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Autore: shilyss    17/05/2020    40 recensioni
Fable! AU Barbablù
Dal cap. 5: La notte, quando lui e Thor erano bambini, lei si sedeva tra i loro letti raccontando le storie degli dèi del Nord, condannati da una profezia oscura a morire dopo un inverno fatto di sette lunghi inverni che si erano avvicendati l’uno all’altro, facendo sprofondare il mondo nel caos e nel terrore.
Londra, 1857.
L'oscurità ha una sfumatura color smeraldo. L'inganno ha il sapore di una pozione. La morte è un urlo raccolto dal buio. Loki sa che il suo piano è perfetto, come l'abito che Sigyn non dovrebbe sfoggiare.
Lo pagherò anche io, il prezzo. Avrebbe desiderato dirglielo svelando quanto costasse quell’inganno e ricordarle come l’unica certezza stesse nella formula che gli era servita per tingere la stoffa di un colore vivo e vibrante. Tutto il resto, erano vaghe pratiche apprese nel corso dei viaggi troppo lunghi che aveva passato alle estremità del mondo, mentre suo fratello ereditava la tenuta e il titolo, com’era nell’ordine delle cose che fosse.
Genere: Angst, Dark, Erotico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Heimdall, Loki, Odino, Sigyn, Thor
Note: Lime, Soulmate!AU | Avvertimenti: nessuno
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2

Sussurri di parola

 

Avrà il silenzio la voce che ho,

e mani lunghe abbastanza,

sarà d’attesa e d’intesa, però

saprò quello che ancora non so.

[…] ci sarò e non ci sarò, ti parlerò

con ogni fragile accento

e sarò traccia sulla neve, neve sarò,

mi dirai di sì o mi dirai di no.

(L’apprendista stregone, Angelo Branduardi)

 

 

 

 

Sigyn sentiva su di sé il peso del ciondolo che indossava. L’agata verde le sfiorava la pelle infondendole una forza particolare, ma forse era la sua mente a illudersi che quel gioiello antico avesse su di lei qualche potere. Era un dono che non avrebbe dovuto accettare, come l’abito, anzi, la sua stoffa; gliel’aveva offerta Loki personalmente – metri di raso color smeraldo brillante per un vestito cucito apposta perché lui la guardasse e a lei mancasse il respiro. Si era incantata di fronte alla bellezza di quella tinta che univa assieme la vanità e il mistero e, guardandosi allo specchio, per un momento non si era riconosciuta: nel contrasto che si era venuto a creare tra la pelle del collo, del seno e delle braccia e lo stupendo abito, si era vista diversa, più donna. E, di nuovo, quella fitta bassa e dolorosa l’aveva fatta tremare, rivelandole un’oscurità che non credeva di possedere, infestando i suoi sogni e i versi che componeva di notte, quando tutta la casa dormiva. Rime fosche, febbrili, inadatte, che la lasciavano inquieta, ma di cui era schiava.

“Parlatemi della profetessa che lo indossava,” aveva domandato a Loki quando lui aveva osato regalarglielo. Passeggiavano l’uno accanto all’altra e l’avventuriero aveva riso buttando la testa all’indietro.

“Dissero che riuscì a sedurre un ricco conte,” iniziò, concedendole un sorriso lupesco e affascinante, che gli scopriva i denti bianchi e ben fatti. “Uno che per lei rischiò di dannarsi l’anima o, forse, la perse davvero.” Lo sguardo acuto di Loki celava immagini di oceani perduti. Teneva le mani allacciate dietro la schiena e camminava come se il sentiero fosse suo e così gli alberi, il prato, il cielo. Sigyn pensò che avesse il portamento di un condottiero e ne ammirò la figura slanciata e forte.  Rigirò tra le dita la bella pietra. “E poi?”

“Forse lui morì pazzo in un monastero o forse lei divenne la sua concubina e poi se ne tornò nelle terre del Nord.” I suoi racconti l’incantavano. Sapeva trasportarla in luoghi mai visti e c’era, nella sua voce roca e accattivante, qualcosa in grado di attrarla. Bugia, erano i suoi ragionamenti acutissimi e il suo modo cinico e affascinante di parlare, a stregarla. Ascoltandolo, aveva appreso che il mondo era un magnifico incubo e che i suoi versi concitati tendevano verso il precario equilibrio esistente tra la luce e l’oscurità: ed era lì, su quel filo sottilissimo e traballante, che, a volte, Sigyn si perdeva.

“La storia è incompleta,” ammise lui, “i frammenti superstiti non dicono altro.” Si fermò scrutandola con un’occhiata lenta, da cacciatore. Sigyn sentì quello sguardo verde percorrere il suo corpo fatto di carne, sangue e palpiti nascosti. Era riuscita a percepirlo mentre indagava nella sua anima protesa verso qualcosa che non poteva avere. Avrebbe voluto essere come la strega pagana del racconto; libera di amare un feroce conte guerriero, di offrirgli le sue labbra, il suo corpo inviolato, il suo spirito febbricitante. Invece, sventolò un ventaglio e scosse i capelli in un gesto leggero e aggraziato che nascondeva, però, il dolore per non poter essere diversa, per dover recitare costantemente la parte della figlia perfetta, della ragazza graziosa di buona famiglia. In bocca le erano rimaste incastrate parole che avrebbero divertito e forse stupito il fratello di Lord Odinson: desiderava chiedergli se avesse visto il sepolcro della profetessa – s’immaginò una strega affascinante e potente e rimase incantata da quell’immagine anche se, probabilmente, era un peccato. E poi, ancora, avrebbe dato ogni cosa per poter essere abbastanza sfacciata da domandargli quale fosse il ricordo più scuro e spaventoso che aveva portato con sé dai suoi viaggi. Loki le aveva regalato un ciondolo appartenuto a una veggente vichinga, portando una ventata d’insondabile mistero nel salotto troppo rigoroso di suo padre, spazzando via, col suo ghigno ironico e beffardo, le teorie razionali che riempivano l’aria assieme al fumo acre dei sigari d’importazione. Era l’ultimo degli alchimisti o il primo degli scienziati, corrotto dai Tropici e poi tornato a Londra per fissarla con quei suoi occhi acuti, indagatori, che troppe volte aveva sorpreso sulla sua pelle.

Un altro uomo l’avrebbe già chiesta in moglie dichiarandole il proprio amore. Era già successo. Loki no. Non aveva accampato scuse imbarazzanti per giustificare le sue occhiate attente e sfrontate e si era preso le sue labbra senza vagheggiare di fidanzamenti. Era irriverente e sconsiderato e non glielo nascondeva. Vedeva ciò che lei si sforzava di celare dietro un comportamento inappuntabile, riconoscendo la scintilla di curiosità che le illuminava lo sguardo, svelando quanto la sua anima bruciasse dalla voglia di conoscere, di sapere, di liberarsi dai sorrisi rarefatti e dai discorsi vuoti di zie e cugine.

Lo cercò nella sala, di nuovo. Sperò che non fosse già andato via, perché alle volte era così che faceva: appariva e scompariva come un fantasma; le parve di scorgere la sua figura slanciata, di spalle, vicino a Thor. Erano accanto a una porta finestra. Pensò che attraversare la sala avrebbe attirato nuovamente l’attenzione degli ospiti e scelse di passare per la stanza accanto e il giardino: così facendo, nessuno l’avrebbe notata. Seguì il suo proposito, ma a un tratto iniziò a mancarle il respiro. Si fermò un momento e le venne istintivo il gesto di sfiorarsi il seno stretto nel vestito di raso. Qualcuno le domandò se stesse bene e volesse dell’acqua; rispose di no, ma si ritrovò a bere un bicchiere, con le orecchie che le ronzavano. Le sembrò che quel semplice gesto la facesse sentire meglio e, ostinata, si diresse verso la finestra che dava sull’esterno, nella penombra di una notte lucida e bagnata. L’aria pungente odorava di pioggia. Fece pochi passi e di nuovo il mondo prese a girare. Gli cadde tra le braccia. Loki la sorresse cingendola per la vita e la strinse a sé, svelto e rapace. Erano soli, suo fratello forse era tornato nel salotto, da dove proveniva l’eco distante del piano. Sigyn si toccò la gola sfiorando il gioiello d’agata. Boccheggiava, e un formicolio le intorpidiva le braccia e le gambe, uno che si trasformò in un tremito convulso, in una nausea feroce. Loki non le chiese nulla, ma la condusse al riparo nel gazebo che distava solo pochi passi.

“Devi ascoltarmi,” le disse, “stai per morire.”

Il giardino sapeva di pioggia ed erba fradicia, la luna non si era affacciata nel cielo: Sigyn lo guardò nel buio e strinse tra le dita un lembo della sua elegante giacca scura, in una muta e disperata richiesta d’aiuto. Se solo lei avesse potuto guardarlo negli occhi, se solo la tenebra non li avesse avvolti.

 

Ti ho appena uccisa. Ti ho condannata a una morte tremenda, stupenda ragazza.

Non sempre il male aveva una spiegazione o una ragione; Sigyn tremava tra le sue braccia e Loki era cosciente del fatto che avrebbe dovuto lasciarla lì, da sola, a tremare nel gelo di una sera autunnale in attesa che il cuore le rallentasse nel petto. Tenerla avvinta a sé e sfiorarle i bei capelli d’oro significava tradire intenzioni e progetti in cui era invischiato da mesi. Sigyn era sottile e incantevole e spaventata e forse Loki era ancora in tempo per cambiare l’esito di quella serata. La prima volta che aveva risposto a un suo sorriso regalandole un ghigno sfacciato sapeva già di doverla uccidere. Aveva dato un volto al nome pronunciato troppe volte sulla nave che lo aveva riportato dalle Indie a Londra, che si era rigirato in bocca apprezzandone la musicalità e la forza: Sigyn. Che ora teneva stretta a sé in attesa che il respiro spaventato si affievolisse fino a interrompersi, stordito dal profumo dolce della sua pelle che non avrebbe dovuto offuscare la sua mente, ma che, invece, lo inebriava. Era sull’orlo di un precipizio e, nella sua tasca, l’orologio segnava lo scorrere del tempo con implacabile precisione. Sapeva che il coperchio intarsiato toccava qualcos’altro di freddo e utile.

Perché, mormorò Sigyn con un filo di voce strozzata.

 

Cosa l’aveva spinto a forzare una recita già pericolosa dandole quella collana? Come mai lei aveva scelto di sfoggiarla, esibendola con fierezza, come se fosse il dono di un fidanzamento impossibile e inesistente? Non avrebbe dovuto cercarlo. Sarebbe stato infinitamente meglio se fosse rimasta nella sala, a ballare e a morire tra le braccia di un altro.

Ma così no, era ingiusto.

Pensò a quello che avrebbe detto il vecchio Odino, dall’inferno in cui senz’altro bruciava; piegò le labbra sottili in una smorfia amara, mentre il tempo gli scivolava via tra le dita che s’impregnavano di veleno.  Lo avrebbe chiamato impostore, traditore, ladro, assassino, pazzo, perché anche lui, nella parte più vecchia della loro tenuta nell’Asgardshire, aveva tentato di trasformare il piombo in oro[1], ma di violare la morte no, non aveva avuto il coraggio, mai. C’era stato un tempo in cui il fu Lord Odinson aveva condiviso col suo figlio cadetto le inquietudini di uno spirito volitivo e brillante, l’anelito verso una conoscenza che avrebbe spezzato il confine tra la vita e la morte, il bisogno di sperimentare e scoprire i meccanismi che governavano il mondo. Era un sostituirsi a Dio che, nella maggior parte degli uomini, suscitava raccapriccio e terrore, ma non in loro. Per curare un uomo, per capire quella magia che era la vita, bisognava paragonarlo a una macchina e vedere come, in quale modo, funzionasse: non ci si poteva né doveva fermare di fronte ai precetti e alla morale che parlavano d’inviolabilità, perché la conoscenza non aveva prezzo. Poi, un giorno, Odino Odinson si era accorto che il confine tra chimica, medicina, galvanismo, scienza e stregoneria era una blasfemia e gli avrebbe dannato l’anima[2]. Guardando Loki, aveva ritrovato una versione di sé più giovane e spregiudicata e incontrollabile. Quando lo aveva chiamato macellaio augurandogli di marcire in prigione? Il giorno in cui lo aveva sorpreso a sfruttare il loro laboratorio non per ottenere colori vivi, resistenti e brillanti capaci di tingere le stoffe delle principesse d’Europa, ma veleni, pozioni, intrugli ed esperimenti. Lo aveva cacciato, sperando che tornasse con qualche segreto rubato ai maghi che, ancora, vivevano in Asia o in Africa. L’Asgardshire, del resto, ospitava da secoli una delle più importanti sedi manufatturiere in cui venivano filati i migliori tessuti della Gran Bretagna tutta, tanto sottili e compatti da venire paragonati alle stoffe indiane. Non poteva diventare la sede degli esperimenti di un duca che si dilettava con veleni e magie e anteponeva la conoscenza a qualsiasi cosa, anche alla propria anima. Le ultime parole che si erano scambiati in questa vita erano state accuse reciproche cariche di rancore: Loki ricordava di averlo chiamato ipocrita e bugiardo.

 

 

Lord Laufey era stato un volto conosciuto in mezzo ai fumi dell’oppio, comparso all’improvviso nella penombra di un locale, a Hong Kong. All’inizio lo aveva scambiato per una curiosa allucinazione, ma l’illusione solo apparente gli si era avvicinata, vestita di tutto punto, per chiedergli cos’avesse scoperto, nel corso dei suoi passaggi repentini dal sonno alla veglia[3]. Forse era entrato in contatto, come gli sciamani, con qualche entità superiore capace di rivelargli i perché della vita? Loki gli aveva riso in faccia senza ritegno – non lo possedeva più, del resto. Si era abbandonato al caos e scottava, preda della sostanza fumata, riverso a terra, con la camicia slacciata e il corpo lucido e febbricitante, in cerca di un ordine che, nel caos personale della sua esistenza, non riusciva ad afferrare.

Laufey non gli aveva raccontato subito della ragazza. Si era messo d’impegno per rimetterlo in sesto quel tanto che bastava per parlargli ed essere sicuro che lui lo ascoltasse. Disse di averlo cercato per mesi, e confessò come fosse certo che anche Loki avesse tentato di rintracciarlo. Non aveva del tutto torto. Sapeva dei suoi dissidi con Odino, intuiva che aveva mescolato troppo spesso l’utile al dilettevole. A Londra dicevano di lui che avesse rapporti con la Compagnie delle Indie e fosse alla ricerca delle stoffe più belle, degli ingredienti per ottenere i colori più brillanti, ma Laufey conosceva la vera natura di suo padre e intuiva la sua. Erano tutti e tre ossessionati dalla stessa cosa – scoprire se si poteva sconfiggere la morte o fare ritorno da essa, sapere se le anime si disfacevano come neve al sole o erano eterne e immutabili. Per dare una risposta ai suoi dubbi, l’uomo davanti a lui non aveva esitato a rovinarsi la reputazione e la carriera, trasformandosi da scienziato in orco. Odino lo aveva fatto espellere da ogni club e associazione scientifica, facendogli perdere persino la cattedra all’università. Loki lo ricordava, perché era stato per colpa di Lord Laufey se suo padre aveva cominciato a dubitare che le loro ricerche fossero legittime, giuste. Cosa li separava dagli esperimenti morbosi del professore rinnegato? La morale, quella che tu non hai, Loki.

Spariti gli effetti dell’alcool e dell’oppio, non aveva potuto fare a meno di ascoltarlo nonostante sapesse bene perché lo stesse cercando: una spirale di vendette accumulate per una vita intera, la possibilità di avere al proprio fianco qualcuno che potesse aiutarlo, cui lasciare un’eredità in caso la morte non fosse stata sconfitta.

“Cosa c’è di meglio che far sapere a tuo padre di averlo tradito, scegliendo come mentore il nemico che ha avuto per una vita? Di fatto vi ha esiliati entrambi, Loki, ma mentre Thor è tornato e prenderà il suo posto, a te, che sei rimasto accanto a lui, rimarranno le briciole e il biasimo per aver seguito una strada che lui stesso ti ha indicato,” gli aveva suggerito Laufey, maligno.

Lui si era limitato ad annuire con un cenno del capo, stabilendo che i suoi piani sarebbero variati – ma di quanto, il suo nuovo socio non lo avrebbe saputo mai.

 

Gli aveva parlato per la prima volta della ragazza alcuni mesi dopo. Di nuovo, la sua reazione era stata quella di ridere in faccia al professore radiato, perché quella era una follia impossibile da assecondare persino per lui. Si erano imbarcati da qualche giorno sulla nave che li avrebbe riportati a Londra ed era una notte stellata, ma fredda. Ascoltandolo, la risata gli si era smorzata in gola trasformandosi in un ghigno tirato: aveva compatito il grande scienziato, l’alchimista mancato. Si era accorto di avere di fronte un uomo che, come suo padre, era debole e temeva la morte. Eppure, doveva necessariamente esistere un confine netto che separasse ricerca scientifica e magia. Laufey non poteva sperare di avere una donna facendola diventare un’altra. Era una passione malsana – prendere la figlia perché, al tempo, non si era potuta avere la madre. Come poteva un uomo brillante e spregiudicato come quello, capace di opporsi, da solo, contro un’intera comunità scientifica, invaghirsi di un sogno?

Con un misto di pietà e d’interesse, nelle sere seguenti aveva continuato ad ascoltare i piani forsennati dell’altro guadagnandosi la sua fiducia notte dopo notte, raccogliendo confidenze, idee, strategie e, soprattutto, quello che più gli interessava: formule.

Sì, Loki aveva scelto di aiutarlo nella sua impresa perché era il solo modo per avere accesso alle sue ricerche sugli spiriti e sulla morte e su ciò che rimane di ogni individuo dopo il trapasso: le avrebbe unite ai bisbigli confusi che gli avevano confidato gli sciamani in trance e così, finalmente, il percorso fatto dalle anime sarebbe stato rivelato e così i molti misteri che circondavano l’uomo e la sua anima forse immortale. Una simile conoscenza avrebbe avvicinato chiunque al concetto di divinità.

 

Laufey voleva Sigyn perché un tempo aveva amato da lontano sua madre senza mai averla: la desiderava, trovando che fosse persino più incantevole dell’altra, di cui era il riflesso, l’immagine perfezionata. Una volta tornati a Londra, aveva chiesto a Loki di avvicinarla al posto suo e di studiarla, per alimentare quell’insana passione con una serie di racconti precisi e puntuali. Per quanto la fama che si portava dietro lui stesso era dubbia e tutt’altro che limpida, non era additato come un reietto agli occhi della società. Grazie al buon nome di Thor Odinson poteva ancora entrare in qualsiasi salotto: il difficile era rimanerci, ma quello non era un problema. E che un uomo giovane e prestante come il fratello del duca d’Asgardshire corteggiasse, anche solo per passare il tempo, una ragazza, era qualcosa di socialmente accettabile, che rientrava alla perfezione nel modo di condurre i rapporti tra uomo e donna. Così, mentre Loki frequentava la casa di Lord Vanir, Laufey languiva e fremeva, in attesa di poter immaginare lei attraverso la voce arrochita del proprio socio. Solo che lui avrebbe dovuto spiare, riferire, studiare e descrivergliela al punto da rendergliela quasi reale, non corromperla, sedurla o desiderarla.

Era successo che una sera, ebbro d’assenzio e col bicchiere ancora in mano, Loki gli aveva raccontato di lei per l’ennesima volta, ma con più particolari del solito e si era ritrovato a volerla lui stesso. Gli aveva descritto la pelle soda e compatta, lo sguardo attento e grigio e liquido – ma, talvolta, ammaliatore, e il seno che s’alzava e abbassava dopo una corsa e aveva sentito la gola farsi improvvisamente secca, il desiderio tormentarlo con una fitta improvvisa e profonda. All’inizio, aveva dato la colpa di tutto all’assenzio e alle proprietà dell’artemisia[4], ma poi, lentamente, aveva compreso cos’era successo: a forza di raccontarla, era rimasto incastrato nella sua stessa rete di parole. Laufey non si era accorto di nulla, troppo bramoso di sapere per accorgersi di come la mascella affilata di Loki si contraesse e lo sguardo gli bruciasse, quando il discorso toccava Sigyn: parlava di lei tra i denti, perché condividere la sua immagine lo disturbava ogni sera di più – e, alla fine, l’aveva baciata.

 

E ora, protetti dall’oscurità della notte e dalla struttura leggera del gazebo, la stringeva tra le braccia, eppure avrebbe dovuto comunque ucciderla, lasciando che Laufey agisse nell’ombra, come contava di fare da anni; quando l’effetto del veleno l’avrebbe fatta risvegliare, sarebbe stata inerme e preda degli esperimenti e dei sortilegi oscuri dell’altro, capaci di renderla, per sempre, sua schiava in nome di una donna morta anni prima. Sigyn pagava con la vita un sorriso che non aveva scelto di avere, due occhi grigi che erano appartenuti anche a un’altra, ma ora erano solo suoi.  Era un prezzo altissimo, troppo.

Lo pagherò anche io, il costo di tutto questo. Avrebbe desiderato dirglielo, svelando quanto costasse quell’inganno e ricordarle come l’unica certezza stesse nella formula che gli era servita per tingere la stoffa di un colore vivo e vibrante. Tutto il resto, erano vaghe pratiche apprese nel corso dei viaggi troppo lunghi che aveva passato alle estremità del mondo, mentre suo fratello ereditava la tenuta e il titolo, com’era nell’ordine delle cose che fosse. Ma le regole esistono per essere ribaltate, distrutte, annullate; com’era successo non troppi anni prima in Francia e nel Nuovo Mondo, in quella colonia orgogliosa che aveva osato ribellarsi alla madrepatria e all’Impero. Ma poteva e voleva farlo?

Laufey era un uomo orrendo, corrotto, servo di una serie di passioni esecrabili e sbagliate, a metà strada tra lo stregone e il macellaio, ma tradirlo voleva dire gettarsi in un abisso privo di ritorno. L’immagine della tomba gli avvelenò la mente, di nuovo[5]. Gli doveva la vita e invece lui, irriconoscente, aveva tentato di portargli via ciò che l’altro bramava ignorando i patti, rubandogli i segreti della sua arte. Condividevano le stesse passioni e non se ne era reso conto – non lo aveva voluto ammettere – fino a quella notte, quando aveva visto Sigyn indossare l’abito maledetto. Avrebbe preferito che lei fosse come qualsiasi altra donna con i capelli chiari raccolti in bande laterali: una fragile fanciulla che si occupava di cucito e di beneficenza, capace solo di abbassare gli occhi quando le parlava. Ma Sigyn sosteneva il suo sguardo quasi avidamente e beveva ogni sua parola. Deglutì, chiedendosi non come potesse agire, ma se desiderasse ancora che la vendetta si concludesse così come era stato deciso. Si accorse di non avere alcuna risposta. Il ciondolo della strega vichinga catturò un raggio di luce o forse brillò nella notte perché conteneva ancora la magia infusa dalla veggente morta da secoli.  

Loki scosse Sigyn per le spalle, la strinse a sé con più forza. Il respiro di lei si era fatto corto e irregolare – non doveva assolutamente perdere i sensi. Armeggiò sostenendola con un braccio e infilando la mano in tasca per trovare ciò che gli serviva, ma probabilmente era già troppo tardi e non solo perché Theoric o Thor sarebbero venuti senz’altro a cercarli.  Tolse con un gesto secco il tappo alla fiala che teneva in tasca, accanto all’orologio.

“Bevi o morirai,” le disse. Aveva usato un tono perentorio, deciso, ma in realtà non sapeva se e in quale modo la pozione avrebbe potuto salvarla. Forse, se fosse morta immediatamente, tra le sue braccia, sarebbe almeno riuscito a evitare che Laufey l’avesse.

 

 

 

L’angolo di Shilyss

Care Lettrici e Lettori,

 

Grazie per essere giunte/i fino a qui. Non vi sto a tediare con tutti i riferimenti gotici e vittoriani e storici presenti in questa storia: sapete che mi diverto a sfruttare dettagli realistici e non lo sapete, mo’ ce lo sapete. Alcuni dettagli futuri… nah, non ve lo dico XD! Vi informo solo che il consumo dell’oppio e dell’assenzio nel corso del XIX secolo era fatto su larga scala (bambini, sono tutte cose che fanno malissimo). Come guest star in questa storia troviamo Laufey, che nell’MCU è il padre naturale di Loki. Qui, come spero avrete capito, il padre naturale è Odino e Laufey è un padre nel senso di mentore. No, aspettate, una cosa molto importante: la questione della vendetta non è ancora stata esplicitata del tutto e avrà un senso e una spiegazione nei prossimi capitoli, perché le cose sono appena un po’ più complicate di quanto stabilito a fine capitolo.

Prossima settimana arriverà Scintille nel buio mentre questa storia non dovrebbe avere più di 4/5 capitoli.

 

Spero che le mie storie possano tenervi compagnia in questi giorni difficili ♥, quanta ne fate a me quando leggo della vostra presenza perché vi palesate recensendo o listando. Anche se non rispondo pubblicamente a tutte le recensioni le leggo appena arrivano e mi commuovo ogni volta♥.

Per voi un clic può non essere nulla, ma per un’Autrice significa tantissimo – e io lo so perché (sono) stata lettrice, prima che scrittrice. Voi non sapete quanto mi faccia piacere. Ricordo che il personaggio di Sigyn, tolto quello che trovate alla voce “Sigyn” su Wikipedia, è una mia personale interpretazione/reinterpretazione/riscrittura.

 

Per ulteriori info, tante foto di Loki, di Sigyn e di Tom e un po’ di divertimento… c’è la mia pagina facebook ♥ https://www.facebook.com/Shilyss/.  Ah, mi trovate pure su Twitter e Instagram ;)



[1] Così cercavano di fare gli alchimisti – senza successo.

[2] Il patronimico di Odino è Borson, ma per esigenze di copione ho deciso che il cognome della famiglia è Odinson.

[3] Sono un effetto del fumare oppio – bambini, non fatelo da casa!

[4] Uno degli ingredienti dell’assenzio.

[5] Come nel cap. 1.

   
 
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