e a prendersi la responsabilità del rabbuiarsi repentino dell’atmosfera.
 
“Lo troveremo. Ma per oggi direi che possiamo fermarci” convenne Natasha e nessuno protestò, al contrario, ci fu una distensione generale.
 
“Allora, ragazza, entri a far parte della squadra?”
 
Anthea ci mise qualche secondo di troppo a capire che Tony l’aveva fatta a lei quella domanda.
La prospettiva di unirsi a loro accendeva in lei un entusiasmo, che però fu costretta a smorzare. Suo malgrado, scosse il capo.
“Ci sono prima delle cose che devo fare.”
 
“La porta è sempre aperta” ci tenne a sottolineare Stark.
 
E questo ad Anthea bastava, per credere che sarebbe andato tutto bene. Non aveva ancora rivolto lo sguardo in direzione di Steve. Non le serviva farlo, per capire che quella non fosse la notizia che si aspettava di sentire, ma sapeva che l’avrebbe accettata.
 
“Quando pensi di ripartire?”
 
“A dire la verità, sarei dovuta andare via con Andras. Quindi sono già in ritardo.”
 
“Verrò con te. Porteremo il Tesseract e lo scettro lontano dalla Terra, sperando di tenerla per un po’ fuori da guai seri.”
 
“Va bene, Thor.”
 
Anthea si preparò a salutare quei compagni inestimabili che le avevano insegnato il significato di amicizia, fiducia e speranza, già tempo prima.
Abbracciò Natasha e le sussurrò piano, in modo che nessuno potesse sentire, che la vita fosse il dono più bello che si potesse ricevere e donare e che non doveva esserne spaventata, ma orgogliosa. La rossa ricambiò l’abbraccio e le raccomandò di non sparire, perché l’avrebbero aspettata.
L’oneiriana conquistò anche un abbraccio sia da parte di Clint sia da parte di Tony, che si trattennero dal fare qualunque commento per alleggerire un’atmosfera che era giusto conservasse una certa intensità. Sam fu il successivo e le disse che, quando sarebbe tornata, sarebbe stato contento di conoscerla in circostanze meno tragiche.
Bruce ringraziò Anthea per averlo fatto tornare in sé e le disse che l’aspettava per avere l’occasione di sdebitarsi. La ragazza gli fece presente che non c’era bisogno né di ringraziarla né di sdebitarsi, perché sapeva che lui l’avrebbe aiutata in caso di bisogno, così come aveva fatto lei.
James, sotto gli sguardi straniti del resto del gruppo, lasciò che il suo corpo si impegnasse nel ricambiare l’abbraccio che Anthea gli diede con slancio, quasi prendendolo alla sprovvista. “Lo lascio a te” gli disse e lui le sorrise, annuendo.
Dopo ogni saluto, il gruppo aveva iniziato a sfaldarsi.
Anthea non ebbe bisogno di salutare Thor. L’asgardiano, invece, si limitò a un saluto veloce rivolto ai suoi compagni, perché sarebbe tornato sulla Terra l’indomani stesso.
 
“Vi accompagno sul tetto” propose Steve e Anthea annuì.
 
Una volta sul tetto della Tower, quel saluto non poté più essere rimandato.
“A presto, Steve” si congedò l’asgardiano, dopo aver stretto la spalla sinistra del compagno con una certa intensità.
Thor si fece da parte e lasciò il giusto spazio ai suoi due compagni di battaglia, limitandosi ad attendere con lo sguardo rivolto altrove.
 
“Quindi andrai via.”
Quel confronto lo avrebbero entrambi volentieri evitato.
Devo andare. Ma tornerò. Dobbiamo ancora trovare Lewis e voglio sistemare le cose fra noi. Ho solo bisogno di assicurarmi che quanto ho costruito negli ultimi anni non venga distrutto a causa di un viscido traditore.”
Steve, suo malgrado, annuì. Sapeva che lasciarla andare fosse la cosa giusta da fare, seppur la più difficile in quel momento. Il biondo si fece forza e dissipò la preoccupazione nello sguardo della compagna, stringendola in un abbraccio. Anthea fece scivolare una mano sulla nuca del super soldato e si distanziò quel tanto che le bastava per poggiare le labbra sulle sue.
Si scambiarono un bacio che fece tremare i cuori di entrambi e infine, senza dire più alcuna parola, si separarono.
 
 
 
 
֎
 
 
 
 
Vakuum
 
“Grazie per l’aiuto, Thor.”
 
“Non devi ringraziarmi. Impegnati solo a tornare presto su Midgard. Ti aspetteremo.”
 
Anthea annuì. Thor le scompigliò i corti capelli con un gesto affettuoso della mano.
 
“Hai di nuovo la mia fiducia, Anthea.”
 
“Farò in modo di riavere la tua fiducia. Ti dimostrerò di esserne degna” erano state le parole che lei gli aveva rivolto, prima che lasciassero Asgard.
 
L’oneiriana sorrise, sinceramente felice, e lo guardò volare via, finché non scomparve dalla sua vista.
 
“Ti aspettavo, Anthea.”
Nel suo campo visivo entrò la figura di Andras.
“Sono qui. Come promesso.”
Lui le porse i pezzi della spada dall’elsa bianca che aveva recuperato per lei, dopo la sconfitta di Teschio Rosso.
“Il popolo ti aspetta. L’influsso di Antares è morto con lui e gli oneiriani hanno bisogno di una guida, ora più che mai.”
 
“Capisco” disse solamente la giovane sovrana.
 
“Mi sbagliavo sul suo conto. Comprendo cosa ti abbia spinta a volerlo. Tornerai da lui?
 
Non ottenne risposta, Andras. Ottenne invece un sorriso di una malinconia schiacciante.
L’oneiriano decise di lasciar cadere la questione, comprendendo che non fosse il momento adatto per parlarne.
 
“Sei pronta?” le chiese, con gentilezza.
“Precedimi.”
“Va bene.”
“Andras” lo richiamò la ragazza e lui arrestò il passo, in attesa.
“Grazie” gli disse e lui le sorrise, annuendo piano con il capo, per poi lasciarla sola.
 
Anthea osservò i pezzi della spada che stringeva fra le mani. C’era un’ultima cosa che doveva fare, prima di raggiungere il suo popolo. Arrivò nel punto in cui la cascata si gettava nel vuoto, contemplando la distesa verde che la circondava. A parte il fragore dell’acqua, c’era una profonda pace in quel posto.
 
“Sei libera, Aima. Lui ti starà aspettando.”
 
L’anima dell’oneiriana amata da suo padre, dopo un tempo infinito trascorso legata alla spada dall’elsa bianca, trovò finalmente la pace, abbandonando per sempre il modo dei vivi. Anthea ebbe l’impressione di venir stretta in una caldo e confortante abbraccio, per quello che fu un lungo attimo.
Infine, i pezzi della spada divennero polvere e la giovane rimase ad osservare quel pulviscolo luminoso librarsi nell’aria ed essere trascinato via dal vento.
 
Fu un modo per dire addio alle catene del passato, che l’avevano tenuta prigioniera per troppo tempo.
Fu la promessa di guardare al presente.
 
E mai si era sentita così profondamente intera.
   
 
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