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Autore: cristallodilunapiena    21/05/2020    0 recensioni
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Katsuki distolse lo sguardo, per una qualche arcana ragione profondamente perturbato da tal vista, e questo finì col posarsi istintivamente su di una sagoma tondeggiante quanto verde, che ora pendeva pericolosamente sopra alla sua testa. L’agguantò, strappandola dal picciolo, facendo frusciar le foglie di quel che doveva essere indubbiamente un melo; salendoci, non se n’era reso conto. Se la rigirò fra i polpastrelli, quasi a volerne saggiare la consistenza, prima d’addentarla, mordendo e masticando svogliatamente nonostante il fresco sapore, un giusto equilibrio tra il dolciastro della polpa e l’acidulo del succo, gli stesse allietando le papille gustative; deliziosa.
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[Human!AU]
Genere: Fluff, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Izuku Midoriya, Katsuki Bakugou, Ochako Uraraka, Shouto Todoroki
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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[ Il tempo delle mele verdi ]

 

 

 

Il solito noioso, soleggiato pomeriggio primaverile portava con sé la solita, noiosissima routine.

La melodia, che risuonando contaminava l’aria della stanza immersa nella penombra, lo incoraggiò a premere quanto più bruscamente quei dannati bottoni gommati del telecomando. Sull’orlo di un esaurimento nervoso, il ragazzo si domandò se fosse chiedere troppo un programma, quantomeno, decente: si temeva, per caso, che gli spettatori sarebbero rimasti scandalizzati con un poco d’azione?
Avvertì quasi un conato assalirlo al pensiero che, da lì a qualche anno, tutti quanti i canali sarebbero potuti esser invasi e monopolizzati da  idioti pupazzetti colorati, intenti a ballare e cantare.
S’alzò dal divano, il quale lentamente si stava trasformando in ciò che cominciava molto più a considerare una sorta di propria cuccia, ed andò a spegnere il televisore con un gesto stizzito della mano. La stanza piombò in un silenzio assoluto, assordante, portandolo a maledirsi mentalmente per non aver avuto prima quella brillante idea. Tornò tra i cuscini della propria cuccia, gettandovisi a peso morto; ringhiò uno sbuffo, per poi voltarsi dalla parte opposta. Si persuase completamente all’abbandonarsi ad un pisolino ristoratore, dedicandosi così ad una delle attività che preferiva e che, tra le tante, meglio gli riuscivano: pronunciare quante meno parole possibili nell’arco di una giornata. 

Il che risultava estremamente semplice…

Raggiunta l’agognata soglia del dormiveglia, il trillo del campanello rimbombò fra tutte e quattro le mura della residenza e, qualcosa di non ben identificato, gli ordinò di muoversi; decise di obbedirvi senza contrastarlo. 

A meno che un assurdo nerd, disgraziatamente suo vicino di casa, non decidesse di saturargli il cranio di strani concetti, quali l’allegria, o la gioia, o l’amicizia, o la condivisione e via dicendo.
La porta s’aprì con un secco clanck. Ritrovandosi difronte ad un ampio quanto accentuato sorriso, ebbe la parvenza che un raggio di luce solare fosse filtrato dalla fessura spalancata, irradiando un poco l’ambiente circostante. 

Com’era quella storia secondo cui si parlava del diavolo e…?

<< Deku >> pronunciò quel nomignolo come se, il ragazzo in questione, invece c’aver costretto la propria persona ad alzarsi dalla sua cuccia, lo avesse trascinato a correre una maratona di ben sei ore consecutive: certamente non sarebbe rimasto impunito.
Scandagliò quello spettinato cespuglio di mirto che l’altro s’ostinava a definir capelli, le iridi smeraldine stracolme d’aspettative e la spruzzata di efelidi, sparpagliate qua e là sulle gote leggermente arrossate. La constatazione che, forse, la sua potesse considerarsi mera invidia nei confronti di chi era sempre in grado di rendere tutto positivo, speranzoso - tanto che il sol guardarlo metteva di buon umore, gli baluginò alla mente e, prontamente, la scacciò esibendosi in una smorfia alquanto disgustata. 

<< Kacchan! >> si fece largo quel tono spensierato, un po’ troppo simile a quello di un ingenuo bambino, assieme al possidente, all’interno della casa, senza attendere alcun consenso da parte del padrone.
Quel gesto lo infastidì a tal punto che il verso sprezzante emesso fuoriuscì dalle sue labbra autonomamente, accorgendosene a malapena, nel mentre pensava d’aver davanti il più grande sfacciato del pianeta. Neppure l’altro sembrò averlo udito; o, più probabilmente, finse di non avervi fatto alcun caso.

<< Che vuoi? >> sospirò irritato, poggiandosi allo stipite della porta. La calciò, poi, con fare seccato e, quando l’asse di legno sbatté rumorosamente nel richiudersi, notò Deku sobbalzare, ancor intento a dar le spalle a quest’ultima.

<< Sono venuto per chiederti una cosa… >> cominciò, titubante, dondolando ostentatamente il cestino in vimini per attirare su di esso l’attenzione dell’altro. Katsuki lo prese in esame un singolo momento prima di riportare repentinamente l’espressione truce sul proprio interlocutore, volta ad esortarlo nel continuare. << Beh, ecco… Dato che è una così bella giornata e che, molto probabilmente, non ne ricapiteranno altre prima dell’arrivo dell’estate- >>
<< Va’ al punto >> imperò perentorio, cercando di preservare quel minimo indispensabile di calma rimastogli in circolo: Deku sapeva quanto lui odiasse i giri di parole, sinonimo di un inutile blaterare. Fu però costretto ad ammettere con sé stesso che, assembrato ciò che gli era appena stato accennato e quanto mostratogli, i piani dell’altro divenivano inequivocabilmente intravedibili; ed un indecifrabile presentimento lo redarguì sul fatto che, quasi sicuramente, Deku l’avrebbe fatta franca nel persuaderlo a fargli fare ciò che desiderava.
<< Che ne dici di venire ad un picnic? >> esalò tutto d’un fiato, sollevando il cesto dinanzi al viso contratto. 

Katsuki inarcò un sopracciglio, storcendo la bocca, temendo d’aver capito male o che il ragazzo avesse sbagliato dimora o che, molto più semplicemente, avesse dato conferma del non starci con la testa. << Come? >> frecciò, attento che tutta quanta l’ironia trasudasse attraverso quel singolo, retorico quesito. L’osservò batter le ciglia, decisamente più volte del necessario, per poi arricciare il naso in un’espressione risentita, deluso. Era adorabile buffo quando si mortificava. 

<< Eddai! >>  cantilenò, trapanandogli i timpani in modo a dir poco insopportabile. << Ci divertiremo! Possiamo anche provare ad acchiappare i pesci nel laghetto! >> ripartì subito alla carica, quello, non dandosi per vinto. << Non puoi startene continuamente chiuso in casa, esci, >> prese a borbottare << altrimenti perderai quel tuo bel colorito e, pian piano, comincerai a far muffa, per non parlar poi di come le tue unghie si raggrinziranno e finiranno col mutare in un- >>
<< Okay, okay vengo! Ma, diamine, piantala di mugugnare, d’accordo?! >> lo interruppe, bloccandolo per evitare che il proprio cervello, con tanto di neuroni affaticati, fumasse per tal densa, forzata assimilazione d’informazioni. 

Lo vide dunque sorridergli entusiasta e, nuovamente, non poté fare a meno di paragonarlo ad un bimbo tremendamente contento.
Magari, si sarebbe veramente divertito.


****

 


Senz’ombra di dubbio, non si sarebbe per nulla divertito a quel fottuto picnic. 

L’immancabile presenza di “Faccia-tonda”, quella sottospecie di schizzofrenica di Uraraka, la quale non faceva altro che imbottire la testa al proprio “miglior amico” - e, di conseguenza, a lui - con shopping e ragazzi, shopping e ragazzi, ragazzi e shopping, senza tacer a riguardo neppur tirandogli il collo, contribuiva enormemente a render la sua giornata peggiore di quanto già non lo fosse. Quella ragazzina, spesso, diventava come uno di quei dischi che s’incantavano e non ritrovavano più la via di casa e lei, indiscutibilmente, la sua l’aveva persa già da un pezzo, oramai. Inoltre, come se ciò non fosse abbastanza di per sé, c’era pure quel bastardo di un Todoroki, il quale gli faceva saltar i nervi al sol doverlo guardare: in tempi remoti lo aveva addirittura preso a pugni, quel figlio di papà.
Infine, a coronare quella situazione di merda, il sole picchiava quasi a voler spaccar le pietre.
Katsuki si tastò il capo rovente, lamentandosene, sul punto di dar in escandescenza; Deku sorrise divertito. << Io te lo avevo detto di portarti un cappello >> rivangò il discorso fattogli poche ore prima, mentre raccattava l’essenziale, cosicché quel dannato nerd potesse stiparlo all’interno del proprio zainetto giallo. Gli ci erano voluti meno di cinque secondi netti perché smettesse di prendere in considerazione quel fiume di parole ed accorgimenti, finiti dovunque fuorché le sue orecchie.

<< Figurati, non gli farà male: chissà che qualche sinapsi si smuova e riprenda a reagire a dovere >>  s’intromise Ochako. E Katsuki registrò la sua voce come il suono esageratamente sgradevole di un fischietto. 

<< Tch! Tu invece stai attenta che non ti voli via, il cappello: sia mai che le tue ultime si brucino irreparabilmente >> ribatté a tono, rivolgendole un’occhiata fiammeggiante. 

<< Sei un maleducato! >> starnazzò offesa, quella.
<< E tu fastidiosa! >>

<< B-basta >> intervenì con tono tentennante Deku, frapponendosi però fra i due e senza risparmiarsi di scoccare uno sguardo di rimprovero ad Uraraka.
Katsuki fulminò con gli occhi un’ultima volta entrambi, prima d’allungare il passo e scostare malamente alcuni dei rami che intralciavano il suo marciare.
Stupida natura!

Izuku lo seguì di conseguenza, seminando ampiamente anch’egli i due, e cercando di stargli dietro come meglio poté. Raggiuntolo lo afferrò per il dorso di una mano, nel tentativo di farlo rallentare. L’altro la scostò prepotentemente, infilandosela in tasca assieme all’altra, e superò ancora una volta il ragazzo senza dedicargli alcuna attenzione.
Stupida natura e stupidissimo nerd!

<< Sei davvero intrattabile… >> mugugnò, qualche passo dietro Kacchan, intestardendosi col volerlo sorpassare a sua volta - o, per lo meno, affiancarglisi -, ma senza riportar successo. 

Katsuki, per contro, non gli avrebbe mai e poi mai permesso di snobbarlo a tal modo. << Ti ricordo che è stata tua la genialata    d’invitarmi! >> berciò ostico, per tutta risposta, ringalluzzito dal senso di fierezza che lo aveva pervaso a quelle sue stesse parole: era stato lui a cacciarlo in quel pasticcio di insetti e verdeggiante natura e sarebbe stato lui stesso a prendersene le responsabilità, senza alcuna via di scampo per cui potesse addossargli colpe. Colse dei borbottii incomprensibili e percepì quei passi che lo seguivano farsi ostentatamente strascicati, fin quando un tonfo sordo arrestò i suoi.
<< Ahi! >> gemette la vocina di Deku, impastata di dolore. Voltandosi di colpo, lo trovò sgraziatamente seduto a terra con un palmo poggiato sul ginocchio, dal quale fluiva, copioso, del liquido vermiglio. Lo sguardo di Katsuki, dapprima scocciato, passò prima sulla sua figura piagnucolante, poi ancora una volta scese sino alla ferita.
<< Da qua, fammi vedere! Ti fa male? >> s’accertò, accovacciandoglisi dinnanzi per controllare, seppur inesperto.
L’altro pigolò, tirando su di seguito rumorosamente col naso. << Che domande… >> bofonchiò, mantenendo però gli occhi bassi.

<< Fa silenzio e passami quel tuo stupido zaino >> comandò, secco. Vi frugò dentro, alla ricerca di un qualcosa con cui fasciarlo alla bell'e meglio: intravedere la chiazza scura espandersi, sporcando il tessuto, anche una volta coperta la lesione, lo fece adoperare per stringere con forza il nodo; non l’avrebbe ammesso neppure sotto tortura, tuttavia non poté impedire la morsa di preoccupazione che gli addentò lo stomaco, allarmandolo. << Ora, rimettitelo in spalla. >>

Deku gli rivolse un’occhiata un poco interdetta, annacquata dalle lacrime che s’erano accumulate a ridosso delle ciglia. Non emise comunque fiato, ubbidendogli mestamente nel sistemarsi gli spallacci. Nonostante si fosse arrendevolmente fidato di lui, evidentemente non s’era per nulla aspettato la mossa successiva, poiché sussultò quando Katsuki passò le braccia attorno alle sue cosce, sollevandolo e caricandoselo sulla schiena senza il benché minimo sforzo. L’altro allungò incerto le mani, aggrappandosi cautamente al suo petto e il ragazzo si chiese se, per caso, non stesse addirittura tremando appena. 

<< Sei comodo? >> sbuffò, nell’avvertir quasi le iridi di Deku rimestare fra le ciocche dei propri capelli. Si sarebbe dovuto ricordar d’annotarsi, da qualche parte, quella data come “il Gentil giorno”, dandosi mentalmente del cretino mentre meditava sulla faccenda nella quale l’aveva ficcato quel dannatissimo nerd di merda. Possibile fosse diventato così orribilmente quanto disgustosamente smielato - premuroso? Oppure, che fosse proprio lui a fargli quell’effetto…?

Per tutta risposta, l’altro si limitò ad approfondire quel contatto, allacciandosi a lui con maggior sicurezza; poggiò, inoltre, il capo sulla sua spalla e, in una carezza impercettibile, il nasò finì con lo strusciare delicatamente contro il suo orecchio. Ciò gli provocò un brivido impietoso. << Grazie mille, Kacchan >> soffiò Deku, con rinnovato entusiasmo, contento come - Katsuki non riuscì a trattenersi dal ripetere il paragone - lo sciocco bambino qual era.
Ignorandolo completamente, il ragazzo s’avviò dunque lungo il sentiero, celando abilmente quell’involontario ghigno compiaciuto - soddisfatto che s’era, inesorabile, impossessato delle proprie labbra. 

 



****

 

 

Katsuki persisteva col fissare quel prato verde, tremendamente infastidito dalla ramanzina sciorinatagli da quella seccatura di Ochako: stava decisamente appioppandogli fin troppe storie - come fosse stato a causa sua se Deku era così goffo da esser finito col rovinare pateticamente al suolo. E lui che s’era, anzi, piegato a fargli la gentil cortesia di trasportarlo in groppa fin lì!

<< Hai finito? >> sbadigliò, tra l’annoiato e l’irritato.
<< Ah, un’altra cosa: vedi di non scocciar troppo, chiaro? >> terminò, l’altra, scivolando con una mano lungo un fianco e puntandogli un dito contro.
Un dito contro. Il ragazzo, per un istante, credette che le pupille, due capocchie di spillo a malapena, si fossero assottigliate tanto da venir inghiottite dall’iride - motivo per cui ci vedeva rosso: << Ma che diavolo vuoi, da me?! Chi ti credi di essere, huh!? >> masticò con furia, spendendosi nel reprimere l’istinto di saltarle alla gola e staccarglielo a morsi, quel dannato dito.
Le labbra arricciate dalla disapprovazione, Uraraka si voltò sventolando il caschetto moro e se ne tornò dall’amico, per sincerarsi delle sue condizioni, lasciando sbollire Bakugō a tanto così perché gli insorgesse un tic nervoso all’occhio e le orecchie prendessero a fumargli.

Poco dopo, Deku lo raggiunse zoppicando; le mani occupate dal cestino in vimini, arrancava in tutti i modi immaginabili per tenersi correttamente in piedi, sforzando incredibilmente la gamba fasciata. Assicurando il carico alla stabilità del suolo, la punta della lingua sbucava fuori da uno degli angoli della bocca, Katsuki ebbe l’impressione che fosse estremamente concentrato nel non rovesciare nulla di ciò che conteneva il cesto: gli sfuggì uno sghignazzo divertito, nell’osservare quanto potesse esser strambo quel nerd.
<< Eccomi! >> ridacchiò, un suono capace di cariargli i denti, tuffandosi fra gli steli d’erba umida e profumata. Si sistemò, poi, supino, spalancando le braccia mentre si perdeva nel rimirare l’azzurro del cielo, sfumato da nuvole che mutavano forma a seconda delle sporadiche folate di brezza.  Bakugō non disse niente, senza risparmiarsi però di squadrarlo malamente. 

<< Secondo te Kacchan, cosa fanno le nuvole quando il cielo è limpido? Credi che si annoino? >> gli domandò, l’altro. E Katsuki classificò quel quesito come il più idiota che mai, nella vita, gli fosse stato rivolto. Che razza di stranezze andava a pensare? 

<< Tch, che stronzata! >> gracchiò, voltandosi dalla parte opposta. 

<< Dai, stavo scherzando >> rise nuovamente; una risata che riecheggiò cristallina, contagiosa: a forza di fargliela sentire gli avrebbe fatto venir mal di pancia, o la nausea, e Bakugō proprio non si spiegava che diamine Deku avesse sempre da ridere per ogni, minima cosa - non c’avesse intenzione di perdere tempo riflettendovi su, comunque.
<< Sono venuto per chiederti s’avessi fame… >> riprese, sistemandosi a sedere. Katsuki lo sbirciò con la coda dell’occhio, seguendo i suoi movimenti nel mentre tirava fuori dal cestino due mele verdi, che prese a sbucciare con cura, prima di tagliarle a spicchi ed infilzarli con degli spiedini di legno. Infine, glieli porse assieme ad una lattina di gazzosa alla menta, sporgendosi un poco verso di lui: << Buon  appetito! >> esclamò, sorridendogli ampiamente. 

L’altro rifiutò con un gesto della mano, scansandoli brutalmente da vicino sé. << Non mi piacciono le mele >> sputò, poi.
Lo vide ritrarsi, con espressione dispiaciuta ad imbrattargli il volto; tuttavia, fu questione di qualche secondo perché scosse appena, lateralmente il capo. << Sono certo che queste ti piaceranno: anch’io, inizialmente, faticavo ad ingoiarle, ma quando ho assaggiato le mele verdi ho subito cambiato opinione… Todoroki ed Uraraka, invece, preferiscono nettamente quelle rosse >> cinguettò, riproponendogli la frutta pulita apposta per lui.
<< Deku, cazzo! Mi fanno schifo le mele! >> ribadì secco, Katsuki, alzandosi di botto. Non che di norma non lo fosse ma, tutta quella natura gli stava dando proprio sui nervi, rendendolo praticamente riottoso il doppio rispetto al solito.
Agile quanto un animale selvatico, s’inerpicò su un albero non molto distante, appollaiandosi su una delle voluminose branche principali. Dal di lì, lo guardò studiarlo innocentemente, una scintilla d’amarezza a solcargli le iridi smeraldine, in quel suo peculiar modo da quando erano dei marmocchi e Katsuki gli faceva un dispetto; un qualcosa che lo mandava fuori di testa.
Poi, Deku si girò per rivolgergli la schiena, cominciando a sgranocchiare il più piano possibile quello che doveva essere il suo spiedino.
 

 

 

****

 


Senza rendersi conto del tempo che passava, era rimasto a contemplare il cielo e l’interrogativo di Deku aveva traversato la sua mente, facendo capolino insidioso, tuttavia l’aveva scacciato pensando a quanto potesse esser sciocco e, trascorse due ore circa, decise di scendere da quel ramo che gli aveva tenuto compagnia per la maggior parte del pomeriggio. Non poté far a meno d’indugiare, però, sulla figura beatamente dormiente dell’altro: adagiato su di un fianco, le lunghe ciglia, le lucide labbra dischiuse, il petto che gli s’alzava e ribassava ad un ritmo regolare e le mani dalle dita ripiegate verso l’interno, portate sotto al mento. Probabilmente, sfinito dalla cospicua quantità di sangue perduta, era crollato, risultando adesso candido come un bambino nel mentre riposava. 

Katsuki distolse lo sguardo, per una qualche arcana ragione profondamente perturbato da tal vista, e questo finì col posarsi istintivamente su di una sagoma tondeggiante quanto verde, che ora pendeva pericolosamente sopra alla sua testa. L’agguantò, strappandola dal picciolo, facendo frusciar le foglie di quel che doveva essere indubbiamente un melo; salendoci, non se n’era reso conto. Se la rigirò fra i polpastrelli, quasi a volerne saggiare la consistenza, prima d’addentarla, mordendo e masticando svogliatamente nonostante il fresco sapore, un giusto equilibrio tra il dolciastro della polpa e l’acidulo del succo, gli stesse allietando le papille gustative; deliziosa. 

<< Ma non avevi detto che, le mele, ti facevano schifo? >> lo riscosse, una voce atona. Todoroki, un palmo poggiato contro al ruvido tronco, lo scrutava dal basso apparentemente inespressivo. Bakugō percorse la corteccia lisa con gli occhi fiammanti, scendendo con questi a dardeggiarlo eloquentemente. Le iridi carminio, pullulanti d’ira, non intercettarono però quelle bicromiche dell’altro, bensì l’occhiata assorta che stavano rivolgendo a Deku, come incantatesi dinnanzi al suo essersi placidamente addormentato. E Katsuki, a dispetto del ribrezzo provato per quel tipo viziato, cresciuto nell’oro, sentì un’irrazionale, un’inappellabile moto d’urgenza che l’obbligò a rispondergli: << In effetti… >> ammiccò con nonchalance, lasciando dondolare una delle due gambe sospesa in aria, attirando così l’attenzione di quel “Bastardo a metà” << Io odio le mele…rosse; però non ho mai disprezzato quelle verdi. >>

 

 

 

 

 

****

Non posso credere d’averlo fatto, non posso credere d’averlo fatto, non posso credere d’averlo fatto - Non.Posso.Credere.D’averlo.Fatto!
(Ecco, immaginatevi che lo ripeta “stile Rapunzel”, durante la scena del film.)

Mi è ancora del tutto sconosciuto il luogo da cui sia sopraggiunto il coraggio necessario a farmi pubblicare una delle piccolezze da me scritte, soprattutto dopo aver letto su questo fandom storie a dir poco meravigliose: so perfettamente di non scrivere affatto bene, ma è una delle poche attività che letteralmente adoro e che perpetuo nella pratica un po’ a tempo perso. E, complice sicuramente il fatto che nessuna delle mie amiche abbia interesse per questo genere di cose, patologicamente timida come mi ritrovo, non ho potuto fangirlare in nessun altro modo: essendo andata in fissa totale con MHA, da Natale circa, e con questa ship - amore a prima vista, tanto da diventare una delle mie OTP assolute, nonché pezzo di cuore - ho iniziato a buttar giù come in preda a spasmi mentali; per il momento, la mia cartella conta due drabble, due one shot (questa è una) ed una long che, però, è in alto mare.
Beh, visto che, oramai, il danno è fatto (e siccome non interesserà a nessuno la mia desolazione nell’andare in brodo di giuggiole per questi due assieme) mi sembrava doveroso anche specificare qualcosina riguardo questa storia…
Innanzitutto, ho messo l’avvertimento “OOC”, soprattutto per quanto riguarda Bakugō. Tuttavia, ho ragionato così: dato che siamo in un “HumanAU”, ho supposto che senza tutta la faccenda dei quirk e del voler diventare l’eroe numero uno, il nostro Kacchan preservasse, sì, un caratteracio, ma che potesse essere un po’ meno… smanioso, ecco. Insomma, la mia idea era quella di rappresentarlo come quel bambino semplicemente un poco arrogante che, secondo me, doveva esser prima che la sua singolarità facesse la propria comparsa e che Izuku se ne riscoprisse privo; alias, la loro “amicizia”, penso allora, sarebbe perdurata, seppur comprendente tutte le dinamiche tipiche per uno come Katsuki: sì alle scenate dettate dagli scatti d’ira ma senza quel bisogno di odiare Deku, a causa del malcelato complesso d’inferiorità. Così, il trapelare di altri sentimenti (e comportamenti) dovrebbe tornare più “accettabile”.
Spero di esser stata chiara, nell’esporre il mio ragionamento ma, prima di sciorinare un’analisi psicologica del personaggio degna di una tesi universitaria (che mi son fatta in privato), concludo qui incrociando le dita - e pregando in ginocchio perché un cuore buono mi faccia sapere se possa realmente risultare credibile/possibile come congettura.
Passando poi ad Ochako, io non la odio - anzi, come personaggio l’apprezzo davvero tanto. La maniera in cui l’ho descritta si rifà solamente ad un ipotetico punto di vista di Katsuki; mentre, per quanto concerne le poche cose che lei gli dice, ce la vedevo benissimo nel giocare la parte della migliore amica iperprotettiva nei confronti di Midoriya e, data pure l’assenza di rischio che la testa le venisse fatta esplodere, mi pareva naturale renderla con ancor meno peli sulla lingua di quanto già non sia.
Infine, non soffermandomi sulla banalità del titolo, avverto pure che non l’ho riletta prima di pubblicarla (perché altrimenti col cappero c’avrebbe visto la luce) e che, perciò, chiunque voglia farmi notare qualsivoglia errore - o anche solo passare per dar di matto assieme sulla Bakudeku o su BNHA in generale -, automaticamente avrà l’incondizionata gratitudine della sottoscritta.
Anche se, a dire il vero, credo d’aver digitato questa “breve” nota per, sì e no, quattro anime - se, poi, ce ne saranno mai così tante a leggere questa mia one-shot…
Non so se riuscirò più a pubblicare qualcun’altra delle mie “produzioni”, poiché la mia “autostima” è maestra nell’impedirmelo, e dato che la “nota” in questione sta divenendo più corposa della storia stessa, ad audacia esaurita, concludo qui: torno, strisciando, a nascondermi nuovamente nei meandri bui del fandom, in attesa di leggere altre vostre bellissime storie. 

Un saluto,
V.

  
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