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Autore: Mahlerlucia    17/05/2020    1 recensioni
Il mondo intero ama la libertà, eppure ogni creatura ama le sue catene.
Questo è il primo paradosso e il nodo inestricabile della nostra natura.
(Aurobindo Gosh)
[Semi x Shirabu]
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Eita Semi, Kenjiro Shirabu, Tendo Satori
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
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Anime/Manga: Haikyuu!!
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life
Rating: Arancione
Avvertimenti: Lime, What if? Spoiler!, Tematiche delicate
Personaggi: Eita Semi, Kenjirō Shirabu (Satori Tendō)
Pairing: #SemiShira
Tipo di coppia: Yaoi





 
Double life


Part 1: Chains
 
 

Chains, well I can't break away from these chains,
Can't run around 'cause I'm not free.
Woh, these chains of love won't let me be...

 
 
 
Altra notifica apparsa sul desktop, ancora una e-mail con oggetto ricorrente: documentazione irreperibile da parte di un utente che non aveva mai ricevuto le credenziali per accedere al suo portale amministrativo. Un problema che si stava ripetendo come ogni anno, portando innumerevoli concittadini ad effettuare chiamate di protesta che puntualmente tutti gl’impiegati di sezione dovevano sorbirsi nel vano tentativo di rincuorarli o, peggio ancora, di difendere l’indifendibile.
Burocrazia. Cosa ci poteva essere di meno funzionale in Giappone? Eppure, era sempre stato riconosciuto all’estero come uno tra i paesi più efficienti del mondo. Menzogna madornale.

“Sì, signora. Lei ha perfettamente ragione, ma tutto quello che posso fare è prendere nota della sua richiesta mediante un numero di protocollo...


“... che non servirà a nulla perché ci metterete un’eternità come vostro solito!”

“Non posso darle torto! Ma non posso nemmeno portare personalmente la documentazione presso il suo domicilio senza l’autorizzazione dei miei superiori, mi spiace.”

Storse la bocca come suo solito, ben consapevole di quanto avesse ragione la persona con cui stava cercando di mantenere una conversazione quanto più civile possibile. La donna sembrava essere piuttosto agitata e aveva più volte parlato di adempimenti fiscali imminenti. Eppure, gli sarebbero bastati un paio di click per poterle inviare il documento che stava chiedendo a gran voce, probabilmente troppa. Ma quel maledettissimo iter a cui doveva sottostare – se non voleva rischiare di giocarsi seriamente il posto di lavoro – glielo impediva in maniera coercitiva.
Morimoto-san, sua compagna di scrivania da quando aveva iniziato a lavorare in quel frenetico ufficio, buttava di tanto in tanto un occhio sullo schermo del suo computer, sperando che il ragazzo non prendesse iniziative che gli erano già costate strigliate e ammonizioni ufficiali in tempi non troppo sospetti. Dall’alto della sua esperienza nel settore, non era di certo nuova alle prese di posizione tra giovani colleghi annoiati. Non che considerasse le loro opinioni totalmente errate, sapeva bene che non lo erano; ma si assumeva spesso e volentieri il compito volontario d’indirizzarli verso quelli che avrebbero dovuto essere gli standard comportamentali dovuti al loro ruolo. Certo, quell’impiego non era il massimo della vita e poco si differenziava da ciò che spettava ad un comune impiegato addetto ad ufficio statale d’ordinanza, ma doveva pur sempre essere rispettato ed eseguito come veniva loro imposto.

Eita aveva già rischiato il posto per ben due volte. L’ultima risaliva a qualche settimana prima, quando aveva cercato di accedere al sistema d’archivio dati per rintracciare alcune informazioni di cui necessitava un’anziana signora che – a causa di un’artrite infettiva cronica – era impossibilitata ad uscire di casa. Per come abitualmente vedeva le cose, per lui era inconcepibile anche solo poter pensare che persone di una certa età potessero accedere ad internet e muoversi tranquillamente tra miriadi di account, password e acronimi istituzionali. Aveva così deciso di scaricare il tutto e inviarlo ad un parente dell’interessata tramite un tuo contatto privato. Ovviamente, sperava di essersela cavata con la scusante di aver agito in buona fede, ma quell’accesso imprudente fu intercettato dagli addetti informatici del ministero. Per tale motivo fu richiamato dal vice-ministro e, in seguito, pesantemente multato. Da allora non aveva più ‘osato’ tanto, anche se più per una questione economica che morale. Non avrebbe mai concesso il beneficio della legittimità a quei colletti bianchi ‘telecomandati’, come amava definirli quando si ritrovava in contesti in cui poteva ancora permetterselo.

“Semi-kun, ricordati di protocollare all’interno del server la richiesta d’assistenza che stai prendendo in carico, mi raccomando!”

“Eh?! Ah, sì certo Morimoto-san!”

"Protocollare"… che parola fastidiosa anche solo da pronunciare.
Fissò le lancette del grande orologio posto sul muro frontale rispetto alla sua postazione e constatò che fortunatamente fossero già le cinque. Ancora un’oretta di tortura e sarebbe stato libero di tornare a casa; poco importava se concretamente non ci sarebbe stato nessuno ad accoglierlo. Dato il caos generale della giornata, anche solo un po’ di quiete interiore sarebbe stata più che rigenerante.
Le chiamate successive si rivelarono più tranquille, tra richieste di semplici informazioni e chiarimenti circa  la compilazione di alcuni moduli che erano stati respinti; ovviamente, sempre a causa di quel dannatissimo sistema che aveva inglobato l’intera popolazione rendendola poco più di una serie di codici alfanumerici a cui poter fare riferimento. A seconda di quanto fosse altolocato l’utente in questione, s’intende.
 
***
 
Varcata la porta di casa, la giacca del suo elegante completo da lavoro finì sul divano ancora prima che il suo genkan potesse ospitare di nuovo quelle odiose scarpe tirate a lucido; tra le altre cose, non erano neanche particolarmente comode, visti i dolori che avvertiva alle piante dei piedi nell’ultimo periodo. Si guardò nel grande specchio posto a fianco dell’appendiabiti e, come ogni sera, si sorprese per quanto quei capelli impomatati e tirati dietro al capo non gli donassero minimamente. Ogni volta che si soffermava sui dettagli del suo abbigliamento diurno percepiva la sensazione di essere totalmente anacronistico, come se fosse appena uscito da uno sceneggiato europeo ambientato negli anni venti. Provava ogni sera a ristabilire il suo personalissimo equilibrio tornando ad assumere le sembianze di un qualunque ragazzo di soli ventiquattro anni. il punto di partenza erano sempre i suoi folti capelli bicolore.
Prese il suo smartphone per concedersi il consueto giro sui social network, dato che in orario di lavoro non era assolutamente consentito farlo. Le notifiche arrivate erano parecchie, così come i messaggi su WhatsApp.
Sua sorella Nami lo aveva tempestato d’immagini relative ai suoi ultimi compiti in classe. Non c’era un voto che fosse inferiore agli ottantacinque centesimi, a prova della sua completa devozione allo studio come base per il raggiungimento dei suoi sogni.
Non erano poi molto diversi i fratelli Semi quando si trattava d’interessi personali e opinioni a tal riguardo; il fatto che la minore tra i due puntasse a fondare la sua personale casa di moda lo dimostrava ampiamente. Le rispose con un gif di congratulazioni e le ribadì quanto fosse fiero di lei per l’impegno con cui stava affrontando quell’ultimo anno di scuola – non a caso! – alla Shiratorizawa Academy.

Si accese un sigaretta accavallando le caviglie sul pouf che Nami stessa aveva scelto per lui l’ultima volta in cui si erano recati assieme al centro arredamenti. Entrò su Facebook per scoprire se tra le sue vecchie e nuove conoscenze ci fossero delle novità. Scorse la homepage per qualche istante, per poi soffermarsi su l’immagine ravvicinata di qualcuno che sembrava essere intento a sonnecchiare su di una scrivania. Questo qualcuno indossava un camice bianco e aveva la stessa pettinatura di Shirabu... o meglio, si trattava proprio di Kenjirō!
Eita aprì immediatamente il post arrivando a pensare che gli fosse successo qualcosa, ma adocchiò immediatamente tutta quella serie di emoji sorridenti poste alla fine di una didascalia che recitava: ‘Gli interminabili turni di dodici ore cominciano a mietere le loro prime vittime. Piccoli, ingenui tirocinanti...’

Tu, brutto coso a me sconosciuto! Vedrai come Kenjirou verrà a farti il culo non appena vedrà questa foto in cui poco furbamente lo hai taggato! E quando avrà finito lui, verrò io a darti il resto!
Semi avrebbe voluto urlare ai quattro venti quel pensiero, ma non avrebbe avuto alcun senso dato che si ritrovava in completa solitudine all’interno del suo moderno bilocale. Si sollevò d’impeto in piedi stringendo il pugno verso l’alto; iniziò a pensare ad una maniera intelligente per poter commentare quella foto e, soprattutto, le scempiaggini con cui era stata corredata. Stava ancora trattenendo la sigaretta tra le labbra quando arrivò la reazione del diretto interessato scritta a caratteri cubitali: ‘TI CONCEDO DUE SECONDI PER CANCELLARE QUESTO SCEMPIO DI FOTO!’.
Il suo like arrivò alla velocità di uno schiocco di dita, così come quello di molti suoi altri conoscenti presenti tra le amicizie. Forse non era stata la mossa del secolo, visto che gli avrebbe di certo lasciato intuire il numero approssimativo di persone che lo avevano visto dormire sul luogo di lavoro, ma non avrebbe potuto fare altrimenti.
Dieci minuti più tardi, la foto sparì, così come la sua volontà di scrivergli un messaggio in privato per dirgli che era dispiaciuto per l’accaduto. Forse non era il momento, considerando quanto facilmente una cosa del genere potesse non solo far irritare, ma anche offendere chi era stato costretto a subirla a sua completa insaputa.

Decise di lasciar perdere, di dedicarsi finalmente al suo stomaco vuoto e alla sua necessità di rimettersi in forze. Il giorno seguente si sarebbe dovuto trattenere fino a tardi al Consiglio di Amministrazione straordinario indetto dai sottosegretari statali. La sua voglia di prendervi parte era pari al nulla cosmico, visto e considerato che con ogni probabilità lo avrebbero costretto a redigere un verbale sul quale avrebbe dovuto annotare qualunque dettaglio, anche quelli più insignificanti.
Fortuna che la scorta di Tekka maki che aveva ordinato presso la sua catena di ristorazione prediletta non era ancora terminata. L’odore che emanavano non era particolarmente invitante, ma la data di scadenza presente sulla confezione richiudibile lo aveva rassicurato sul fatto che non sarebbe morto di gastrite quella notte stessa. Addento il primo involtino senza preoccuparsi di condirlo, giusto per soddisfare quel languore che solitamente lo colpiva in presenza delle tue pietanze preferite. Apparecchiò rapidamente un solo lato della tavola, per poi accendere la tivù; il notiziario parlava dell’ennesima sparatoria avvenuta in una scuola superiore del Texas. Cambiò canale e si soffermò su una di quelle sit-com correlata di odiose risate pre-impostate. Cercò di seguire il tutto, ma l’umore non era tra i più favorevoli.
L’ennesimo messaggio di Nami interruppe definitivamente quella visione disinteressata: avrebbe voluto parlargli. Ed Eita sapeva bene che ogni volta che la sua adorata sorellina rimaneva sul vago, c’era di mezzo la sua intera famiglia.
 
***
 
Semi-Semi, non riesci a venire nemmeno sabato? E dai...”

Satori non si era fatto sentire molto in quell’ultimo periodo e la cosa lo aveva insospettito sin dal primo momento. Che non se la passasse benissimo con il suo lavoro al negozio non era una novità, considerando lo scarsissimo feeling che il suo collaboratore nutriva nei suoi riguardi. E anche se non lo avrebbe mai ammesso, la sensazione di essere tornato al periodo infelice in cui era stato costretto a subire numerosi atti di bullismo a causa del suo aspetto fisico era palese. Così come tutto ciò che gli aveva riferito Ōhira a proposito della ripresa del suo percorso terapeutico.
Eita avrebbe voluto presenziare all’inaugurazione del nuovo cinema multisala di Sendai, ma nel weekend aveva un’infinità di pratiche da sistemare per conto del ministero e non poteva assolutamente muoverti dalla capitale. Ancora un ritardo nelle consegne dei reportage e lo avrebbero sicuramente licenziato. Diciamo che tra la mancanza di un lauto stipendio e il costante fiato sul collo mostrato dall’intera dinastia Semi, non poteva di certo permetterselo.

“Che ne dici di venire tu, assieme a Reon, al mio prossimo concerto? Mi esibirò in quel locale di Shinjuku Ni-Chome di cui ti avevo parlato qualche tempo fa!”

Shinjuku Ni-Chome? Ma non è il quartie-”

L’ex pallavolista fissò per qualche istante la parete su cui aveva appeso da tempo la famosa bandiera arcobaleno. Si trovava lì all’incirca dagli esordi della sua carriera universitaria, reminiscenza del suo impegno nei vari movimenti che si erano creati in favore dei diritti LGBT. In fondo, a lui non era mai davvero importato di amare donne, uomini o entrambi; ciò che contava più di ogni altra cosa era l’autenticità dei sentimenti e il rispetto reciproco. Virtù oramai in via d’estinzione al pari dei poveri panda asiatici.

“Sì, è lui. Ma non pensavo ci fossero dei problemi per te. O forse... mi sbagliavo?”

Inutile cercare di nascondere dietro ad un dito quello che aveva sempre provato per l’ex capitano della Shiratorizawa in tempi decisamente noti. Affetti mai completamente ricambiati, ma neanche respinti di netto.
Ushijima ha sempre saputo destreggiarsi piuttosto bene nella mischia delle situazioni più o meno complesse, specie quando erano coinvolti anche i suoi ‘amici’ più fedeli.

“No, no... per me certamente no, Semi-Semi. Mi stupivo del fatto che tu, con la tua posizione di prestigio nel Governo, insomma...”

Che palle, Satori! Non ti ci mettere anche tu a far le veci di mio padre, per favore!

“Sono poco più di un impiegato, non esagerare. E credimi se ti dico che questo ambiente pullula di omosessuali repressi che virano verso la bisessualità latente. Si presentano in sede in giacca e cravatta lasciando da parte moglie e figli, per poi tornare a casa più sazi che mai. Non so se mi sono spiegato...”

“Alla perfezione... forse anche troppo! Oh, Semi-Semi, non far arrabbiare il futuro pediatra del nostro cuore con queste cose.”

E come si fa? Kenjirō è una miccia pronta a far esplodere la sua bomba interiore alla prima osservazione non condivisa.

“Non ti preoccupare, so badare a me stesso e ai miei vecchi kōhai.”

“Come se per te valesse quanto gli altri...”

Touchè.

“Oh, ma non hai niente da fare?”

“Sono in casa da solo e mi annoio. Posso romperti le palle quanto voglio. È un mio diritto e dovere, come ai vecchi tempi.”

Già, i bei tempi andati.

“A proposito, tu... beh... tutto bene?”

Dall’altra parte ci fu un lungo frangente pregno di silenzio. Un sommesso sospiro e un’amara risata di circostanza fecero poi il resto, togliendo ogni eventuale residuo di dubbio.

“Ora mi sono ricordato che devo andare a sistemare le merce che domani dovrò portare in negozio. Ci sentiamo, Semi-Semi.”

Non voleva parlarne, non in quell’occasione almeno. Non era ancora pronto ad affrontare tutti gli scheletri che sino a quel momento erano rimasti chiusi nel suo armadio, senza lasciare strascichi particolari.
Ma ora era diverso e lo si percepiva in maniera cristallina, lapalissiana. Restava solo da comprendere sino a che punto la crepa presente sulla superficie del suo cuore fosse divenuta profonda a causa degli innumerevoli torti che la vita lo aveva costretto a subire sin da quando era bambino. E si sa, i traumi infantili sono sempre quelli più difficili da superare, soprattutto una volta diventati adulti senza aver avuto ancora la possibilità di rielaborati.

“Ah, certo. Proprio adesso, ovvio. Va bene... ci sentiamo, au revoir Satori!”
 
***
 
Shirabu si era presentato a quell’appuntamento con l’espressione di chi aveva ben altri piani per quella serata; nonostante questo piccolo inconveniente, non avrebbe comunque rinunciato a quell’invito, visto e considerato che tra impegni reciproci e turni disumani in ospedale non avevano più avuto modo d’incontrarsi da oltre quindici giorni. Attese su quel sovrapassaggio del fiume Naka per oltre mezz’ora, incurante di quel clima d’inizio marzo tutt’altro che primaverile. Sistemò più volte la sua ampia sciarpa color verde militare evitando di non compiere movimenti troppo eloquenti e traditori: mai avrebbe voluto che una volta arrivato, Eita potesse concedersi il lusso di affermare che lo stesse aspettando con ansia. Anche se a conti fatti... era la pura e semplice verità.
Il rumore sordo del convoglio di un treno pendolare in lontananza lo distrasse dai suoi pensieri quotidiani, specie dalle angosce primordiali riguardanti il suo lavoro. Mai avrebbe immaginato che potesse rivelarsi così impegnativo; talmente totalizzante e sfiancante da lasciargli intendere ogni giorno di dover varcare quella fragile porta con un determinato stato d’animo che sarebbe poi stato stravolto dagli eventi ‘naturalmente’ infausti.
Sospirò, poggiandosi con entrambi i gomiti alla balaustra di quella ringhiera da poco riverniciata di un rosso sgargiante. Colore a cui si sarebbe dovuto abituare quanto prima, se voleva intraprendere seriamente la sua carriera nel mondo della medicina.

Un’ombra non ancora ben identificata salì la doppia rampa di scale laterali mostrando una certa foga. Un giubbotto lungo a fare da strascico, neanche si trattasse di un lontano parente dell’Imperatore Naruhito. Era anche vero che la sua famiglia risultava essere piuttosto rinomata, ma quell’abbigliamento volutamente eccentrico non teneva fede alla causa.

“Sei in ritardo.”

Tre sole parole furono sufficienti per metterlo in evidente imbarazzo. Sorrise – come a voler stemperare l’atmosfera – e si portò un braccio alla nuca nel tentativo di trovare un appiglio fittizio per riprendere in mano le redini della situazione. D’altronde, non poteva averle perse ancor prima di aver aperto bocca.
Ma Kenjirō possedeva questo terrificante, quanto straordinario, potere su di lui sin dai tempi delle sottili diatribe che intercorrevano per la conquista del posto in squadra.

“Eh, capita!”

“A te un po’ troppo spesso. Avevi finito il gel e sei andato in crisi mistica?”

Eita notò subito la sua reticenza nel voltarsi, come se stesse disperatamente cercando di nascondere qualcosa, anche un solo particolare di uno sguardo che avrebbe potuto rivelare molto più delle sue stesse parole. Si accostò a lui poggiando a sua volta le braccia alla ringhiera in ferro. Per qualche istante furono accompagnati solo dal fragore dei motori di alcune auto che sfrecciavano sulle strade circostanti e dal gorgoglio del corso d’acqua sottostante.

“Tutto ok?”

“Non cambiare discorso per non ammettere le tue colpe.”

“E di quali tremende colpe mi sarei macchiato? Sentiamo!”

Shirabu levò finalmente lo sguardo per dirigerlo verso il cielo stellato. Non c’era una sola nuvola a voler coprire quel tappeto scuro puntellato di miriadi di piccole luci pronte a far strada in caso d’inefficienza antropica. Posizionò entrambe le mani sotto al mento e finse di riflettere su un’eventuale risposta da fornirgli, ma preferì dare un taglio al tutto emettendo un unico – e volutamente prolungato – sospiro di rassegnazione; o di sollievo, a voler essere positivi e conoscendo l’indole di quel ragazzo dall’intelligenza sopraffina.

“Sarà che perdi troppo tempo sui social...”

Ecco qual è il problema!
Semi portò verso l’alto un solo angolo della sua bocca, a dimostrazione del fatto di aver perfettamente intuito a cosa si stesse riferendo. Il sorriso si completò sul suo viso nel momento in cui il futuro medico si lasciò andare alla sua stessa curiosità, ruotando appena il capo nella sua direzione ed osservandolo con la coda dell’occhio.

“Non stavo dormendo davvero in quella foto!”

“Non è un problema.”

Fu solamente in quel frangente che Kenjirō prese il coraggio di voltarsi in toto e di guardarlo dritto negli occhi; ovviamente, non poté evitare di digrignare i denti e affinare le palpebre, ponendosi direttamente sulla difensiva in caso di osservazioni fuori luogo o battute beote.

“Sì che lo è! Non sopporto che degli idioti m’infamino in quella maniera! Perché è questo che è stato fatto!”

“L’avevo intuito. Ora calmati!”

Calmati lo dici a tua sorella!”

Semi alzò gli occhi al cielo ripensando seriamente ai più recenti battibecchi che erano avvenuti tra lui e la piccola Nami. Non c’era stata occasione in cui i loro animi non si erano scaldati sino all’inverosimile, come se le loro preziose e discordanti opinioni su qualunque questione presa in esame fossero inamovibili e assolutamente veritiere. D’altronde, entrambi sapevano di avere un carattere piuttosto simile e dominante. Ed era anche per questa ragione che erano sempre stati reciprocamente orgogliosi l’uno dell’altra.

“Non ti preoccupare! Lo faccio regolarmente anche senza le tue preziose istruzioni.”

Passò un altro treno, facendo ancor più baccano dei suoi predecessori a causa di un improvviso rallentamento sulla tratta. C’era fin troppa confusione nei paraggi per essere tarda sera.
Kenjirō sospirò di nuovo fingendo d’interessarsi a quello che stava succedendo a poche centinaia di metri di distanza; in realtà stava cercando di escogitare un piano per venir fuori da quel momento d’impasse in cui avrebbe voluto tirar fuori molto più di quello che le sue sole forze gli consentivano. Avvertiva la necessità di sfogare su qualcuno la propria frustrazione, anche a costo d’infognarsi in qualche drammatica discussione da cui sarebbe uscito ad ogni modo sconfitto. L’aver appurato che Eita aveva visto quell’istantanea che lo ritraeva sfinito dal troppo lavoro lo aveva destabilizzato e umiliato, oltre che mandato a ramengo l’immagine seria e professione che stava cercando di costruirsi sin dai tempi in cui la sua principale preoccupazione era quella di alzare la palla ad Ushijima.

“È da un po’ che va avanti questa storia... è un collega di reparto trasferitosi da poco. Non sopporta l’idea che il primario mi affidi dei compiti che a suo parere non sono adatti ad ‘un tirocinante in erba’, come si diverte a definirmi all’unico scopo di sminuirmi.”

“Deve aver raggiunto dei picchi di maturità inauditi se ricorre a questi mezzucci per mostrare la sua... invidia? Gelosia? Complesso d’inferiorità grosso quanto Tokyo e Yokohama messe insieme?”

“Non lo so. A me importa solo che non venga scalfita la fiducia nei miei confronti.”

Eita prese un pacchetto di Marlboro Gold assieme a uno dei suoi accendini da collezione. Ne estrasse una cicca e la sistemò tra le labbra, mentre con le mani chiuse a coppa tentava di riparare la piccola fiamma generata dal rapido contatto con la rondella. Nel momento esatto in cui riuscì nel suo futile intento, si accorse dello sguardo truce con cui il più giovane lo stava letteralmente giudicando. Oramai avevano entrambi perso il conto delle svariate volte in cui gli aveva promesso che avrebbe fatto di tutto per smettere di fumare. Non a caso, da quando aveva cominciato l’apprendistato nel reparto oncologico, le pressioni del tirocinante – così come le sue inconfessabili paure al riguardo – erano notevolmente aumentate. Secondo i dati riportati da alcune ricerche a cui aveva attinto per l’elaborazione della sua tesi, l’incidenza dei tumori alle vie respiratorie dovuti al fumo era notevolmente incrementata nel corso dell’ultimo decennio.

“Se parli di me, non si pone il problema.”

“Cosa ti fa pensare che stia parlando proprio di te? Ti senti così importante?”

Le braccia conserte e l’insieme di smorfie facciali messe in atto dal futuro pediatra furono sufficientemente eloquenti da lasciar intendere che si stesse sforzando di trattenere ben altro. Il sarcasmo e l’acidità, rilasciati a profusione, erano sempre stati dei discreti meccanismi di difesa dietro ai quali poteva rifugiarsi per non dover incorrere nella necessità di frugare tra le sue emozioni più viscerali. E difatti, in quel preciso istante avrebbe voluto fare ben altro piuttosto che starsene impalato a fingere di provare rammarico per qualcosa d’inesistente.

“Molto!”

“Non credo sai...”

Il sorriso sornione di Shirabu non fece presagire nulla di buono. Il sermone era dietro l’angolo ed Eita si stava già preparando mentalmente per riuscire ad affrontarlo senza sfociare in una crisi isterica. C’era da dire che il suo temperamento si era notevolmente rasserenato dai tempi del liceo, anche se molto dipendeva dalla persona che gli stava di fronte e da quanto tenesse alla posta in gioco.

“Perché ti contraddici da solo?”

“Sei tu quello che si sta contraddicendo in autonomia! Ti senti importante ma ti avveleni ogni giorno con quelle dannate sigarette!”

“E l’alcol... dove lo mettiamo?”

“Piantala, baka!”

“Comuque... mi fa piacere che ti preoccupi per me!”

Semi gettò il mozzicone ancora acceso nel Naka, per poi afferrare un braccio del compagno ed attirarlo a sé.
Per quanto quest’ultimo non perse occasione per lamentarsi e dargli ancora una volta dell’imbecille, non oppose alcuna resistenza fisica. Al contrario, si lasciò cullare da quelle braccia che probabilmente avvertivano le sue stesse necessità, seppur non si erano mai trovate a contatto con quello che purtroppo vedeva ogni giorno in ospedale. Non che lavorare all’interno di un ministero fosse una passeggiata, specie per un soggetto limpido e funesto come lui.
Ma perlomeno non era costretto a convivere quotidianamente con il dolore e la sofferenza.

“Il concerto sarà il prossimo week-end a Shinjuku Ni-Chome, allo stesso locale dell’altra volta. Verrai... non è vero?!”

“Devo consultare la mia agenda.”

Eita passò rapidamente una mano tra i suoi capelli color caramello, scombinandoli in maniera irritante. Non che con Kenjirō ci volesse poi molto, ben inteso.

“Non ho capito. Verrai... non è vero?”

“Ti detesto quando fai così!”

“Dalle nove in poi. Ti farò riservare un tavolo, come sempre.”

Non gli lasciò il tempo per replicare: cercò le sue labbra e gli schioccò un bacio a stampo.
Non sarebbe andato oltre in luogo pubblico, soprattutto se non voleva tornare a casa ritrovandosi un nuovo livido sullo stinco.










 

Angolo dell'Autrice


Ringrazio in anticipo tutti coloro che avranno voglia di leggere e recensire questa mia easy-long! :)

Rieccomi con i miei adoratissimi #SemiShira! Vi erano mancati... dite la verità! XD
Questa sarà una easy-long di soli due capitoli. Nel primo si parlerà della vita diurna e delle “catene” che questa comporta, mentre nel secondo mi soffermerò a parlarvi delle diverse abitudini notturne dei due protagonisti.
Questa storia NON è un sequel delle precedenti one-shots che avevo dedicato a Semi e Shirabu.

Parte 1°: Chains.
Ho deciso di dividere il capitolo in quattro parti tenendo Semi come filo conduttore di tutto. Nelle prime due parti racconto quella che è la sua vita da impiegato governativo presso un ministero che ho preferito non definire per non addentrarmi in territori a me troppo sconosciuti (specie di questi tempi). Nella terza parte vi narro di una telefonata avvenuta tra lo stesso Semi e Tendou, rimasto a Sendai a lavorare per un’attività che non lo soddisfa minimamente (questa parte è farina del mio sacco perché Furudate non ci ha ancora raccontato del destino di Satori nell’ultimo arco temporale del manga). Infine, nella quarta parte avviene l’incontro della mia ship del cuore con le consuete usanze e reazioni che (ben) conosciamo.
Ho tentato di lavorare il più possibile sull’introspezione dei tre personaggi, cercando di far trapelare quelle che possono essere le loro difficoltà concrete ed emotive ora che si stanno avviando verso la vita vera.
P.S. Nami Semi è un mio OC. Un peperino tutta suo fratello (ringrazio come sempre le fanartist che seguo per il ‘prototipo’).
P.P.S. Shinjuku Ni-Chome (o 2 Chome) è un noto quartiere LGBT di Tokyo.

Il testo è scritto in terza persona e al tempo passato.
Il testo della canzone che riporto nella prima parte di questo capitolo è ‘Chains’ dei Beatles. Dal titolo del brano ho ricavato anche il titolo della storia.

Grazie ancora a chiunque passerà di qua. **

Al prossimo capitolo,


Mahlerlucia

 
   
 
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