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Autore: Emmastory    20/05/2020    4 recensioni
Muovendosi lentamente, anche ad Eltaria il tempo ha continuato a scorrere, dettando legge nella selva, al villaggio e nelle vite dei suoi abitanti. Il freddo inverno ha fatto visita a sua volta, e solo pochi giorni dopo un lieto evento che cambierà le loro vite per sempre, in modi che solo il futuro potrà rivelare, la giovane fata Kaleia e Christopher, suo amato protettore, si preparano ad affrontare mano nella mano il resto della loro esistenza insieme, costellata per loro fortuna di visi amici in una comunità fiorente. Ad ogni modo, luci e ombre si impegnano in una lotta costante, mentre eventi inaspettati attendono un'occasione, sperando di poter dar vita, voce e volto al vero e proprio rovescio di una sempre aurea medaglia. Si può riscrivere il proprio destino? Cosa accadrà? Addentratevi di nuovo nella foresta, camminate assieme ai protagonisti e seguiteli in un nuovo viaggio fatto di novità, cambiamenti, e coraggiose scelte.
(Seguito di: Luce e ombra: Il Giardino segreto di Eltaria
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Luce e ombra'
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Luce-e-ombra-IV-mod
 
 
 
Capitolo V 
 
Fate, elfi e indecisioni 
 
Anche stavolta, pomeriggio. Tornata a casa da poco dopo aver salutato Lucy e Lune, mie giovani amiche da tempo ormai immemore, poiché ormai mi sembra di conoscerle davvero da tutta la vita. Sorridendo a quel solo ricordo, portai piano la tazza di ceramica alle labbra, poi bevvi. Cioccolata. Calda e invitante in un giorno d’inverno come questo, mi aiutava a combattere il freddo e i rigori della stagione, mentre ad occhi chiusi e con pochi soffi per raffreddarla, stando ben attenta a non scottarmi, l’assaggiavo. Sempre al mio fianco, Christopher invece era impegnato con un passatempo del tutto umano. Una rivista che neanche ricordavo di aver mai visto in casa nostra, probabilmente ripescata da chissà quale angolo dimenticato, forse perfino da dietro il ripiano in legno del salotto, contava innumerevoli pagine che sembravano seguire ognuna lo stesso schema. Tabelle e numeri, o in altri termini, un sudoku. Incuriosita, mi voltai a guardarlo, restando a debita distanza solo per sbirciare, ma poi, cambiando immediatamente idea, scossi la testa. “Vuoi provare?” mi chiese, notando quello che ai suoi occhi doveva essere apparso come interesse. “No, grazie. Sai che me la cavo molto meglio con le parole.” Risposi gentilmente, scherzosa come al solito. Non stavo mentendo, anzi era tutto vero, e a riprova di ciò avevo mostrato più volte di riuscire a risolvere quelli che in riviste simili a quella avevo scoperto chiamarsi cruciverba. Anch’essi racchiusi in tabelle leggermente diverse da quel così complicato gioco di numeri, per me molto più semplici, in quanto concentrati invece sulla risoluzione di piccoli enigmi. A volte facili, altre difficili, altre ancora solo divertenti, ma c’era da dirlo, di gran lunga più sopportabili. Ormai erano passati anni, ma se la memoria non m’ingannava, avevo tentato con il primo quando non ero che una pixie. Piccola com’ero, a sette anni imparavo ancora dalle fate anziane, ma quando tornavo da scuola, così a mia madre Eliza piaceva chiamarla, io e lei ci sedevamo insieme, sul tavolo un bicchiere di succo o di tè, freddo in estate e caldo d’inverno, e insieme, lavoravamo su una definizione alla volta. Era stato strano, ma nel tempo aveva continuato a piacermi, e ora, anche se da poco, avevo avuto occasione di riscoprire quel passatempo. Di due anni più grande, Sky a nove preferiva i puzzle e i libri di magia, e in silenzio, ora ripensavo anche a lei. Ero felice di aver fatto la conoscenza delle amichette di Lucy, un’elfa e una fatina a loro volta più che contente di conoscermi, ma contrariamente a loro, lei era mia sorella, e dovevo ammetterlo, c’erano giorni in cui non facevo che pensare a lei. Solo poche ore prima avevo avuto la sfortuna di rivedere ancora una volta Noah fra le braccia di Eden, e nonostante non avessi detto una parola, mantenendo il silenzio e il sangue freddo, sapevo che avrei potuto, e ora me ne pentivo. In totale onestà, neanche Christopher ne era a conoscenza, ed ero sicura di non poter tacere per sempre. Innervosita al solo pensiero, scossi ancora la testa, e in quell’istante, rieccola. Per l’ennesima volta, una replica di quel momento. Era assurdo. Ci pensavo e stavo male, e se le emozioni che provavo erano più vicine alla rabbia che alla sofferenza, non mi era certo difficile capire cosa provasse Sky. Dolore e collera, o molto probabilmente un misto di entrambi. Respirando a fondo, sperai di riuscire a calmarmi, e quando finalmente espirai per lunghissimi secondi, posai la tazza di ceramica ormai vuota e sporca sul tavolino del salotto. Poco importava il non avere un sottobicchiere a portata di mano, avrei pulito più tardi. “Chris, dobbiamo parlare.” Esordii, seria. “Sì? Cosa c’è?” azzardò lui, distraendosi finalmente da quello sciocco gioco fatto di logica e numeri. Di lì a poco, il silenzio cadde nella stanza permeandola come umida nebbia, e presto arrivò anche la tensione, tale da poter essere tagliata con un coltello. Più nervosa di prima, non attesi oltre, e stringendo i pugni così forte da conficcarmi le unghie nei palmi delle mani, andai dritta al punto. Avevo già aspettato troppo, continuare a farlo non avrebbe avuto alcun senso, e a giudicare da ciò che sentivo ogni volta che cercavo la scia magica di Sky, il suo dolore non faceva che aumentare con lo scorrere del tempo, così, decisa, ripresi la parola. “C’è che ho di nuovo visto Eden e Noah.” Confessai, sentendomi al contempo tesa come una corda di violino e leggera come una farfalla. Stentavo a crederci, ma era bastato un attimo, e seppur tremante di rabbia, mi sentii subito meglio. “Cosa? E dove?” non poté evitare di chiedere Christopher, allarmato. “Fuori, in mezzo alla neve mentre passeggiavamo. Tu giocavi con le pixie, e non te ne sei accorto, ma io sì.” Gli risposi, con la voce corrotta da una rabbia che ormai faticavo a contenere. Conoscevo Noah, ero certa che non provasse nulla per lui, ma allora perché non la lasciava? Io non ero Sky, al contrario ero me stessa, ma nonostante tutto capivo benissimo la gravità della sua situazione. La ragione del comportamento di Noah nei suoi confronti era ancora un’incognita per entrambe, e più ci pensavo, più sentivo il sangue ribollirmi nelle vene. Frustrata, strinsi ancora i pugni, e notandomi, Christopher si fece più vicino. Abbozzando un sorriso, accettai senza proteste l’abbraccio in cui mi strinse, e sentendomi al sicuro, per poco non piansi. Stoica, facevo di tutto per trattenermi, ma testarde quanto e forse perfino più di me in un momento come quello, alcune lacrime silenziose sfuggirono al mio controllo, rigandomi il viso senza che potessi far nulla per fermarle. Di lì a poco, mi scossi nei singhiozzi, e stringendomi ancora di più al mio Christopher, lo guardai con occhi velati di tristezza, così grande che fra un respiro e l’altro sentii la gola riarsa. Non avevo urlato, ma avrei tanto voluto, e a quanto sembrava, l’empatia non era poi un dono così positivo. Come poteva esserlo se mi permetteva di carpire alla perfezione le emozioni altrui a un livello tale da coinvolgermi? Confusa, mi ritrovai a scuotere la testa, e dopo un tempo che non riuscii a definire e che credetti infinito, la voce di Christopher fu l’unica in grado di distrarmi. Rimasto in disparte a giocare sul tappeto fino a quel momento, anche Cosmo reagì alla sua naturale preoccupazione per me, e abbassando lo sguardo e le orecchie, si avvicinò, nei suoi passi scomposti di cucciolo la stessa mestizia che scorgevo negli occhi del mio amato. “Sfogati, Kia.” In due parole, un desiderio mascherato da consiglio, che annuendo, non esitai a seguire. Lo amavo, lo amavo davvero, e sapere che per lui contassi tanto, che mi amava a sua volta, e che mi considerava una persona e non soltanto un incarico da portare a termine era una delle tante, tantissime cose che mi faceva battere il cuore ogni volta che lo guardavo. Lentamente, lo sentii decelerare, avvertii il mio respiro ricomporsi dopo essersi spezzato, e pur senza alzarmi dal divano, mi staccai da lui. “Grazie.” Soffiai al suo indirizzo, come sempre grata di tutto ciò che faceva per me. Silenzioso, lui si limitò ad annuire, e preoccupato, Cosmo mosse qualche altro passetto verso il divano, abbandonando i suoi giocattoli e piantandomi le zampe sulle ginocchia. “Provi anche tu a fare il protettore, vero, piccolo eroe?” gli dissi, sollevandolo quanto bastava per prenderlo in braccio. Felice a quella sola idea, il cagnetto mi lasciò fare, e in un attimo fu sulle mie ginocchia. Alla sua età era ormai grande abbastanza da occupare gran parte del divano soltanto sdraiandosi, e date le regole in casa non gli permettevamo di dormirci sopra, ma finché uno di noi due lo teneva in braccio, non c’erano problemi. Per tutta risposta, Cosmo gettò la testa all’indietro per un adorabile ululato, e divertita, risi. Seduto al mio fianco, Christopher gli fece una carezza sulla testa, poi tornò a guardarmi. “È quasi sera, che hai intenzione di fare, riguardo a...” chiese, abbassando la voce perché Cosmo, che distraevo permettendogli di mordicchiarmi le dita senza farmi alcun male, non ci sentisse. Non che sarebbe servito a molto dato il suo fine udito, c’era d’ammetterlo, ma nonostante questo speravo davvero che fosse così. Ascoltando Christopher senza parlare, notai che si guardò bene dal fare il nome di mia sorella, e chiusa in un silenzio tutto mio, indicai con lo sguardo la tazza di ceramica vuota. “Ti dispiace?” tentai, nella muta speranza di non disturbarlo. “No, aspetta.” Si limitò a rispondermi, alzandosi subito dal divano e portando con sé la tazza sporca. Rimasta sola, coccolai Cosmo per altri minuti, e dando uno sguardo alla finestra, mi resi conto di quanto tempo fosse passato. In realtà non molto, eravamo solo all’imbrunire, ma fu adocchiando anche il libro di magia della sua famiglia che ricordai qualcosa. “Fate, folletti e altre creature, generalmente spiriti buoni, vengono costantemente cambiati, segnati e formati dall’ambiente che li circonda, e lo stesso può accadere al loro vivere, reso in circostanze negative, infauste e sfavorevoli progressivamente più arduo. Sin dalla sua creazione e dall’ingresso in questo mondo, la creatura in questione è come destinata a creare dei legami con coloro che la circondano. Se accade, allora ha fortuna, ma questa scema quando e se si spezzano. Lentamente, in special modo per ciò che riguarda gli esseri leggiadri e alati, la luce dentro di loro si spegne, e dopo un ultimo respiro e un morente sfavillio, forse ultima richiesta d’aiuto o spasmo di vita, nient’altro da fare.” In poche righe, una delle lezioni più importanti che avessi mai imparato leggendo quelle pagine, e che ora temevo di vedere trasformata in realtà. Spaventata, aprii la bocca per parlare, ma non ne uscì alcun suono, e con il cuore in gola, mi imposi la calma. “Non succederà. Sky è forte, non succederà.” Mi ripetei nella mente, nel tentativo di ritrovare il coraggio che credevo di aver perso. Veloce, Cosmo non esitò a leccarmi una mano, e in un solo istante, la fredda sensazione della sua lingua sulla pelle mi riportò alla realtà. Fu questione di un attimo, come per istinto alzai gli occhi, poi lo rividi. Christopher. Sparito in cucina per occuparsi di ciò che gli avevo mutamente chiesto, era tornato, e a giudicare dal profumo che sentivo uscire dalla tazza ancora fumante, con una tisana. “Frutta e cannella?” chiesi, sorridendo appena. “Frutta e cannella.” Mi fece eco lui, imitandomi in quel sorriso. Felice, aspettai che tornasse a sedersi, e quando accadde, lo vidi cingermi un braccio attorno alle spalle. Lasciandolo fare, bevvi lentamente, e giunta l’ora di andare a letto, riportai i bambini nella nostra stanza, e assicurandomi che avessero cenato proprio come noi, mi sdraiai a letto con Christopher, sfiorando con dita delicate il disegno che da anni portava sulla pelle. Una rosa e una spada, simboli d’amore e protezione che a suo dire, io stessa lo avevo convinto a mostrare durante la nostra prima notte insieme. Sorpresa, non ero riuscita a crederci, ma poi, riponendo nelle sue mani tutta la mia fiducia, mi ero abbandonata a lui, lasciando che mi amasse con tutto sé stesso. Stanca, non mi sottrassi al nuovo abbraccio in cui mi strinse poco prima di dormire, mentre, rimasta sveglia ancora per qualche attimo affidavo un pensiero al nostro avvenire e una preghiera al cielo e al vento che intanto aveva iniziato a soffiare, sperando che Sky, la figlia dell’aria non si arrendesse, non ora che ero sicura potesse riprendersi, nonostante ovunque si voltasse non vedesse altro che fate, elfi e indecisioni.  
   
 
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