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Autore: MackenziePhoenix94    20/05/2020    1 recensioni
“E adesso?”
“Adesso reggiti forte”
“Che vuoi fare?”
“Ti fidi di me?” le chiese di getto lui; le aveva già rivolto quella stessa domanda nel corso della notte trascorsa sopra il tetto di casa Anderson e, come in quella occasione, Ginger rispose senza esitare.
“Sono uscita di casa in piena notte di nascosto, ho preso un treno per Cambridge e ti ho appena aiutato a rubare una bici dalla casa di tua madre: pensi che avrei fatto tutte queste cose se non mi fidassi ciecamente di te, Syd Barrett?”.
Le labbra del ragazzo si dischiusero in un sorriso.
“Allora reggiti forte, perché stiamo per prendere il volo”.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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“Pronto?”.

Roger allontanò la cornetta dall’orecchio destro con un’espressione perplessa; osservò l’oggetto nero in silenzio e, anziché rispondere, riagganciò.

Attraversò la hall dell’albergo e raggiunse Nick e Rick, seduti su un divano, che stavano chiacchierando e fumando nell’attesa di uscire per la cena; il bassista si lasciò cadere su una poltrona e, senza abbandonare l’espressione perplessa e corrucciata, accese a sua volta una sigaretta.

“Ehi, Rog, che succede?” chiese Nick, notando come l’umore di Roger era bruscamente cambiato da quando si era allontanato dal telefono fisso messo a disposizione degli ospiti dell’albergo “brutte notizie da casa?”

“No, non proprio, è… Appena successa una cosa… Strana” rispose Waters, ponderando con attenzione le parole, con gli occhi azzurri rivolti verso un tavolino di vetro, senza vederlo veramente.

“Cioè?”

“Ho provato a chiamare Judith, solo che… Dall’altra parte del telefono ha risposto una voce che non conosco. La voce di un uomo”.

Nick assunse a sua volta un’espressione perplessa e si scambiò un’occhiata con Rick.

“Sei sicuro che non fosse il padre di Judy, o magari tuo fratello? Non so… Forse uno di loro è andato a farle visita e per puro caso ha risposto al telefono” disse Mason, concentrando di nuovo lo sguardo su quello che, dai tempi del politecnico, era uno dei suoi più stretti e cari amici; Waters piegò le labbra in una smorfia e si appoggiò allo schienale della poltrona, senza mai distogliere gli occhi dal punto indefinito che stava continuando a fissare.

“Pensi che non sappia riconoscere la voce di mio suocero o tantomeno quella di John?”

“Beh… Siamo in America, ci troviamo quasi dall’altra parte del mondo… Può essere che ci sia qualche interferenza… O magari c’era qualche vicino a casa vostra… Rick?”

“Sei sicuro che la centralinista abbia inoltrato correttamente la chiamata?” intervenne Richard, rispondendo alla richiesta di aiuto di Nick “forse ha sbagliato a digitare una cifra del numero che le hai dettato”

“Ohh, è vero! A me è successo una volta, in Olanda: volevo chiamare Lindy, ma dall’altra parte del telefono ha risposto una signora anziana! Sono sicuro che deve essere andata così anche nel tuo caso, non c’è altra spiegazione! Sono sicuro che incidenti come questo capitano spesso, soprattutto nel caso delle telefonate oltreoceano… Non c’è altra spiegazione, deve essere andata sicuramente in questo modo!” esclamò Mason, supportando la tesi lucida, razione e fattibile di Wright.

Waters rimase in silenzio, aspirò un’ultima boccata di fumo e spense il mozzicone dentro un posacenere.

“Sicuramente la centralinista deve aver digitato un numero sbagliato” disse infine, giungendo alla stessa conclusione plausibile.

“Prova a richiamare Judy”

“No, ci riproverò domani, ormai è tardi. Dov’è Dave? È in ritardo” il bassista lanciò un’occhiata contrariata al suo orologio a polso: erano trascorsi già dieci minuti dall’orario che avevano concordato in precedenza per ritrovarsi nella hall dell’albergo, e Gilmour non era ancora sceso dalla sua camera.

“Sono sicuro che sarà qui a momenti” disse subito Rick, prendendo le difese dell’amico.

Agli occhi delle persone che li circondavano, i quattro ragazzi apparivano come un gruppo omogeneo e legato, ma la verità era leggermente diversa: all’interno della band c’erano due frazioni che diventavano subito evidenti quando nasceva qualche screzio, sia in ambito lavorativo che in quello della vita quotidiana.

Da una parte c’erano Roger e Nick, dall’altra David e Rick.

Se nasceva una discussione tra Roger e David, le due personalità dominanti del gruppo, Nick si schierava quasi in automatico dalla parte del bassista, mentre Rick faceva altrettanto con quella del chitarrista.

I litigi e le discussioni non erano all’ordine del giorno, ma intraprendere un nuovo tour equivaleva ad una nuova convivenza forzata che variava da diverse settimane ad un paio di mesi; andare in tour equivaleva vedersi e sopportarsi quasi ventiquattro ore su ventiquattro.

Andare in tour equivaleva ad arrivare ad un punto in cui i nervi saltavano per un sospiro, per un colpo di tosse o per della cenere di sigaretta che finiva accidentalmente su un paio di scarpe nuove.

C’erano molte cose che Roger sopportava a fatica, altre che odiava ed altre ancora che odiava in modo viscerale.

Odiava in modo viscerale i ritardatari.

E David era sempre, e costantemente, in ritardo.

Quando finalmente Gilmour scese nella hall, cinque minuti più tardi, Waters gli rivolse un’occhiata cupa e gl’indicò il quadrante dell’orologio che indossava al polso sinistro: il ritardo del chitarrista non aveva fatto altro che sollecitare l’irritazione provocata dallo strano incidente telefonico.

Se così poteva essere davvero definito.

“Quindici minuti” disse picchiettando l’indice destro contro il vetro del quadrante “quindici minuti di ritardo. Ti stiamo aspettando da quindici minuti, lo sai?”

“Scusa, Rog, non ho sentito la sveglia”

“Tutto qui? Questa è la tua unica spiegazione? Arrivi in ritardo di quindici minuti e tutto quello che sai dire è che non hai sentito la sveglia?”

“Sì, non ho sentito la sveglia perché ero stanco… Sai, sono diverse settimane che siamo in viaggio e che non abbiamo la possibilità di riposarci”

“Anche noi siamo stanchi, sai, ma siamo scesi tutti e tre in perfetto orario, come puoi vedere”

“Ragazzi, che ne dite di rinviare questa conversazione al termine della cena? Ho un buco terribile allo stomaco e se non ci muoviamo ad arrivare al ristorante, temo che daranno il nostro tavolo a qualcun altro” intervenne Nick, alzandosi dal divanetto e battendo le mani, prima che la discussione entrasse nel vivo e si trasformasse in un litigio molto più animato; David abbassò lo sguardo, spostò il peso del corpo da un piede all’altro e si rigirò tra le mani la chiave a cui era attaccato un portachiavi di cuoio: apparteneva ad una delle macchine messe a loro disposizione in caso volessero fare un giro in città durante i pochi momenti di pausa a loro disposizione.

“Ahh… Sì… La cena…” commentò in modo distratto, esitando prima di proseguire; se Roger aveva reagito così male per i quindici minuti di ritardo, non osava immaginare cosa gli avrebbe fatto dopo quello che stava per dire “può essere che sia sorto un piccolo imprevisto per la cena di questa sera”

“Un piccolo imprevisto?” domandò Mason allarmato; Waters non disse nulla, ma fissò Gilmour senza mai sbattere le palpebre.

“Può essere che… Che io non venga con voi”.

Di fronte a quel fulmine a ciel sereno, i tre ragazzi reagirono in modo diverso: Nick socchiuse le labbra incredulo, Rick inarcò le sopracciglia in una espressione sorpresa e Roger esplose definitivamente.

“Non verrai? Che cazzo significa che non verrai? Non puoi presentarti in ritardo di quindici minuti ed avere la faccia tosta di tirarci pacco così! Cazzo, ma non ce l’hai un minimo di decenza? Non potevi avvertirci prima, così non avremmo perso tempo inutilmente? E si può sapere perché non vuoi venire a cena con noi?”

“Non è che non voglioNon posso

“E, di grazia, perché non puoi?”

“Perché sto male e preferisco non muovermi questa sera, visto che domani ci aspetta un lunghissimo viaggio di ritorno” rispose David, senza mai distogliere gli occhi da quelli di Roger.

Il bassista sbatté le palpebre ed inarcò il sopracciglio destro in un’espressione scettica.

Non credeva assolutamente a quelle parole.

“Non mi sembra affatto che tu abbia l’aspetto di una persona che sta male” commentò, osservando il chitarrista da capo a piedi.

No, non aveva affatto l’aspetto di una persona sofferente.

“Ohh, sì, e Rog se ne intende molto bene di persone che stanno male dopo l’esperienza in prima persona che ha vissuto in Italia” disse Mason con una risata, ottenendo in risposta uno sguardo fulminante dal cupo bassista: l’ultima notte in Campania era argomento tabù all’interno del gruppo, almeno in presenza di Roger; alle sue spalle, era una storia completamente diversa “eddai, Dave, che ti costa uscire con noi? Non puoi abbandonarci! Sai che è tradizione che l’ultima sera di un tour usciamo noi quattro a festeggiare! Non vuoi proprio venire? Che cosa senti? Hai la febbre oppure si tratta solo di un malessere passeggero? Magari ti passa mangiando qualcosa!”

“In verità, credo che il mio malessere sia dovuto proprio a qualcosa di guasto che ho mangiato ieri. Sono stato tutto il giorno a letto per vedere se mi passava, ma… Credo di essermi preso una mezza intossicazione alimentare, o qualcosa del genere” spiegò piegando le labbra carnose in una smorfia di dolore che doveva risultare convincente.

O almeno così si augurava.

Roger sbatté le palpebre e continuò, imperterrito, col suo interrogatorio personale.

“Questo è assolutamente impossibile. Non puoi esserti beccato una intossicazione alimentare perché ieri hai mangiato insieme a noi qui in albergo, e nessun altro ha accusato un malessere fisico. E se non ricordo male, ho mangiato il filetto di carne, esattamente come te: secondo il tuo ragionamento, a quest’ora anch’io dovrei sentirmi uno straccio. Invece sto benissimo e mi sembra che lo stesso valga anche per te” ripeté una seconda volta con uno sguardo diffidente; David faticò a sostenere quello sguardo indagatore, ma si costrinse a non cedere “Nick ricorda ancora molto bene la brutta esperienza che ho vissuto in Italia, ma io ricordo altrettanto bene quella che lui ha passato in Francia, quando si è beccato davvero una intossicazione alimentare coi fiocchi… Tu non hai l’aspetto orribile che aveva lui in quei giorni… Anzi… Mi sembri particolarmente in forma”

“Infatti credo di essermi beccato una mezza intossicazione o qualcosa di simile. Non sono sicuro di quello che ho, so solo che sto male e la prima cosa a cui ho pensato è stata il cibo… Dopotutto ciò che non fa male a te non è detto che non faccia male anche a me. Forse il cibo americano è troppo speziato e condito per il mio stomaco. Non siamo tutti delle fogne come te, Rog”

“Su questo devo concordare con Dave” intervenne di nuovo Nick per stemperare i toni che, via via, stavano diventando sempre più accesi “mangi come una fogna e pesi meno di una foglia bagnata. Mio dio, ma come fai ad essere così magro? Qual è il tuo segreto? Dove li nascondi i chili in più?”

“Costituzione fisica e metabolismo veloce” tagliò corto Waters, senza neppure girarsi verso Mason “se stai così male, perché allora hai le scarpe ed il giubetto? Sembri uno che sta per uscire”

“Infatti sto per uscire per andare a prendere una boccata d’aria. Sono stato tutto il giorno chiuso in camera e…”

Stronzate!” esclamò Waters, alzandosi di scatto dalla poltrona “quelle che stai dicendo sono solo stronzate. Tu non stai male e non hai bisogno di prendere nessuna boccata d’aria, semplicemente hai deciso di tirare pacco all’ultimo secondo alla nostra serata perché sei una grandissima testa di cazzo, ed io mi sono rotto di perdere tempo ad ascoltare tutte le cazzate che continui a rifilarci, come se fossimo davvero così coglioni da crederci! Vaffanculo, io mi sono rotto di perdere tempo ad ascoltarti! Ho fame, ho sete e voglio arrivare al ristorante prima di scoprire che il nostro tavolo è stato dato a qualcun altro in fila! Andiamo!”.

Roger si assicurò di urtare con forza David quando gli passò affianco; lo superò in fretta, senza degnarlo di uno sguardo, ed uscì dalla porta scorrevole d’ingresso dell’albergo continuando a borbottare parole poco gentili nei suoi confronti.

Prima che la porta scorrevole si chiudesse, Gilmour riuscì ad udire chiaramente termini come ‘coglione’, ‘testa di cazzo’ e ‘senza un minimo di decenza’.

Nick si alzò dal divano sfregando i palmi delle mani sulla stoffa dei jeans, visibilmente a disagio, e diede una pacca sulla spalla destra di David.

“Tranquillo, poi gli passa. Il tempo di mettere sotto i denti qualcosa, bere una birra e tutto torna come prima. Domani sarà di nuovo di buonumore… Per quanto Roger possa essere di buonumore”.

Il giovane sorrise, grato del tentativo di Nick di tranquillizzarlo, ma non era così sicuro che Roger avrebbe dimenticato in fretta quella faccenda.

Anzi.

Conoscendolo, gli avrebbe portato rancore per un bel po’ di tempo e gli avrebbe tolto il saluto per un paio di mesi: era capitato anche a Nick tre anni prima, quando nel mezzo di una discussione tra lui, Roger, Lindy e Judith, incentrata sulle infedeltà del bassista durante le esibizioni lontane da casa, aveva preso le difese delle due ragazze, puntando a sua volta l’indice contro il bassista.

E Roger si era incazzato terribilmente perché sapeva che anche Mason, nonostante una crisi che gli era quasi costata la relazione con Lindy, non era indenne dal peccato di infedeltà coniugale.

Incrociò lo sguardo di Rick, e lo vide sorridere di rimando.

“Nick ha ragione: a Rog passerà tutto non appena avrà finito di mangiare”

“… O non me lo farà dimenticare per il resto della mia vita” continuò la frase il chitarrista, sforzandosi di ridere; Wright sorrise ancora, per poi tornare serio: anche nei suoi occhi c’era uno sguardo perplesso ed interrogativo, ma non c’era la minima traccia di accusa come nel caso di quelli di Roger.

“Sei sicuro di voler rimanere da solo in albergo? Se vuoi, posso rimanere a farti compagnia… O possiamo anche rimandare la cena al nostro ritorno a Londra, per me non fa alcuna differenza festeggiare oggi o tra qualche giorno. L’importante è farlo insieme, come un gruppo di amici”

“No, per carità, Roger è già abbastanza furioso con me. Se annullassi la cena, potrebbe davvero uccidermi nel sonno. Vai e divertiti, Rick, recupereremo tutti e quattro insieme la prossima volta. Faccio una breve passeggiata e poi torno in camera a riposarmi. Magari mi faccio portare qualcosa di caldo dalla reception. Ora è meglio se raggiungi gli altri, prima che le urla di Roger buttino giù l’intero edificio”

“Credi che sarebbe davvero in grado di farlo?”

“Diciamo che non sono così ansioso di scoprirlo proprio questa sera”.

Richard sorrise, diede una pacca sulla spalla destra di David, uscì dalla hall dell’albergo e salì nella macchina in cui Roger e Nick lo stavano aspettando da qualche minuto; anziché inserire subito la chiave nel cruscotto, rimase in silenzio a fissare il volante.

“Beh, che ti prende?” domandò poco dopo Waters, sempre più spazientito, tamburellando le dita della mano destra sul vetro del finestrino “perché non partiamo?”

“Stavo pensando”

“A cosa?”.

Wright socchiuse le labbra per poi richiuderle, in un ripensamento dell’ultimo istante; scosse la chioma ondulata e castana, ed inserì la chiave nel cruscotto, accendendo il motore della macchina.

“Nulla, Rog, solo una sciocchezza che ora non ha la minima importanza” mormorò, imboccando lo svincolo a sinistra; ma la sciocchezza in questione continuò a tormentarlo fino all’arrivo al ristorante.

Se David voleva uscire per prendere una semplice boccata d’aria, perché aveva con sé le chiavi di una macchina e si era spruzzato del profumo?



 
David Jon Gilmour avvertì i primi sensi di colpa per avere spudoratamente mentito ai suoi compagni di band (a Richard, in particolar modo) mentre si stava recando al luogo d’incontro che lui e Virginia avevano concordato la notte precedente; un’ondata di nausea lo colse completamente alla sprovvista e per poco non lo costrinse ad accostare vicino al ciglio della strada ed a spalancare la portiera per vomitare.

Riuscì a resisterle solo prendendo una serie di profondi respiri e stringendo la presa sul volante; lo stritolò a tal punto che le nocche delle mani diventarono bianche.

Pensò a Ginger, a Demi, a Keith ed alla fede che aveva volontariamente lasciato in albergo, nascosta con cura all’interno di un cassetto del comodino, e per la prima volta da quando quell’assurda storia era iniziata, neppure ventiquattro ore prima, si chiese cosa cazzo stesse facendo.

Poi, i rimorsi, la nausea e l’attacco di panico a cui stava andando incontro, svanirono nell’istante in cui parcheggiò la macchina vicino al tabellone che segnava la presenza di una fermata e vide la bellissima Virginia che lo stava aspettando, completamente da sola: la ragazza indossava un abito candido e delle ballerine bianche; i lunghi, folti ed ondulati capelli rossicci erano sciolti sulla schiena ed incorniciavano il suo volto mozzafiato, sprovvisto di trucco.

Non ne aveva bisogno.

Era così bella che ogni traccia di rossetto, mascara od ombretto sarebbe risultata superflua ed inopportuna.

Con quel vestito bianco, la sua sconvolgente bellezza acqua e sapone la faceva assomigliare ad un angelo.

Gilmour non credeva nell’esistenza degli angeli, ma se mai fossero stati veri, allora senza alcuna ombra di dubbio avrebbero avuto le fattezze di quella ragazza americana.

Virginia guardò la macchina, riconobbe il guidatore e si avvicinò con un sorriso timido sulle labbra; quando entrò nell’abitacolo, si sistemò una ciocca di capelli dietro l’orecchio sinistro, esattamente come faceva Ginger ogni volta che era nervosa od imbarazzata.

“Ehi” disse lei, continuando a sorridere in quel modo che il chitarrista aveva già etichettato come adorabile “sei venuto”

“Sì, sono venuto, ne sei così sorpresa?”

“Beh, in parte sì, lo confesso”

“Perché?”

“Perché… Perché io infondo sono una completa sconosciuta per te. E tu non hai alcun obbligo morale nei miei confronti”

“Ed invece ce l’ho, dal momento che ieri hai trascorso una orribile serata al nostro concerto. Che cosa ti va di fare? Per me è lo stesso, scegli tu. Negli ultimi giorni sono stato così impegnato tra prove e concerti che non ho neppure avuto il tempo di visitare la città, quindi non saprei neppure dove portarti. Non ti ho neanche preso un mazzo di fiori perché non so dove sia il negozio più vicino e temevo di perdermi ed arrivare in ritardo alla fermata”.

Virginia arrossì ed abbassò lo sguardo; faticava a fissare troppo a lungo i bellissimi occhi azzurri di David.

“Ti porto io in un posto molto carino ed accogliente, allora”.

La ragazza portò il chitarrista in una piccola tavola calda che distava appena una decina di minuti dal quartiere in cui abitava; mentre aspettavano l’arrivo della doppia porzione di patatine fritte e dei milkshake alla vaniglia con panna, Virginia gli raccontò di essere molto legata a quel locale tranquillo e mai affollato, perché ogni domenica, fin da quando ne aveva memoria, dopo la consueta messa della mattina, lei e la sua famiglia si recavano sempre lì per pranzo.

Gli raccontò molte cose della propria vita, anche del laghetto di montagna in cui suo padre la portava a pescare quando era un piccolo maschiaccio.

Gli raccontò perfino del suo profondo amore per gli animali, che l’aveva spinta durante l’adolescenza a diventare vegetariana.

David ascoltò ogni parola con estrema attenzione, in religioso silenzio, continuando a girare la cannuccia di plastica rossa dentro il suo milkshake, senza mai parlare e senza mai riuscire a staccare gli occhi dal viso di Virginia; a volte il suo sguardo indugiava sulle labbra della giovane, simili ad un bocciolo di rosa maturo, ma tornava subito a concentrarsi sui suoi occhi perché diventava sempre più difficile resistere alla tentazione di attirarla a sé e baciarla in pubblico, magari facendo cadere a terra i cestini che contenevano le patatine ed i due bicchieri colmi di milkshake.

Quando arrivò il momento di tornare alla fermata dell’autobus, Gilmour ebbe la sgradevole sensazione che la serata fosse passata troppo in fretta.

“Perché mi hai chiesto di venirti a prendere e di riaccompagnarti qui?” chiese dopo aver spento il motore della vettura, per pensare ad altro.

“I miei genitori sono molto protettivi nei miei confronti, continuano a vedermi come una bambina anche se quest’anno compio ventiquattro anni.Se avessi detto loro che questa sera sarei uscita con un ragazzo appena conosciuto, a quest’ora ci sarebbero le sbarre alla finestra di camera mia” rispose Virginia con un sorriso; ritornò seria e si morse il labbro inferiore “e così domani riparti?”

“Sì, torno a Londra”

“E quando tornerai in America?”

“Non lo so. Potrebbero passare un paio di mesi come più di un anno”

“Ohh” mormorò la ragazza abbassando lo sguardo; era pronta a ricevere una risposta simile, ma il colpo che avvertì risultò comunque doloroso “quindi… Questo è una sorta di addio?”

“Non lo so” rispose David, fissando il volante, pur conoscendo benissimo la risposta: sì, quello era un addio; il giorno seguente avrebbe preso un volo per Londra e tra loro due ci sarebbe stato un oceano e due vite completamente diverse a separarli “so solo che questa sera sono stato benissimo con te, e vorrei che non finisse mai”
“Anche io sono stata benissimo… Ed anch’io vorrei che questa sera non finisse mai”.

David girò il viso in direzione di Virginia, si guardarono negli occhi senza parlare e poi, lentamente, si avvicinarono finché le loro labbra non s’incontrarono in un bacio lungo e profondo; lui le passò le braccia attorno alla vita sottile, stringendola a sé, e lei gli appoggiò le mani sulle guance, accarezzandogliele.

Per diversi minuti, all’interno della macchina si udì un lungo silenzio, rotto solo dai respiri dei due amanti.

Quando si allontanarono, entrambi avevano il respiro corto ed ansante.

Ecco.

Ora era davvero fottuto.

Aveva oltrepassato il punto di non ritorno, e ormai non aveva più senso tirarsi indietro.



 
David salì nella propria camera d’albergo tenendo Virginia per mano e guardandosi attorno più volte, per timore d’incrociare uno dei suoi compagni di band; quando richiuse la porta alle proprie spalle, dopo averla chiusa a chiave per evitare spiacevoli situazioni imbarazzanti, si appropriò di nuovo delle labbra rosee e morbide della ragazza americana, di cui si sentiva già dipendente.

Quando raggiunsero il letto, i vestiti erano ormai sparpagliati attorno a loro sul pavimento; Virginia si sdraiò sul materasso, con un fremito lungo la spina dorsale, attirò a sé David per baciarlo di nuovo e lui le entrò dentro con una spinta decisa che mozzò il fiato in gola ad entrambi.

Non si sentiva un verme per quello che stava facendo.

Non si sentiva uno schifoso bastardo perché stava tradendo Ginger e perché non aveva detto a Virginia di essere marito e padre.

Non sentiva neppure i sensi di colpa che poche ore prima lo avevano quasi costretto ad inchiodare bruscamente la macchina.

Si sentiva semplicemente bene.

Si sentiva bene insieme, e dentro, quella ragazza americana che aveva conosciuto per puro caso la notte precedente: come un uragano, era entrata con prepotenza nella sua vita, devastando ogni sua certezza e distruggendo ciò che era riuscito a creare a fatica.

E non si sentiva affatto in colpa.

Tutt’altro.

Si sentiva benissimo, perché quella sconosciuta dal viso di bambola gli aveva fatto assaggiare un pezzo della vera felicità, ed ora non desiderava più tornare indietro.
Non era neanche più sicuro di voler tornare a Londra.

Strinse a sé Virginia, quando raggiunse l’orgasmo; la strinse a sé con forza e senza provare a trattenere un singhiozzo perché aveva paura di vederla svanire da un momento all’altro, temeva che si rivelasse solo un parto della sua mente in seguito ad una sbronza colossale presa al party dopo il concerto.

Continuò a tenerla stretta a sé e si lasciò accarezzare i lunghi capelli con gesti dolci e delicati; di tanto in tanto sentiva le morbide labbra della ragazza su una guancia, sulla punta del naso o sulla fronte.

Allentò la presa solo quando si rese conto che lei era troppo reale per essere il semplice parto mentale di una sbronza da party, ed appoggiò la testa contro la sua spalla destra, lasciando che fosse lei, ora, ad abbracciarlo e cullarlo.

Ben presto, il giovane sentì gli occhi farsi pesanti a causa del sonno.

“Comunque… Il mio nome è Dave” mormorò, con voce assonnata, prima di addormentarsi profondamente.



 
Virginia non poteva essere vista da qualcuno, e così si ritrovò costretta a sgattaiolare via usando una scala d’emergenza anziché uscire dall’ingresso principale dell’albergo.

“Non voglio che qualcuno ti veda, sai… Le chiacchiere…” si giustificò lui, senza accennare minimamente alla famiglia che lo aspettava in Inghilterra; Virginia prese un foglietto ed una penna dalla borsetta che aveva con sé, scrisse qualcosa velocemente e lo consegnò a Gilmour: erano un numero telefonico ed un indirizzo.

“Così puoi chiamarmi e mandarmi qualche lettera. Farò in modo di controllare sempre io la posta, così non passerò dei guai seri con i miei genitori”

“In compenso li passerai ora, se non arrivi a casa prima che si accorgano della tua assenza. Sei sicura di non volere un passaggio?”

“Sì, tranquillo, prenderò l’autobus. Ho ancora un po’ di tempo prima che la loro sveglia suoni, posso farcela se parto ora. Buon ritorno a casa, Dave, spero di sentirti presto… E spero di rivederti anche prima, se possibile” Virginia rivolse al giovane un sorriso mozzafiato, ed iniziò a scendere i scalini metallici in fretta, perché doveva raggiungere la fermata dell’autobus il prima possibile.

“Aspetta!” la bloccò lui, facendola voltare di scatto a metà rampa; coi lunghi capelli scompigliati dalla brezza dell’alba era ancora più bella “non mi hai ancora detto il tuo nome”

“Il mio nome è Virginia” rispose la giovane “ma tutti mi chiamano Ginger”.
   
 
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