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Autore: Hiraedd    21/05/2020    7 recensioni
A volte capita che il Capitano Grifondoro si ritrovi tra le mani uno strano enigma chiamato Dorcas Meadowes, che in sei anni gli ha rivolto la parola tre volte al massimo, tutte nel giro dell’ultima settimana.
Può anche capitare che un Serpeverde solitario e innocuo inciampi in una maschera che non nasconde solo un volto, ma un mondo intero. Perchè Benjamin odia Caradoc Dearborn, sia chiaro, e quegli occhi dorati non gli fanno alcun effetto. Forse.
Oppure può succedere che il Caposcuola sia innamorato da anni della sorellina del proprio migliore amico, che ha perso la testa per un Auror di stanza in Polonia, e abbia una fottuta paura che Edgar lo scopra e lo torturi perché no, quelli che fa verso Amelia sono tutto fuorché casti pensieri d’amicizia.
Per fortuna, però, che c’è Hestia Jones, deputato diario segreto degli studenti del settimo anno, che tutto osserva nonostante, a conti fatti, non distolga nemmeno per un secondo lo sguardo dal suo adorato fidanzato, il Prefetto Sturgis Podmore.
*
Siamo ad Hogwarts, è l’autunno 1969 e la guerra è già più vicina di quanto non sembri.
*
Altri personaggi: Gideon Prewett, Kingsley Shacklebolt, Sturgis Podmore, Amelia e Edgar Bones.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Benjy Fenwick, Caradoc Dearborn, Dorcas Meadowes, Fabian Prewett, Hestia Jones
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'oltre il fuoco comincia l'amore'
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NOTE:
chi passa ancora per queste lande desolate?
Non posso credere di aver finalmente trovato il modo di aggiungere qualcosa a questa storia. È passato così tanto tempo.
Non so se c’è ancora qualcuno interessato alle avventure di questo manipolo di personaggi veramente poco conosciuti e considerati, ma in caso ci fosse, questo nuovo capitolo (e quelli che verranno) sono tutti vostri.
In questi anni ho pensato spessissimo a questa storia, e questi personaggi sono diventati un po’ i miei amici immaginari, quindi tornare a scrivere per loro sembra un po’ un ritorno a casa tanto atteso. Ho sempre pensato che non avrei mai voluto lasciare incompiuta questa storia, e ora eccomi qua ad aggiornare! In questi anni, qualche persona si è fatta sentire, tramite messaggi vari, ed è soprattutto queste persone che vorrei ringraziare perché mi hanno fatto capire che forse questi personaggi non sono poi solo i miei amici immaginari. Per essere sicura di continuare a pubblicare (non ho la più pallida idea della cadenza che terrò nella pubblicazione, questo capitolo l’ho scritto in qualche giorno, quelli futuri onestamente non so) ho deciso di fare una cosa: prima di pubblicare il capitolo starò attenta di essere arrivata a scrivere completamente almeno la prima metà del capitolo successivo, così da avere la sicurezza di avere già qualcosa di pronto dopo e da tenere avvisate le persone che vorranno continuare con la lettura.
Ovviamente ho deciso di rimettermi a scrivere proprio alla fine della quarantena, ora riinizio a lavorare e contemporaneamente a scrivere la tesi (ora sto solo scrivendo la tesi), quindi non so esattamente quali saranno i miei ritmi.
Un paio di precisazioni sulla storia:
-questa storia è iniziata una vita fa e sono anni che mi immagino come possa essere andata a finire senza quasi rileggere quello che avevo scritto nel passato: morale della favola, non mi ricordo esattamente tutti i dettagli che avevo menzionato quindi potrebbero esserci delle discordanze. Non me ne vogliate se prima Dorcas non seguiva erbologia e adesso invece la segue (non lo so, faccio un esempio, sono proprio i dettagli che non mi ricordo). Se ne notate, fatemeli pure notare ma, vi prego, non prendetela troppo sul personale.
-un paio di persone mi hanno chiesto più volte di scrivere loro, giusto per non lasciare in sospeso tutto in caso non si finisse con la scrittura della storia, il finale che avevo immaginato. Non sono troppo d’accordo a farlo ma ho pensato fosse giusto chiedere a chi – se qualcuno è rimasto – fosse affezionato a questa storia. Chi vuole sapere all’incirca come si svolge la storia mi scriva, posso inviare lo specchietto dei personaggi con le storie singole che mi ero scritta tipo traccia e delle altre storie collegate che avevo e in parte mi piacerebbe ancora scrivere!
 
A voi, buona lettura!





 
CAPITOLO 20
 
 
 
 
 
 
 
 
<< Se dovessi decidere così su due piedi, dove ti piacerebbe andare? >>.
 
Amelia sembrava aver preso i compiti di Babbanologia molto sul serio: era seduta a metà del lungo tavolo di Tassorosso, in Sala Grande, e aveva diversi tomi accanto distribuiti strategicamente così da fermare, disteso sul tavolo, un vecchio planisfero ingiallito. Accanto alla cartina, in una scatolina di legno aperta, stavano diverse bandierine rosse e verdi attaccate a piccoli spilli appuntiti.
 
<< Quei libri li hai presi in biblioteca? >> chiese Benji ignorando la domanda iniziale e fissando la propria attenzione sui grandi tomi. Alcuni erano vecchi, altri più nuovi, nessuno aveva un aspetto particolarmente invitante.
 
<< E dove, altrimenti? >> rispose a tono la ragazza. Poi, arricciando le labbra un po’ scocciata, chiese di nuovo: <>.
 
<< India >>.
 
Nonostante il sangue che gli scorreva nelle vene, Benjamin Fenwick non amava davvero viaggiare. Del viaggio, fin dalla nascita, aveva conosciuto proprio tutto: suo padre, Edward Fenwick, lavorava da sempre nel mondo della medimagia e botanica, esperto di piante tropicali e pozionista di grande fama. Da giovane scapolo aveva passato anni in giro per il mondo, immerso in foreste pluviali e giungle sconosciute, alla ricerca dei più strani ingredienti per pozioni che potesse trovare e introdurre nel mercato occidentale. Aveva conosciuto Celestia, l’amore della sua vita, proprio in uno di questi viaggi, quando, particolarmente intrigato dalle foreste di mangrovie del luogo, si era fermato per quattro mesi nelle Isole Aru in Papuasia. Celestia era allora una giovane ricercatrice di archivistica magica, impegnata in un giro per le comunità magiche più importanti attorno al mondo con l’intenzione di studiare i sistemi di catalogazione di informazioni più importanti esistenti. L’idea del viaggio non aveva mai davvero abbandonato la loro mente e anche con due bambini piccoli, probabilmente unica famiglia del genere nella costellazione di pompose famiglie purosangue inglesi a cui appartenevano, Celestia e Edward avevano continuato a viaggiare il più possibile: in fondo, Jodie – antropologa extraordinarie – da qualche parte doveva pure essere uscita. Benjy era l’unico, nella loro piccola e atipica famiglia, a non afferrare del tutto quell’ossessione per essere in movimento il più possibile. Lui amava la sua bella, calda casa a Holyhead, in Galles.
 
Amelia, affacciata sulla vecchia mappa, mosse uno dei tomi per liberare l’Asia e osservare per bene l’India.
 
<< Non ci sono mai stata >> sentenziò infine, un po’ titubante.
 
<< Dove sei stata, allora? Se preferisci, possiamo… >>
 
<< Non sono mai uscita dalla Gran Bretagna >> scosse la testa divertita << Dubito che una ricerca di come arrivare da Londra a Birmingham sia esattamente quello che la Professoressa vorrebbe vedere >>.
 
Sorridendo, Benjamin posò la borsa sulla panca e si sporse sulla mappa.
 
<< Dove hai trovato questo planisfero? >> domandò sopprimendo una risata divertita << è così vecchio che è ancora indicato l’Impero Ottomano… guarda, Istanbul si chiama ancora Costantinopoli >>.
 
Amelia lo guardò di sottecchi come a chiedergli se fosse serio.
 
<< Il mondo è fatto sempre allo stesso modo, no? Sempre tondo uguale >> lo rimbrottò alla fine << E comunque, se vuoi andare in India il problema di Costantinopoli non ci riguarda >>.
 
Con fare critico, Benjamin prese le bandierine.
 
<< Come diamine sei riuscita a convincere la bibliotecaria a prestarti una mappa così vecchia quando hai intenzione di bucherellarla ovunque piantandoci queste bandierine? >>.
 
Amelia alzò gli occhi al cielo con fare innocente.
 
<< La bibliotecaria potrebbe non essere al corrente delle nostre intenzioni >> sentenziò alla fine, gesticolando con la mano destra come ad indicargli di lasciar perdere la questione.
 
Sopprimendo una seconda risata, Benjy rivolse lo sguardo al planisfero. Nel corso degli ultimi tempi la ragazza era salita nella sua scala personale di apprezzamento fino a guadagnarsi un posto sul podio. Il primo posto, ovviamente, era riservato a Dorcas e, per il resto… beh, non è che Amelia avesse uno stuolo di rivali con cui contendersi il titolo: fra tutta la gente che frequentava Hogwarts, Benjamin poteva contare le sue amicizie sulle dita di una mano sola, e certamente gli sarebbero avanzate anche un paio di dita.
 
<< Quindi >> sentenziò Amelia alla fine di un breve silenzio, sfregandosi le mani con fare volenteroso << Andremo in India >>.
 
 
*
 
 
Alla fine della fiera, andare in India organizzando il viaggio esclusivamente alla babbana non era così semplice, a quanto sembrava.
 
Specialmente per due giovani maghi appartenenti a famiglie purosangue che usavano la bacchetta anche per soffiarsi il naso.
 
<< Come si prenota un biglietto aereo alla babbana? >> sbuffò irritata Amelia sbattendo un tomo a caso sul tavolo, in preda alla frustrazione.
 
Accanto a lei, Benjamin alzò lo sguardo scanzonato.
 
<< Se fosse facile non sarebbe un lavoro da fare a coppie >> la prese in giro bonariamente << Credo che questo sia proprio lo scopo del compito >>.
 
Amelia lo fissò spazientita.
 
<< Non mi serve sentire le tue spiegazioni razionali! >> si lamentò ancora esasperata << Caro Fenwick, so che non mi conosci ancora bene ma quando mi lamento in questo modo non è certo per essere rabbonita. È per essere… >>
 
<< …compatita, ovviamente >> concluse Benjamin con un sorrisetto.
 
Amelia Bones non sapeva se ad assegnarle come compagno di studi di Babbanologia Benjamin Fenwick fosse stato il caso o Merlino in persona, fatto sta che ci si trovava decisamente bene.
 
Non c’era nessuno, nel suo circolo di conoscenze, che potesse essere paragonato al Serpeverde: Benjy aveva un tipo di umorismo tutto suo, e un modo di ascoltare che – se inizialmente poteva sembrare un po’ inquietante – era tutto particolare. Normalmente minimamente affetto dalla compagnia degli altri, anche semplicemente attirare la sua attenzione poteva essere definito un traguardo importante. Una volta superato l’esame attento, e per l’appunto un po’ inquietante, di quegli occhi scuri e vigili, la strada era però tutta in discesa.
 
<< Credo, comunque, che questi libri siano troppo datati per poter essere affidabili >> sentenziò infine il Serpeverde aprendo uno dei tomi più nuovi sul tavolo e sfogliandone le prime pagine.
 
<< In che senso? >>.
 
Benjamin indicò la data di stampa sul fondo di una pagina ingiallita. Era datato 1857.
 
<< Dorcas dice che le scoperte nel mondo babbano hanno un ritmo diverso da quello magico, per quello che ne sappiamo i modi di viaggiare potrebbero essere cambiati molto negli ultimi cento anni. Dovremmo chiedere a qualche nato babbano per sapere esattamente come funziona, non credo che in questo caso i libri della biblioteca ci aiuteranno molto >>.
 
Amelia lo guardò con uno sguardo eccitato.
 
<< Potremmo fare un giro di interviste a tutti i nati babbani della scuola! >>.
 
Benjamin arricciò le labbra maledicendosi per aver contribuito a far nascere un’idea dai risvolti potenzialmente catastrofici: lui non era conosciuto in giro come un gran chiacchierone.
 
<< Sai che da quando sono in questa scuola avrò parlato al massimo con quindici persone in tutto, vero? >> tentò di smorzarla debolmente.
 
<< Il che ti rende il candidato perfetto per questo genere di iniziativa >> rincarò Amelia con un sorriso entusiasta, partita ormai per la tangente << Vedrai, ci divertiremo un sacco. Dunque, come si procede in questo caso? Tua sorella è un’antropologa, sicuramente ci potrebbe dare dei consigli utili! >>.
 
Consapevole di non poter vincere la battaglia, il Serpeverde diede in un sospiro rassegnato.
 
<< Passami quella pergamena, dobbiamo scriverle adesso così che ci possa rispondere in tempo utile >>.
 
 
 
*
 
 
Le giornate frizzanti dell’ultimo periodo, che si presentavano con il cielo terso e la brezza fredda, erano quelle che Caradoc preferiva. L’inverno era ormai talmente vicino da poter essere afferrato, e si manifestava negli alberi ormai completamente spogli e nel profumo di gelo nell’aria.
 
Aveva accompagnato Edgar fino alle serre di Erbologia, dove il Tassorosso era atteso per un colloquio individuale, e nel tornare indietro aveva deciso di allungare il percorso fino alle rive del Lago Nero. Era all’incirca l’ora in cui la squadra di Corvonero rientrava alla fine dell’allenamento, e non aveva davvero voglia di ritrovarsi davanti tutti i suoi amici con scopa alla mano.
 
Raggiunta la linea della riva trovò un grosso masso e si sedette.
 
Nei sette anni spesi in quella scuola aveva avuto modo di spendere diverso tempo sulla riva del lago e, in una scuola caotica come Hogwarts, ritagliarsi posti da gustarsi da soli era una delle prerogative necessarie a sopravvivere al meglio: lo aveva scoperto proprio all’inizio, quando l’unica persona che sentiva di poter definire amica era Hestia mentre, ancora, Sturgis passava tutto il suo tempo insieme a Max McKinnon.
 
Sospirando ripensò a quanto solo si fosse sentito in quei giorni, vedendo tutti gli altri intorno a sé funzionare nella propria vita senza problemi e chiedendosi cosa invece ci fosse di sbagliato in lui. Era passato un sacco di tempo, e per anni le cose erano state diverse. Si poteva perfino dire fossero andate bene. Come era, allora, che si ritrovava al punto di partenza quando era così vicino alla fine di quei sette anni?
 
All’improvviso aver trovato un momento per rimanere da solo non gli pareva più un’idea così rassicurante: era nella sua solitudine che si annidavano le ombre, le incertezze. L’ansia era negli scarni rami senza più foglie degli alberi ai confini con la foresta proibita, ad appena qualche metro da lui, nelle piccole onde del lago e nel loro quieto mormorio; l’angoscia era nel cielo troppo azzurro che si stagliava dietro alle scure colline scozzesi, nella brezza fredda che soffiava e negli insetti che si muovevano negli scarni arbusti. In momenti come quelli, quando forse le maschere che indossava normalmente potevano essergli più di aiuto, mancava la forza per allontanare i pensieri che meno gli piacevano.
 
Rimase seduto in silenzio per quelle che parvero ore, combattendo contro la propria mente mentre attorno tutto assisteva placidamente. Quando succedeva così, lui ci provava a non lasciarsi prendere dallo sconforto: conscio di cosa sarebbe successo, cercava di afferrare con forza quei pensieri che, più facilmente, avevano la forza di farlo restare a galla. Eppure, quando la sua mente funzionava in quel modo, sembrava non importare davvero a cosa si aggrappasse: anche quei pensieri che normalmente trovava luminosi si tingevano di scuro e, in poco tempo, venivano risucchiati nell’oscurità. Come una catena.
 
Pensò al Quidditch, a come per anni era stato sentirsi parte di qualcosa di più grande e alla sensazione di completezza che provava a cavallo di una scopa: era stato talmente bravo da arrivare al vertice della squadra, e forse poteva sembrare una cosa da nulla ma immaginò a quanto sarebbe stato felice quel piccolo ragazzino di undici anni – troppo timido perfino per fare amicizia con i suoi compagni di dormitorio – nel sapere che sarebbe diventato la punta di diamante della squadra. Poi però si ricordò che, no, non era più capitano della squadra. Aveva ceduto ai rimbrotti di suo padre e aveva litigato con il suo migliore amico. Se all’inizio Sturgis aveva reagito male alle sue dimissioni da capitano della squadra, anche quando il litigio era finito e la situazione sembrava essere tornata quella di prima una sorta di gelo permaneva: forse il loro allontanamento era dovuto al fatto che ora che lui non faceva più parte della squadra, il tempo che prima passava insieme a Sturgis era di fatto quasi dimezzato. O, più probabilmente, le cose non erano davvero tornate come erano prima, e davvero tra lui e Podmore c’era un gelo inaspettato che aveva paralizzato tutto, da un lato vergogna e dall’altro una velata accusa. Quindi, ricapitolando, niente Quidditch, suo padre aveva rimesso mano nella sua vita e nelle sue decisioni e Sturgis gli teneva il broncio. Almeno gli altri non avevano dato segno di accorgersi di nulla di strano.
 
Tranne Hestia, pensò chinando la testa per appoggiare una guancia sulle ginocchia rannicchiate al petto.
 
Hestia si era accorta che qualcosa non andava. Dopo l’ultima conversazione che avevano avuto in Sala Comune Caradoc si sentiva tenuto d’occhio. Ed era stato lui, con le sue mezze frasi smozzicate, a metterla in allarme.
 
Un rumore lo distolse da quel vortice di pensieri, facendolo sobbalzare.
 
<< Caradoc >>.
 
Dorcas Meadows, mantello allacciato stretto e guanti azzurri a proteggerla dall’aria fredda, era a qualche passo di distanza, un sorriso accennato sulle labbra.
 
<< Dorcas >> ricambiò il ragazzo.
 
La guardò arrivare fino alla riva del lago e poi voltarsi incuriosita verso di lui. 
 
<< Stavi aspettando qualcuno? >> chiese alla fine, come intimorita di averlo disturbato.
 
<< No, stavo solo cercando di evitare Sturgis >> rispose Caradoc francamente, dando in un sospiro lento.
 
Se la franchezza del ragazzo l’aveva sorpresa, Dorcas fece attenzione a non mostrarne segni in volto. Invece di chiedere spiegazioni, arretrò dalla riva fino ad arrivare a poco meno di due passi dal compagno di scuola, mosse con un piede un sasso piatto grande un paio di palmi e ci si sedette sopra.
 
<< Tu per quale motivo invece non sei a cena? >> chiese incuriosito il ragazzo dopo qualche minuto di silenzio.
 
Nel tempo passato in riva al lago non se ne era accorto ma ormai stava scendendo la sera, e il lungo tramonto scozzese ne era la prova. In una mezz’ora sarebbe stato troppo buio per continuare a stare fuori.
 
<< Ho passato il pomeriggio a studiare con Hestia e più tardi abbiamo raggiunto Benjamin e Amelia in Sala Grande >> rispose la ragazza continuando ad osservare il lago. Poi aggiunse, dando in un sorriso divertito: << Avevo davvero bisogno di un po’ di silenzio >>.
 
Caradoc sbuffò una risata accennata.
 
<< Mi dispiace rovinarti i piani >>.
 
Dorcas scosse la testa.
 
<< Va bene così >>.
 
Forse aveva dell’incredibile che, nonostante una manciata di minuti prima Caradoc Dearborn si fosse trovato sulla soglia di un attacco d’ansia, in quell’esatto momento si sentisse invece tranquillo e rilassato.
 
Forse Dorcas aveva ragione, si disse. Forse, in fin dei conti, andava davvero bene così.
 
 
*
 
 
Dorcas Meadowes era sicura di aver interrotto qualcosa con il suo arrivo inaspettato, ma non era sicura che Caradoc ne fosse risentito. Sembrava preso nei propri pensieri, il volto inespressivo rivolto verso il lago e gli occhi chiari e grandi che seguivano con sguardo distratto il profilo della riva.
 
Quello in cui erano immersi non era un silenzio imbarazzato, e questo era una sorpresa. L’unica persona con cui fosse mai riuscita davvero a godersi un silenzio era Benjy, e Caradoc Dearborn era la persona più diversa da Benjy Fenwick che Dorcas avesse probabilmente mai conosciuto. Eppure il silenzio era dello stesso tipo: confortevole, in qualche modo. Era la consapevolezza di non dover riempire ogni secondo di parole vuote.
 
Stettero seduti sulla riva del lago fino a quando la luce del pallido sole invernale ormai oltre le montagne non iniziò a scemare del tutto. Ad un certo punto, quando l’oscurità rese difficile distinguere la riva opposta del lago, Caradoc si alzò e si sistemò il mantello. Poi si voltò verso di lei, le tese una mano e le fece un sorriso rilassato.
 
Dorcas ricambiò il sorriso, afferrò la sua mano e si alzò in piedi. Insieme si incamminarono verso il castello.
 
 
*
 
 
Quando era uscita dalla Sala Grande, libri sottobraccio e quella stanchezza addosso che era segno positivo di aver portato quasi a termine una giornata produttiva, si era diretta a passo tranquillo verso la propria Sala Comune. Aveva intenzione di posare i libri in camera, darsi una rinfrescata prima dell’ora di cena e poi scendere in Sala Grande ad aspettare Miranda.
 
Era stato un pomeriggio produttivo e colmo di entusiasmo, almeno per Amelia. Benjamin Fenwick, suo sventurato compagni di studi, probabilmente non la pensava così: alla prospettiva di dover interrogare mezza scuola per un compito di Babbanologia aveva perso il sorriso e quando alla fine del pomeriggio aveva lasciato la Sala Grande per riportare i libri in Biblioteca lo aveva fatto con uno sguardo mortalmente infelice negli occhi.
 
Solo a ripensarci le veniva da ridacchiare: tempo un paio di mesi di amicizia e avrebbe trasformato quel lunatico ragazzo in un secchiello di arcobaleni, decise. Oppure in un assassino, di cui lei sarebbe stata la vittima. Valeva comunque la pena provare.
 
Stava camminando sovrappensiero quando, a metà della rampa di scale e per un pelo, evitò di travolgere qualcuno. Alzando gli occhi si rese conto che, quando quel qualcuno era un metro e novanta di Caposcuola Grifondoro, le possibilità che lei – dall’alto del suo metro e quarantasette – potesse arrecare alcun danno erano alquanto ridotte. Probabilmente, sarebbe successo il contrario.
 
<< Meli >> la salutò gioviale Kingsley, fermandosi sul posto come intenzionato a parlarle.
 
<< Kingsley >>.
 
Ora, non è che il suo sorriso fosse all’improvviso divenuto gelido: lei era Amelia Bones, e chiunque a Hogwarts sapeva della sua tendenza ad essere gentile con tutti. Quindi, diventare fredda e scostante all’improvviso sarebbe stato come andare contro tutto ciò che Amelia Bones, alla fin fine, era: una mediatrice nata.
 
Ma negli ultimi tempi aveva avuto modo di ripensare molto attentamente a tutta la situazione con Kingsley, a quello che era successo qualche tempo prima al campo da quidditch con Dorcas e Gideon e alla questione Shacklebolt in generale. Parlare con Miranda l’aveva aiutata a rimettere le cose in prospettiva.
 
<< Meli, hai un attimo di tempo da dedicarmi? >> le chiese cortesemente il Grifondoro.
 
Amelia si morse il labbro, indecisa. Se doveva iniziare a mettere un po’ di distanza tra sé e Kingsley, sarebbe stato meglio inventarsi una scusa qualunque e abbandonarlo a sé stesso sulle scale.
 
<< Veramente… >> iniziò a dire guardandosi attorno.
 
Doveva evitare di guardarlo negli occhi, sarebbe stata la fine: non era certa di potergli negare qualcosa di semplice come il proprio tempo se la guardava con quello sguardo gentile.
 
<< Solo un attimo, davvero >> rispose Kingsley, e stava sorridendo. In piedi come erano su scalini diversi, Amelia non dovette nemmeno sforzarsi di alzare lo sguardo più di tanto per guardarlo in volto.
 
Debole, si disse beffarda.
 
<< Dimmi pure >> capitolò infine.
 
Il sorriso del ragazzo si fece contento.
 
<< Qualche giorno fa Lumacorno mi ha accordato il permesso di utilizzare la sua aula, nei momenti liberi quando non è occupata, per esercitarmi sulle Pozioni che mi riescono peggio >>.
 
Perfetto, Kingsley Shacklebolt e Pozioni, i due argomenti più capaci al mondo di metterla in difficoltà. Avrebbe dovuto scappare quando ancora ne aveva l’occasione. L’espressione che aveva in volto doveva essere indicativa di come si sentiva dentro, perché il ragazzo si mise a ridacchiare e le sfiorò il braccio con la mano come per confortarla.
 
<< Stavo pensando >> continuò Kingsley, e se notò il fatto che al suo tocco lei era avvampata non ne mostrò cenno << Ti andrebbe di farmi compagnia? Ultimamente ti ho sentito spesso parlare dei problemi che stai avendo con la materia, e pensavo che magari, se ti andava, potessi esercitarti con me >>.
 
Amelia seppe di essere fregata nel momento stesso in cui il ragazzo avanzò la proposta, sempre con quel sorriso gentile sulle labbra.
 
Merlino, quanto era patetica. 
 
 
*
 
 
Quando Dorcas e Caradoc varcarono il portone del castello il vociare tipico dell’ora di cena li circondò, sostituendo il silenzio che li aveva avvolti fino a quel momento. Il ragazzo si voltò verso la Corvonero con un sorriso gentile.
 
<< Cosa stavi studiando insieme a Hestia questo pomeriggio? >>.
 
<< Sto facendo alcuni approfondimenti di trasfigurazione con la Professoressa McGrannitt >> rispose la ragazza scrollando le spalle.
 
<< Che tipo di trasfigurazione? >>.
 
<< Umana >>.
 
La risposta riportò alla mente di Caradoc un paio di particolari che aveva notato negli ultimi tempi. Si fermò sui propri passi e rivolse uno sguardo stupito a Dorcas.
 
<< Priscilla benedetta, Dorcas, vuoi diventare Animagus! Per questo Hestia è improvvisamente così curiosa riguardo a metamorfosi e cambiamenti di forma. Ultimamente sta leggendo libri a riguardo, ma non riuscivo assolutamente a capirne il motivo dal momento che non mi risulta sia mai stata interessata a cose del genere >> si spiegò arricciando le labbra. Poi, all’improvviso, scoppiò in una risata divertita, aggiungendo: << per Merlino, è una branca della magia difficilissima e pericolosa. A Ben saranno venuti i vermi al solo pensiero >>.
 
Dorcas nascose un sorriso dietro ad una mano mentre con le dita si toglieva da davanti al viso i capelli spettinati.
 
<< Benjy si preoccupa troppo >>.
 
Caradoc sembrò voler ribattere con qualcosa di divertito, poi si morse il labbro inferiore e scrollò le spalle.
 
<< Immagino che se hai deciso di procedere per questa strada, per di più con l’aiuto della Professoressa, tu sappia cosa stai facendo. Ben se ne farà una ragione, d’altronde devi capirlo… non ti preoccuperesti anche tu, per lui, se fosse nella tua situazione? >>.
 
Stava quasi per riprendere a camminare quando Dorcas gli posò una mano ancora guantata sull’avambraccio per richiamare la sua attenzione. Aveva in volto uno sguardo più intenso, a metà tra il serio e il perplesso.
 
<< Posso chiederti una cosa? >>.
 
Il tono aveva un’incertezza strana. Caradoc all’improvviso si sentì come in bilico sul bordo di un dirupo: aveva la sensazione che da quella domanda, e dalla risposta che avrebbe dato, sarebbe dipeso il giudizio che Dorcas si sarebbe fatta su di lui a lungo andare.
 
Non rispose a voce, ma sentendo tornare un po’ dell’ansia che l’aveva colto precedentemente sulla riva del lago fece un cenno d’assenso con il capo.
 
Erano ancora fermi nell’androne d’ingresso, ai piedi delle scale che portavano alla Sala Grande e intorno a loro gli studenti si affrettavano verso la cena. Lo sguardo di Dorcas era ancora incerto ma alla fine, come prendendo una decisione, la ragazza lo guardò con occhi limpidi.
 
<< Potresti stare attento? Con Benjamin, intendo. Di norma, non gli piacciono le persone. Insomma, ormai lo conosci un po’ anche tu, normalmente non le considera neanche. Ma tu… >> sembrò cercare le parole, Dorcas Meadowes, e per un attimo sembrò vagliare diverse opzioni. Alla fine, scelse quella più diretta: << Non so cosa ci sia tra di voi, e nemmeno mi interessa. Sono affari vostri. Ma Benjamin non è come le altre persone che frequenti >>.
 
Caradoc la guardò stranito, avvampando.
 
<< Come…? >>.
 
Lo sguardo di Dorcas diventò gentile e il volto le si illuminò in un sorriso caldo.
 
<< Lo hai chiamato Ben, due volte >> rispose con leggerezza, scuotendo il capo << So che fate colazione insieme, la mattina, fuori. Sono contenta se Benjy passa del tempo con qualcuno che non sono io e, soprattutto, dopo anni in cui siamo solo io e lui, so notare la differenza. E va bene così, non mi interessa altro. Solo… stai attento, va bene? >>.
 
Caradoc deglutì, l’ansia come acqua alla gola, il viso paonazzo. Colto alla sprovvista, come un bambino.
 
Alla fine, incerto, annuì al sorriso di Dorcas.
 
<< Ti ha detto lui della colazione? >> chiese.
 
Era importante capirlo. Ci sarebbe stato tempo, poi, per pensare. Ora doveva solo capire.
 
Dorcas sbuffò una risata, divertita.
 
<< E quando mai Benjamin parla di cosa gli succede? >> chiese ironica << Ho gli occhi anche io, per vostra informazione. Benjamin non mangia niente a colazione in Sala Grande mentre tu, per mantenere le apparenze forse, mangi due volte tanto, e poi salti pranzo. Non passate inosservati quanto vorreste >>.
 
Questo era qualcosa su cui avrebbe dovuto ragionare.


 
   
 
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