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Autore: MaikoxMilo    23/05/2020    3 recensioni
Le voci di tenebra azzurra, cheta ma terribile, si stanno allungando sempre di più sul nostro mondo. Sono latrati di sofferenza che, rantolando, vanno sparendo sempre di più, sono singulti di dolore che affogano nel silenzio di una frattura spazio-temporale, sono pianti inermi di bambini che non sono mai nati. Tutto porta ad un unico filo conduttore, tutto è manovrato da un solo, unico, burattinaio che agisce in virtù di uno scopo più alto, imprescindibile. La Dimensione Terra, la dimensione delle possibilità, unica ancora a resistere nel Multiverso algoritmico, sta per venire risucchiata da un'altra estensione, vicina ma lontana, gemella ma distante: il luogo natio del Mago medesimo, Ipsias. L'altra. L'infinitamente ineffabile.
Ciò che è successo lassù, quale correlazione ha con la Dimensione Terra? Potrà la Melodia della Neve, la melodia di tutte le cose, opporvisi?
Nuove esperienze e battaglie attendono i Cavalieri d'Oro del XXI secolo, sempre accompagnati da Marta, Michela, Francesca e Sonia, ormai entrate di diritto tra le schiere dei custodi del tempio.
In un mondo che va eclissandosi... sarà possibile una nuova luce?
Naturalmente si tratta del seguito di Sentimenti che attraversano il tempo, del quale è necessaria la lettura!
Genere: Angst, Avventura, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aquarius Camus, Cancer DeathMask, Cygnus Hyoga, Nuovo Personaggio, Scorpion Milo
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Passato... Presente... Futuro!'
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Capitolo 7: Dissapori generali

 

 

20 ottobre 2011, tarda mattinata

 

 

Lo osservo mentre è indaffarato a pulire le tazze adoperate per la colazione, come sempre senza chiedere l’aiuto di nessuno, come sempre da solo, come sempre a celare un malessere che è diventato integralmente parte di lui.

Rimango nascosta nella penombra del mattino, il cosmo azzerato per non farmi percepire, la mente altrove, a fagocitare ciò che ho visto nella visione, mentre i pensieri schizzano in ogni direzione, completamente slegati dalle redini della ragione. Come potrebbe essere altrimenti?! Ciò che mi ha fatto vedere Shion, il passato mio e di Camus, sfugge alle normali leggi fisiche, ed io… io mi sento una stanchezza colossale addosso dopo aver assistito a tutto questo!

Serro con forza le labbra, i miei occhi si fanno tristi mentre continuo a guardarlo. Lui mi ha sempre, sempre, protetta, fin dall’infanzia. Il suo primo pensiero è sempre stato rivolto a me, persino allora, che era così piccolo, e poi ancora e ancora, sulla spiaggia, dove ha subito quegli artigli tremendi al posto mio, e poi contro il Mago. Il mio bene è sempre stato al primo posto nel suo cuore, al punto di sacrificare il suo amore per Seraphina per me, il suo stesso corpo, tutto... non ha mai avuto paura di subire lui una sofferenza atroce, ma si è premunito, con tutte le sue forze, di evitarla a me, proteggendomi con tutte le sue forze.

Oh, fratellino…

Improvvisamente un brutto colpo di tosse lo scuote, obbligandolo a fermare momentaneamente le sue azioni. Lo vedo portarsi una mano al petto e girarsi leggermente, le palpebre serrate e il respiro affannoso. Impiega un po’ a calmarsi, inspirando ed espirando profondamente allo scopo di tranquillizzarsi e tenere sotto controllo il dolore che sta provando.

Sorrido amaramente, avvicinandomi lentamente a lui, non notata. Percepisco bene il suo malessere, fin troppo, so cosa passa di giorno in giorno e so, che come per una qualsiasi malattia autoimmune, ha periodi di remissione e di inasprimento. E nessuno di noi può nulla! Il suo volersi prendere cura di me a tutti i costi gli è costato caro, ledendo pesantemente la qualità della sua vita. Malgrado questo, non l’ho mai sentito lamentarsi, accogliendo e accettando quest’ingiusta sorte con la solita fierezza che lo contraddistingue.

Vorrei… vorrei davvero fare qualcosa per lui, per la sua tangibile sofferenza, per essergli d’aiuto e proteggerlo a mia volta, ma allo stato attuale delle mie forze non ne sono in grado. Non sono in grado… di cambiare il corso del suo destino!

Sospiro impercettibilmente, desiderando toccarlo, ma sentendomi stupidamente impacciata. Mi do una scrollata, avanzando ancora di qualche passo e annullando così la distanza tra me e lui. Lo avvolgo delicatamente con le braccia, appoggiandomi alla sua schiena e socchiudendo gli occhi, tranquillizzata dalla fragranza che emana il suo corpo. Il gesto è gentile e soffice, non impetuoso, ma lui, non aspettandosi il mio arrivo così da dietro, si sorprende comunque non poco, sussultando leggermente.

“M-Marta? Non ti avevo percepita, non… non me lo aspettavo” tenta di spiegarmi, voltando leggermente il collo nella mia direzione allo scopo di scorgermi il volto, che tuttavia è nascosto dal tessuto della sua maglia.

Annuisco tra me e me, stringendo la presa sul suo grembo, tentando a forza di controllarmi, perché tremo come una foglia e lui lo sta sicuramente percependo. Le parole non sono facili da pronunciare, non ora, mai, impossibile spiegare cosa provo, senza contare che, come promesso a Shion, non posso rivelargli niente, visto che i suoi ricordi sono stati modificati. Tuttavia ho bisogno di esprimere, almeno in parte, ciò che sento, tutto ciò che lui e per me, anche se mi sento sciocca e impacciata, quasi mi vergogno.

“Cam, ti voglio tanto bene e… grazie di tutto!” biascico con enorme fatica, mordendomi il labbro inferiore. Ogni tanto vorrei avere la spontaneità di Michela, che non si domanda mai se abbracciare qualcuno in un dato momento sia sbagliato, per lei è sempre giusto. Io invece sono qui, mio fratello stava lavando i piatti e si ritrova me, dietro di lui, intenta a stringerlo, non capirà nulla di questo mio gesto improvviso, inoltre non posso parlargli schiettamente, ragione per cui rimango qui, agitata.

“Marta… - si raschia la gola lui, una volta calmato il suo respiro, che a seguito delle mie parole si è accelerato. E’ imbarazzato come sempre, ricerca difficoltosamente le parole, come sempre, ma non sembra infastidito, anzi, il tono in cui la sua voce giunge alle mie orecchie è gentile e rassicurante – Sai che te ne voglio anche io, piccola mia, in un modo che non posso esprimere con le sole parole, ma… cosa ti è successo per scatenare in te questa reazione? Sembri così turbata, quasi come dopo avermi salvato dal Mago… mi fai preoccupare!” dice, apprensivo, posando una mano sulle mie. E’ ancora girato di spalle, so per certo che non si volterà del tutto, non quando si sente così esposto come ora, ciò mi da occasione di sviare sull’argomento.

“Nulla, ho solo ripensato a tutto ciò che hai fatto per me, al tuo proteggermi, sempre e comunque e… e, lo so che sembro sciocca, ma avevo bisogno di dirti ancora una volta cosa rappresenti per me e di… di abbracciarti!” spiego, stringendo la mia presa su di lui, intrecciando le sue dita con le mie, che ora mi accarezzano teneramente la mano.

“Non sei sciocca, è che… non mi aspettavo un gesto simile, non… - sospira, raddrizzandosi con la schiena, anche il suo corpo trema – Pensavo che fossi arrabbiata con me, Marta...”

Lo guardo stranita, scuotendo la testa, non capendo la ragione per cui io dovrei avercela con lui, almeno fino a quando non me la chiarisce lui medesimo.

“Per la questione del tuo amico Stefano, tu… hai udito il dialogo tra me e Francesca ieri sera, hai saputo così che io mi sono recato da lui per parlargli, contravvenendo agli ordini ma, ancora di più, senza dirti niente!”

Ora capisco… comunque mi pare una cosa talmente stupida su cui litigare, talmente superficiale, un’inezia! Sì, è vero, non mi ha detto niente, del resto, ha una particolare predilezione a tenermi nascoste le cose, e questo non mi va giù, è altresì vero, ma… se solo penso a come è finita l’ultima volta che mi sono arrabbiata per una quisquilia simile mi viene da tremare per la paura.

“Marta? Parlami… mi stai facendo davvero preoccupare così!” mi chiama con dolcezza, accarezzandomi nuovamente le mani nell’avvertimi agitata contro la sua schiena. Mi affretto a raccogliere le parole per spiegargli il mio stato.

“Camus… come posso arrabbiarmi con te quando… quando l’ultima volta che ci siamo presi aspramente su qualcosa, ti ho ritrovato agonizzante su un letto, la tua vita che sfuggiva via ed io… io che mi sentivo impotente?!”

Lo avverto irrigidirsi di botto, bloccando anche i movimenti delle sue mani, scosso almeno quanto me nel rinvangare quei momenti terribili. Rimango in silenzio per qualche secondo, soppesando la continuazione del mio dialogo, anche se non è facile.

“Da quella volta mi sono ripromessa che non avrei buttato via altro tempo con te, non avrei più rischiato di perderti, non ti avrei più ferito a parole, perché vorrei… vorrei solo trascorrere più tempo possibile con te, nient’altro. S-stavi così male, C-Cam, i-io...”

“Marta… - Camus tossicchia a disagio, tornando a stringermi la mano con più forza di prima – Staccati un attimo, affinché io possa voltarmi verso di te e ricambiare l’abbraccio” mi dice, emozionato.

Faccio quanto chiesto indietreggiando di un passo, poco prima di essere nuovamente avvolta dalle sue ampie e forti braccia. Mi rannicchio contro di lui, appoggiando il mio orecchio al suo petto e avvertendo così i battiti del suo cuore, la stessa melodia che mi cullava quando ero in fasce, la stessa cadenza, la stessa emozione, la stessa pace. Non occorrono parole, tra noi, quando siamo così vicini, tutto passa tra i nostri corpi fino a toccare le nostre stesse anime, intessute tra loro. Attendo qualche istante, prima di proseguire nel dialogo.

“Non voglio più vederti soffrire così tanto, Cam, non… non lo potrei sopportare, ma sei un guerriero, lo so bene, so che il rischio c’è ed è dietro l’angolo!” biascico ancora, a fatica, chiudendo gli occhi e aumentando la presa su di lui. Mio fratello non risponde subito, lo sento palpitare distintamente, come uno scricciolo nel nido. Avverto il suo malessere per quei ricordi terribili, prima dilagare in lui, poi sparire piano piano, scacciato dalla consapevolezza di averlo superato in qualche modo, di essere nel presente, qui, al sicuro nella sua dimora, con le persone che lui ama.

Sento che vorrebbe promettermi che non accadrà più, so che vorrebbe tranquillizzarmi, ma che non ha le parole per farlo. Non può fare alcun giuramento, ne è consapevole, come lo sono io, eppure vivere in questa perenne incertezza, molto più degli altri, mi dilania tremendamente, anche se provo ad essere forte.

“Ascoltami, quei momenti terribili appartengono al passato, io… può non sembrarti, a volte, ma sto molto meglio, il peggio è superato e siete stati voi, tutti voi, a salvarmi la vita. Io… sarei morto senza di te, Michela, Francesca e Sonia... - mi sussurra, affondando il volto nei miei capelli, stringendomi ancora di più contro il suo petto – Proprio per questo io… non ho affatto paura, sai? So che, se succederà ancora, ci sarete voi, con me, e Milo, e Hyoga… siete la mia famiglia, la mia… forza! Per cui, so che è difficile ma non crucciarti più per quello che mi è successo nel 1741, pensa solo al qui e ora, a ciò che possiamo fare da adesso in poi, perché ho tutte le intenzioni di passare più tempo possibile con te!” mi consiglia, alzandomi il viso in modo da poterci guardare negli occhi, prima di regalarmi un buffetto sulla guancia. Ha detto quelle parole per provare a tranquillizzarmi, ma lo ha fatto anche per ripeterle a sé stesso, per farsi coraggio, perché quei terribili ricordi sono ancora dentro di lui. Gli sorrido teneramente.

“Mi piace tanto… quando mi coccoli, sai?”

“Me ne sono accorto, piccola peste! E a me piace… coccolarti, anche se, non essendoci abituato, credo di essere piuttosto, ehm, imbranato!” ridacchia tiepidamente lui, finalmente disteso, seguito a breve da me.

Non lo sei affatto, Cam, i tuoi gesti delicati mi riscaldano il cuore, ed è di sicuro così anche per le mie amiche, puoi starne certo!

“E mi devi anche portare in Siberia, ricordi?” aggiungo con occhi luminosi, guardandolo per un istante come un cucciolo speranzoso.

“Certo, non l’ho dimenticato, non potrei! - mi rassicura, continuando a stringermi a sé, rilassato dal mio contatto – Appena questa situazione si sarà sistemata lo farò, passeremo un po’ di giorni là, solo tu ed io, all’isba, e ti introdurrò allo sciamanesimo siberiano, se vorrai percorrerlo insieme a me!”

“E’ ovvio, fratellino, ho già scelto, vorrei...”

“Ti chiedo però di pensarci seriamente ancora per un po’, Marta...” mi blocca, improvvisamente serissimo in volto. Lo guardo senza fiatare, in attesa che prosegua, un poco dispiaciuta.

“Ciò che mi hai chiesto non è cosa da poco, la melodia della neve… come ti ho accennato, disvelarla svela la vita e così la morte, non è una decisione che puoi prendere a cuor leggero, per questo ti chiedo di soppesarla bene. E’ un percorso che, una volta intrapreso, ti segna per la vita intera. E’ stato così per me, per il mio m-maestro, per gli altri sciamani...”

Lo guardo sinceramente sorpresa, non aspettandomi una simile rivelazione, anche se qualcosa mi aveva già accennato Milo.

“Maestro? A-avevi un maestro, Cam?” chiedo delucidazioni, sforzandomi di immaginarmelo.

“Te ne parlerò… al momento adatto! N-non qui, n-non… adesso” mi risponde, con espressione sofferente. Un altro brutto ricordo, fratellino? La vedo bene l’ombra nei tuoi occhi… mi chiedo se sei mai stato felice, in vita tua, prima di adesso, eppure l’infanzia e la fanciullezza dovrebbero essere momenti d’oro e sacrosanti...

“O-ok...” biascico, corrucciata. Non ho motivi per esitare, io vorrei diventare come lui, perché è la persona che stimo di più in vita mia, ma Camus sembra un poco titubante quando viene tirato fuori l’argomento, per questo, solo per questo, vaglierò ancora un po’ la mia decisione.

“Sono sicuro che farai la scelta migliore… non sentirti obbligata a diventare come me solo perché io sono Sciamano, perché, per me, sei già un essere speciale così!” mi sussurra, gli occhi socchiusi e il viso nuovamente tra i miei capelli, un leggero sorriso a solcargli le guance.

Sei così bello, Cam, quando sorridi, mi ricordi così tanto Dégel… non credo di aver mai provato un’emozione così forte per qualcuno, farei di tutto per continuare a salvaguardare il vostro timido sorriso, nonostante, con le mie scelte, sia cambiato tutto. Ma tu resti, e resterai sempre, la persona più importante della mia vita... certo che voglio seguire il tuo percorso, voglio che tu sia fiero di me e… salvarti, come invece non sono riuscita a fare con Dègel!

Rimango a mia volta in silenzio, cullata dall’abbraccio. Potrei starci anche delle ore così senza sentirmi minimamente a disagio, il tempo che abbiamo perso in tutti questi anni non potrà mai più tornare, lo so, lo sappiamo, proprio per questo ora è tutto così intenso: il modo in cui ci siamo aggrappati l’uno all’altro è semplicemente meraviglioso, e ora che so… che so che il legame non si è mai spezzato, in fondo, malgrado la distanza, riesco davvero a stento a trattenermi.

“Dunque… sei andato a vedere Stefano?” chiedo ad un tratto, cambiando bruscamente discorso.

“Sì, l’ho fatto ieri mattina appena svegliato...” mi rivela, un poco a disagio, mantenendo il contatto con me tramite le braccia, ma staccandosi appena per guardarmi negli occhi.

“Ti ringrazio… mi hai tolto un peso sul cuore a sapere che, almeno tu, lo sei andato a trovare. Shion ha detto di tenerlo lì, da solo, ma lui… lui non lo merita, Cam, avevo paura che il Tempio potesse fargli del male!”

“Ci sei molto legata, vero?”

Annuisco trepidante, distogliendo lo sguardo. Non so quanto Camus abbia visto, del nostro passato in Valbrevenna, ma Stevin, così lo chiamo io, è sempre stato la ‘mia persona’, se così si può dire, nonché un migliore amico fedele a cui sono legata da un forte coinvolgimento emotivo. Mi… quasi mi vergogno a parlarne a mio fratello, non so… non so perché...

“Ti racconterò come è andata...”

 

Quando aveva ripreso i sensi, dopo i fatti accaduti nella fu Valbrevenna, non vi era stato altro che un’infinità di luci varie che gli procuravano un dolore atroce agli occhi. Non si raccapezzava più da quando aveva rivisto Marta, da quando, quasi senza neanche accorgersene, le aveva riservato tutto il veleno che celava in corpo. Tutto. Rammentava solo una rabbia atroce, residuo di una passata delusione, poi vera e propria sofferenza, e ancora rancore. Puro. Semplice. Terribile. Non aveva esitato ad attaccarla verbalmente, sentendosi mortalmente ferito e abbandonato. Non ci aveva ragionato più.

Ricordava solo, prima di quel momento, che l’aveva aspettata, ancora e ancora, l’attesa si era fatta insopportabile, finché qualcosa non gli si era spezzato dentro, un po’ come quei cani lasciati in autostrada che rimanevano lì sperando nel ritorno del padrone. La fiducia per lui era sempre stata un vincolo sacro, superiore a qualsiasi altra cosa, tradirla era un colpo infimo e basso, imperdonabile, soprattutto se l’artefice era Marta, la persona a lui più cara e che, pensava, per lui ci sarebbe sempre stata.

Ricordava molto a sprazzi, la sua mente era in confusione, lo sapeva, ma… una cosa non aveva affatto dimenticato: suo nonno, il suo unico parente conosciuto. Era… morto, lasciandolo solo al mondo. Marta avrebbe dovuto precipitarsi da lui, aveva promesso di farlo, perché ci sarebbero sempre stati l’una per l’altro, e invece no… era stata una menzogna! La sua vecchia amica Marta se ne era infischiata di lui, abbandonandolo esattamente come il già ricordato cane in autostrada. Era l’unica cosa che rammentava con nitidezza. L’unica cosa che, sentiva, lo avrebbe tenuto in vita fino a quando non si sarebbero incontrati di nuovo.

Per questo motivo, appena se l’era trovata davanti, l’aveva attaccata verbalmente, ferito a morte, l’altra si era messa a piangere, fingendo di non sapere le sue colpe, ma lui le ricordava bene, quelle colpe, non gliela avrebbe di certo fatta scampare!

Già, non l’avrebbe scampata! Doveva sapere quanto aveva sofferto, non poteva cavarsela senza nulla, eppure… eppure, dopo che le parole aspre erano già uscite, Stefano si era accorto che la Marta che aveva davanti non era più quella di un tempo. Era cresciuta, anche se di poco, era cambiata e aveva acquisito degli strani poteri che sulle prime lo avevano terrorizzato non poco. Sosteneva che fossero passati due anni… come era possibile?!? Due anni senza che lui si fosse accorto di niente?! Due anni in cui, a suo dire, lei non lo aveva mai dimenticato?!

Cosa era successo veramente? Perché non aveva alcun ricordo a riguardo? E, soprattutto, chi erano quelle persone ammantate d’oro che si era trovato davanti agli occhi prima di essere brutalmente colpito da uno di loro e perdere così i sensi?!

“E così tu sei Stevin, vezzeggiativo di Stefano, il bimbo dagli occhi azzurri!”

Improvvisamente si riscosse nell’accorgersi di una presenza all’esterno della cella. Sussultò nel vederselo appoggiato alle rocce, come se fosse sempre stato pazientemente lì ad aspettare che la sua attenzione cadesse di lui.

Stefano si sentì sussultare ancora una volta quando, tra le figure ammantate d’oro, lo riconobbe in colui che si era immediatamente precipitato verso Marta, stesa tra le braccia dello strano individuo dai capelli lilla che, solo con uno sguardo, era riuscito a immobilizzarlo del tutto.

Non rispose subito, fremendo per l’agitazione. La sua sola presenza lo metteva a disagio, il suo solo modo di porsi lo faceva raggelare nelle vene, sebbene non avvertisse nulla di malvagio in lui, inoltre… quegli occhi profondi e indagatori, dello stesso colore inusuale di Marta, gli avevano consegnato una sensazione spiacevole, un’intuizione, che ora, a vederselo lì, fu confermata in pieno. Decise di rispondere il più distante possibile, non riuscendo comunque a reggere per molto tempo il suo sguardo, troppo superiore a lui.

“Chi… chi lo vuole sapere?”

“Mi chiamo Camus e sono il Cavaliere dell’Acquario”

“Cavaliere… di cosa?”

“Dell’Acquario! - sbuffò Camus, innervosito da dover ripetere due volte la stessa cosa, anche se il ragazzo aveva le sue ragioni per essere così scettico e confuso, decise di addolcire impercettibilmente il suo timbro vocale – Senti… posso comprendere il tuo stato emotivo, ti sentirai come se fossi stato rapito e sarai di certo spaventato, ma non voglio farti del male e, se non farai niente di strano, neanche il Santuario lo arrecherà a te, ma questo dipenderà dalla tua buona disposizione d’animo che devi dimostrarci! Se il nostro Grande Sacerdote, passati questi giorni, ti dichiarerà inoffensivo, ti daremo tutte le spiegazioni che cerchi, ma non ora… oggi non sono qui in veste ufficiale. A dirla tutta, non dovrei neanche essere qui...”

Camus si meravigliò della sua parlantina verso uno sconosciuto, non riconoscendosi, ma si diede una spiegazione in base al fatto che, avendo visto il ragazzo tramite i sogni di Marta, era come se lo conoscesse per davvero, da quanto erano stati intensi quei frammenti di memoria che aveva provato sulla sua stessa pelle. Da qui il motivo della sua apertura nei suoi confronti.

“Allora penso di sapere perché sei qui...”

“Lo pensi di sapere… e sarebbe?”

“Ti ho intravisto prima di essere colpito da quell’uomo dalla pelle abbronzata, e già avevo avuto una intuizione, ma ora che ti vedo qui davanti a me ne ho la piena certezza: devi essere fratello di Marta, vero?”

Camus non disse niente, si limitò ad inarcare un sopracciglio e ad assottigliare le labbra. Stefano decise di spiegarsi, recuperando sempre più coraggio.

“Avete dei lineamenti molto simili e gli occhi dello stesso colore, inoltre mi siete sembrati estremamente confidenziali, ho forse sbagliato a pensarvi tali?”

“Effettivamente sono suo fratello maggiore, sì, di cinque anni!”

Malgrado lo avesse intuito, Stefano accolse la notizia come una vera e propria coltellata nel petto, l’ennesima.

“Ah… - boccheggiò, sentendosi a disagio – Fantastico! Quante cose che mi ha celato, non credevo!”

“Non è stata colpa sua! - Camus mise le mani avanti protettivo, arrestando così ciò che per lui era molto probabilmente uno sproloquiare – Marta non sapeva nulla di me, ci siamo rincontrati solo da pochi mesi, dopo diciassette lunghi anni di separazione. Non prendertela con lei, non lo merita!”

Stefano non disse niente, non avendo le forze di continuare. D’accordo, almeno su quel versante non gli aveva mentito, ma lui permaneva a sentirsi irrimediabilmente furibondo con lei… perché? Che avesse bisogno di una valvola di sfogo? Tutti i tumulti che percepiva dentro di sé lo spaventavano ancora di più, al punto che non gli dispiaceva neanche tanto essere internato senza una giustificazione. Sentiva che avrebbe facilmente perduto il controllo e perderlo significava solo fare male agli altri, in primis a Marta. Non voleva. Ma era così arrabbiato con lei, anche se non le avrebbe mai fatto male intenzionalmente. Mai, mai e poi mai!

“Di-dimmi un po’… - ritrovò la voce poco dopo, bisognoso di avere una conferma – Siamo davvero nel… 2011?”

“Sì… ottobre 2011”

“Ah...”

“A quando risale il tuo ultimo ricordo?”

“Ad ottobre… ottobre 2009. Era morto mio nonno e… e ho aspettato, ho aspettato. Mi sentivo solo, abbandonato ma non potevo far altro che credere che sarebbe venuta, lei, tua sorella… e invece non è mai arrivata. L’ho odiata per questo! - sibilò sinistramente Stefano, quasi non riconoscendosi più, poi tuttavia si riscosse, spaventandosi ulteriormente per la rabbia ingiustificata per lei: era chiaro che, viste le ultime notizie, era la sua mente a trarlo in inganno, ad avergli fatto vedere un’altra cosa, quando invece la realtà dei fatti era un’altra ancora. Si calmò sufficientemente per continuare, anche perché l’espressione che aveva assunto Camus quando lui aveva osato proferire quell’ultima frase in quel tono, non gli era piaciuta affatto. Era di belva che voleva difendere con le unghie e con i denti ciò che gli era caro – Ma… ma voi mi avete detto, entrambi, che sono passati due anni da allora, e non ricordo assolutamente nulla. La mia testa mi da un’altra versione dei fatti e più ci penso più si fomenta la rabbia per Marta, ed io non voglio! Siamo cresciuti insieme, io...”

“Allora saprai senz’altro che Marta non è tipo da abbandonare chi gli è caro!”

A quel punto anche Stefano raddrizzò la schiena, osando fissare il suo sguardo in quello blu del giovane uomo. La piega che stava prendendo tutta la questione non gli piaceva affatto. Il tono usato da Camus non gli piaceva affatto. Si inorgoglì.

“Certo che lo so! La conosco da quando aveva 5 anni ed io quasi 7, siamo cresciuti insieme… - poi si sentì caparbio abbastanza per raccogliere la sfida lanciata dal Monsieur Aquarius – O pensi di venire tu a darmi una lezione su come sia fatta o non fatta Marta, visto che mi hai detto che vi conoscete appena da qualche mese?!”

Appena finita la frase si meravigliò della propria audacia e, insieme, data l’espressione contrariata di Camus, se ne pentì immediatamente. Era accaduto di getto, senza che la ragione ne prendesse parte, senza neanche capacitarsi di come potesse essere stato possibile. Sapeva solo che anche lui aveva qualcosa da proteggere con le unghie e con i denti, ed era il tempo trascorso con lei.

La reazione opposta non tardò ad arrivare...

“Sono suo fratello, già questo mi da un indubbio vantaggio! Ma oltre a questo, tu non hai la minima idea di cosa abbiamo passato in questi mesi io e lei, non lo sai, e credimi quando ti dico che non puoi conoscerla come la conosco io, nemmeno se tu la frequentassi da cent’anni! - ribatté altezzoso, meravigliandosi a sua volta di essere scattato così e rivedendo negli occhi di Stefano la stessa contrarietà che prima aveva avvolto il suo animo – Ma cosa sto facendo? Non sono qui per litigare con te su questioni prive di importanza. Sei ancora un ragazzino, ed io non mi sto comportando molto meglio di te, non è proprio il momento per perdersi in simili quisquilie!”

Stefano finse di non udire il tono denigratorio con il quale aveva pronunciato la parola ‘ragazzino’, decidendo di metterci una pietra sopra in attesa che Camus palesasse i motivi che lo avessero spinto lì. Di sicuro lo faceva per Marta, della quale si percepiva un profondo attaccamento emotivo, ma c’era di sicuro dell’altro.

Inaspettatamente Camus, dopo aver preso un profondo respiro, aprì la sacca che si portava dietro, consegnandogli un pacco infagottato e una borraccia attraverso le sbarre. Stefano li prese con delicatezza e aprì il pacchettino, trovandosi tra le mani quella che sembrava una strana focaccia tagliata a pezzi triangolari.

“E’ la pita greca, una sorta di pane piatto lievitato che, per certi versi, rassomiglia alla vostra focaccia genovese. Non è molto, ma almeno hai qualcosa da mettere sotto i denti in questi giorni che sarai costretto a stare qui. Questo è un carcere di massima sicurezza, ci mettono i traditori e lasciano che la marea faccia il suo corso, affogandoli, ma tu non sei un condannato e Shion ha valutato bene l’andamento delle maree, non corri alcun pericolo!” gli spiegò in tono pacifico, lo screzio di prima un lontano ricordo. Stefano lo apprezzò, ma allo stesso tempo si rese conto che il fratello di Marta, con ogni probabilità, non era proprio un asso a rassicurare la gente. Certe cose era meglio non saperle…

“Mo-molto confortante! - balbettò, rabbrividendo – Ad ogni modo grazie… non mi conosci e…”

“Come dicevo prima… conosco molto più di quello che pensi!” lo fermò immediatamente, senza permettergli di ultimare la frase.

“D’accordo, ma… in ogni caso non mi devi niente e mi hai portato questo, per questa ragione ti ringrazio!”

“Ti devo che credo nella tua innocenza e stai subendo un trattamento oltraggioso, per quanto comprensibile, inoltre sei molto caro a Marta. Queste, per me, sono motivazioni sufficienti per agire!”

Stefano non disse niente ma si sentì arrossire per l’imbarazzo. I modi di Camus erano un poco bruschi e scostanti, ma dietro ne riconobbe la gentilezza che aveva sempre scorto in Marta e, per un solo attimo, desiderò tornare a quei giorni in cui era tutto chiaro tra loro, come uno dei limpidi laghetti del Brevenna.

Camus nel frattempo gli aveva voltato la schiena e si stava allontanando, ma all’ultimo decise di aggiungere qualcosa, fissandolo franco e con un pizzico di dispiacere.

“Stevin… - lo chiamò, appropriandosi del nome che gli aveva donato Marta quella lontana estate del 1999, ne ebbe come la consapevolezza che, in qualche modo, lo avesse visto con gli occhi di sua sorella anche se non se ne spiegava il motivo – Ti posso solo dire di resistere, quando le paure e i timori crolleranno dal Tempio avrai occasione di spiegarci la tua visione dei fatti e noi ti racconteremo del nostro ruolo di paladini della giustizia! Non puoi permetterti di cedere, non ora che hai ritrovato Marta!” affermò, un poco imbarazzato nel parlare così a cuore aperto, allontanandosi senza più guardarlo.

 

Fisso Camus quasi divertita, attendendo che ultimi il suo racconto del primo dialogo avuto con Stevin. Non ci siamo mai staccati del tutto l’uno dall’altro, siamo sempre stretti in un leggero abbraccio che non ci pesa affatto, anche se entrambi siamo restii a queste manifestazioni, almeno con gli altri.

“Quindi, fammi capire… vi siete soffiati a vicenda, come i gatti, per stabilire una sorta di gerarchia su chi mi conosce meglio?!” lo pizzico sottile, prendendo parola con lo sguardo furbetto.

Lo vedo arrossire di botto, discostando lo sguardo.

“Non… non è successo nulla di che, solo che… che non lo so neanche io perché abbia reagito così!”

E’ in forte imbarazzo, lo posso ben distinguere perché si mette a guardare dappertutto tranne la fonte che gli ha scaturito questo suo stato, in questo caso io, istintivamente scoppio a ridere, intenerita dalla sua reazione.

“Non ti facevo così possessivo, Camus!” lo prendo scherzosamente in giro, ilare.

“Io non… non sono possessivo!”

Ridacchio ancora, appoggiandomi nuovamente contro il suo petto, serena come raramente capita in vita mia. Camus, ancora in forte imbarazzo, non dice più niente, ma si mette a giocherellare con uno dei miei ciuffi. Quando è agitato non riesce proprio a stare fermo con le mani, questa è una caratteristica che lo accomuna al mio amico Stevin.

“Ad ogni modo ti ringrazio davvero tanto per quello che hai fatto per lui, sai, i mesi autunnali del 2009 non sono stati affatto facili sia per lui che per me… io lo credevo morto e, a quanto pare, per la sua mente non sono passati due anni, come invece è successo a me, anche se non so… non so minimamente spiegarlo. Comunque deve essere davvero sconvolto e sentirsi solo, ma tu gli hai dato un po’ di calore in questo universo freddo che è il Santuario. Grazie davvero, Cam!”

“Semplicemente… non mi sembrava giusto il trattamento che gli hanno riservato, tutto qui, chiunque lo avrebbe fatto!”

Sbuffo, ilare, capendo bene che sta facendo il burbero per mascherare il cuore immenso che si ritrova. Sorrido grata tra me e me, aumentando la stretta sul suo busto, mentre la tristezza mi avvolge.

Camus intanto si raschia nuovamente la gola, tornando ad essere rigido, ma stavolta non per l’imbarazzo. No, c’è qualcosa che si muove in lui, un qualcosa che vuole esprimere, prendendola però molto larga, come suo solito.

“Marta… come va la tua ferita? Provi ancora dolore?” mi chiede, accarezzandomi con delicatezza la zona colpita e attirando al contempo la mia attenzione.

Annuisco brevemente, producendo un mormorio sommesso, ripensare al 2009 mi ha fatto alla mente alcuni dei ricordi più brutti della mia vita, l’effetto che ne è derivato è quello di un pugno nello stomaco e di una fitta al cuore, ma ora sono qui, ha ragione mio fratello, devo pensare al qui e ora!

“Mi bruciano ancora i bordi e, quando mi muovo con noncuranza, me la sento tirare, però va molto meglio grazie alle tue cure e poi, essendo semidea, lo sai, il processo di cicatrizzazione è molto più veloce!” gli dico, in tono leggerissimamente tirato.

Non parla per un’altra manciata di secondi, in evidente difficoltà, poi mi mette gentilmente due dita sotto il mento per spingermi a guardalo negli occhi. Così faccio senza oppormi.

“A-ascolta… - inizia, titubante, poco prima di proseguire – Non so come chiedertelo, ma… è successo qualcosa di strano il 20 novembre del 2009, lo ricordi, piccola mia?”

“La… la data della tua morte? - chiedo, ingoiando a vuoto, la gola secca – Ne hai parlato l’altra sera con Fra...”

“Sì, è… è la data della Scalata delle Dodici Case… - biascica, sofferente, nel rammentare quei momenti dolorosi anche per lui – E’… è importante che tu mi dica qualsivoglia cosa che ti sovvenga in mente, anche la più apparentemente insignificante. Ho un timore atroce, vorrei… vorrei poterlo scalzare dalla mia mente...”

“Non… non ricordo molto, non è stato esattamente un bel periodo… - gli dico a fatica, sentendomi il bordo degli occhi punzecchiare – In quell’anno prima è morto il nonno, poi è successo il fattaccio Stefano, poi ancora mia nonna è caduta malata e costretta a letto. Tutte quelle cose simultaneamente, o quasi, mi hanno alquanto destabilizzato...”

Avverto la sua stretta aumentare di intensità, come a volermi far percepire la sua presenza, il fatto che ora sia qui, con me, e che non mi lascerà più.

“Mi dispiace… di non esserci stato! Deve essere stato terribile, ed io… non ero al tuo fianco in quei momenti così difficili...” si scusa, con non poche difficoltà.

“Tu non c’entri, Camus, lo sai… non hai scelto tu di allontanarti da noi, sei stato costretto...”

Lo sento sospirare, attendendo ancora una manciata di secondi prima di tornare a parlare, recuperando una parvenza di calma.

“Quindi, oltre a questo, non rammenti nulla in quel periodo? Il 20 novembre… non ti dice proprio niente?”

Stavolta è il mio turno di abbassare lo sguardo, non riuscendo a sostenere il suo. Il 20 novembre… ho ricordi confusi e distillati, che il solo rievocarli mi fa sentire male. Ad un certo punto mi blocco, serrando gli occhi con espressione sofferente. C’è una cosa che rammento, al dire il vero, al solo pensiero rabbrividisco. E’ tutto bianco!

“E-ecco, avevo… avevo un freddo atroce… - farfuglio, riaprendo gli occhi, che però sono vitrei – Già… tremavo dal freddo e stavo male, tanto male, poi… il nulla, solo il b-buio”

“Marta?!?”

Improvvisamente avverto la sua presa su di me cambiare drasticamente intensità, stringendosi sulle mie spalle, ora preda delle sue mani. Sobbalzo, indietreggiando di tre passi, il fiato corto e il battito del cuore più veloce del normale. Ma è nulla se paragonata alla sua espressione sconvolta, all’urlo viscerale ma silente che forse gli ho visto solo quando aveva scoperto che io fossi sua sorella.

“Stavamo parlando di qualcosa di grave?” chiedo, spaventata dalla sua espressione così enfatizzata.

“Cosa?! Non… non ricordi l’argomento del nostro ultimo dialogo?”

Diniego con la testa, confusa.

“No, io… io ero rimasta che parlavamo della mia ferita sulla schiena e poi è come se avessi aperto gli occhi e c’eri tu con l’espressione attuale. Mi hai spaventato a morte, Cam!”

“Ti ho spaventata a morte… anche tu a me! - ribatte inaspettatamente a corto di fianco – Dei, ti avevo chiesto quella cosa perché pensavo di essere paranoico e volevo scalzarla via dalla mia mente, invece me l’hai confermata pienamente!”

“C-che cosa?”

“Devo… devo parlare con nostra madre, al più presto, lei avrà sicuro ricordi più nitidi di quel giorno, non… non mi piace per niente e...”

“Cam, CHE COSA?”

Non risponde. Lo vedo agitarsi non poco per qualcosa che sfugge alla mia mente. Si appoggia stancamente alla credenza, stanco come non mai e turbato. Vorrei tranquillizzarlo, ma prima di poter fare qualsiasi cosa, sento cigolare la porta della cucina e, con la coda dell’occhio, vedo una sagoma umana accasciarsi ginocchioni per terra. Non lo riconosco subito, complice la mia posizione, lo fa Camus per me poiché è frontale rispetto all’entrata.

“Hyoga!!!”

Colui che è caduto sul pavimento è effettivamente il Cigno, ha gli occhi sbarrati verso il pavimento, come se avesse capito qualcosa che a me continua a sfuggire, ma il richiamo del suo mentore lo riscuote.

“Perdonatemi, Maestro, volevo chiedervi una cosa e ho udito il vostro ultimo dialogo...”

Camus sbuffa sonoramente, innervosito e seccato. Si passa una mano tra i capelli, prima di chiuderla del tutto e picchiare brevemente sulla credenza, il suono che ne deriva fa sussultare anche me, facendomi agitare ulteriormente.

“Per forza! In questa casa non si può fare un discorso intimo con uno di voi che un altro origlia da dietro una porta, o una colonna, o Atena solo sa cosa! A volte rimpiango quando c’ero solo io qui!”

“Perdonatemi...”

“Perdonarti… e intanto hai udito ciò che non dovevi udire! Non potevi essere da qualche altra parte?!? Che so, ad allenarti con il tuo amico Shiryu, no, dovevi essere qui e ascoltare! Sempre nel posto sbagliato al momento sbagliato!”

Hyoga non dice niente, se ne rimane lì ad ascoltare la sfuriata del suo maestro, come una bottiglia vuota che viene sbatacchiata dalla corrente marina. Mi dispiace infinitamente per lui, tanto che sono portata a prendere le sue difese.

“Cam, sei troppo rude con lui, stai esagerando! Hyoga non lo ha fatto apposta e, l’altra sera, quando parlavate tu e Fra, è stato errore vostro pensare che non ci fosse nessuno, perché io ero già fuori per gli affari miei!” lo sgrido bonariamente, cercando di acciuffare il suo sguardo, ora di nuovo latente. E’ molto agitato, si percepisce, probabilmente neanche vorrebbe prendersela con Hyoga, ma è capitato lì al momento sbagliato e quindi lo ha usato un po’ come valvola di sfogo. A seguito delle mie parole di riscuote, forse rendendosi conto di aver esagerato.

“Hai ragione, è che… uff, non ha importanza! - sospira, massaggiandosi le tempie, poi riprende il discorso con enorme fatica – Hyoga, scusami... sei arrivato in un momento sbagliato ed io… io non ero totalmente in me, trasgredendo io per primo agli insegnamenti che ti ho impartito. Scusami davvero, io...”

“Non c’è problema, comprendo bene, era davvero il momento sbagliato, la vostra reazione è più che naturale” dice solo il Cigno, alzandosi in piedi e facendo per allontanarsi.

“Aspetta, non volevi parlarmi di una cosa?”

Hyoga si blocca, esitando un attimo. Ormai anche lui è irraggiungibile là dove si è rifugiato.

“Io… sì, ma, a pensarci bene non era niente di importante. Scusatemi se vi ho interrotto!” biascica, prima di andarsene.

“Aspetta, Hyo...”

Ma il Cigno se ne è già andato fuori dal tempio, chiudendo gentilmente, ma con movimento fermo, la porta dietro di sé, come se l’aria tra queste pareti fosse diventata irrespirabile.

“Io a volte non so proprio come comportarmi con quel ragazzo, non so come raggiungerlo...”

“Cam, non è che ci patisce?”

“A cosa ti riferisci?”

“Alle attenzioni che non gli dai… forse vorrebbe solo potersi confidare con te come, non so, come facevate un tempo, invece il nostro arrivo ha sconvolto la sua quotidianità e si sente di troppo” tento, ricordandomi di avvertire qualcosa di buio e scuro dentro di lui già da un po’.

“Non si è mai confidato liberamente con me, le cose dovevo estirpargliele di bocca io quando avvertivo che c’era qualcosa che non andasse. E, anche in quel caso, parlava poco e brevemente...”

“Ohoho! Mi ricorda qualcuno, ehehe, siete così simili!” sogghigno, dandogli allegramente una gomitata tra le costole.

“Marta… non sono in vena di ironizzare su questo ora, mi spiace! - mi avverte, davvero amareggiato. Mi ammutolisco, continuando a sfuggirmi il motivo del suo stato emotivo di questi ultimi minuti – Non volevo attaccarlo così, ma davvero è sbucato fuori in un momento in cui avrei preferito essere solo! E’ già… attorniato dal senso di colpa, ora questo e… davvero non so cosa fare!”

“Cam, se puoi, parla più spesso con lui...” gli consiglio, abbattuta, continuando a fissare la porta chiusa. L’atmosfera si è rovina, non ne capisco la ragione ma mi sento responsabile, e me ne dispiace.

“Mi dici di parlargli, ma non è così semplice, ciò che riesco ad esprimere con te non è facile farlo anche con gli altri. Me ne rammarico, ma… ci sono molte cose non dette tra me e Hyoga!”

“Lo so, lo percepisco, ed è proprio questo che mi spaventa...”

Camus mi fissa sorpreso, forse capendo la gravità dei miei pensieri dal tono di voce. Ricambio lo sguardo, seria in volto.

“Le parole non dette diventano come pugnali che, una volta scagliati, diventano ferite profonde e incurabili. Tu puoi cercare di tenerle sotto controllo, ma non puoi avere la sicurezza che non usciranno mai dalle tue labbra, e queste, di giorno in giorno, non avendo uno sbocco, si ingigantiscono senza tregua. Pensaci, Cam! Io so quanto sei legato al tuo allievo, lo percepisco nitidamente perché una parte di me è in te e viceversa, ma, mi chiedo, lui lo sa? Sa quanto lui sia importante per te?”

La domanda rimane in sospeso per diversi secondi, poco prima di trovare uno sbocco da parte dello stesso Camus.

“Dovrebbe saperlo… ho dato la mia vita per la sua crescita, ha ereditato l’armatura di Aquarius quando io non ero più in vita, l’ho sorretto, nell’aldilà, con l’ausilio del mio cosmo contro nemici inimmaginabili e ci siamo ritrovato sotto lo stesso tetto, vivi, prendendoci cura l’uno dell’altro. Non pensi che queste dimostrazioni siano più che sufficienti?”

Sospiro sonoramente, ben sapendo di avere un muro davanti; un muro indistruttibile.

“Tu dimostrarglielo anche a parole, Cam, dammi retta, so che puoi farlo. Avere il mondo dentro e non riuscire a manifestarlo è atroce e tu non lo meriti, perché sei una persona meravigliosa! - persevero, sorridendogli per incoraggiarlo – Parla con lui, appena lo rivedi, ne ha un estremo bisogno!”

“Ne ho… bisogno… anche io! - mormora, pensieroso, continuando a fissare il punto dove il suo pupillo è sparito – Anche io ho bisogno di lui, del mio… Hyoga...”

Gli sorrido intenerita, alzandomi sulla punta dei piedi per baciarlo sulla guancia, scostandogli un ciuffo dalla fronte come faceva mia madre quando era un bambino.

“Dopo tutto quello che avete passato, meritate ogni bene, Cam!”

Lui ricambia il sorriso un poco più rasserenato, guardandomi con gli occhi brillanti, prima di scompigliarmi affettuosamente i capelli.

“Grazie… per essere sempre il mio sostegno, piccola mia!”

 

 

* * *

 

 

21 ottobre 2011, mattina

 

 

Dopo aver indossato i jeans e la felpa ed essermi pettinata allo specchio, esco dalla porta di camera mia piena di energie. Ieri non è successo più niente di rilevante, la giornata è trascorsa tranquilla, anche se dubito che Camus, orgoglioso com’è, abbia seguito subito il mio consiglio a proposito di Hyoga.

La ferita va molto meglio, ha smesso di tirarmi e finalmente posso tornare agli allenamenti, il tempo è prezioso e non va sprecato. Scendo quindi le scale con vivacità, convinta di trovare qualcuno in cucina, ma contrariamente alle mie previsioni, non c’è nessuno. Butto un’occhiata all’orologio da parete, rendendomi così conto che è più tardi del previsto: le 10 e mezza! Ho dormito decisamente troppo!

Ho appena il tempo di motivarmi ulteriormente, carica come non mai, che avvertto il cigolare di una porta.

“Certo che stamattina al Tempio sono usciti proprio tutti di testa!”

Sento commentare una voce famigliare, che riconoscono come quella della mia amica Michela. La raggiungo immediatamente, trovandola all’entrata del corridoio. La saluto con un largo sorriso, non sto più nella pelle da ricominciare gli addestramenti, ma non ho il tempo di aprir bocca che lei, al solito, mi avvolge in un poderoso abbraccio, frugandomi nei capelli come se stesse accarezzando un cane.

“Devi rimediare, cara Marta! - commenta, con enfasi – Un tempo ero io la pelandrona che dormiva sempre, ma tu mi stai superando ultimamente! Se continuerai così, il Maestro Camus farà a te gli allenamenti extra, non più a me!” ridacchia, dandomi delle sonore pacche sulle spalle, vicinissima al mio viso.

Sorrido a mia volta, un poco a disagio dalla rivelazione e dalla distanza così ravvicinata, effettivamente ha ragione, se non recupero in fretta le altre mi surclasseranno e non voglio!

“Cosa dicevi a proposito del Grande Tempio?” chiedo, cambiando discorso.

“Che sono tutti ammattiti oggi, si devono essere svegliati con l’umore sbagliato!”

“Che… che intendi?”

“Che litigano di continuo! Sono passata dai templi sottostanti e non c’è una delle dodici case in quiete, forse giusto la prima, perché con Mu è assolutamente impossibile prendersi e, ah, ovviamente Milo, anche lui è pacifico, ma gli altri… un vero e proprio macello!”

Le Dodici Case sono in fermento?! I vari Cavalieri d’Oro stanno litigando tra loro tutti insieme e nello stesso momento?! No, questo decisamente non può essere normale, urge indagare.

“Dove sono Camus e Hyoga?”chiedo, temendo in una discussione anche tra loro.

“Ah, loro sono a fare delle compere ad Atene, Hyoga non voleva andare con il maestro, a dire il vero, ma Camus è stato irremovibile, lo ha praticamente costretto a passare un po’ di tempo insieme, gli ha detto che è da tanto che non lo facevano e lui ha bofonchiato qualcosa, arrossendo di netto, prima di seguirlo, però, almeno loro, sembravano tranquilli!”

Sospiro rasserenata, allora mio fratello ogni tanto li segue i miei consigli! Speriamo che parlino un po’ tra loro, ne hanno veramente bisogno, ma sta a Camus aprire un eventuale discorso, la vedo molto difficile.

“Ascolta, Michela… per caso Hyoga ti è sembrato strano in quest’ultimo periodo? Che so, ti sembra abbia delle ragioni per avercela con Camus?”

“Mmm, no, a me sembra come sempre!” risponde lei, tutta trillante.

Mi massaggio teatralmente la fronte, chiedendomi per la milionesima volta perché io mi sforzi di chiedere a lei queste cose che, ingenua com’è, non le capisce o non si rende conto.

Che Hyoga abbia qualche problema con mio fratello è visibile da un po’, soprattutto da quando siamo tornate nel presente. Dal canto suo Camus, in questi mesi, lo ha trascurato alquanto, concentrandosi più su di noi che non su lui, reputandolo già pienamente formato. Sicuramente non lo ha fatto con cattiveria, forse nemmeno se ne è reso conto, ma il Cigno sembra patire molto questa situazione.

Mi fisso per diversi secondi sulla porta di uscita, preda del vortice dei miei pensieri. Già, Camus mi ha parlato di Isaac, io stessa ho visto alcune scene dell’allenamento dei due bimbi e la sensazione che ne è derivata è sempre la stessa: mio fratello ha sempre avuto una predilezione per Isaac, era il più affine al suo carattere, il più prodigioso, il più motivato, eppure… non posso non pensare che la vera essenza di mio fratello, quella più intima, quella che si sforza di celare agli altri, si rispecchi in pieno in quella dello stesso Hyoga. E’ senz’altro così: in lui rivede le sue debolezze più insanabili, le sue insicurezze più accanite, come se fosse il suo riflesso. Così simili, tra loro, eppure così apparentemente distanti da non riuscire a comprendersi… e questo è l’apice di tutti i problemi e incomprensioni che si sono formate tra loro.

Camus, durante l’apprendistato in Siberia, ha sempre cercato di trattarli in ugual maniera, ma il divario è grande, lo stesso Cigno credo se ne sia accorto, intelligente com’è. Sicuramente ci avrà patito un sacco e, forse, nonostante lo abbia riconosciuto come suo successore e gli voglia bene come a un figlio, ci patisce ancora adesso. Da parte di Hyoga quindi c’è molto di non detto, ma… anche dalla parte di mio fratello, SOPRATTUTTO dalla sua parte, visto che non si esprime neanche sotto tortura, creando fraintendimenti. Se… se per qualche ragione questo dovesse uscire fuori tra loro, il loro rapporto non potrebbe che risentirne pesantemente!

“Michela...”

“Sì?”

“Mi preoccupa ciò che hai detto sui templi sottostanti, ti va se andiamo a fare un sopralluogo?”

“E brava, Marta! - esclama lei, circondandomi le spalle con un braccio – Fai tanto la discreta ma anche a te piace ficcare il naso, eh! Per me va bene, anche perché il mio ragazzo mi ha abbandonato per passare del tempo con suo padre, che però sarebbe anche il mio… che casino!!!”

“Sì, vabbé...” sbuffò, fermando anzitempo lo sproloquio di Michela prima che si azioni del tutto, dirigendomi poi verso l’uscita della Casa dell’Acquario, ma la mia amica mi afferra il braccio, in preda ad una deduzione trascendentale.

“Marta!!! Ci ho pensato ora! Per Hyoga, Camus è come un padre, per me pure: è come se mi fossi innamorata di mio fratello!!!”

“Michela ma che diavolo dici?!? Non ci sono legami sanguigni tra te e lui, non metterti a straparlare come tuo solito!!!” la tronco sul nascere, a metà strada tra il divertito e il rassegnato. Ora da dove se ne è uscita con questa concezione?! Davvero incredibile!

“Hai ragione!!! E poi, a ben vedere, colui di cui ti eri innamorata si è reincarnato in tuo fratello, c’è già un incesto qui, non c’è bisogno di altro!” ridacchia, totalmente presa dai suoi fantasmagorici pensieri.

“Ma che cosa stai…? Non c’è NIENTE di sessuale tra me e Camus, siamo nati dalla stessa madre e dallo stesso padre, non potremmo mai...”

“Oh, andiamo, Marta, scherzo, non prendertela! - mi fa l’occhiolino lei e la linguaccia – So bene non ci sia nulla di sessuale tra voi, ma… siete così pucciosi insieme che mi riempite il cuore di tenerezza. Non mi puoi dire che il vostro rapporto fraterno sia normale, è… c’è qualcosa in più, non il sesso, certo ma si percepisce distintamente!” prova a spiegare, lo sguardo trasognato.

“...”

No, ha ragione, è un legame spurio, che affonda le radici nel nostro passato, di cui siamo entrambi consapevoli: è un vincolo che, pur cambiando irreversibilmente nel corso del tempo, non potrà mai essere spezzato!

“Ti ho… rattristata?” chiede Michela, facendosi improvvisamente seria, deve avermi visto gli occhi lucidi. Mi affretto a scrollarmi di dosso la tristezza.

“Michela… io amo Dègel, questo non potrà mai cambiare, sebbene lui sia ormai m-morto ed io mi ritrovi q-qui, s-senza di lui… - biascico, prima di tornare determinata – Ad ogni modo, questo non è il momento per perdersi in simili, labili, ricordi, andiamo giù a vedere come è la situazione!” le propongo, prima di prenderle delicatamente la mano e dirigermi giù con lei, una brutta sensazione nel cuore.

Al dire il vero, non facciamo molta strada, perché già alla nona casa siamo attirate da dei toni mostruosamente alti, impropri per il Grande Tempio di Atene. Facendoci coraggio, ci dirigiamo verso il rumore, trovandovi il trio formato da Aiolia, Aiolos e Shura. Il primo affronta gli altri due, furibondo per qualcosa di oscuro a noi, Aiolos difende l’amico Capricorno, fisso immobile con lo sguardo al pavimento nel subire la collera del Leone che è rivolta a lui e a lui solo. Ci acquattiamo dietro una colonna, non viste.

“Lia, pensavo ne avessimo già parlato...” tenta Shura, visibilmente prostrato, facendosi maltrattare dalle parole ingiuriose di Leo come se fosse un bambolotto.

“Anche se ne abbiamo già parlato, non ti perdonerò mai, MAI per quello che hai fatto! Non sei un Cavaliere, sei indegno dell’armatura che indossi, altro che Atena che ha scelto te per affidarti Excalibur, io non ti avrei affidato nemmeno un cane!” gli grida contro, totalmente incollerito. Non alza ancora le mani, ma temo sia questione di pochi minuti. La mia amica ed io ci guardiamo, un poco spaventate.

“Te lo dicevo che sono tutti ammattiti!” mi sussurra lei facendo per intervenire, ma io la fermo seduta stante. Non ci hanno ancora viste, troppo presi dalla discussione fra loro, forse è meglio così. Aiolos si frappone tra l’amico e il fratello.

“Ora basta, Aiolia! Con che diritto insulti un tuo parigrado che, come te, ha distrutto il Muro del Lamento a costo della propria vita? Con che diritto disprezzi un onorevole Cavaliere che, per il bene di Atena, ha finto di schierarsi con Hades, soffrendo pene inimmaginabili, al solo scopo di rivelare il segreto dell’armatura divina?!?”

“Tutte queste belle azioni non cancellano il passato! Lui ti ha ucciso! Non ha riconosciuto Atena e si è schierato con quel gran pezzo di merda di Saga nelle vesti del Grande Sacerdote, come posso perdonarlo?! Come posso…?!”

“Atena non l’hai riconosciuta nemmeno tu, se per quello… ti è servito toccare con mano per capire che Lady Saori era divina! Da che pulpito lo accusi, ordunque?”

Vedo nitidamente il viso di Aiolia farsi paonazzo, ancora più fuori di sé rispetto a prima, ora davvero se non arriva alle mani è un prodigio, forse dovremmo provare a calmarli, ma come?!

“Cosa dici, fratello? Mi equipari a loro?! Tu non mi hai spiegato niente, NIENTE, quando salvasti Lady Saori in fasce quando io ero ancora un bambino! Da quel giorno, passai io per traditore, subendo le più atroci angherie! Fui tacciato di tradimento, ed io, non sapendo niente, me ne convinsi. Ho vissuto un’infanzia infernale e ti cominciai ad odiare, fui anche costretto ad affidare Sonia a Milo, costringendomi a non vederla crescere e a non rivelarle il nostro legame, E TU MI PARAGONI A LORO, A QUELLI CHE SAPEVANO E CHE SI SONO SCHIERATI COMUNQUE CON SAGA!!!”

“Non ti sto paragonando a loro… ma devi entrare nell’ottica che ognuno di noi ha una manciata di colpa in quello che è stato. Il passato non si cancella, è vero, ma sputare veleno gli uni verso gli altri non ci porterà da nessuna parte! - gli prova a spiegare Aiolos, del tutto pacato, se paragonato al fratello più piccolo, atroce, a suo confronto – Perché i Cavalieri di Bronzo superarono noi Cavalieri d’Oro durante la Battaglia delle Dodici Case? E’ stato perché si rivelarono più uniti di noi, perché erano pervasi da una intensa, incrollabile, fiducia reciproca! Abbiamo promesso, ricordi? Quando ci ritrovammo tutti di nuovo qui, nudi, inermi, stremati, ma vivi, dopo che Seiya e gli altri sconfissero Hades e lo distrussero per sempre, ci promettemmo reciprocamente che saremo rimasti uniti anche noi, prendendo esempio dai giovani Cavalieri della speranza. Giurammo solennemente che non ci sarebbero state più dispute, e, chi ne era in grado, suggellò tale giuramento donando il sangue per ricostruire le armature d’oro andate distrutte nell’Elisio. Siamo… fratelli, capisci? Non solo io, non solo tu… ma tutti noi. E la fratellanza è un vincolo che non si disonora!”

Dopo questo discorso Aiolia sembra acquietarsi, tanto da far prendere un sospiro di sollievo sia a me che a Michela, ma la tregua è di breve durata. Come un temporale autorigenerante che si sovraccarica assorbendo il vento caldo, anche Aiolia, dopo aver taciuto per una manciata di secondi, recupera subito. Decidendo arbitrariamente di non avercela solo con Shura ma anche con Aiolos. Di bene in meglio!

“Io penso solo che tu abbia problemi a sceglierti correttamente gli amici: Saga, Shura… davvero non potevi fare di meglio?! Uno è un pazzo schizofrenico e pure bipolare, l’altro, credendo unicamente nella forza, sceglie di seguire comunque il mentecatto dei Gemelli e per poco non uccide Atena in fasce! IN FASCE!”

“Aiolia!!!”

Ma stavolta è Shura che lo blocca, scambiandogli uno sguardo di gratitudine per il suo tentativo di difenderlo, nondimeno accettando quella colpa.

“Va bene così, Aiolos, ti ringrazio per avermi difeso, nonostante tutto. Tuttavia ciò che dice Aiolia è giusto e corretto, stanne quindi fuori e lascia che la sua collera si scateni deliberatamente su me, in fondo, me lo merito!”

“Shura… non vorrai…? Non arriverete alle mani, spero!” lo trattiene Aiolos, allarmato, il tutto mentre il fratello più piccolo comincia a stringere il pugno destro in un esaustivo istinti offensivo.

“No, non voglio ciò, ma non posso permettere che venga coinvolto anche tu. Lascia quindi che il tuo fratellino trovi libero sfogo a ciò che cova dentro da anni, io subirò tutto questo, me lo merito, la colpa non è stata del tutto espiata, non lo sarà mai!”

Il seguito sono altri tentativi da parte di Aiolos di fermare quelle barbarie, cercando di destreggiarsi meglio che può tra i due opposti. Un filo sottile trattiene Aiolia da perpetrare un macello, un filo che può essere ricamato solo dalla sorellina più piccola, che però non è qui..

“Qui marca davvero male… - mormoro io, scrollando un poco Michela, del tutto presa dalla discussione – Propongo di scendere all’ottava casa e chiedere a Sonia se può intervenire per calmare Aiolia, prima che il leoncino attacchi seriamente un indifeso Shura!” propongo alla mia amica, spingendola esaustivamente di lato per indicarle la via.

“Eh? Non chiediamo il permesso di passare? Non… salutiamo?”

La guardo in tralice, scettica.

“Ti sembra il momento per i convenevoli? Vuoi beccarti un Lightining Bolt in faccia?!”

“No, però non possiamo passare senza il permesso del proprietario del tempio!”

“E’ per un bene superiore, e ora vai!” taglio corto, conducendola fuori senza che fortunatamente gli altri ci notino.

Corriamo quindi giù trepidanti, sperando che non si scatenino al nono tempio, cosa che fortunatamente per il momento non avviene: i cosmi sono carichi di tensione, quasi furenti, ma in nessuno di loro c’è traccia della battaglia.

Varchiamo le colonne dell’ottavo tempio, permettendoci, data la confidenza con il suo dorato custode e la giovane allieva, di salire direttamente nelle stanze private. Prendiamo quindi le scale e, giunte al piano superiore, facendoci indirizzare dai rumori e dal chiacchiericcio, entriamo senza bussare.

“Milo, emergenza!” esclamo, aprendo di slancio la porta. Il Cavaliere di Scorpio quasi cade dalla sedia prendendosi un risalto, mentre Sonia, intenta a lavare i piatti, si blocca nella sua posizione, voltandosi poi verso di noi e scambiandoci un’occhiata interrogativa.

“Ma da dove siete entrate?!” ci chiede Milo, spalancando le iridi azzurre.

“Dalla porta”

“Questo lo so! La mia domanda stava a significare un ‘che cavolo è successo per farvi giungere qui in questa maniera’??? - mi chiede, poi un’ombra scura negli occhi, ora spaventati – Camus sta male?!?”

“Ma no! - lo rassicuro, in fretta e furia – Perché deve stare sempre male?!?”

“Perché in questi ultimi mesi è sempre stato molto più male che bene, e voi siete arrivate qui in fretta e furia, le sue condizioni, pur in vistoso miglioramento, non sono del tutto ristabilite, ho temuto per lui!”

Mi gratto la testa, a disagio. Effettivamente Milo ha ragione, mi spiace avergli fatto prendere un risalto simile. Lui è sempre così in pena per Camus, intuisce il suo stato con un’unica occhiata e, se solo potesse, metterebbe a soqquadro il mondo per farlo stare bene.

“No, siamo qui per Aiolia, è furente e poco ci manca che non prenda a botte Shura! Aiolos sta facendo da paciere, ma non sappiamo quanto possa reggere!” si affretta a spiegare Michela, visibilmente agitata.

“Mio fratello sta… oh, ha sempre avuto un conto in sospeso con il Capricorno, da quando Shion ci ha parlato della storia del Grande Tempio, ma è comunque strano che un tale astio sia uscito fuori ora, soprattutto considerando che era stato lui il primo a calmarmi, quando anche io mi ero imbestialita a scoprire la verità!” afferma Sonia, asciugandosi le mani e mettendosi a pensare sul da farsi.

“Ci chiedevamo se tu potessi fare qualcosa… hai un effetto calmante su tuo fratello, sei l’unica che puoi fermarlo da fare una pazzia!” dico, guardandola con apprensione.

“Dove si trovano?”

“Alla decima casa”

“Perfetto… - acconsente, girandosi poi verso Milo con quella sua solita espressione decisa ma un poco preoccupata – Milo, io vado, spero di fare in tempo!”

Milo annuisce senza aggiungere niente, seguendo poi, con lo sguardo, l’allieva che esce dalla porta e, con le orecchie, i suoi passi che si allontano. Poi si alza in piedi, fissando la sua espressione sia nella mia che in quella di Michela.

“Ragazze… anche io avrei da chiedervi di andare in un determinato posto”

Lo scrutiamo confuse, aspettando che prosegua per spigarci il motivo di una tale richiesta, cosa che non tarda a fare.

“E’ da un paio di tempo che da qui è passata Francesca, scurissima in viso. Le increspature del suo cosmo erano nere, come mai le ho avvertite in lei. Sapete meglio di me che tende a trattenere le emozioni esattamente come fa Camus, per questo non esagero se dico che non sembrava neanche in sé. Faceva… paura!”

Ci fissiamo sbigottite, in testa lo stesso dubbio.

“E dove stava andando?”

Milo fa un mezzo giro della cucina, appoggiandosi quindi al muro perimetrale, prima di sospirare, chiudere gli occhi e riaprirli subito dopo.

“Alla quarta casa, da Death Mask!”

“A litigare… da Death Mask?” indago, fremendo.

“A me, quando ho provato a fermarla, ha detto che una ramanzina non gliela avrebbe tolta nessuno, e che non era stato sincero con lei, su questo ha calcato particolarmente, dicendo che era imperdonabile”

“Oh, no, si è ammattita pure lei!!!” esclama Michela, mettendosi le mani tra i capelli e cominciando a muoversi scompostamente, come accade quando è agitata.

Io rimango in silenzio, soppesando le ragioni per cui la nostra amica può avercela con il Cancro, e trovandone in una sola: il suo passato che non gli ha ancora, per vergogna, rivelato. Ad ogni modo non è normale, o qui stanno impazzendo tutti di colpo, oppure…

“Qui c’è qualcosa che non va, decisamente...” bisbiglio, enigmatica.

“Lo penso anche io e ho avvertito un cosmo oscuro lambire il Santuario, prima che scoppiasse il putiferio… per il momento, cerchiamo di arginare quest’ondata distruttiva tra noi. Mi affido a voi!” afferma a sua volta Milo, permettendoci così di andare verso il quarto tempio.

Attraversiamo le case sottostanti senza essere fermate, essendo tutte vuote, affrettandoci a dirigerci dove ci è stato detto. Effettivamente si sente un turbamento sempre più forte provenire proprio da lì, dobbiamo affrettarci.

Giunti alla meta praticamente di corsa, non abbiamo neanche il tempo per capire cosa sta succedendo o che cosa fare, che l’atmosfera carica di elettricità statica ci rizza i capelli in testa e non di poco. Subito dopo, particelle della stessa essenza scoppiettano tutto intorno a noi, muovendo tra il pavimento e le colonne senza però farci male. Riusciamo giusto a scambiarci uno sguardo allibito, prima che i nostri occhi vengano catturati da un’improvvisa luce, seguita da un grido furioso.

“ANCORA TI OSTINI A NEGARE?!?”

“Io… io non sto negando niente, stai facendo tutto tu!”

Sono Francesca indemoniata e Death Mask, quest’ultimo sembra particolarmente in difficoltà. Ben consce della missione affidataci da Milo, ci dirigiamo all’interno delle stanze private, dove li vediamo fronteggiarsi. Per inciso, è più la nostra amica ad avere atteggiamenti offensivi, il Cavaliere di Cancer non fa altro che indietreggiare spaurito, fino a finire contro la colonna e bloccarsi lì, prostrato e intimorito.

“Cosa sta succedendo qui?!” mi affretto ad intervenire, frapponendomi immediatamente tra loro nella paura che possa scappare un colpo. Michela invece rimane un po’ più indietro, la muscolatura rigida, lo sguardo smarrito. La tensione è percettibile da entrambe le parti.

“Devo chiarirmi finalmente con quell’essere là dietro, non sono cose che vi riguardano!”

“Intanto ti calmi, poi abbassi i pugni e smetti di produrre elettricità a tutto spiano, che se perdi il controllo dei tuoi poteri da dea fai un macello!” la blocco immediatamente, sentendomi Camus in una situazione simile.

La mia amica, lo sguardo torvo, irriconoscibile, non ribatte niente, rimanendo in posizione di attacco ancora per qualche secondo, poi, finalmente, abbassa i pugni, l’elettricità scema fino a scomparire. Sembra essersi calmata, ma avverto solo che è una pausa di breve durata, i suoi occhi scintillanti carichi di qualcosa rassomigliante all’odio, non mentono.

“Cosa è successo, Deathy? L’hai resa insoddisfatta a letto per renderla così furiosa?” chiede immediatamente Michela, una volta appurata che la situazione è in lento, ma graduale, miglioramento, anche se molto probabilmente per poco.

“Certo che no, deficiente, ti sembra il momento di dire cose simili?! - bercia Death Mask, squadrandola male ma arrossendo di netto – Con la tua amica non ci ho fatto ancora niente, entrambi concordiamo di prendercela comoda, senza fretta, e comunque così incazzata non la sfiorerei neanche, non sono autolesionista!”

“Cosa è successo, ordunque? Non è normale il suo comportamento!” chiedo io, recuperando un minimo di serietà.

“Non è normale, no, per questo mi trovo in questa situazione allucinante! E’ da stamattina presto che è così, ho provato a parlarle, a cambiare discorso, ma lei continua ad incalzarmi con domande sul mio passato; domande retoriche, visto che pare sappia già tutto!”

Li scruto nel profondo, sia uno che l’altro, Francesca si sta comportando esattamente come Aiolia, priva di ogni logica e seguendo solo la furia cieca, ma sto cominciando a comprendere il motivo del loro dibattito, per dire un eufemismo.

“Da quando è così?”

“Da quando è giunta qua… ho capito subito che qualcosa non andasse, ma la situazione non fa che peggiorare, lei non fa che peggiorare! Prima ci mancava poco che non mi folgorasse con i suoi poteri, e non sto certo parlando di amore...”

“TU DEVI SOLO STARE ZITTO, VERME!”

“Ecco… vedete?”

“Fra, ho detto di calmarti! Non sei in te, vatti a fare un giro e poi parlate quando siete in un momento emotivo migliore!” riprovo a riappacificare gli animi, vedendola di nuovo sul punto di attaccare.

“NO, MARTA! Non me ne andrò finché quel pezzo di merda non mi avrà detto perché ha ucciso delle persone innocenti e tra di essi dei bambini!”

“COSA?!?”

Rimango sbalordita e attonita a quella rivelazione, gettando un’occhiata a Death Mask in un misto di ripugnanza e incredulità. Lui non ribatte nulla, semplicemente discosta lo sguardo, rifuggendo il mio.

“E’ la verità?!? Anche donne e bambini innocenti?!?” chiedo ulteriore conferma, assolutamente certa di aver udito male, o… o comunque di trovarmi in una situazione paradossale.

“Te lo dissi all’ospedale, quando Camus si trovava in coma, ricordi? - biascica solo, guardando nella mia direzione – Ho fatto cose per cui non posso essere perdonato, cosa ne vuoi sapere tu, che appari così candida e innocente?”

Non ho il coraggio di replicare, ancora più esterrefatta di prima. Quasi mi verrebbe di congiungermi a Francesca per linciarlo insieme, solo le ultime redini della ragione mi proibiscono di perpetrare un omicidio.

“Rispondimi, vigliacco, perché lo hai fatto?!? Che razza di Cavaliere, che uomo, sei per aver perpetrato simili cose?!? Io sono rinata umana per avvicinarmi all’umanità, a questo immenso mondo, e tu… tu ammazzi senza pietà gente solo perché si trovava in mezzo al campo di battaglia?! Non sei degno di essere neanche una bestia!”

“Esatto, è proprio quello che ho fatto...”

“Bastardo!!!”

Non ho il tempo di fare alcunché che la folgore lanciata a tutta velocità dalla mia amica, colpisce violentemente la testa di Death Mask, facendogli colare giù il sangue dalla fronte.

A questo punto mi aspetterei una sua reazione di qualche tipo, un suo ipotetico attacco, o una motivazione sul suo comportamento efferato. Invece lo vedo coprirsi il volto con la mano, poco prima di gemere tre volte e accasciarsi a terra. Non so se soccorrerlo o no, ma in ogni caso la sua risata stridula irrompe tra le colonne del tempio, facendoci sussultare e rabbrividire non poco.

Schiamazzi. Risate. Mugolii sommessi. E’ seduto a terra, la mano a nascondergli il volto, il petto ansante, che trema con intermittenza.

Non posso credere che stia davvero ridendo; ridendo dopo aver ammesso di aver ucciso barbaramente delle persone innocenti, dopo avergli strappato la libertà e averli privati del calore delle proprie famiglie, del calore della vita…

Stringo con forza i pugni, imbiancando le nocche, desiderosa di fiondargli un gancio destro dritto in faccia e di fracassargli quella sua testa malata, perché non può essere altro che un malato di mente a fare cose del genere!

Lo guardo. Lo schifo. Tremo. Sto per fare quanto vorrebbe Francesca, lo so, per una serie di secondi ho il dubbio se lasciarlo a lei, alla sua furia. Fremo ininterrottamente nell’alzare il pugno, ma mi fermo. Immobile.

Lo osservo meglio. Vedo. E la mia furia cieca si assopisce. Non quella della mia amica, più distante.

“Maledetto, schifoso essere che non merita di vivere! Mi ripugni! Come ho fatto a innamorarmi di te?!? Sei un dannato serial-killer, io… io… ti ucciderò!!!” sbraita Francesca, fuori di sé dalla rabbia, caricando una nuova folgore con l’intento di infilargliela dritta nel petto e privarlo così della vita.

“No, Fra, fermati!!!” si frappone Michela, sfruttando la mole più possente per bloccarle i polsi e circondarle il busto con le braccia.

Anche lei deve avere capito…

“Lasciami, Michela! E’ affar mio! Io… io mi sono innamorata di un essere malvagio come lui, io devo ristabilire l’ordine, io… IO!!!” singhiozza Francesca, ormai preda di emozioni contrapposte.

“No, Fra, non te ne sei accorta perché eri distante, ma… ma...”

“Michela, lasciala andare ora… così sia, è ciò che merito!”

Mi volto sconvolta in direzione di Death Mask, accasciato ancora a terra. La sua mano è ancora tra i capelli come a volersi nascondere il viso, ma lascia scoperto l’occhio sinistro, dal quale scendono lacrime amare e salate.

Come sospettavo, non stava ridendo, lasciandosi semplicemente andare ad un pianto sfrenato, schiacciato da colpe che non possono essere espiate, vergato da un passato che non può più essere cancellato. Nessuna pena potrebbe fargli nulla, non quanto il peso di aver accettato una nuova esistenza. Forse…. forse, ancora più che noi, quello che si ripugna di più è proprio lui, vittima e carnefice al tempo stesso, costretto a vivere con la persona che odia di più al mondo: sé stesso.

Lo fisso incapace di proferire parola, provando un misto di emozioni.

Poco dopo lo vedo lentamente alzarsi e appoggiarsi nuovamente alla colonna. Si asciuga le lacrime una, due, tre volte, prima di parlare, ma non basta comunque a fermare il pianto.

“Fra… agisci come meglio credi, sei una divinità che è rinata umana, nessuno meglio di te può giudicarmi: non ho ucciso per necessità, né per difesa personale… ho ucciso per semplice noncuranza, perché si trovavano lì, nell’infuriare della battaglia, né più né meno! Non sapevo cosa fosse vita, né cosa fosse morte, era semplicemente irrilevante e mi sentivo io stesso un dio – dice, senza troppi fronzoli, non mascherando affatto ciò che è stato, né cercando scusanti – Ciò che ho fatto non sarà mai cancellato, MAI! Che tu mi uccida, che distrugga il mio corpo, o che lo renderai cenere, dannando anche la mia anima per l’eternità, non cambierà proprio niente, non ristabilirà il mio onore, né mi assolverà, ma visto che sarai tu a farlo, accetterò con gioia qualsiasi sorta di punizione, perché saprò per certo che avrai fatto la cosa giusta!” biascica, abbassando le braccia arrendevolmente e guardando intensamente Francesca negli occhi. La mia amica è sgomenta, quasi spaventata. Sembra immobile e perfettamente impossibilitata a fargli del male, ma mi spaventa enormemente la folgore che continua ad avere tra le mani, sempre più scoppiettante e intensa. C’è qualcosa che non va…

“Francesca, ti prego, fallo… fai di me ciò che vuoi, dammi l’illusione, solo l’illusione, di potermi redimere attraverso la sofferenza, la stessa che ho impartito a tante, troppe, persone! Infliggimi la pena che ti sembrerà più idonea, ho assoluta fiducia in te!”

Cancer si deve essere ammattito, come dice Michela, il troppo senso di colpa deve averlo reso schiavo di sé stesso, non c’è altra spiegazione…

Non ho comunque il tempo di ragionare sull’assurdità delle esclamazioni di Deathy, che, con la coda dell’occhio, vedo Francesca scrollarsi di dosso Michela, traendo giovamento e vantaggio dal fatto che la ragazza era distratta dalle elucubrazioni del Cavaliere, per poi far scaturire dal terreno un immenso e vorticoso muro elettrico che si dirige, disintegrando il pavimento sottostante, verso Death Mask, il quale, come un coglione, sorride.

“Electric Cyclone!!!”

“Grazie… sono onorato, e felice, che sia stata proprio tu a deciderlo! Grazie...”

E’ evidente che non sia Francesca a voler reagire così, le avevo viste, poc’anzi, le sue intenzioni di abbassare le armi, le avevo viste, eppure…

E’ lampante che neanche Death Mask sia in sé, assuefatto dal senso di colpa e dalla convinzione di non poter essere perdonato in nessuna maniera, eppure non vuole morire, ne sono certa, perché sa che non risolverà niente così facendo.

Li ho visti entrambi. Ho visto i loro pensieri. Eppure eccoli qua, una giustiziere e uno giustiziato, entrambi hanno decretato che il sipario cali, laddove invece si è appena alzato verso una nuova vita! Non posso permettere che accada questo scempio!

Ricordandomi, in qualche maniera, di come Dègel aveva rallentato fino a rendere nulli, tramite il gelo, i colpi elettrici di una delle gemme di Garnet in quella fredda notte del 1738, mi frappongo tra l’attacco e il Cavaliere del Cancro, cominciando ad espandere il mio cosmo.

“Cosa stai facendo, scema?!? Così verrai colpita anche tu, lascia che Francesca...”

“COSA?! Ti uccida?!? Tu non vuoi morire, Deathy, non dire minchiate! E Francesca non vuole certo ucciderti! - gli urlo contro, pur non degnandolo di uno sguardo, visto la mia totale concentrazione nel fermare il devastante attacco della mia amica, che infatti rallenta il suo corso per una manciata di secondi, permettendomi così, pur con difficoltà, di dare un’occhiata al Cavaliere dietro di me – E togliti quel sorriso da coglione da quella faccia da granchio rachitico che ti ritrovi! Dubito che il glorioso Death Mask voglia tirare le cuoia così dopo essersi innamorato e avere avuto la pallida speranza di rimediare ai suoi peccati con una nuova esistenza, altrimenti non avresti scelto nuovamente di continuare vivere in questa valle di lacrime, no?!?”

“E-eh?!”

Lo vedo sbattere le palpebre, come appena svegliatosi da un incubo. E’ intorpidito, stremato e scosso, ma vigile.

“U-ugh...” biascico intanto affaticata, non riuscendo quasi più a trattenere quell’enorme energia, che va aumentando. Francesca è pur sempre una divinità ed io non sono Dègel, che con maestria riuscirebbe ad annullare l’attacco. Io l’ho solo rallentato, ma ora mi sta sopraffacendo, le braccia dolenti cominciando a cedere, abbassandosi sempre più. L’enorme elettricità comincia a solleticarmi le guance, nello stesso momento la sensazione di non poter più sfuggire a quella morsa si fa largo in me, esattamente come se mi fossi attaccata alla corrente elettrica e la scossa diventasse sempre più intensa. Dall’altra parte della stanza, arguisco che anche Francesca, in balia di quella forza sovrumana, sta facendo fatica a controllare l’attacco, ormai dotato quasi di una forza a sé. Michela la trattiene, puntellando i piedi, perché altrimenti anche loro sarebbero risucchiate dal vortice e finirebbero folgorate all’istante.

“Marta… - di nuovo la voce di Death Mask dietro di me, ma non posso guardarlo, le mie palpebre sono serrate, tutti i miei sensi sono concentrati nel tentativo di impedire un’immane tragedia – Fidati di me, smetti di opporti a quell’attacco. Hai ragione, malgrado tutto non voglio morire, sono imperdonabile e non avrò mai riscatto, ma NON VOGLIO MORIRE, non ora, non ancora! Forse so un modo per fermare… e-ehi, mi senti?!”

Lo sento forte e chiaro ma non riesco a muovermi, sono del tutto impotente davanti a tutto questo. Ho rallentato il ciclone elettrico, l’ho fatto, ma ora sta nuovamente acquisendo potere, rischiando di spazzarci via tutti quanti.

La situazione sta precipitando, non so più cosa fare, nessuno dei presenti forse lo sa, ma fortunatamente un aiuto insperato sblocca la situazione; un aiuto dalle stelle medesime!

“Sturlight Extinction!!!”

Sento urlare, mentre la voce del Grande Sacerdote mi stura letteralmente le orecchie, ormai assuefatte dal crepitio dell’elettricità. Il rinculo mi sbilancia all’indietro, facendomi cadere a terra. La mia schiena urta contro il pavimento nello stesso momento in cui ad un attacco si somma un altro attacco.

“Crystal Wall!!!”

Stavolta è la voce urgente di Mu a giungere a noi, unita comunque a quella dello stesso Shion, il quale, poco dopo, me lo ritrovo direttamente addosso. Con una mano trattiene me a terra e con l’altra il Cavaliere di Cancer.

“State giù e chiudete gli occhi!!!” ci ordina, stringendoci a sé con forza. Poco dopo un’esplosione, seguita da stelle sfavillanti e luci che variano dal giallo paglierino al dorato, fino a diventare addirittura arancioni in certi punti. Dopo questo è silenzio…

Rimango stordita per una serie di secondi, prima di recuperare parzialmente la vista, ferita dall’unione dei due colpi. Scrollo la testa di lato, notando che dall’altra parte della stanza Mu ha fatto lo stesso con Michela e Francesca, stese una sopra l’altra, con il Cavaliere dell’Ariete intento a proteggerle. Hanno annullato il vortice elettrico in una estinzione stellare implacabile e hanno protetto noi con il ‘Muro di Cristallo’, un binomio notevole, non c’è che dire!

“Tempismo perfetto, Mu, come sempre!” gli sorride Shion, grato. Probabilmente non si erano messi d’accordo sulla loro venuta qui, ma sono riusciti comunque a lavorare in squadra, in completa sinergia.

“Gr-grande Sacerdote…” lo chiamo, alzandomi sui gomiti, ancora frastornata.

“Tutto bene, Marta? Death Mask? Avete rischiato molto...”

“Tutto bene, papà Shion, soprattutto ora che ci sei tu!” gli risponde Death Mask, informalmente, fingendo fastidio e sentendosi imbarazzato nell’essere stato colto in un momento di debolezza.

“Non fare il cretino, Deathy, sembri Manigoldo quando ti comporti così!” si permette di rispondere Shion, sempre informalmente, come se fosse un suo commilitone e non un sottoposto. Lo vedo sorridere rasserenato, mentre Cancer si siede contro la colonna, le guance rosse, fissando tutt’altra parte. Si sente limpidamente a disagio.

Nello stesso momento anche Francesca e Michela, aiutate da Mu, si rialzano in piedi, la seconda sorregge la prima, ancora profondamente scossa. Il suo sguardo naviga per tutta la stanza per constatare i danni, soffermandosi poi sul suo fidanzato, accasciato ancora a terra.

“Maestro… è ormai chiaro che i vostri sospetti siano pienamente fondati. E’ proprio come se discordia fosse calata qui alle Dodici Case, dobbiamo reagire!” dice prontamente Mu, caparbio, avvicinandosi al suo mentore.

Shion annuisce, rialzandosi in piedi e compiendo qualche passo nella sua direzione. Non ribatte niente, ma è chiaro che stia rimuginando qualcosa.

“Fra!!!” Michela intanto chiama con apprensione la nostra amica che si sta dirigendo verso il suo fidanzato, gli occhi ancora inondati di lacrime. Sono ad un palmo di distanza, quando Death Mask, al limite dell’imbarazzo, sospirando, si volta finalmente nella sua direzione.

“Fra...” biascica a voce roca, ma non ha comunque il tempo per proseguire che la nostra amica cade in ginocchio davanti a lui, singhiozzando, stringendolo poi a sé con tutte le forze che possiede.

“Ti amo… ma ti odio… e, ancora di più, odio me stessa per essermi permessa di innamorarmi di uno scavezzacollo come te!”

“Rin… rincuorante!”

A quel punto Francesca lo guarda dritto negli occhi, cominciando a prenderlo a pugnetti sul petto, più per sfogare la sua frustrazione che per altro.

“Tu… tu hai fatto delle cose orribili, dissennate, sei un assassino, non so come tu sia diventato Cavaliere, mi ripugna pensare al tuo passato… TI ODIO!”

Death Mask non ribatte nuovamente niente, limitandosi a subire le accuse di Francesca. Effettivamente non c’è niente da dire, lo sa lui, lo sappiamo noi, lo sa anche la nostra amica.

“Camus ha fatto ciò che temevamo, un giorno che stavamo litigando, mi ha accennato del tuo passato, di quello che avevi perpetrato a degli innocenti ed io… ed io non riuscivo a crederci, ero disgustata, come potevo essermi innamorata di te?!? Proprio io, che mi sono sempre detta assennata, razionale e rigorosa...”

“Certo che però… il ghiacciolo poteva stare almeno zitto, sta muto per ogni cosa, ma questo doveva bastardamente dirtelo, come se non fosse già tremendamente difficile...” riesce solo a mormorare, affranto, continuando a subire i pugni di Francesca che aumentano di intensità.

“Ti odio…. Ti odio…. Ti odio!!! - ribadisce lei, imprimendo sempre più forze nel gesto – Ma… non posso fare altro che amarti; amarti malgrado tutto, amarti per come sei ora, per come stai cercando di rimediare ai tuoi crimini con questa nuova vita, ben sapendo che probabilmente non ci riuscirai mai: prima degli altri dovresti perdonare te stesso, ma non lo farai, no… non lo puoi fare, vero?!?”

A quel punto Death Mask prova un nuovo approccio, portandosela contro di sé in un leggero abbraccio. Non sa bene cosa dire, per la milionesima volta nella sua vita tenta la via dello stemperamento fin dove è possibile.

“Però! Quante emozioni contenute in un piccolo corpo da dea! Sei… sei straordinaria, Francesca, hai la forza di un ciclone ma un corpo minuto, potresti spazzarmi via con il tuo cosmo, ed io, se non sto attento, con il mio corpo rischierei di farti male, perché la differenza tra me e te è notevole, forse addirittura agli antipodi...” le dice, accarezzandosi i capelli.

Arrossisco io al posto di Francesca, che non vedo perché è totalmente nascosta dall’ampio petto del Cavaliere. Mi sento un’estranea in tutto questo, vorrei lasciarli in pace, ma non so che fare, Shion e Mu non ci hanno dato più istruzioni, ma stanno parlando ardimentosamente tra loro. Michela invece è totalmente a suo agio, se fossimo in un manga avrebbe gli occhioni davanti ad un simile spettacolo.

La nostra amica più grande singhiozza ancora e ancora, vedo negli occhi di Death Mask le intenzioni di raggiungerla, di confortarla, ma non può, non ora. Sono successe troppe cose.

“Ci sarebbe così tanto da dire… - mormora infatti, socchiudendo gli occhi e permettendosi di posare il suo mento sulla testa di Francesca – Ti va di… di approfondire la questione in un altro momento? Siamo entrambi stravolti, umiliati, prostrati… non so cosa sia successo, ma qualcosa ha guidato la nostra mano, riproducendo le nostre emozioni in maniere estremizzata… ti prometto che la prossima volta sarò pienamente onesto con te, ma… ma non adesso, Fra, ti scongiuro!”

La nostra amica non ribatte nulla, tuttavia, tra i singhiozzi, annuisce con la testa, stringendosi ancora di più a lui. Death Mask sorride rasserenato, felice e sollevato di non averla persa, poi chiude gli occhi, rimanendo così seduto sul pavimento, con Francesca stretta a sé e la schiena appoggiata ad una delle poche colonne del tempio rimaste integre. E rimangono lì, senza dire più niente.

“...Qualcuno ha guidato la loro mano, non c’è più alcun dubbio, nello stesso modo in cui la sta muovendo con altre marionette che, in qualche modo, hanno un conto in sospeso con qualcuno!” parafrasa infatti Mu, serissimo in volto, a voce chiara e limpida, sebbene sia distante da noi.

Shion continua a non ribattere niente ancora per un po’, poi sospira, scoccando infine un’occhiata al suo allievo.

“Mu, la terza casa… come è messa?”

“Stavo venendo su proprio per dirvelo...” ribatte, accennando all’uscita anteriore della Casa del Cancro e dirigendosi poi verso di essa.

“Marta! Michela! Venite anche voi!” ci ordina, gentilmente il Grande Sacerdote.

“Ma qui abbiamo i due piccioncini che...”

“Michela, FILA!” taglio corto io, trascinandola via ben contenta di togliermi da quella scena intima che non è di nostra competenza.

Seguiamo quindi Mu e Shion fuori dal tempio e, una volta usciti, accecate dalla luce del sole, avvertiamo prima un brusio, poi trasformato in dei veri e propri schiamazzi. Raggiungiamo la postazione di Shion e Mu, ritti in piedi sul bordo delle scalinate, del tutto presi da qualcosa che sta avvenendo sotto di loro. Li raggiungiamo quindi in un battito, incuriosite da quella improvvisa immobilità, ciò che vediamo nella casa sottostante ci inquieta e ci sorprende allo stesso tempo.

“Chi… chi sono quelli là? Perché c’è un tale affollamento alla Casa dei Gemelli?!” chiede Michela, agitata da quell’avvenimento.

Da quassù infatti sembrano tante formichine prolifiche, eppure addirittura da questa distanza si percepisce la rabbia repressa che prova quella folla. Possibile? Aiolia che se la prende con Shura, reo di aver ucciso suo fratello; Francesca che se la prende proprio oggi con Death Mask, sebbene Camus gli abbia accennato qualcosa più di un mese fa, ora questo… può esserci una sola ragione…

“Sono… sono tutte le persone del Santuario che, durante la rivolta di Saga, hanno perso amici, conoscenti e famigliari...” ci dice solo Shion, enigmatico.

Rimaniamo in silenzio, non sapendo bene cosa fare, sarebbe da scendere giù e riappacificare gli animi per evitare una rivolta contro il Cavaliere dei Gemelli, ma noi non siamo adatte allo scopo, non conoscendo nel particolare quegli avvenimenti. Fortunatamente è Shion medesimo a darci le direttive.

“Michela, tu, passando dalla scorciatoia che ora ti mostrerò, vai ad Atene, rintraccia i cosmi di Hyoga e Camus e conducili al Santuario, digli che è stato indetto un coprifuoco e che nessuno dei Cavalieri d’Oro deve uscire dalle rispettive dimore fino a mio espresso ordine!”

“Ricevuto!”

“Marta, tu invece torna al tempio dell’Acquario e non uscire da lì per nessuna ragione!”

“V-va bene!”

Shion torna a fissare la casa sottostante, un’espressione grave sul viso candito.

“Siamo sotto attacco… dobbiamo essere prudenti!” afferma, poco prima di scendere le scale con Mu, indicare la scorciatoia a Michela e fermare così la rivolta.

 

 

* * *

 

 

So che il Grande Sacerdote Shion mi ha ordinato espressamente di tornare all’undicesima casa, ma io, sfruttando il momento di tensione panico generale, spinta dall’istinto più che la ragione, mi dirigo decisa verso Capo Sounion. So dove si trovi, a grandi linee, ma non so dove sia ubicata la prigione in cui dovrebbe essere tenuto Stevin. Una parte di me sa trattarsi di una follia, sono consapevole anche che, forse, proprio in questo momento sarebbe meglio se stessimo lontani, poiché ci sono molte cose non dette fra noi e, se le teorie di Shion fossero veritiere, questo nemico colpirebbe indirettamente, sfruttando le debolezze umane per poi estremizzarle in caso di rancori e frustrazioni… e Stefano ne è pienamente vittima a quanto ne ho potuto percepire! Tuttavia ho bisogno di parlargli, a tutti i costi e, ancora di più, anche se sarà impossibile, capire… capire che cosa gli sia successo in questi due anni e, conseguentemente, spiegargli il mio stato in questi due anni.

Chiudo gli occhi e mi concentro, ricercando il cosmo di Stevin, che ho imparato da poco a distinguere. Non è che una scintilla, un breve accenno, eppure è candida e solenne, mi ricorda qualcuno, anche se non so identificare chi. Finalmente, grazie anche alla localizzazione, riesco a trovare la prigione di Capo Sounion. Mi sento agitata e trepidante ma non posso esitare, per cui mi dirigo timidamente dalle sbarre.

“St-Stefano...” lo chiamo, scorgendolo girato di spalle. Lui sussulta e si volta nella mia direzione, sorpreso.

“Marta?!? Non dovresti essere qui!”

Gli sorrido, rassicurata dalla sua espressione nuovamente gentile, per un secondo ho l’illusione che sia tornato come lo ricordavo, il mio adorato amico d’infanzia, ma il pensiero è di breve durata.

“N-no! Non avvicinarti oltre, ti metteresti in pericolo! Stai indietro!”

Mi blocco all’improvviso, prostrata, mordendomi un labbro, mentre lo vedo risedersi teatralmente su uno sperone di roccia e massaggiarsi le tempie, sofferente.

“Non dovresti essere qui… ti stai mettendo in pericolo!”

“Non potevo starmene tranquilla senza sapere come fossi conciato… I-io...” ma non ho la forza di continuare, discostando lo sguardo.

Seguono attimi di silenzio, poi è lui stesso a parlare.

“Sai… sto cominciando a credere che davvero i fatti reali non corrispondano a quelli miei mentali. Siamo nel 2011, è un dato di fatto, eppure il mio cervello continua ad avercela con te, ti attaccherei se non ci fossero queste sbarre tra noi, perché ho un’ira atroce nei tuoi confronti!” mi spiega, sincero. Forse anche troppo. Ingoio a vuoto, accusando il colpo, sono abituata alla sua schiettezza, era così anche da piccolo, ma il pensare che nulla sia cambiato da quando l’ho incontrato nuovamente in Valbrevenna mi demoralizza e mi reca un dispiacere ben nitido. Comincia a pensare che siano trascorsi davvero due anni, ma, allo stesso tempo, continua ad avercela con me, ad avermi in odio, e questo fa male.

“Ste, io, davvero… non volevo abbandonarti, quel giorno...”

“Lo so, ma la mia mente è ancora plagiata dall’informazione secondo la quale lo hai fatto...”

“Pl-plagiata?”

“S-sì, ascolta… sto cominciando a ricordare qualcosa, fatti confusi nella mia mente di quello che ne è stato di me in questi due anni…” mi dice, alzandosi in piedi e raggiungendo le sbarre, sopra le quali poi appoggia la fronte, in un primo, impacciato tentativo di ristabilire un contatto.

Malgrado l’avvertimento iniziale, mi avvicino anche io, trattenendomi a stento dall’impulso di toccarlo. Sto per chiedere maggiori delucidazioni, ma è lui stesso a proseguire.

“Il nemico che state combattendo… non è solo...”

Sussulto, sconvolta da quella rivelazione: quanto, e soprattutto, come sa Stevin del nemico?! P-possibile che… ci abbia a che, in qualche modo, a che fare?!

Un atroce dubbio mi paralizza seduta stante.

“A-altri sono al suo fianco, non so esattamente quanti ma… ce ne sono altri, vengono chiamati i Pilastri...”

“I Pilastri?!?” sussurro, sconvolta. Già affrontare il Mago, con i suoi poteri, non è impresa da poco, sapere che altri sono al suo fianco mi abbatte e mi spaventa al tempo stesso.

“I-io ne conosco una da molto vicino… è colei che mi ha indottrinato sul fatto che tu mi avessi abbandonato, perché ella può risvegliare le pulsioni assopite dagli esseri umani e usarle a suo piacimento. Non è fisicamente molto forte, ma con questa tecnica compie i suoi doveri senza mai sporcarsi le mani...”

Strabuzzo gli occhi, ripensando ai fatti accaduti in questo stesso giorno, al comportamento strano dei Cavalieri d’Oro, di Francesca, e di tutti gli altri.

“Se quanto dici è vero… è colei che ha attaccato il Santuario oggi!” esclamo, sinceramente sconvolta.

“Il suo nome… è Nero Priest! Stai attenta, Marta, ha un potere terribile, potrebbe fare di voi ciò che vuole, indipendentemente dalla vostra potenza!”

Annuisco, cercando di non agitarmi. Ci sarebbero molte cose da chiedergli, come faccia a conoscere questa Nero, per esempio, come sappia del nemico, ma ho come la sensazione che se varcassi questo confine, qualcosa gli farebbe perdere il controllo. La sua mente è sotto il controllo di una entità misteriosa, non infierire sulla questione è il miglior modo per farlo riprendere. Non voglio in alcun modo fargli del male…

“G-grazie, Stevin, mi hai dato informazioni molto utili...” biascico, tesa. Lui nel mentre cade in ginocchio, prendendosi la testa fra le mani. Sta visibilmente soffrendo, forse per aver forzato il blocco della sua mente e avermi parlato, molto meglio cambiare in fretta discorso, sperando che basti come panacea.

“So che hai conosciuto mio fratello...” gli dico, cercando di essere più dolce possibile. Lui lentamente si risolleva, asciugandosi la fronte sudata, poco prima di guardarmi in faccia e sorridere tiepidamente.

“Oh, sì, siete molto simili, voi due… non intendo solo fisicamente!”

“I-io davvero non… non sapevo di avere un fratello, non prima di quest’anno, te lo giuro, Ste, io non...”

“Lo so, sei cresciuta con la convinzione di essere figlia unica perché siete stati separati quando tu eri in fasce. Camus me ne ha parlato...”

Sorrido a mia volta, quasi commossa da riuscire a dialogare quasi normalmente con lui, dopo tutti questi anni. Tra poco me ne dovrei andare, non dovrei essere qui, meglio tornare alla Casa dell’Acquario, visto il coprifuoco, ma ho ancora bisogno di chiedergli una cosa.

“E come… come ti sembra mio fratello?”

“Un po’ burbero e un po’ schivo, deve aver preso molto da tuo nonno materno, me lo ricordo bene. Stesse movenze, stessi imbarazzi. Non è avvezzo al contatto fisico, si vede lontano un miglio, l’unica eccezione sarai probabilmente tu, sua sorella!”

Le mie labbra si incurvano in un’espressione di sollievo, mentre il cuore accelera di colpo. Non ci avevo mai pensato, no, ma effettivamente mio fratello ha preso tutto da mio nonno Dante, impossibile dimenticarlo.

“I-io gli voglio davvero un gran bene, lo adoro!” gli rivelo, arrossendo un poco.

Stefano mi guarda intensamente per qualche secondo, poco prima di distogliere la sua attenzione su di me e darmi le spalle, visibilmente a disagio.

“C’è anche un’altra cosa che ho potuto percepire...”

“E sarebbe?”

“E’ molto protettivo nei tuoi confronti, forse anche un po’ troppo, in tutta onestà… comunque proprio per questo sei al sicuro con lui, posso stare tranquillo anche io!” mi confessa, regalandomi un’ultima occhiata prima di tornare a sedersi dove era prima.

“Più… tranquillo?” chiedo conferma, arrossendo un poco.

“Sì, sei in buone mani, di lui ci si può fidare e, non so dirti neanche io perché, ma sento che sei al sicuro con lui, ciò mi fa stare molto più tranquillo!” si accomiata, chiudendo gli occhi e nascondendosi il viso tra le mani, facendomi capire che non mi parlerà più per quest’oggi.

Butto fuori l’aria, un po’ più rasserenata. Non è molto, ma siamo riusciti a parlare senza scannarci, è già più di quanto speravo. Ora devo trovare un modo per stanare questa Nero Priest, in modo che i sospetti su Stevin si sciolgano come neve al sole.

Non ho un istante da perdere…

 

 

 

 

Angolo di MaikoxMilo

 

Avevo intenzione di finire e pubblicare l’ultimo capitolo di Parallel Hearts, ma poi ci ho preso gusto a parlare di Isaac ed è venuta fuori una seconda parte del capitolo più lunga della prima… e vabbé! XD

Per questa ragione, ho pensato di pubblicare prima la “Melodia della neve”, in cui sono molto più avanti a scrivere, ed eccomi quindi qua.

Al solito i riferimenti alle mie altre opere di sprecano, ma il più grande è all’Epilogo della fine e dell’inizio, quando Camus (che, diciamocelo, quando vuole sa essere anche uno str… di un certo calibro, anche se lo ha fatto a fin di bene) rivela a Francesca anzitempo i crimini di Death Mask. I due si erano promessi di aspettare le parole dell’altro, ma questa Nero Priest, che vedremo in azione nel prossimo capitolo, ha rovinato tutti i loro bei progetti.

A proposito, Nero Priest è presa dal gioco di Saint Seiya Awakening, mi piace molto come outfit e ho voluto darle un ruolo.

I pilastri… come se il Mago, da solo, non bastasse, eh, no ci aggiungiamo anche questi... chi saranno, in realtà? Dovrete aspettare un po’ per saperlo.

In questo capitolo ho voluto dare più spazio alla figura di Stevin, in un primo incontro con Camus e in un secondo ritrovarsi (andato un pelino meglio) con Marta. In questa parte introduttiva della terza storia, che terminerà con il capitolo 11, lo anticipo, la sua figura sarà avvolta dal mistero… sono aperta alle vostre più accanite congetture anche se, temo, al momento non avrete gli elementi sufficienti per capire. Ci sarà tempo anche per lui.

Al solito ringrazio chi segue le mie storie, chi commenta, chi mette tra preferite/seguite e via dicendo, spero che la lettura continuerà ad essere gradevole per voi. :)

Alla prossima che, si spera, sarà la prossima settimana con Parallel hearts! :)

  
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