Videogiochi > Ensemble Stars
Segui la storia  |       
Autore: Rota    18/05/2020    4 recensioni
Sentì i muscoli della schiena dolere. Si allontanò dal fascio di luce della lampada sul tavolo, così da avvicinarsi alla grande finestra che poco prima stava ammirando Mika, godendo dei colori della notte.
Si appoggiò al legno dello stipite con una spalla, incrociando le braccia al petto.
Che bella luna. Che belle stelle.
Tracciò le linee di un tatuaggio straordinario tra le costellazioni senza nome, profili di qualcosa che nessun uomo aveva inventato. Magari, nel loro futuro, potevano essere utili.
Fu in quel modo che vide i primi bagliori – gli sembrò fossero delle stelle cadenti. Una, due, tre, dieci, cento.
La prima cadde a terra e colpì una casa. Prima il buio, subito dopo un’esplosione di fulmini incontrollata.
Shu rimase immobile, inorridito ed esterrefatto, finché anche da quella distanza non si riuscirono a sentire le urla agonizzanti dei suoi stessi concittadini.
Quella fu chiamata, da chi sopravvisse, la prima delle Notti della Pioggia di Potere.
E segnò l’inizio di un nuovo mondo per tutti i cittadini di Yumenosaki.

[LeoxShu principalmente; Fantasy/Steampunk/Tatoo!Au; multicapitolo]
Genere: Fantasy, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Altri, Leo Tsukinaga, Shu Itsuki
Note: AU, Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

*5. Steli – Tracce di un buon passato*

 


[Melodie di vento e di pioggia: il movimento della tempesta // CherryBlossoms' Ink FanMix
Track 6: Capitolo 5]





 
 
Dovette rallentare il passo a un certo punto. Le sue scarpette bianche non erano adatte a lunghe camminate e i suoi piccoli piedi neppure: il dolore che sentiva partiva dal tallone, ma si irradiava fino a stringere poi le dita piccole e molli, delicate.
Si fermò dopo diverse ore dalla partenza, quando ormai il sole era già alto nel cielo e picchiava sulle sue spalle con tutta la propria forza. Sapeva che nessuno l’aveva seguito quindi non si voltò indietro a controllare; dentro la valigia, che stringeva a fatica tra le dita, c’era tutto ciò che possedeva.
Eppure, il ricordo del pianto di sua madre gli tornò alla mente nel silenzio accarezzato solo da un filo di vento. Lo aveva così represso dentro il proprio petto, assieme a tutte le altre sensazioni sgradevoli, e non si era affatto accorto di averlo portato con sé fin lì. Gli fece male, finalmente, tanto che qualche lacrima gli rotolò sulle guance di bimbo. Si fermò in mezzo alla strada deserta, lasciando andare anche qualche singhiozzo lieve, e chiuse gli occhi bagnati, strinse i pugni ai fianchi.
Sarebbe stato sempre solo, da quel momento in poi. Quella era una realtà che lui stesso si era scelto.
Dopo qualche minuto, si asciugò con la manica della camicia elegante gli zigomi appena sporgenti. Strinse di nuovo il manico della valigia e riprese a camminare, cominciando la piccola salita della collina.
Si guardò attorno, cercando di non pensare a nulla. La Cittadella di Yumenosaki, dove abitavano i Toccati, si vedeva bene da quella distanza, sopra la più alta delle tre collinette cittadine. Le casette basse dai tetti rossi sembravano piccoli grumi sparsi qui e là, ed era tutto pieno di verde.
Vide anche la seconda collina della città, appena più a Ovest, dove sorgeva lo Studio Shi Valkyrie in perfetta solitudine. Assottigliò lo sguardo, benché non vedesse davvero le sue forme e fattezze, e il suo cuore batté forte, tanto che per qualche metro non sentì neppure il dolore ai piedi.
Si ricordò di dover bere, recuperò la borraccia che era riuscito a recuperare prima di lasciare la magione Itsuki. La scosse per vedere se ci fosse dentro ancora qualcosa, fortunatamente almeno un paio di sorsi erano rimasti; era abbastanza per sopravvivere fino alla propria meta: la Grotta delle Ombre.
Stappò e bevve a piccoli sorsi. Proprio in quel momento, si sollevò da terra un colpo più forte di vento, che gli rubò l’elegante cappellino di paglia bianco. A nulla valsero le sue grida, di rimanere fermo e di tornare – non era mica uno dei suoi servi, che esisteva solo per eseguire i suoi ordini.
Riallacciò la borraccia alla vita e partì all’inseguimento, ma dopo qualche metro dovette rallentare per colpa del dolore ai piedi. Fu davvero tentato di lasciar andare la valigia, per essere più leggero e quindi correre più veloce; la paura di perdere entrambe le cose all’improvviso, e ritrovarsi davvero senza nulla, gli fece stringere le piccole dita attorno al manico.
Ricominciò a piangere, mentre si muoveva affannosamente.
Superò di corsa la cima della collina, dove la curva di terra rientrava in una piccola discesa per srotolarsi in uno spiazzo orizzontale piuttosto ampio. Fu lì che vide un gruppo di persone vestite in modo davvero bizzarro e accampate in gita, tra bambini festanti e adulti che disponevano le bevande e il cibo in mezzo all’erba.
In particolare, un ragazzetto dai capelli lunghi teneva in mano il suo cappellino, lo stava guardando come se non avesse mai visto niente del genere.
Shu tentò di gridare.
-Ehi! Quello è mio! Ehi!
Dalla sua bocca uscì una sorta di raglio strozzato, decisamente poco elegante. Il ragazzetto tuttavia lo sentì, così come anche la bambina accanto a lui e un altro ragazzetto più alto, capelli del colore dei tronchi.
Aveva due giganteschi occhi verdi, i capelli spettinati sparsi ovunque. Ma quello che colpì di più Shu, veramente, fu quell’incredibile tatuaggio che aveva sulla sua guancia sinistra.
Il ragazzetto fece un’espressione strana quando fu vicino a loro, guardandolo come se guardasse uno straniero venuto da lontano. Gli sventolò davanti alla faccia il cappellino, con fare assai fastidioso.
-Davvero è tuo, questo?
La sorella sembrò volerlo fermare in qualche modo, ma Shu fu più veloce: gli strappò di mano l’oggetto e se lo rimise in testa, tutto stizzito e impettito.
-Certo che è mio!
La bambina lo guardò bene, gli suggerì qualcosa il fatto che quel cappellino avesse la stessa fantasia di tessuti e lo stesso colore della camicetta elegante. Però vide anche il rossore dei suoi occhi e il lucido della sua pelle delicata.
-Oh, ma stai piangendo! Pensavi di averlo perso?
Shu istintivamente la guardò male – messo in ridicolo, nella sua prima impressione. Quei bambini però non si comportavano come i Non Toccati, gli sorrisero senza malizia e lo accerchiarono, come per proteggerlo. Quello più grande esclamò rivolgendosi all’amico.
-Per fortuna allora lo hai preso, Leo!
Lui guardò il ragazzetto dai capelli più lunghi, che sorrise con tutto il viso.
-Io sono Leo! Lei è Ruka, mia sorella! E lui Mama! Tu come ti chiami? Chi sei?
Dovette sbattere le palpebre diverse volte, per far fronte a quell’espressione così gioiosa.
Il suo orgoglio e la sua fierezza uscirono tutte in una sola frase, pomposa come lo erano i suoi vestiti da nobile.
-Io sono Shu Itsuki! E sto per diventare uno Shi!
Mama reagì al suo nome e aggrottò un poco le sopracciglia.
-Ti chiami Itsuki?
Ma il piccolo Shu non riuscì neanche a rispondere, perché i genitori del trio li richiamarono a gran voce.
Ruka e Mama corsero subito indietro per raggiungere gli adulti e il cibo, mentre Leo rimase qualche secondo in più da lui.
-Vuoi mangiare qualcosa prima di diventare uno Shi?
-No, grazie!
Un rifiuto secco.
Leo alzò le spalle e corse dagli altri, lasciandolo solo per qualche istante – nel momento in cui Shu iniziò a sentirsi di nuovo triste, lo vide tornare indietro con qualcosa tra le mani.
Gli porse un fagotto di pasta cotta troppo e marmellata di carne. Sembrava quasi un tesoro.
-Dai, una crostata! Sono buone!
Shu sentì distintamente le guance diventargli calde. Poche persone in vita sua erano state così genuinamente gentili con lui, pur sapendo il suo nome. Lasciò andare la valigia per qualche secondo, sull’erba, in modo da poter afferrare quel cibo con entrambe le mani.
-Grazie…
Quando lo morse, sentì un sapore diverso da quelli a cui era abituato. Molto speziato, gli pungeva la lingua. Persino la consistenza era strana ai denti.
Benché facesse una smorfia dietro l’altra, lo finì pezzo dopo pezzo, tanto che Leo ne fu davvero soddisfatto.
-Quando lo sai che sei diventato uno Shi?
-Non è cosa che si possa sapere così!
Leo arricciò le labbra, una folata di vento lo costrinse a spostare i capelli dalla fronte e dal viso. Non sembrava particolarmente a disagio per colpa del suo tatuaggio e questo colpì molto Shu.
Come lo colpì anche quello che disse dopo, borbottando.
-Beh, se vieni prima del tramonto, sei invitato a giocare con noi! Va bene?
Si limitò ad annuire dopo qualche istante di silenzio, esterrefatto.
Quella nuova vita, quindi, non gli sembrò più così terribile.
 
***
 
Si svegliò come sempre ci si sveglia: per colpa di un’impressione.
Muovendo il braccio al proprio fianco oltre la propria parte di letto, trovò troppo spazio libero, un lieve tepore abbandonato anzitempo.
A quel punto, fu attraversato da una molesta sensazione di pericolo; l’uomo dai capelli rosa si ritrovò seduto sul proprio materasso in meno di un istante, con giramento di testa e vertigini. Rantolò qualcosa tra un farfuglio e un altro.
-Non toccare il f-
Si prese la testa e dopo qualche secondo ci riprovò.
-Il fuoc-
Ma neanche quella volta riuscì a esprimersi.
Dall’altra parte dell’abitazione, sentì una inquietante risata di soddisfazione che lo preoccupò ancora di più. Decise allora di recuperare i pezzi della sua vestaglia da notte, sparsi qui e là la sera precedente, e infilati i sandali da casa trottò verso la stanza da dove aveva sentito provenire quel nefasto suono.
I suoi occhi andarono innanzitutto al caminetto con il forno, trovandolo miracolosamente ancora intatto. La stanza era ben illuminata, le finestre erano state aperte in precedenza e ormai era mattina inoltrata.
Trovò lui a terra invece, accucciato sopra la pietra liscia mentre inforcava un pennino di mina scura e scarabocchiava qualcosa ovunque. Aveva persino il viso sporco di nero.
Quando si accorse della sua presenza, alzò lo sguardo a lui e gli rivolse uno dei suoi soliti sorrisi larghissimi.
-Oh, ben svegliato! Tutto bene? Riesci a camminare?
Shu ignorò le domande con uno sbuffo e aggrottò le sopracciglia recuperando la sua solita espressione burbera. Si strinse nella vestaglia e si appoggiò contro lo stipite dell’arco che faceva da ingresso alla stanza.
-Cosa stai facendo sul pavimento?
Leo si passò la manica del pigiama sulla faccia, forse nel tentativo di pulirsi. Si alzò e andò verso di lui, brandendo il pennino come se fosse la stecca di un direttore di banda.
-Volevo prepararti la colazione! Mi sono alzato apposta presto! Ma poi BUM!
Alzò la voce e sventolò le braccia ai propri lati, le mosse su e giù come le ali di un uccello.
Aveva gli occhi che sembravano dovergli uscire dalle orbite da un momento all’altro.
-Ispirazione!
Rise ad alta voce, fece una giravolta su se stesso, il tutto mentre Shu lo guardava esterrefatto – colpito dalla velocità delle sue reazioni, più che dalle reazioni in sé: era purtroppo abbastanza abituato a quelle manifestazioni di gaudio. Lo seguì nella stanza, anche quando ricominciò a parlare.
-E allora ho cominciato a scrivere!
Leo si accucciò di nuovo, preso da chissà quale pensiero, aggiunse una piccola nota a una strofa lasciata per metà, proprio vicino alla gamba massiccia del tavolo.
Shu si sedette sopra una sedia, con la schiena curva e la testa ancora dolorante. Guardò solo con la coda dell’occhio la pila di lettere di richiesta di intervento, perché in quel momento doveva concentrarsi su qualcosa di più stringente.
Fu duro, come sempre, e così anche la reazione di lui.
-Sei consapevole che dopo ordinerò a Kagehira di pulire tutto questo?
-Non oserai!
-Prendi subito della carta e ricopia tutto ciò, altrimenti sarà perduto.
Leo si imbronciò come un bambino, ma Shu fu irremovibile.
-Sei proprio un tiranno come dicono.
-Sono solo logico e razionale, questo pavimento mi serve per lavorare. Non voglio pestare le tue creazioni.
A quelle parole, l’espressione dell’altro cambiò molto perché aveva capito quali fossero le sue reali motivazioni.
Leo guardò quello che aveva composto nell’ultima ora, poi lui. Protese il braccio verso il tavolo per recuperare qualcosa, Shu gli allungò un pezzo di stoffa che prese allegramente.
Scrisse però solo un paio di strofe prima di alzarsi e sedersi al tavolo, proprio davanti a lui e al suo sguardo sorpreso.
-È per il nostro pezzo! Il nostro, mio e tuo!
-A maggior ragione, è bene che tu lo conservi tutto.
Rise e si alzò di scatto, corse verso la loro camera da letto andando quasi addosso a uno dei carrellini con gli attrezzi da Shi. Shu borbottò qualcosa a proposito dell’isteria delle persone troppo mattiniere, si volse verso il caminetto contemplando l’idea di mettere a bollire l’acqua per la tisana calda, ma così come era andato via, Leo tornò da lui.
Sventolò davanti al suo naso il proprio Shakuhachi.
-Senti!
Posizionò le dita sopra i fori dello strumento, le labbra al boccaglio.
Ma ancora troppo eccitato, dovette parlargli prima di cominciare a suonare.
-Ho fatto una piccola modifica, velocizzando questo pezzo poi posso introdurre una pausa dopo, per mantenere il ritmo! Senti!
Ripeté un motivo conosciuto, che iniziava piano con una lunga nota bassa e sicura – la base di quella storia. La melodia vera e propria cominciò nella metà della seconda strofa, con un veloce crescendo che portò a note quasi stonate, mezze note più lente.
Sembrava come disegnare nel suono il movimento del vento che preannuncia la tempesta.
Nel punto critico, la quantità d’aria cominciava ad ammassarsi sempre più e a rotolare prendendo velocità, ecco che una nota cambiava radicalmente tutto il senso. Da distruzione, diventava potenza, quella pausa che Leo aveva studiato annunciava la grandiosità dell’evento.
Il musicista si fermò qualche strofa dopo, nel completo silenzio della stanza. Respirava con affanno.
-Così diventa più morbido, senza scatti!
Il corpo di Shu era impietrito. Aveva ascoltato così attentamente la melodia di lui, seguendola nota dopo nota, che si era persino dimenticato di sé stesso. Quando Leo aveva suonato quella novità, il suo animo si era colmato di meraviglia. Riuscì a balbettare solo una parola, piano.
-Geniale…
Riprese pian piano controllo del proprio corpo, ritrovando sensazioni di freddo e di vertigine. Leo era davvero soddisfatto del complimento del compagno.
Shu si alzò dalla sedia e si mise in mezzo alla stanza, con la vestaglia che svolazzava ovunque.
-Prova a suonarla.
Leo eseguì, intuendo cosa stesse per accadere. Persino il tatuaggio sulla sua guancia sembrava pulsare per una certa aspettativa.
Shu lo interruppe dopo poco.
-No, non va bene. Suonala ancora.
Aspettò che terminasse, contò il tempo con il piede e lo memorizzò.
Leo non interruppe il silenzio che seguì, non lo chiamò quando chiuse gli occhi concentrato. Strinse il proprio flauto nell’attesa che fosse pronto.
Dopo pochi istanti, Shu riaprì gli occhi e si mise in posizione.
-Suonala di nuovo.
Questa volta si mosse e il suo corpo fu proprio il vento.
Shu ballava elegante, come se non avesse ossa o tendini, nella sua figura slanciata si esprimevano perfettamente quei movimenti fatti di onde e di fluidi, passi che sembravano non alzarsi neanche da terra e giri, giri continui.
Tre strofe appena, Shu si fermò.
-Così va bene.
Ma a quel punto era Leo quello concitato, gli occhi spalancati in uno sguardo eccitatissimo.
Il compagno lo guardò, corrucciato di nuovo.
-Rifallo!
Quella seconda volta, i passi furono più sicuri, così come anche le sue parole.
-Sì, mi piace! Rifacciamolo da capo!
Un passo lungo quanto quella nota, per iniziare.
Le gambe di Shu si estesero sul pavimento, così come le sue braccia si allargarono nell’aria – l’equilibrio si esprimeva con grazia e perfezione, nella linea lunga della sua schiena. Prima un filo d’erba, poi un uccello tra le nuvole in tumulto, poi lampi e tuoni, il cielo che si apriva.
La chiusura in uno stacco definitivo, nuovo, con un salto che parve accorciare il tempo.
Leo non osò interrompere il ballo e attese la fine della musica prima di avvicinarsi al compagno.
-Geniale! Quello era un nuovo passo?
Shu scacciò il velo di malinconia che gli appannava gli occhi con un gesto della testa e ricambiò quindi il suo sguardo. Avevano entrambi il fiato affannoso.
-Sì, ci ho lavorato in questi giorni. Volevo fartelo vedere, ma l’ho perfezionato solo ieri sera, prima che tu rientrassi.
Leo provava un’emozione fortissima in petto. Le dita gli formicolavano, desiderava continuare a suonare quella melodia per tutto il giorno, vederlo ballare senza sosta – muovere qualcosa di così bello con le sue note, ma non per mezzo del potere.
Leo era troppo felice, tanto che dovette nasconderlo con insinuazioni e battute terribili, subito interrotte dalla prontezza di Shu.
-Sono stato i-
-No.
-Lasciami finire le frasi almeno!
-Non quando stai dicendo qualcosa di eccessivamente stupido e imbarazzante!
-Non è imbarazzante! È l’am-
-Ho detto no!
Il tutto finì con una linguaccia da parte di Leo e un’espressione molto scocciata di Shu.
L’uomo più basso si accucciò di nuovo a terra e riprese a copiare il proprio spartito, dando le spalle allo Shi che invece cercava di darsi un contegno e allacciare la propria vestaglia da notte, fino a quel momento lasciata libera. Sbuffò.
-Che ne dici di fare colazione?
Così come Shu aveva fatto quella domanda, Shu si rispose da sé prima di ricevere risposta.
-Preparo io.
-Posso dare una mano!
-Ti devo ricordare cosa è successo l’ultima volta che ti sei avvicinato al caminetto?
Altra linguaccia, anzi due.
Leo si ricordava benissimo di aver dato fuoco a metà della cucina dello Studio Shi Valkyrie, perché era stato preso da un’improvvisa ispirazione e aveva lasciato incustodite cose nel camino, ma questo non era certo un buon motivo per non farlo neanche avvicinare.
Shu era sempre così testardo e categorico, esercitava un po’ troppo il suo ruolo di padrone di casa.
Si chiese se nel contratto prematrimoniale potesse chiedere di far diventare quel posto anche un po’ suo.
Lo Shu interruppe i suoi pensieri stupidi, facendo un lieve rumore mentre appoggiava un piattino di ceramica sul tavolo.
-Mangiamo in fretta che dobbiamo andare da Anzu.
Leo fu richiamato subito dal cibo: non avrebbe rinunciato per niente al mondo ai suoi biscotti di semi di papavero. Fece cenno alla pila di buste, messe in un angolo del tavolo.
-Non hai del lavoro da fare?
Anche Shu la guardò, senza più fare finta che non esistessero. Almeno tre di quelle richieste erano molto urgenti, avrebbe dovuto pianificare delle nuove ramificazioni di tatuaggi in pochissimi giorni, e pensare a quale inchiostro abbinarle. Era però disposto a sacrificare qualche notte per quello, perché ciò che voleva fare in quel momento era più importante.
-Può aspettare.
Finalmente, l’acqua per il tè fu messa a scaldare.
 
 
Era impossibile da ignorare, come tutti guardassero lo Shi mentre passava per le strade della città.
La sua camminata era sostenuta; il piede picchiava il tacco dello stivale contro i ciottoli dei viali principali di Yumenosaki, sembrava quasi scandire il tempo di una melodia ritmata – come accompagnamento, c’era il bastone da passeggio, tintinnio di legno perfettamente in sincrono.
Molti riconoscevano la forma della sua figura ancora prima di vedere i capelli rosa e il cappello, quello sguardo altero che poteva appartenere solo allo Shi Shu Itsuki. Ma riconosciutolo, lo sguardo dei passanti rimaneva incollato a lui, fino a che non fosse sparito egli stesso dalla loro visuale, girato un angolo oppure oltrepassata la via.
Solo una ragazzetta audace si era ben sporta dalla finestra, tentando di salutarlo con garbo e felicità. Le sue dita erano sporcate di un inchiostro elegante, ramificazioni allungate che partivano da qualcosa più nascosto.
La maggior parte di loro era ancora viva per merito suo o dei suoi compagni, dopo quelle notti fatali, e nella memoria collettiva questo era ricordato con gratitudine.
Leo aggiungeva alla scena molto rumore e un’insolita sfumatura colorata. Rideva come sempre, l’eco della sua voce che rimbalzava ovunque era più forte del rumore delle carrozze che circolavano.
-Se non ti sbrighi, faremo tardi!
Leo rise ancora più forte quando lo vide ancheggiare nel tentativo di accelerare il passo senza perdere l’andamento elegante. Shu non esitò neanche un secondo per giustificarsi.
-Ritardo per ritardo, non cambia molto!
-Questo perché non vuoi correre o perché ammetti di essere lento?
Lo Shi gli lanciò un’occhiata truce, a cui però non seguì alcuna risposta.
Videro finalmente l’anfiteatro cittadino, una grande struttura tondeggiante dai colori perla e oro. C’era una grande insegna sul portone principale, scolpita in legno pregiato e laccata di fresco, e due colonne portanti con leoni sdraiati, tradizionalmente diseguali.
Shu salì fino all’ultimo gradino trattenendo l’affanno, ma si prese il privilegio di suonare il campanello e quindi annunciare entrambi.
-Itsuki e Tsukinaga.
La porta si illuminò appena, poi si aprì.
Nella penombra, i due uomini sapevano di dover seguire una scala a destra, oltre un tendaggio spesso di color carminio. C’era ovunque odore di legno, un poco di stantio – eppure, tutte le lampade erano pronte all’uso, non c’era traccia di sporco da nessuna parte.
Pareva quasi che Anzu, la proprietaria di quel posto, usasse il proprio potere per smuovere persino la polvere e farla andare via.
Sentirono dapprima un lieve chiacchiericcio e quando arrivarono alla fine della scala, all’inizio delle quinte del palco, videro un gruppetto di persone radunate, sparse qui e là. Chi seduto sopra una cassa, chi appresso alle funi, chi contro il muro, chi semplicemente per terra.
Li accolsero sguardi amici e un uomo dalla voce squillante, capelli arancioni.
-Ciao a entrambi!
Subaru abbracciò stretto Leo, ruotando assieme a lui per qualche metro. Lo lasciò andare e salutò da lontano anche Shu, senza più osare andargli incontro, perché ancora si ricordava quanto duri fossero i colpi del suo bastone.
Tsukinaga salutò con le mani svolazzanti.
-Ciao a tutti!
Shu sentì un fruscio vicino a sé e si voltò, vedendo un ragazzo conosciuto avvicinarsi. Gli sorrise persino, ricambiato.
-Fratellone.
-Sakasaki, anche tu qui.
Lui alzò le spalle e fece una strana smorfia, quasi se fosse stato costretto da ragioni esterne a raggiungere quel posto, come ogni altro secondo giorno della settimana. In realtà, non era diverso da tutti gli altri: ritrovarsi in quel posto era più una necessità fisica e psicologica.
Giocò con le dita con il suo anello, senza rispondergli e gli prese il cappotto e il cappello. Shu interruppe invece l’allegro scambio di idiozie tra il suo futuro sposo e l’altro stupido dai capelli arancioni.
-Dove si trova la signorina Anzu?
Subaru Akehoshi si illuminò a sentire quel nome.
-Dovrebbe arrivare a momenti!
Shu e Leo si lanciarono una rapida occhiata d’intesa; erano pronti a proporre la loro idea per il grande spettacolo che si sarebbe svolto, assieme a tutti gli altri.
Leo aveva appena ritrovato Ritsu Sakuma, addormentato sotto una coperta di iuta, quando sentirono una voce annunciarsi. Tutto il teatro rispose a quel richiamo: sembrò vivo, pulsante di emozione.
Lei era quindi arrivata.
 
 
“Ricorda la sua forma, la curva del suo piede al secondo passo e poi, poi spicca”.
Shu aprì gli occhi quando Leo introdusse la terza battuta, quando il suo corpo aveva già cominciato a muoversi; il suo sguardo fu diretto a quell’ipotetico pubblico che ora non c’era, tra gli spalti e la platea.
Da solo sul palco, sembrava dominare lo spazio in modo naturale, ogni suo gesto possedeva grazia e delicatezza, poi forza e decisione: si plasmava sulla musica e ne diventava un tutt’uno.
Anzu lo aveva già visto ballare prima di allora, ma questo non le permetteva mai di prepararsi il cuore.
Guardò i suoi ragazzi, reduci dalle Notti della Pioggia di Potere, la Generazione Ensemble nata dalla tragedia e dalla tragedia risorta. Molti di loro provenivano da quello stesso ambiente che Shu aveva abbandonato e rifiutato da piccolo, diventando uno Shi. Il suo ballo aveva lineamenti e figure che loro tutti trovavano familiari, perché visti sicuramente da qualche parte – era una rielaborazione dei balli tipici dei Non Toccati. Nobili, anche, certamente non popolari, come erano stati gli Itsuki fino quindici anni prima.
Anche il suo Subaru guardava quello spettacolo rapito, così inaspettatamente zitto e immobile. I suoi occhi seguivano quella figura esile, commosso nella sensibilità acutissima in ogni tocco di punta e di tallone, a ogni giravolta perfetta del bacino stretto. Il suo cuore andava allo stesso ritmo di quello di Shu, come quello di tutti i ragazzi.
Quando lo Shi ebbe terminato e la musica si era spenta, lo sguardo di tutti capitò a lei, perché lei era la persona che poteva decidere. Un misto di aspettativa e incredulità la colpì, assieme a quegli occhi, ma il suo pensiero era altrove, in sentieri ben più tortuosi e per nulla innocenti.
Immaginava a stento quale poteva essere la reazione dei Non Toccati davanti a una cosa del genere. Gli Shi erano in sé una categoria di intoccabili, isolati nel loro ruolo per tutta la vita, e qualsiasi fosse stata la loro estrazione sociale questo non cambiava. Certo però era che un nobile Non Toccato, che come Shi aveva scelto di declassarsi per entrare direttamente in contatto con i Toccati, avrebbe potuto urtare notevolmente la loro sensibilità. Ancora di più che vedere i loro stessi figli mescolarsi con i figli dei Toccati e i Toccati stessi.
In aggiunt, il suono di quel flauto venuto da lontano, che andava ad accompagnare qualcosa che era specificatamente loro. Familiarità e stranezza mescolati ad arte.
Era una enorme scommessa.
Anzu si fece avanti e chiese a Shu se fosse capace di insegnare almeno una o due sequenze di quella coreografia a metà dei ragazzi, che avrebbero fatto da accompagnamento. In caso contrario, non avrebbe permesso a Shu e Leo di rimanere sul palco.
Dopo qualche istante di silenziosa riflessione, lo Shi annuì con la sola testa.
Allora chiese a Leo se sarebbe riuscito a insegnare all’altra metà dei ragazzi qualcosa per accompagnare la musica, e anche in quel caso la risposta fu più che positiva.
Ma lei non aveva ancora dato né conferma né smentita. Con la mano davanti alla bocca, stava pensando velocemente a quali fossero state le peggiori conseguenze di una scelta sbagliata, per tutti loro – per lei e per Subaru, per i ragazzi che non avevano più nessuno se non quello stesso teatro.
Vide Natsume toccarsi qualcosa al dito, accanto a una colonna e seminascosto nell’ombra, e ricordò all’improvviso l’anello che aveva dato a tutti loro, come segno distintivo. Erano già un gruppo unito, non c’era quindi alcun motivo per lei per tergiversare oltre.
Diede la sua approvazione al pezzo, sorridendo felice.
Nel giro di qualche istante appena, qualcuno dei ragazzi era già salito sul palco e si era posizionato a fianco dello Shi, cercando di imitarne la postura. Lo guardavano tutti con discreta ammirazione, nei gesti e negli atteggiamenti cercarono di assomigliargli. Fu uno spasso: Subaru rise felice per almeno dieci minuti.
 
 
C’era una grande rosa di legno, come stemma sopra l’ingresso dello Studio Shi Valkyrie. A ogni ora, giochi di luce diversi ne coloravano gli ampi petali.
Ormai era il tramonto. Quando Leo alzò lo sguardo da terra, arrivato carico di fatica in cima alla collina, rimase rinfrancato dalla visione della piccola abitazione e da tutti i suoi dettagli. Incastrata nella pietra, si modellava in una cornice naturale che la ingentiliva e la esaltava, in ogni dettaglio.
Ammorbidì lo sguardo e socchiuse appena le palpebre, provando una piacevole emozione di tranquillità – Shu lo superò lento, per andare ad aprire la porta di legno, per poter entrare. Kagehira doveva essere andato via da poco, perché l’interno era ancora abbastanza caldo e nell’aria c’era odore di cenere.
Levato il cappello e riposto il bastone da passeggio, lo Shi dovette appoggiarsi al primo tavolo per non caracollare a terra. Avendo ballato tutto il pomeriggio, le sue ginocchia fragili consegnavano il conto, ribellandosi al loro stesso padrone; prima ancora di poter fare altro, sentì le mani di lui avvolgergli la vita e il suo viso appoggiarsi nella parte alta della schiena, tra le scapole.
Lo chiamò piano, si permise persino di sussurrare il suo nome, con vezzeggiativi stupidi e carini, dolci. Sapeva che erano entrambi abbastanza felici da poter sopportare entrambi quel genere di cose.
La risposta di Shu infatti fu inizialmente positiva. Pur rimanendo appoggiato al tavolo, si girò nella sua direzione e lo guardò in silenzio, lasciando che continuasse a chiamarlo a quel modo. Non pareva neanche troppo infastidito, ascoltava e basta, percepiva la sua presenza.
E nel momento in cui si scocciò di essere chiamato così, lo baciò piano sulle labbra e gli strinse la vita, in un abbraccio accennato. Leo, a quel punto, iniziò a premere perché gli facesse spazio in mezzo alle cosce. Non intendeva certo fare l’amore sul quel tavolo, ma magari non sarebbe stata una cattiva idea fare lì parte dei preliminari.
A sorpresa, Shu lo fermò, poggiando una mano sul suo petto.
-No.
Si immobilizzò subito, ma continuò a guardarlo confuso finché l’altro non fece un gesto con il capo.
-Il lavoro…
Lo guardò sorpreso e ancora più confuso.
-Non vorrai davvero fare quella roba adesso!
Senza rispondere, Shu gli confermò quel suo dubbio. Non avrebbe fatto passare un’altra notte senza aver risposto a tutte quelle richieste, dalla prima all’ultima, perché era quello che uno Shi faceva: provvedere ai bisogni della gente, seppur sotto compenso.
Richiesta scritta, così come scritti e approvati dovevano essere tutti gli schemi e le ramificazioni che lui avrebbe poi inciso sulla gente. Un po’ di ordine in quel marasma di poteri assurdi era pur d’obbligo.
Leo fece una piccola smorfia di delusione, arricciando tutte le labbra, ma si arrese subito. Gli accarezzò il viso appena appena, poi lo ripassò con una fila di baci leggeri. Shu, per ricambiarlo, gli strinse meglio il nastro che teneva i suoi capelli legati sulla spalla, colorato di blu e bianco.
Lo toccò e si separarono, per andare uno da capo e l’altro dall’altro della stanza. Inchiostri diversi per fini diversi, ma entrambi quella notte avrebbero comunque sporcato dei fogli – perché Leo non aveva bisogno di scuse per rimanere sveglio assieme all’altro e Shu non aveva intenzione di costringerlo a inventarne qualcuna.
Mademoiselle li guardò silenziosa dalla sua teca dall’altra stanza, racchiusa in una posa immobile e mesta come l’avevano messa da principio. Sorrideva e guardava i loro profili assorti, espressioni lontane da quel mondo, un po’ come la sua d’altronde. Quanto era bella la stagione degli amori, quel profumo di ciliegio che si liberava dall’inchiostro e da ogni anfratto di quella loro casa.
 

 














Note Autrice: Eccoci di nuovo qua (L) Ciao a tutti!
Allora, partiamo dalla canzone associata a questo capitolo. Quando ho ascoltato questa cover per la prima volta, ne sono rimasta estasiata. I ragazzi che la cantano - bravissimi, davvero super bravissimi - mi trasmettevano esattamente lo stesso sentimento di rabbia e di forza che mi trasmetteva il cantante originale, uomo adulto. Questo pensiero mi ha molto colpito, devo dire.
Non è una canzone associata a un fatto in particolare MA è associato a un concetto: lo spettacolo che la compagnia di Anzu sta preparando. Penso che nel sentimento trasmesso e specialmente nelle parole che essi pronunciano ci possa essere un collegamento forte alla situazione dei bambini, la Generazione Ensemble, che fanno parte della mia storia. Provate a immaginarlo!
Per quanto riguarda il capitolo in sé, a questo punto della storia mi pareva un poco necessario far vedere "quello che fu" il rapporto tra Leo e Shu. Anche qui tratto di due uomini maturi, non adolescenti, ma pur seguendo le linee guida dei loro caratteri trovano un punto di incontro, ed era necessario e GIUSTO farli vedere così, anche per meglio capire il distacco netto con quello che sono adesso.
Il rapporto tra Leo e il suo Potere - e il flauto che ne fa da "tramite" - penso sia MOLTO complesso, ho cercato di dipingerlo su più stratificazioni per darne un'idea. Il suo Potere è anche Arte, poiché principalmente non distruttivo, e l'Arte è il tramite che ha per arrivare a Shu. Capite come possono esserci vari livelli di complessità nella cosa.
D'altra parte, per Shu il rapporto con l'arte parte sempre dal proprio lavoro - tatuare in maniera /assolutamente perfetta/ - ma se ne distacca pure con il ballo. Shu si potrebbe dire un artista "completo", capace di toccare più ambiti dell'arte stessa con la stessa poetica e lo stesso slancio.
Come nel canon, anche qui Shu e Leo sono due figure non tanto contraposte, ma decisamente dissimili. 
E niente, ora la smetto 8D grazie di aver letto e al prossimo capitolo!
   
 
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Ensemble Stars / Vai alla pagina dell'autore: Rota