I. Il favorito di
Karkaroff
Quando Viktor spalancò gli occhi, in quel luminoso ma
ventoso mattino dell’otto luglio millenovecentonovantaquattro, la sua mente
realizzò tre fatti della realtà che lo circondava in rapida successione. Per
alcuni di essi era ovviamente più grato che per altri.
Fatto numero uno: si trovava a casa sua, nel comodo letto
della sua stanza. Scoperta sorprendente, si potrebbe pensare sarcasticamente,
se non fosse che la vita di Viktor si divideva ormai in mesi trascorsi a scuola
e settimane in ritiro con la sua squadra di Quidditch, la nazionale bulgara,
prima di un match o se semplicemente al loro allenatore così aggradava, e
pertanto poter dormire a casa sua stava quasi diventando un lusso. Talvolta,
tra quelle mura, si sentiva come se lì fosse ospite e non come se fosse a casa
sua, ma metteva a tacere quelle voci dentro di sé, un po’ perché non riusciva a
sopportare l’amarezza di quella parte di sé stesso ancora bambina, che aveva
sempre sognato di trascorrere la vita girando per il mondo e di certo non si
sarebbe aspettata di soffrire così tanto la nostalgia di casa, un po’ perché si
sentiva colpevole nei confronti dei suoi genitori, in particolar modo di sua
madre, Ivanka, che ogni giorno di più sentiva distante, come se non lo
conoscessero più davvero, come se avessero smesso di essere partecipi del suo
processo di crescita dall’età di undici anni, quando aveva cominciato a
frequentare l’Istituto di Studi Magici Durmstrang, come ogni mago o strega
della sua età. Di certo era una sensazione difficile a cui sfuggire se si
considerava che la sua stanza era ancora arredata come se lui fosse ancora un
ragazzino di undici anni – troppo colorata e con dei giocattoli un po’
infantili ovunque, di cui aveva tentato di liberarsi più volte ma sempre
fermato da sua mamma, che ogni volta affermava che non si sarebbe privata della
tangibilità dei ricordi.
Fatto numero due: era sgradevolmente sudato, col lenzuolo
sotto il quale si era addormentato la sera prima tutto attorcigliato sotto i
piedi e fra le gambe. Essere sudati d’estate non è una bella cosa, ma non era
il caldo ad aver causato quella sua particolare condizione fisica. Fino a pochi
secondi prima, infatti, Viktor era completamente immerso in un sogno, o meglio
in un incubo, nel quale si teneva in bilico su un solo piede sul suo manico di
scopa, l’ultimo modello disponibile di Firebolt, per afferrare il Boccino.
Ovviamente ci era riuscito, ma per farlo aveva perso l’equilibrio. Il sogno si
era interrotto proprio mentre stava precipitando da un’altezza vertiginosa. Se
essere sudato in un letto bollente era quindi la garanzia che tutto ciò era
solo un sogno e lui vivo e illeso, beh, Viktor lo avrebbe accettato.
Fatto numero tre: doveva assolutamente cominciare a
studiare. Il suo ultimo anno di scuola sarebbe cominciato di lì a due mesi,
anzi meno, ma lui non aveva molto tempo da perdere, o meglio, non poteva
concedersi di rilassarsi o addirittura di fare una vacanza. Tra poco sarebbe
stato impegnato con i Mondiali di Quidditch, il ché avrebbe significato
settimane passate a sfiancarsi tra un allenamento e l’altro, settimane nelle
quali non avrebbe ovviamente potuto scrivere nemmeno un rigo di pergamena.
Alcuni professori non erano disposti a “chiudere un occhio” se non riusciva a
completare tutti i compiti per l’estate solo
perché il signorino Krum, ora che è una star mondiale del Quidditch, ha cose
più importanti a cui pensare che la scuola. Nessuno di loro poteva
immaginare tutto lo stress e la stanchezza che si portava addosso quando, oltre
alla vita da studente, aveva cominciato a vivere quella da atleta, ma di certo
non lo avrebbe confidato a chi era intenzionato a odiarlo solo perché lui era
quel che era.
Prima che potesse fermarsi, la sua mente gli fece rivivere
abbastanza intensamente – o, comunque, la stretta che ebbe allo stomaco, quasi
di nausea, intensa lo era abbastanza – un colloquio che aveva avuto col suo
sgradevole professore di Arti Oscure, Bromsstorn, il Natale precedente. Viktor
non aveva mai nascosto di avere un profondo disprezzo per quella materia:
trovava repellente che qualsiasi individuo trovasse moralmente accettabile
cercare di plagiare dei ragazzini – come erano loro – insegnando loro
incantesimi, pozioni e quant’altro il cui unico scopo non era altro che ferire
altri esseri umani. I suoi genitori lo avevano avvertito: certe opinioni, in
certi ambienti, non dovevano essere condivise così alla leggera, eppure lui lo
aveva fatto, sprezzante di chiunque avesse cercato di inculcargli un po’ di
buon senso.
Fino a quel Natale, ovviamente. Bromsstorn gli aveva
ordinato di andare nel suo ufficio per una punizione – aveva eseguito per il
corso i suoi compiti in maniera insufficiente per tre volte di fila. A Viktor
non importava, avrebbe anche potuto infliggergli una punizione corporea per
quel che la questione lo tangeva, ma di certo non si aspettava che, ad
attenderlo nell’ufficio del suo basso e odioso professore ci fosse anche il
Preside Karkaroff.
Viktor aveva deglutito in maniera molto rumorosa ed era
sicuro che il professore avesse notato con piacere il suo pomo d’Adamo fare su
e giù. Oppure sorrideva in maniera sgradevole semplicemente perché gli andava,
questo non avrebbe potuto dirlo. Di certo godeva quando gli studenti erano a
disagio, e Viktor pareva una delle sue vittime preferite da sempre.
L’ufficio del suo professore era piccolo, stipato di oggetti
dall’aria sinistra e alcuni palesemente “morti” che osservavano i tre convenuti
dagli alti scaffali che circondavano la piccola stanza. Sinistri bagliori
verdi, rossi e dorati si levavano da alcuni barattoli. Viktor si chiese se il
suo professore non volesse per caso farlo diventare un altro interessante
articolo in quella grottesca mostra dell’orrore. Ma allora perché chiamare un
testimone ad assistere.
Che il Preside fosse lì per volontà del professore e non per
sua spontanea autonomia, Viktor lo avrebbe scommesso. L'alternativa sarebbe
stata andare nell’ufficio del Preside stesso, ma tutti gli studenti sapevano
che lì nessuno era il benvenuto. Strane leggende, persino sinistre, aleggiavano
attorno a ciò che l’ex Mangiamorte facesse lì tutto il giorno. Alcune erano
assurde, certo, ma il fatto che nessuno nel castello potesse trovarne l’ingresso
a meno che l’occupante non lo volesse era di certo sospetto. E il modo in cui
trattava tutti gli studenti, in particolar modo i nuovi arrivati, negli unici
intervalli di tempo che non considerava abbastanza preziosi per starsene da
solo come al solito, ovvero le ore dei pasti, non deponeva a suo favore.
Viktor cercò di ignorare il fatto che era nella stanza con
qualcuno che lo avrebbe usato come cavia per le dimostrazioni di ogni
incantesimo oscuro esistente e con qualcun altro che, per quel che ne sapeva,
avrebbe assistito alla scena senza intervenire, se non altro per interesse accademico,
e si schiarì la gola prima di esordire con un saluto, per evitare che la sua
voce suonasse instabile, facendolo sembrare impaurito, più di quel che già era.
A quel suono il Preside, che era seduto di fronte alla
scrivania nera che se ne stava in mezzo alla stanza (ma poggia su gambe di troll?, il ragazzo si chiese per un folle
secondo osservando l’ingombrante tavola nera poggiata su due ingombranti gambe
di mostro) e di spalle alla porta si voltò, lo vide e sorrise.
Il sorriso di Karkaroff non era quel genere di sorriso che
ti fa pensare “ecco, sto simpatico a quest’uomo”, ma piuttosto quel genere che
ti fa pensare che, durante una partita a scacchi, il tuo nemico ha appena
capito come mettere fuori gioco tutti i tuoi pezzi principali e vincere la
partita.
- Viktor! Entra, aspettavamo solo te per iniziare.
Sia il suo professore che Karkaroff erano seduti su comode
poltroncine basse ricoperte di pelliccia scura, mentre a lui era stata
destinata una rigida sedia dello stesso colore – quella stanza era
incredibilmente monocromatica – ma non osò sedersi. Il suo professore lo odiava
così tanto che probabilmente lo avrebbe sgridato solo perché aveva osato
sedersi senza chiedere il suo permesso.
- Buonasera, signor Preside. Signore. – disse alla fine,
volgendosi prima verso l’uno e poi verso l’altro.
- Viktor, ragazzo, devo dire che mi aspettavo di
rincontrarti in un’occasione più piacevole di questa – gli rispose il Preside
senza ricambiare il suo saluto.
Viktor si guardò i piedi, cercando qualcosa di intelligente
da dire. Cosa doveva fare?
- Molti studenti in questo Istituto, signor Krum, si sognano
le tue doti intellettuali e pagherebbero per riuscir bene come te nella maggior
parte delle discipline magiche senza sforzo come fai tu. Capisci, quindi, la
mia sorpresa nello scoprire non solo che tu non riesca ad essere nemmeno
sufficiente in un campo della magia per noi fondamentale come le Arti Oscure,
quella, oserei dire, da cui le nostre commissioni valutatrici quasi esclusivamente
decidono della carriera accademica dei nostri studenti, ma che addirittura ti
rifiuti di applicarti?
Viktor rimase in silenzio.
- Il Preside ti ha fatto una domanda, Krum. Rispondi con
qualcosa di sensato, se sei così intelligente come dicono. Io personalmente ho
sempre avuto i miei dubbi.
A parlare era stato il suo professore. Si stava
evidentemente godendo l’umiliazione di un ragazzo che odiava, che riteneva un
buono a nulla e a cui tutti davano buoni voti solo perché sai tenerti in equilibrio su un manico di scopa.
Karkaroff alzò una mano per metterlo a tacere. - Sono sicuro
che Viktor ora ci illustrerà dei fatti che spiegheranno questa incresciosa
situazione. – disse.
Viktor non avrebbe saputo dire chi odiava più tra i due.
- Signore, io… non è che sono insufficiente nelle Arti
Oscure, signore. Se volessi, potrei sottoporre chiunque alla Maledizione
Cruciatus anche adesso. Se mi andasse, potrei creare un Distillato della Morte
così potente che anche solo respirarne il profumo sarebbe mortale. Ma perché
dovrei?
Bromsstorn batté il pugno sul lucido legno nero, irato.
Viktor si chiese se si era fatto male visto che l’uomo portava un enorme anello
alla mano.
- Cosa le dicevo, signor Preside? Una mancanza di rispetto
inaudita, senza precedenti in tutti i miei anni di insegnamento!
Il Preside alzò
nuovamente la mano per mettere a tacere il suo sottoposto, ma lo fece sorridendo
dolcemente.
- Sono sicuro, caro professore, che ora che il signor Krum
sa che il problema è stato portato alla mia attenzione, dedicherà alla
disciplina l’attenzione che merita, come io la dedicherò ai suoi voti di fine
anno. Non ci sono regole del genere, ma sono sicuro che nessuno si
meraviglierebbe se, come direttore di questo prestigioso istituto, ritenessi
inopportuno che uno dei miei studenti continui a partecipare ad alcune delle
sue… attività extracurriculari, se vogliamo. Altrettanto prestigiose.
Viktor aveva capito subito, nell’infinito giro di parole,
che era il modo preferito di Karkaroff di esprimersi nei confronti di chiunque
potesse vantare un po’ di potere, la minaccia insita.
Avrebbe dovuto migliorare il suo profitto accademico per
continuare a giocare a Quidditch. Non dubitava che il suo Preside avesse il
potere di farlo interdire dalla squadra. Del resto, era stato lui a farcelo
entrare, era davvero così privo di verità pensare che lui stesso sarebbe stato
in grado di negargli una cosa che gli piaceva davvero?
Viktor odiava molte delle cose connesse al Quidditch, ma non
il gioco in sé per sé. Stare sulla scopa, essere capace di notare, in mezzo a
tutta quella confusione, il dettaglio dorato che valeva centocinquanta punti e
che avrebbe portato la squadra alla vittoria… quello non gli spiaceva.
Perciò non aveva molte scelte riguardo a cosa fare dei suoi
voti in Arti Oscure.
Il ricordo di quel quarto d’ora trascorso in maniera così
sgradevole sparì a forza dalla mente di Viktor. Del resto era impossibile
smettere di pensarci quando il programma della sua giornata era colazione –
studio – pranzo – studio – cena – studio. Alla fine, però, una doccia fredda
lunga quasi mezzora migliorò la situazione. Anche se non riuscì davvero a
smettere di far risuonare nella sua mente tre sgradevoli parole, il favorito di Karkaroff, come gli
studenti più grandi lo schernivano in continuazione. Forse lo era davvero, ma
in un modo che loro nemmeno immaginavano. Aveva smesso di essere, al contrario
di tutti gli altri studenti, trattato con generale sprezzo e indifferenza, ma
da quando Karkaroff lo aveva fatto entrare nella squadra era come se Viktor
avesse un debito nei suoi confronti, e i modi falsamente affabili che da
qualche tempo adottava nei suoi confronti non erano che un modo di
ricordarglielo.
Quando scese giù in cucina, sua madre era già lì, e lo
salutò distrattamente. Ivanka se ne stava poggiata al lustro bancone della
cucina, con indosso una lunga veste verde che le metteva in risalto gli occhi. L’aspetto
di sua mamma era completamente l’opposto del suo – alta, aggraziata come una
ballerina, bionda – ma del resto Viktor era identico a suo padre.
Il bel viso gradevole di sua madre era gravato da una
smorfia di preoccupazione. Tra le mani, infatti, teneva una lettera che
continuava ad osservare. Doveva essere appena arrivata, visto che il grande
gufo bruno che l’aveva portata era ancora sul davanzale della finestra ad
abbeverarsi, e di sicuro era una lettera importante. Da quando Viktor era
diventato famoso casa sua era stata cominciata ad essere sommersa di gufi da
parte di ammiratori, con grande delizia di suo padre ma grande sconforto di sua
madre, che si trovava la cucina invasa di piume (e non solo) di gufo, pertanto
sull’abitazione era stato posto un incantesimo che la rendeva irrintracciabile
ai gufi. Tutte le missive per Viktor erano depositate presso una cassetta che
si trovava a venti metri da casa loro.
A meno che non si trattasse di lettere da parte del
Ministero o di Durmstrang.
- Viktor, sei qui – lo salutò distrattamente sua madre – fai
colazione rapidamente, il tuo Preside… Karkaroff… sarà qui tra poco.
L’ironia di quella situazione fece quasi ridere Viktor.
Chissà se aver pensato al suo Preside così intensamente lo aveva evocato… e
chissà cosa voleva dirgli.
Il Preside era stato già una volta a casa sua un anno prima
per comunicargli che, grazie alle sue
conoscenze altolocate, lo aveva proposto ad un talent scout per la
nazionale di Quidditch, a cui doveva dimostrare di essere bravo a volare
proprio quanto lo era a lezione di Volo a Durmstrang. Viktor ricordava ancora
il modo sdegnoso col quale l’alto mago aveva guardato casa sua, un ambiente nel
quale magia e tecnologia babbana si mischiavano perfettamente, e tutti sapevano
cosa Karkaroff pensasse dei babbani. Alla luce del suo ambiente familiare e del
suo andamento scolastico, Viktor si era più volte chiesto se il Preside si
fosse mai pentito di aver proposto lui e non qualche Purosangue che
condividesse le sue idee sulla supremazia magica per la nazionale, ma del resto
era inutile rimuginarci. Viktor non sarebbe mai stato un falso modesto, e
sapeva che alle selezioni nessuno si era nemmeno avvicinato al suo talento
naturale.
Il fatto che avesse debuttato così giovane in una squadra
nazionale ne era la prova.
L’uomo arrivò poco dopo la lettera che lo annunciava.
Nonostante il caldo indossava una lunga veste nera da mago e dei guanti neri di
cuoio. Lo stile preferito alla comodità, evidentemente.
Sua madre lo accolse in maniera che sperava fosse calorosa,
facendo sparire con uno sventolio della sua bacchetta i resti della colazione
di Viktor.
- Signora Krum! – esordì il mago appena varcò la soglia di
casa, chinandosi per baciare la mano della donna. Lei guardò perplessa suo
figlio per tutta risposta. Evidentemente non aveva dimenticato nemmeno lei la
prima volta che era stato lì.
- Buongiorno anche a te, Viktor – continuò poi Karkaroff
salutando anche il suo studente.
- Il signor Krum è in casa? Speravo di avere la famiglia
riunita… devo comunicare un’informazione importantissima riguardo la carriera
accademica di Viktor e volevo ci fosse la famiglia al completo, così da sapere
subito il vostro parere al riguardo.
Ivanka scosse il capo. – Purtroppo è a lavoro e non credo
possa raggiungerci – spiegò, facendo un cenno al Preside perché si accomodasse
nel salotto. Karkaroff sedette esattamente al centro di un lungo divano, come
se lì fosse il padrone.
- Oh, beh… scommetto che potete dirlo voi a lui – rispose,
sollevando leggermente la veste prima di sedersi – il Ministero vi contatterà tra
poco ma vorrei essere io a comunicarvelo per primo. Del resto, è merito mio se
Viktor è stato scelto. Come è già accaduto in passato, mi pare – l’uomo
ridacchiò, facendo un occhiolino al suo studente, come se non gli avesse appena
detto che se Viktor era “qualcosa” in realtà era solo merito del suo
burattinaio.
Viktor era abituato a quella allusione e non ci badò, ma non
riuscì a nascondere l’espressione interrogativa. Il Ministero?
- Signora Krum… Non ho mai nascosto a suo figlio che ho
grande stima di lui e grandi aspettative sul suo rendimento scolastico. Quindi
per lui… non deve essere una gran meraviglia che io sia qui, ecco.
Viktor era sempre più perplesso. Probabilmente Karkaroff non
aveva mai elogiato così qualcuno. Doveva esserci per forza qualcosa sotto.
Sua mamma lo guardò cercando di capire.
L’uomo, evidentemente ignaro di quella comunicazione non
verbale tra i due, continuò. – Viktor è assolutamente uno dei miei studenti più
brillanti… e per fortuna è maggiorenne, in maniera tale da aver potuto proporre
il suo nome… per il Torneo Tremaghi.
Viktor era confuso. Ivanka invece era incredula.
- Il Torneo… Signor Preside, ma…
- Il Torneo Tremaghi non si tiene da cento anni, sì, esatto.
Ma il mondo magico è pronto per questa sfida e ovviamente, dovendo proporre una
delegazione di giovani studenti che il settembre prossimo andrà a Hogwarts per
provare ad essere scelto come campione, il primo nome a venirmi in mente non
poteva che essere quello di Viktor. Ha conoscenza magiche strabilianti per la
sua età e, non nascondiamocelo, il fatto che sia un’atleta non può che essergli
utile.
Viktor non riuscì a trattenersi oltre. – Signor preside,
signore… Cos’è il Torneo Tremaghi?
Il Preside ridacchiò. – Male, Viktor, molto male… dovresti
saperlo dalle tue lezioni di Storia della Magia. Il Torneo Tremaghi è una
competizione magica che si tiene tra le tre scuole di formazione superiore
magica europee: Durmstrang, Beauxbatons e Hogwarts. Questa volta, dopo cento
anni la soppressione, la competizione si terrà a Hogwarts. Il campione – e io
non dovrei essere di parte, ma spero vivamente si tratti di te – verrà scelto
tra una delegazione di miei studenti che l’anno prossimo studierà all’estero, a
Hogwarts. Il campione dovrà comunque avere una preparazione magica sufficiente
durante l’anno, ma le tre prove che egli, o ella, dovrà sostenere, avranno la
priorità, e pertanto alla fine dell’anno sarai esonerato dagli esami.
Varrebbe la pena
diventare campione solo per non sostenere l’esame di Arti Oscure, pensò
Viktor per un istante.
- È concesso a me, in quanto madre dello studente in
questione, avere un’opinione sul fatto che mio figlio passi un anno all’estero?
– chiese sua madre.
Karkaroff la guardò come se si fosse dimenticato che fosse
lì e infastidito dall’interruzione. – Certo, ma Viktor è adulto e dovrebbe
decidere da solo.
- Certo – ribatté ancora sua madre – ma sono sicuro possa
comunque ascoltare cosa ho da dire al riguardo.
***
Nonostante, apparentemente, sua madre avesse un’opinione al
riguardo, Viktor comunque ancora non la conosceva. Più tardi, a cena, anche suo
padre era stato informato di quell’opportunità, ma nessuno dei due aveva ancora
detto qualcosa al riguardo.
Viktor sapeva che gli stavano concedendo il suo spazio per
riflettere prima di scambiare dei pareri – cosa che comunque sarebbe dovuta
avvenire subito, visto che il Preside attendeva una risposta in dieci giorni –
ma avrebbe tanto voluto che dicessero qualcosa. Alla fine avrebbe comunque
fatto ciò che voleva, ma avere un parere di due persone adulte e che avevano a
cuore il suo benessere forse lo avrebbe aiutato.
Viktor se ne stava seduto sulla veranda antistante la sua
stanza. Da lontano gli giungevano la musica, il profumo, le voci della vicina
città babbana, Sofia, a cui limiti viveva la sua famiglia. In qualsiasi altra
sera si sarebbe mischiato a quella folla festante di turisti che sotto il cielo
notturno festeggiava il semplice fatto di essere viva, di respirare, di poter
provare dei cibi che sapevano di sapori così diversi da quelli che avevano
assaporato per tutta la vita nelle loro case, in altri Stati o addirittura in
altri continenti. Un’altra sera si sarebbe mischiato a quella folla che non
sapeva della magia, del Quidditch, a cui di certo sarebbe parso bizzarro
chiedergli un autografo, stargli dietro tutta la sera riempendolo di domande e
cercando di compiacerlo come sempre più spesso gli accadeva, ma quella sera non
gli andava.
Sapeva che almeno una piccola parte dei suoi genitori voleva
che lui a quel torneo non partecipasse e rimanesse un po’ più vicino a casa. La
cosa più odiosa è che lui si sentiva diviso a metà, diviso tra quella parte che
voleva partire e studiare all’estero per un anno intero (!) e l’altra che
voleva mettere le radici in quella casa.
Quasi desiderando che Karkaroff non si fosse presentato
sulla soglia di casa sua, Viktor si sdraiò a terra. Faceva troppo caldo per
pensare di dormire nella sua stanza, ed infatti fu lì che il sonno lo colse, a
terra all’ingresso della sua stanza, la sua mente affollata di pensieri.