Virtuoso
Era curiosa e non aveva
paura di mostrarlo. Luna non aveva né voglia né bisogno di nascondersi; non le
piaceva tenersi riservata come alcune sue conoscenze. Così ora si trovava di
fronte alla porta che sparì riassorbita nel muro alle sue spalle, osservandolo
suonare il piano.
Aveva sentito la musica
provenire dal muro apparentemente solido mentre si dirigeva a cena, e
incuriosita aveva camminato nella sua direzione e poggiato l’orecchio sulla
pietra, in ascolto. Le piaceva vagare per la scuola nel tempo libero quando non
si dedicava ai compiti, e in ogni caso non era particolarmente affamata in quel
momento. Non che ci fosse qualcuno ad attenderla a tavola, per di più. Dopo aver
ripetuto tre volte il suo desiderio di scoprire chi stesse suonando all’interno,
l’entrata alla Stanza era apparsa e lei era entrata. Emise un sospiro
silenzioso chiudendo gli occhi per lasciarsi catturare dalla musica.
Il brano era addolorato e
straziante allo stesso tempo. Era un malinconico miscuglio di tristezza,
agitazione e paura. Le sue dita sfioravano i tasti in alcune parti, costruendo
lentamente un cacofonico scontro di note per poi colpire le note gravi e infine
mantenere un costante tono basso. Non sembrava che Draco sapesse di essere
osservato.
Lentamente, lei iniziò a
oscillare seguendo la musica. La melodia passò per una serie di note calanti,
nella sua mente visualizzò una cascata precipitare da un’alta collina fino alle
profondità sottostanti. Le note divennero più armoniche e meno casuali, salendo
e scendendo come onde lambenti la riva o un vento che cerca di decidere in
quale direzione soffiare. Luna piroettò, i suoi capelli si sparpagliarono e
seguirono il suo giro. I suoi piedi non fecero alcun rumore, poiché era scalza;
aveva nuovamente perso le scarpe. Sollevò le mani sopra la testa e guardò in
alto, sorridendo serenamente mentre continuava a roteare.
Proprio quando stava
iniziando a divertirsi, ci fu un tremendo scontro di note che risuonò e
riverberò nella stanza. Lei saltò, sorpresa, e si voltò. Non poteva vedere il
suo volto; si spostò verso destra in modo da poterlo vedere di profilo. Lui
aveva lo sguardo fisso sul ventre, un’espressione concentrata sul viso che
impallidiva ogni secondo di più, inspirando ed espirando. Sembrava stanco,
notò. I suoi occhi erano iniettati di sangue e lui aveva l’aspetto ricurvo di
chi ha perso molto sonno.
Continuò a osservarlo
silenziosamente. Lui respirò lentamente, dentro e fuori, dentro e fuori,
chiudendo gli occhi e mormorando tra sé. Tese e rilasciò i suoi pugni mentre si
concentrava sul regolarizzare il respiro. Poi si chinò in avanti, i suoi
chiarissimi capelli biondi sfiorarono i tasti bianchi e neri, e Luna comprese
che stava piangendo, piangendo sul serio; lui si coprì gli occhi con le mani e
Luna capì d’un tratto cosa stava sussurrando tra sé. “Non posso farlo… non
posso farlo…” Oscillò avanti e indietro, i suoi singhiozzi man mano più
rumorosi a dispetto dei suoi sforzi di controllarli.
La
maggior parte delle persone avrebbe chiesto immediatamente cosa lo tormentasse,
ma Luna non era la maggior parte delle persone. Invece, lei si preoccupò più di
come confortare il ragazzo. Le venne un’idea, e fece un passo indietro. Come se
la Stanza sapesse che era sul punto di andarsene, la porta riapparve dietro di
lei. Se ne andò in silenzio, guardando indietro un’unica volta prima di
dirigersi alla Torre di Corvonero.
Lui sapeva che qualcuno era
stato lì giusto un istante prima. L’unica cosa che aveva visto era un lampo di
capelli biondi simili ai suoi – a parte il fatto che erano più lunghi e con
ciocche castano chiaro – prima che l’intruso, chiunque fosse, svanisse. Draco
sbirciò attraverso le dita. Le lacrime si erano fermate; imprecò mentalmente
contro l’autocontrollo che aveva momentaneamente perso. Sapeva che suo padre non
sarebbe stato compiaciuto dalla sua patetica dimostrazione di debolezza.
Si osservò le mani. Aveva
dita lunghe e delicate, formate da più di dieci anni di studio di piano. Entro
pochi mesi si sarebbero sporcate dell’omicidio di Silente. Si odiava per il
fatto di sentirsi così sporco. Sapeva di non essersi impegnato abbastanza, ma
ogni volta che aveva finito per ferire qualcun altro invece del suo obiettivo
aveva sentito lo stomaco attorcigliarsi spiacevolmente. Certo, non apprezzava
molto Katie Bell, ma non aveva avuto intenzione di maledirla e spedirla al San
Mungo. Riguardo a Ron… be’, non che avesse una scelta. L’Oscuro Signore gli
aveva assegnato un compito, e per le sue attuali possibilità la parola
dell’Oscuro Signore era legge.
Aveva detto a suo padre di
essere stato occupato a modificare l’Armadio Svanitore nella Stanza delle
Necessità, ma quella era stata solo una mezza verità. Draco non riusciva a
lavorarci ogni singola volta che visitava quel corridoio; prima di tutto, era
troppo stanco per concentrarsi su un lavoro così logorante, in più a volte
voleva soltanto essere lasciato solo ad autocommiserarsi.
Così invece di pensare
“Voglio andare nella Stanza delle Cose Nascoste” ogni volta che si trovava
dalla parte opposta dell’entrata invisibile, desiderava un pianoforte.
Nonostante avesse inizialmente odiato lo strumento, forzato a suonarlo da
quando aveva cinque anni per via della sua origine nobile, con il passare degli
anni aveva imparato ad apprezzare la musica e le meraviglie che poteva fare con
essa. La musica era creatività, era esprimere emozioni e pensieri, e lui
sentiva una certa soddisfazione nell’essere capace di fare qualsiasi cosa
volesse senza un libro di regole da seguire. Dipendeva tutto da lui, nessuno
poteva dirgli cosa fare. La cosa migliore era che non ci fosse mai una risposta
sbagliata, mai una punizione che qualcuno somministrasse se lui oltrepassava i
limiti, perché non c’erano limiti nella musica, nessuno affatto.
Durante l’anno, in mezzo a
compiti, amici e pasti, si era dedicato a comporre. Non completava mai le sue
opere, ne iniziava una nuova ogni volta che suonava. La sua musica era sempre
la stessa – straziante e desolata, triste e tormentata tutto in una volta. Lì
poteva immergersi in ciò che suonava, concentrandosi su niente che non fossero
le sue dita sui tasti e il suo piede destro sul pedale. Non aveva bisogno di
ascoltare nessuno mentre suonava. Lì poteva essere sé stesso, il vero Draco
Malfoy che nessuno conosceva, nessuno realmente almeno. Lì poteva sfuggire agli
orrori del suo presente.
Draco chinò la testa e si
piegò in modo che la sua fronte premesse sui tasti. L’effetto fu uno strano
scontro di suoni mentre i tasti scendevano, risuonando nell’aria. Rimase lì a
lungo. Non ho scelta, pensò disperatamente. Devo ucciderlo.
Poi, all’improvviso, udì una
lunga, vibrante nota alle sue spalle. La singola, solitaria nota riecheggiò, e
mentre lo faceva chiunque ne fosse l’autore ne fece partire un’altra. Quindi
altre iniziarono ad aggiungersi alle prime due, salendo e crescendo e salendo
di nuovo, prima di raggiungere una tonalità alta e malinconica. Lo turbava, ma
non in un modo che lo spingesse a estrarre la bacchetta. Il suono lo turbava un
po’ perché qualcun altro era lì, ma per qualche ragione non si sentiva
arrabbiato come credeva che avrebbe dovuto essere. Si voltò.
Luna Lovegood era in piedi all’entrata,
a occhi chiusi, la testa piegata di lato con un piccolo violino poggiato sotto
al mento. Il violino appariva vecchio, quasi antico persino, ma era questo a
rendere il suono così bello, le note risuonanti senza sforzo nell’aria. L’agile
mano di Luna era sulle corde, l’altra reggeva un lungo archetto. Lei era
assorbita dal suonare, noncurante del mondo intorno a lei.
La sua melodia di speranza
riempì la stanza, ripetendosi ancora e ancora e ancora, e l’effetto era
rassicurante, calmante, diverso da qualsiasi altra cosa avesse mai provato. Non
che non avesse mai ascoltato qualcuno suonare il violino, ma c’era qualcosa
nella grazia di Luna e nel suo modo di tenere il violino in modo così attento,
quasi affezionato, che lui seppe che anche lei amava il suo strumento. Era una
vista bizzarra, ma non sembrava che le importasse; non sembrava mai. Dopo
averla osservata per qualche altro istante, le sue mani tornarono sul piano.
Iniziarono a suonare un motivo come se possedessero una loro propria volontà,
una melodia gentile ben diversa da ciò che suonava di solito.
Si fuse armonicamente con quella
di lei, crescendo in volume e profondità, le note man mano sempre più veloci
finché non furono una moltitudine di scale e arpeggi e accordi, il suo archetto
che si muoveva tanto rapido quanto le sue mani che volavano sui tasti. Luna
aprì gli occhi e i loro sguardi si incrociarono, quello di lei apparve pieno di
comprensione quanto di rimpianto quello di lui. Lei non voleva sapere nulla,
comprese, e non ne aveva bisogno. Voleva solo renderlo felice.
Lei iniziò a rallentare, la sua
musica guidò le sue mani a ridurre la velocità. Iniziarono a suonare note più
lunghe arrivando a uno stabile andante, come se nessuno dei due volesse
interrompere la loro serenata. Tuttavia lo fecero alla fine, rallentando in un rubato
prima che Draco suonasse un ultimo accordo al piano sottovoce. Espirò
lentamente, ritirando le mani per guardare verso di lei.
Draco notò improvvisamente quanto
fossero simili loro due nell’aspetto. Entrambi biondi, sebbene lui fosse più
vicino a un lucente platino e lei a un più scuro biondo cenere. Anche i loro
occhi erano identici, grigi con pagliuzze blu e argento, ma i suoi propri erano
freddi e indifferenti, quelli di lei brillavano di compassione. Avrebbero
potuto farsi passare per fratelli, se avessero voluto, e Draco si domandò per
un istante cosa sarebbe potuto accadere se non fosse stato in quella
situazione. Ma era una pia illusione e niente più, e questo non era mai
positivo. Comprese che avrebbe voluto la musica non si fermasse.
Entrambi erano senza parole;
ma in effetti, non c’era bisogno di parlare. Il loro ossessionante duetto li
aveva ammutoliti, così rimasero a fissarsi a vicenda come se una corrente
telepatica li avesse uniti. Luna gli sorrise senza pronunciare parola e si
voltò, lasciandolo solo nella Stanza delle Necessità, che tutto d’un tratto gli
apparve come un soffocante vuoto di silenzio.
Link alla fanfiction originale: https://archiveofourown.org/works/1214821