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Autore: bravenclawesomeITA    23/05/2020    0 recensioni
Continuò a osservarlo silenziosamente. Lui respirò lentamente, dentro e fuori, dentro e fuori, chiudendo gli occhi e mormorando tra sé. Tese e rilasciò i suoi pugni mentre si concentrava sul regolarizzare il respiro. Poi si chinò in avanti, i suoi chiarissimi capelli biondi sfiorarono i tasti bianchi e neri, e Luna comprese che stava piangendo, piangendo sul serio; lui si coprì gli occhi con le mani e Luna capì d’un tratto cosa stava sussurrando tra sé. “Non posso farlo… non posso farlo…” Oscillò avanti e indietro, i suoi singhiozzi man mano più rumorosi a dispetto dei suoi sforzi di controllarli.
La maggior parte delle persone avrebbe chiesto immediatamente cosa lo tormentasse, ma Luna non era la maggior parte delle persone. Invece, lei si preoccupò più di come confortare il ragazzo. Le venne un’idea, e fece un passo indietro. Come se la Stanza sapesse che era sul punto di andarsene, la porta riapparve dietro di lei. Se ne andò in silenzio, guardando indietro un’unica volta prima di dirigersi alla Torre di Corvonero.
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het, Crack Pairing | Personaggi: Draco Malfoy, Luna Lovegood | Coppie: Draco/Luna
Note: Missing Moments, Traduzione, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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Virtuoso translated

Virtuoso

 

 

Era curiosa e non aveva paura di mostrarlo. Luna non aveva né voglia né bisogno di nascondersi; non le piaceva tenersi riservata come alcune sue conoscenze. Così ora si trovava di fronte alla porta che sparì riassorbita nel muro alle sue spalle, osservandolo suonare il piano.

Aveva sentito la musica provenire dal muro apparentemente solido mentre si dirigeva a cena, e incuriosita aveva camminato nella sua direzione e poggiato l’orecchio sulla pietra, in ascolto. Le piaceva vagare per la scuola nel tempo libero quando non si dedicava ai compiti, e in ogni caso non era particolarmente affamata in quel momento. Non che ci fosse qualcuno ad attenderla a tavola, per di più. Dopo aver ripetuto tre volte il suo desiderio di scoprire chi stesse suonando all’interno, l’entrata alla Stanza era apparsa e lei era entrata. Emise un sospiro silenzioso chiudendo gli occhi per lasciarsi catturare dalla musica.

Il brano era addolorato e straziante allo stesso tempo. Era un malinconico miscuglio di tristezza, agitazione e paura. Le sue dita sfioravano i tasti in alcune parti, costruendo lentamente un cacofonico scontro di note per poi colpire le note gravi e infine mantenere un costante tono basso. Non sembrava che Draco sapesse di essere osservato.

Lentamente, lei iniziò a oscillare seguendo la musica. La melodia passò per una serie di note calanti, nella sua mente visualizzò una cascata precipitare da un’alta collina fino alle profondità sottostanti. Le note divennero più armoniche e meno casuali, salendo e scendendo come onde lambenti la riva o un vento che cerca di decidere in quale direzione soffiare. Luna piroettò, i suoi capelli si sparpagliarono e seguirono il suo giro. I suoi piedi non fecero alcun rumore, poiché era scalza; aveva nuovamente perso le scarpe. Sollevò le mani sopra la testa e guardò in alto, sorridendo serenamente mentre continuava a roteare.

Proprio quando stava iniziando a divertirsi, ci fu un tremendo scontro di note che risuonò e riverberò nella stanza. Lei saltò, sorpresa, e si voltò. Non poteva vedere il suo volto; si spostò verso destra in modo da poterlo vedere di profilo. Lui aveva lo sguardo fisso sul ventre, un’espressione concentrata sul viso che impallidiva ogni secondo di più, inspirando ed espirando. Sembrava stanco, notò. I suoi occhi erano iniettati di sangue e lui aveva l’aspetto ricurvo di chi ha perso molto sonno.

Continuò a osservarlo silenziosamente. Lui respirò lentamente, dentro e fuori, dentro e fuori, chiudendo gli occhi e mormorando tra sé. Tese e rilasciò i suoi pugni mentre si concentrava sul regolarizzare il respiro. Poi si chinò in avanti, i suoi chiarissimi capelli biondi sfiorarono i tasti bianchi e neri, e Luna comprese che stava piangendo, piangendo sul serio; lui si coprì gli occhi con le mani e Luna capì d’un tratto cosa stava sussurrando tra sé. “Non posso farlo… non posso farlo…” Oscillò avanti e indietro, i suoi singhiozzi man mano più rumorosi a dispetto dei suoi sforzi di controllarli.

La maggior parte delle persone avrebbe chiesto immediatamente cosa lo tormentasse, ma Luna non era la maggior parte delle persone. Invece, lei si preoccupò più di come confortare il ragazzo. Le venne un’idea, e fece un passo indietro. Come se la Stanza sapesse che era sul punto di andarsene, la porta riapparve dietro di lei. Se ne andò in silenzio, guardando indietro un’unica volta prima di dirigersi alla Torre di Corvonero.

 

 

Lui sapeva che qualcuno era stato lì giusto un istante prima. L’unica cosa che aveva visto era un lampo di capelli biondi simili ai suoi – a parte il fatto che erano più lunghi e con ciocche castano chiaro – prima che l’intruso, chiunque fosse, svanisse. Draco sbirciò attraverso le dita. Le lacrime si erano fermate; imprecò mentalmente contro l’autocontrollo che aveva momentaneamente perso. Sapeva che suo padre non sarebbe stato compiaciuto dalla sua patetica dimostrazione di debolezza.

Si osservò le mani. Aveva dita lunghe e delicate, formate da più di dieci anni di studio di piano. Entro pochi mesi si sarebbero sporcate dell’omicidio di Silente. Si odiava per il fatto di sentirsi così sporco. Sapeva di non essersi impegnato abbastanza, ma ogni volta che aveva finito per ferire qualcun altro invece del suo obiettivo aveva sentito lo stomaco attorcigliarsi spiacevolmente. Certo, non apprezzava molto Katie Bell, ma non aveva avuto intenzione di maledirla e spedirla al San Mungo. Riguardo a Ron… be’, non che avesse una scelta. L’Oscuro Signore gli aveva assegnato un compito, e per le sue attuali possibilità la parola dell’Oscuro Signore era legge.

Aveva detto a suo padre di essere stato occupato a modificare l’Armadio Svanitore nella Stanza delle Necessità, ma quella era stata solo una mezza verità. Draco non riusciva a lavorarci ogni singola volta che visitava quel corridoio; prima di tutto, era troppo stanco per concentrarsi su un lavoro così logorante, in più a volte voleva soltanto essere lasciato solo ad autocommiserarsi.

Così invece di pensare “Voglio andare nella Stanza delle Cose Nascoste” ogni volta che si trovava dalla parte opposta dell’entrata invisibile, desiderava un pianoforte. Nonostante avesse inizialmente odiato lo strumento, forzato a suonarlo da quando aveva cinque anni per via della sua origine nobile, con il passare degli anni aveva imparato ad apprezzare la musica e le meraviglie che poteva fare con essa. La musica era creatività, era esprimere emozioni e pensieri, e lui sentiva una certa soddisfazione nell’essere capace di fare qualsiasi cosa volesse senza un libro di regole da seguire. Dipendeva tutto da lui, nessuno poteva dirgli cosa fare. La cosa migliore era che non ci fosse mai una risposta sbagliata, mai una punizione che qualcuno somministrasse se lui oltrepassava i limiti, perché non c’erano limiti nella musica, nessuno affatto.

Durante l’anno, in mezzo a compiti, amici e pasti, si era dedicato a comporre. Non completava mai le sue opere, ne iniziava una nuova ogni volta che suonava. La sua musica era sempre la stessa – straziante e desolata, triste e tormentata tutto in una volta. Lì poteva immergersi in ciò che suonava, concentrandosi su niente che non fossero le sue dita sui tasti e il suo piede destro sul pedale. Non aveva bisogno di ascoltare nessuno mentre suonava. Lì poteva essere sé stesso, il vero Draco Malfoy che nessuno conosceva, nessuno realmente almeno. Lì poteva sfuggire agli orrori del suo presente.

Draco chinò la testa e si piegò in modo che la sua fronte premesse sui tasti. L’effetto fu uno strano scontro di suoni mentre i tasti scendevano, risuonando nell’aria. Rimase lì a lungo. Non ho scelta, pensò disperatamente. Devo ucciderlo.

Poi, all’improvviso, udì una lunga, vibrante nota alle sue spalle. La singola, solitaria nota riecheggiò, e mentre lo faceva chiunque ne fosse l’autore ne fece partire un’altra. Quindi altre iniziarono ad aggiungersi alle prime due, salendo e crescendo e salendo di nuovo, prima di raggiungere una tonalità alta e malinconica. Lo turbava, ma non in un modo che lo spingesse a estrarre la bacchetta. Il suono lo turbava un po’ perché qualcun altro era lì, ma per qualche ragione non si sentiva arrabbiato come credeva che avrebbe dovuto essere. Si voltò.

Luna Lovegood era in piedi all’entrata, a occhi chiusi, la testa piegata di lato con un piccolo violino poggiato sotto al mento. Il violino appariva vecchio, quasi antico persino, ma era questo a rendere il suono così bello, le note risuonanti senza sforzo nell’aria. L’agile mano di Luna era sulle corde, l’altra reggeva un lungo archetto. Lei era assorbita dal suonare, noncurante del mondo intorno a lei.

La sua melodia di speranza riempì la stanza, ripetendosi ancora e ancora e ancora, e l’effetto era rassicurante, calmante, diverso da qualsiasi altra cosa avesse mai provato. Non che non avesse mai ascoltato qualcuno suonare il violino, ma c’era qualcosa nella grazia di Luna e nel suo modo di tenere il violino in modo così attento, quasi affezionato, che lui seppe che anche lei amava il suo strumento. Era una vista bizzarra, ma non sembrava che le importasse; non sembrava mai. Dopo averla osservata per qualche altro istante, le sue mani tornarono sul piano. Iniziarono a suonare un motivo come se possedessero una loro propria volontà, una melodia gentile ben diversa da ciò che suonava di solito.

Si fuse armonicamente con quella di lei, crescendo in volume e profondità, le note man mano sempre più veloci finché non furono una moltitudine di scale e arpeggi e accordi, il suo archetto che si muoveva tanto rapido quanto le sue mani che volavano sui tasti. Luna aprì gli occhi e i loro sguardi si incrociarono, quello di lei apparve pieno di comprensione quanto di rimpianto quello di lui. Lei non voleva sapere nulla, comprese, e non ne aveva bisogno. Voleva solo renderlo felice.

Lei iniziò a rallentare, la sua musica guidò le sue mani a ridurre la velocità. Iniziarono a suonare note più lunghe arrivando a uno stabile andante, come se nessuno dei due volesse interrompere la loro serenata. Tuttavia lo fecero alla fine, rallentando in un rubato prima che Draco suonasse un ultimo accordo al piano sottovoce. Espirò lentamente, ritirando le mani per guardare verso di lei.

Draco notò improvvisamente quanto fossero simili loro due nell’aspetto. Entrambi biondi, sebbene lui fosse più vicino a un lucente platino e lei a un più scuro biondo cenere. Anche i loro occhi erano identici, grigi con pagliuzze blu e argento, ma i suoi propri erano freddi e indifferenti, quelli di lei brillavano di compassione. Avrebbero potuto farsi passare per fratelli, se avessero voluto, e Draco si domandò per un istante cosa sarebbe potuto accadere se non fosse stato in quella situazione. Ma era una pia illusione e niente più, e questo non era mai positivo. Comprese che avrebbe voluto la musica non si fermasse.

Entrambi erano senza parole; ma in effetti, non c’era bisogno di parlare. Il loro ossessionante duetto li aveva ammutoliti, così rimasero a fissarsi a vicenda come se una corrente telepatica li avesse uniti. Luna gli sorrise senza pronunciare parola e si voltò, lasciandolo solo nella Stanza delle Necessità, che tutto d’un tratto gli apparve come un soffocante vuoto di silenzio.











Link alla fanfiction originale: https://archiveofourown.org/works/1214821

   
 
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