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Autore: shilyss    23/05/2020    14 recensioni
Storia sulla discesa nell'oscurità del dio degli inganni. L’astuto e sfrontato principe Loki si è macchiato di una colpa terribile, per cui non prova alcun tipo di pentimento. L’esilio di Thor è ancora lontano, ma molte ombre stanno cominciando ad addensarsi sul trono di Odino. Perché ogni sacrilegio deve essere punito, solo che.
Lei era proibita e anche solo guardarla rappresentava un errore, un sacrilegio compiuto nei confronti dell’ordine costituito; avrebbe dovuto rinunciarci senza indugiare in pensieri pericolosi e malsani, ma la soddisfazione non era nella sua natura – questo, però, non lo sapeva ancora.
“Chi di voi due?” La voce di Sigyn era risuonata altera e decisa, non priva, però, di una nota oscura, figlia di un terrore che aveva nascosto per una notte intera.

[pre-Thor] [Thor] [hurt/comfort]
Genere: Angst, Dark, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Loki, Odino, Sigyn, Thor
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Capitolo 14

 

 

Sigyn conosceva a memoria ognuno degli oggetti presenti nella sua cella. Ne ricordava l’esatta posizione e amava toccarli per rievocarne le forme tramite le dita. Non che possedesse chissà quante cose: nel suo misero angolo privato era racchiuso l’indispensabile e da Asgard aveva scelto di non portare nulla. Si morse le labbra, perché la menzogna si era formata senza che se ne accorgesse. Una delle ancelle di rango superiore al suo – pura – colpì il disco di bronzo che segnava l’inizio delle cerimonie; Sigyn pensò al buco nel muro in cui aveva nascosto l’unico frammento che le ricordava l’illusione della sua vita passata e si buttò sulle spalle il mantello di lana grezza. Le dita incontrarono il tessuto ruvido della tunica e lei lo esplorò con i polpastrelli, perché il mondo di tenebra in cui era rinchiusa le restituiva una sensibilità accentuata per i rumori, i sapori e le sensazioni tattili, e Sigyn aveva bisogno di conoscere, ricordare, rievocare. C’era stato un tempo in cui la sua pelle aveva conosciuto la seta e il broccato importati dalle terre degli Elfi, un tempo in cui si era permessa di sfoggiare un abito cremisi di fronte a un principe guerriero degli Æsir e ne aveva pagato il prezzo. E quello sguardo conficcato su di lei bruciava ancora, a distanza di anni.

 Sospirò, avviandosi lungo i corridoi che non le avrebbero riservato alcun tipo di sorpresa. Avrebbe dovuto sfiorargli il volto. Percorrere il naso diritto e virile, affondare le dita nelle ciocche scure come la notte, accarezzare gli zigomi alti e affilati, la mascella severa, le labbra sottili e quella cicatrice ormai bianca che gli segnava il sorriso, vista per la prima volta quand’era ancora una ferita fresca. Sotto il suo tocco, il viso di Loki avrebbe ripreso forma e consistenza. Erano stati vicini, però – l’aveva tenuta tra le braccia e lei aveva sentito la sua voce carica di risentimento e di rancore, si era lasciata inebriare dal profumo della sua pelle, fatto di cuoio, acciaio, inchiostro. Le loro dita si erano toccate appena, i loro respiri mescolati, ma non poteva bastare a nessuno dei due – non era bastato mai.

Ricordava il momento esatto in cui aveva capito d’essersi innamorata di lui, ma non era sicura che coincidesse con l’istante in cui aveva saputo di volerlo. Indagare in tal senso era pericoloso, perché Sigyn aveva creduto per tutta la vita di essere un’ancella e invece s’ingannava, era una donna.

Una fatta di carne e di sangue, colpevole d’aver agito cercandolo. Quella notte lontana tremava e si era rifugiata tra le sue braccia, ma mentre si stringeva a lui sapeva, era cosciente di che rischio stessero correndo: Loki era stato così sfrontato da rubarle l’ennesimo bacio, assaggiandole le labbra con la voglia disperata di risolvere la tensione che c’era tra loro – quella che li consumava, spingendoli a lanciarsi occhiate di fuoco e a far di tutto per sfiorarsi anche solo le dita, quella che provocava rancori e gelosie da ambo le parti. Tremava, ma credeva che sarebbero morti e lo aveva baciato zittendo la sua bocca beffarda e ironica, perennemente sul punto di mentire, incapace di allontanarsi dalla sua.

Sembravano ricordi appartenenti non a una, ma a mille vite prima. Partecipò alla funzione senza farlo davvero, con ancora in testa la voce amara di Loki. Lo immaginò risalire a cavallo e galoppare nervoso verso Asgard e pensò a quando arricciava le labbra mentre lo osservava compiere quelle medesime azioni, al tempo della sua prigionia dorata. All’inizio lo spiava, facendo attenzione a non farsi vedere, ma un giorno si ritrovò ad ammirare apertamente il modo agile con cui saliva in groppa al suo baio, la decisione con cui stringeva le gambe sui fianchi dell’animale per farlo correre. Osò avvicinarsi, fino a scorgere la luce che brillava nei suoi occhi verdi mentre si occupava di quella bestia intelligente e magnifica, ma intrattabile quanto lui[1].

“Ti ha mai disarcionato?” gli chiese divertita, inarcando un sopracciglio.

Loki non nascose la sorpresa nel vederla lì, di fronte a lui. “Infinite volte,” rispose orgoglioso, slacciando con movimenti rapidi la sella. Quando la vedeva, drizzava ancora di più le spalle, sfoggiando un portamento regale e fiero che si accordava perfettamente con la sua aria spavalda.

Sigyn sapeva solo da poche settimane di essere la scintilla. Lingua d’Argento gliel’aveva confessato la notte in cui era rimasto con lei per guarirla da una feroce febbre. All’inizio non ci aveva creduto, ma poi.

“È una gara a chi è più testardo, allora,” osservò carezzando il muso del cavallo. L’animale la guardò con i suoi neri e intelligenti.

Loki rise, ma senza smettere di tenerla d’occhio. “Non sarebbe divertente, altrimenti.” Quando sorrideva scopriva i denti regolari e bianchissimi e il labbro superiore quasi spariva, dando al suo viso affilato un’aria furba e astuta, irresistibile.

A quel tempo, Sigyn non sentiva di avere alcun dono particolare: la sua percezione di se stessa e del mondo era rimasta quella di sempre. Dopo giorni di scoramento, Odino le aveva parlato illudendola di essere davvero intoccabile. Gli Æsir erano un popolo di pirati, vero, ma non avrebbero mai osato fare del male a colei che abitava parte delle loro profezie, questo credeva. Era libera di servire gli Antenati e, qualora l’essenza che l’animava si fosse manifestata, si sarebbe posta il problema di cosa e quanto dire al popolo che l’aveva presa in ostaggio. Era la scintilla, non avrebbe dovuto dormire con nessun uomo, mai. Una considerazione che l’aveva resa sicura e avventata, spingendola a non temere abbastanza lo scaltro figlio di Odino; adesso, a distanza di anni, lo sapeva.

In fondo, era stato lui a svelarle l’arcano, ammettendo che ogni riferimento al suo destino non era che una perfida bugia detta per terrorizzarla, ma non sapeva il resto: Loki aveva bisogno di allontanarla da sé, d’immaginarla di un altro, di ricordarsi ogni momento che toccarla era un sacrilegio. Il principe cadetto di Asgard viveva in una tensione perenne, stritolato tra la necessità di gettare caos nella sua vita e l’imposizione che si era dato di non desiderarla.

Sigyn ricordò di avergli sorriso appena in risposta, stringendosi nel mantello. “Peccato che non tutte le sfide possano essere vinte.”  

Di fronte a quella battuta provocatoria, Loki le mostrò, di nuovo, la sua natura piratesca e sfrontata, sfoggiando il suo ghigno peggiore. “Tu dici?”

A quel tempo Sigyn si mordeva le sue, di labbra, quando lo vedeva ridere, ma non si domandava mai il perché.

 

La funzione si concluse al tramonto e l’ancella si avviò verso la propria cella col cuore e la testa pieni di ricordi. Che l’ingannatore la odiasse era un bene, anzi, la cosa migliore che potesse capitarle. Doveva disprezzarla e tornare ad Asgard senza voltarsi indietro. Se la sua visita non l’avesse colta di sorpresa, si sarebbe messa d’impegno per ferirlo nell’orgoglio e liberarlo da lei per sempre. Esitando, poggiò le dita sottili e rovinate sul muro, seguendo una crepa antica – un pezzo dell’intonaco era caduto da tempo. Arrivò al punto in cui si congiungeva con l’angolo del semplice letto, fino ad arrivare a un mattone particolare, che sotto la pressione dei polpastrelli si mosse appena. Lo tolse, sfilandolo con delicatezza infinita: all’interno c’era un fazzoletto appallottolato – e, dentro, un errore. Non commise lo sbaglio di aprirlo. Le bastò valutarne il peso per ricordarlo. Era il monito che le rammentava perché avesse scelto di non opporsi al fato filato dalle Norne, giustificando anche la rete di menzogne tessuta a danno di Loki in persona. Saperlo morto, immaginare il suo corpo agile e scattante privo di vita, abbandonato in un anfratto vicino alla fonte di Mimir, con gli occhi spalancati fissi nello stupore della morte, era insopportabile. Rimise il suo personale tesoro a posto e attese. Kalfr sarebbe venuto a farle visita, chiedendole il resoconto di quella visita dolorosa: voleva sapere cosa Loki avesse intuito di tutta la vicenda, e Sigyn si domandò cosa rispondere per proteggerlo. Non dovette attendere a lungo; presto i passi dell’uomo rimbombarono per il corridoio e la porta in legno si aprì cigolando.

La ragazza s’irrigidì – detestava le sue attenzioni, non sopportava quando la raggiungeva in quella stanza.

“Lo sa?” s’interessò il guardiano scostandole la treccia e toccandole volutamente la nuca.

“Sì. Tornerà ad Asgard e troverà conferma ai suoi sospetti,” ammise lei.

Lo sentì chinarsi tanto da baciarle la spalla e lei tentò di soffocare il disgusto. “Ma il tuo irascibile principe non è una minaccia per lui, vero?”

“No.” Sigyn aveva risposto velocemente e con sicurezza. Era diventata brava a mentire, pensò.

 

 

Gli ordini di Odino erano stati perentori: la serie di faide e di vendette che si perpetrava sulle terre poste all’estremo confine con Jotunheim andava necessariamente interrotta. I cavalli scalpitavano; Loki e Thor portavano ancora sulle spalle il peso del recentissimo viaggio presso il tempio dov’era rinchiusa Sigyn. Il dio del tuono era certo che Loki avesse dormito per un pugno d’ore totali, non di più. Glielo dicevano gli occhi cerchiati di scuro e i lineamenti affilati dell’altro, contratti in una smorfia impaziente. L’insonnia lo aveva sempre afflitto a periodi alterni, ma ora, Thor lo sapeva, quel tormento aveva un nome, un colore e il sapore di un rimpianto innominabile. Solo che Loki avrebbe preferito farsi spellare vivo piuttosto che ammettere di stare soffrendo per averla perduta.

Codardo, pensò, ma si trattava di un’accusa ingiusta, che non teneva conto di quando l’ingannatore, stravolto e con negli occhi una luce folle, gli aveva proposto un piano troppo ardito anche per lui. Il primo figlio di Odino era rimasto ad ascoltare il racconto fantastico del fratello finendo per accettare di aiutarlo – ma lo avrebbe fatto comunque, anche se Loki non avesse perorato con veemenza la sua causa. Sarebbe bastato che gli chiedesse di seguirlo e sapeva, era certo che lui avrebbe fatto altrettanto.

Codardo, ripeté mentalmente, perché glielo aveva già detto a voce e ne era scaturita una breve rissa: uno di quegli scontri violenti e brutali a cui si abbandonavano fin dall’infanzia e che, negli anni, si erano fatti più crudeli. Thor aveva vinto – vinceva sempre, alla fine – ma, come spesso accadeva, trionfava a caro prezzo: Loki era stato crudele e lo aveva ferito di striscio con uno dei suoi pugnali. Codardo, dovresti correre a salvarla, gli aveva detto.

Eppure Loki non mancava di coraggio, anzi. Erano poche le cose che temeva ed era abituato a fissare i suoi avversari negli occhi, ad ascoltarne il respiro, ad anticiparne o bloccarne i movimenti. Eccelleva nel combattimento con i pugnali, del resto; la minima esitazione nel parare un colpo e affondare in un punto vitale la lama, significava morire senza appello. L’educazione che li accomunava e una buona dose di istinto gli aveva insegnato ad agire nel più efficace dei modi di fronte a un problema o a un nemico perché così fanno i re. Eppure.

Dalle fattorie uscirono alcuni uomini armati, mentre un paio di servitori corsero fuori dalle porte laterali per radunare il bestiame e portarlo nelle stalle. L’ingannatore si avvicinò alla fattoria presentando entrambi con una voce che risuonò chiara e decisa sopra il vento sferzante. Il più anziano degli uomini aveva una fronte larga e un naso aquilino. Si strinse in un mantello blu che ne testimoniava l’importanza e si avvicinò a loro senza nascondere il suo scetticismo. Probabilmente si aspettava che i figli di Odino fossero più vecchi. Loki non scese dalla sua cavalcatura, ma diede con i talloni un leggero colpo sui fianchi dell’animale affinché si avvicinasse alla fattoria. Il coraggio di suo fratello, ragionò Thor, era un miscuglio di spavalderia, calcolo e orgoglio ed era stato quest’ultimo a inghiottire la possibilità di salvare Sigyn. Lei gli aveva mentito, se n’era andata, e Loki aveva perso troppo nel tentativo di salvarla. Quando lo avevano trovato, delirava e parlava una lingua antica più delle rune, che aveva fatto impallidire persino Padre Tutto.

 

Vennero accolti in una sala sobria e ampia, opportunamente scaldata con un fuoco centrale allegro e guizzante. Thor lodò l’idromele che gli veniva offerto e così fece Loki, che si mise subito a fare domande: la faida aveva origini recenti e il sangue versato era stato moltissimo. Due fratelli si erano contesi l’eredità del loro padre, un valoroso guerriero che era stato amico di Odino in persona. Uno credeva di aver ricevuto un trattamento ingiusto da parte del genitore morente per via di un antico dissapore. Dopo la morte del vecchio, il rapporto tra gli eredi si era deteriorato al punto da sfociare in una serie di liti crudeli. La divisione della terra e dell’oro aveva coinvolto gli avidi giganti di ghiaccio, vicini terribili della famiglia divisa. Il loro ospite, Helgi, raccontò di aver ucciso i propri amici d’infanzia in un’imboscata aiutato dai parenti di sua moglie. Mentre lo diceva, si guardava le mani e parlava del fratello che, presto, sarebbe venuto a ucciderlo per vendicare quelle morti. Lui, con voce rotta, pensava a tutti i viaggi e le imprese vissute con l’altro, domandandosi se la loro stirpe dovesse finire così, nel sangue.

 

Il dio degli inganni fece molte domande; all’inizio erano considerazioni caute: desiderava conoscere più dettagli possibili della vicenda, ma senza offendere i suoi ospiti. Col passare del tempo, però, s’interessò alla vicenda in un modo che Thor non colse appieno. Alla luce calda delle fiamme, il possessore di Mjollnir non notò le labbra serrate di Loki, né le sue sopracciglia aggrottate. Non si accorse che, in qualche modo, l’altro capiva Helgi, partecipava alla sua disgrazia, comprendendo anche perché l’uomo fosse arrivato a chiedere l’aiuto dei suoi pericolosi vicini. Per Thor suo fratello era l’alleato più prezioso, l’amico più caro e antico che avesse. I suoi scherzi perfidi e gli inganni sottili in cui si dilettava erano armi che affilava contro i loro nemici. Certo, qualche volta la magia crudele di Loki si era abbattuta anche su di lui, come la volta in cui lo aveva tramutato in rospo abbandonandolo a se stesso, ma quell’episodio era da aggiungersi alla lunga serie di reciproci affronti, liti e contrasti che avevano avuto negli anni. Erano fratelli, del resto: un giorno si maledicevano mandandosi a quel paese e quello dopo bevevano assieme fino a sbronzarsi. La tragedia di Helgi non li riguardava: Thor non riconobbe il destino suo e di Loki nelle parole rotte di rimpianto di quel guerriero che, sospirando, annunciava che non si sarebbe difeso, se suo fratello Oddr avesse levato la spada contro di lui. Era convinto che nessuna ombra sarebbe mai calata davvero su Asgard e il pensiero che, presto, Odino avrebbe ufficialmente nominato il suo successore non lo preoccupava. Era certo che, in quanto primogenito, Padre Tutto avrebbe scelto lui e che Loki si sarebbe limitato a inghiottire la sconfitta, accettando la decisione del loro genitore e re. Certo, all’inizio non avrebbe accolto con entusiasmo l’idea di non poter governare Asgard; era volitivo, arrogante e superbo: sicuramente avrebbe avuto diverse cose da ridire riguardo quella scelta, ma poi, dopo qualche lite furiosa, si sarebbe calmato, accettando il suo posto e traendone gli immancabili vantaggi, come solo lui sapeva fare. In fondo, erano coscienti entrambi che al primo figlio sarebbe toccato il trono. Loki stesso lo sapeva – quella volta, con voce tremante e una lucidità spaventosa, stringendo la ragazza svenuta tra le braccia, gliel’aveva detto. Sceglierà te, fratello, perché non mi considera degno. Questo, poi, ha annullato ogni mia possibilità – ho commesso ben più di un sacrilegio.

 

Loki sfiorava il corno e ascoltava, ma i suoi pensieri erano diversi. La sua prima riflessione era stata di natura pratica: Helgi doveva pagare i parenti dell’ucciso, mentre suo fratello poteva sfogarsi con una rappresaglia che avrebbe coinvolto qualche fattore scomodo o ingestibile, che aveva partecipato al precedente assalto. Solo così il caos sarebbe cessato. Padre Tutto si sarebbe rammaricato profondamente se la terra si fosse bagnata col sangue di Helgi e di Oddr – sarebbe stato un atto empio, intollerabile. Con tetra ironia, si disse che era maledetto, perché ogni cosa cui si avvicinava portava i segni di una profanazione o di un delitto. Magari avrebbe dovuto interrogare le Norne, a tal proposito. Espose l’accordo che aveva elaborato con voce chiara e decisa, accompagnando ogni osservazione con ampi gesti delle mani.

Helgi lo ascoltò con attenzione per tutto il tempo, catturato dalla forza del suo ragionamento. “Parli molto bene, per essere così giovane,” ammise con un velo di rispetto.

Thor, che fino ad allora era rimasto in silenzio a bere, intervenne dandogli una pacca sulla spalla. “È la sua specialità,” rise.

Gli occhi dell’ospite e dei suoi uomini si spostarono sul dio del tuono e su Mjollnir, la reliquia sacra ricoperta di rune, e Loki seppe di aver perso il suo momento. “Qualcuno deve pur farlo,” rispose tagliente, ma suo fratello non colse la frecciata e l’occhiata comprensiva di Helgi non bastò a placarlo.

Il primo figlio, il massacratore dei troll, era lì e, dopo aver finito di bere, quando la parte più faticosa dell’incontro poteva dirsi conclusa, si apprestava a partecipare alla discussione – a diventare il centro dell’attenzione, occupando il posto che ricopriva senza alcuno sforzo, solo esistendo.

Thor gli fece notare che aveva il corno mezzo vuoto e lo riempì fino all’orlo d’idromele, scompigliandogli in un gesto brusco e fraterno i capelli scuri. “Bravo, fratellino. Forse non si ammazzeranno,” gli bisbigliò complice.

Un istante di silenzio. “E se ci proveranno, li fermerai,” concluse Loki distante, bagnandosi le labbra col dolce sapore della bevanda. Aveva il colore dei capelli di lei. L’altro annuì, senza cogliere, una volta di più, il suo tono ironicamente amaro, né il fatto che si era tirato via dall’ipotetica, futura, rappresaglia.

 

Loki beveva e ascoltava suo fratello vantarsi e rispondere a un’infinità di domande sulle sue leggendarie imprese. Ogni tanto puntualizzava, precisava o rendeva il racconto più succoso con qualche aneddoto divertente, ma nemmeno il ricordo o lo scherzo più irriverente riuscivano a strappargli più di qualche risata breve e senza gioia. Aveva in mente troppi pensieri, che gravavano come una massa oscura sul suo petto bloccandogli il respiro. La sua attenzione venne catturata dalla porta che si apriva. Erano gli alleati di Helgi, i due giganti di ghiaccio che vivevano sul confine, padre e figlio. Non erano di Utgard, la capitale, e si vedeva. Possedevano una fattoria che si trovava a poche ore da lì e vestivano con abiti semplici, ma di buona fattura. Thor, vedendoli, si rizzò in piedi di scatto, in un misto di offesa, stupore e furia. Loki lo seguì alzandosi più lentamente e riconoscendo, nei lineamenti ingentiliti degli altri, tracce di commistioni vicine e lontane. A stento trattenne una smorfia: chi poteva unirsi a un gigante di ghiaccio? Con che coraggio le famiglie che gravitavano attorno a Helgi osavano permettere ai propri figli e figlie di mescolarsi con una stirpe così odiosamente avversa agli Æsir? Capiva, comprendeva che si trovava in una terra ai confini del mondo. Per quei giganti, così come per gli uomini che li ospitavano, Asgard e Utgard erano la stessa cosa: luoghi fantastici e ugualmente distanti, ignoti. In quella sala, lui e Thor erano i veri stranieri. I giganti li fissarono con curiosità e furono ragguagliati da uno dei figli di Helgi su quanto aveva promesso loro da Odino per bocca di Loki[2].

Il più anziano degli Jotnar si girò per squadrarlo nuovamente da capo a piedi e, nel farlo, increspò le labbra bluastre: lo giudicò un ragazzo insolente, niente di più, spedito da Padre Tutto fin là per farsi le ossa. Non gli piaceva, intuendo immediatamente che il principe cadetto era animato da tensioni occulte e nascondeva qualcosa, dietro quei suoi occhi verdi e penetranti. Un’insoddisfazione sorda, un rancore senza nome che traspariva dall’inquietudine sapientemente nascosta dietro le movenze misurate.

“Parla con grande saggezza,” lo difese Helgi, “ha imparato bene da suo padre.”

“Odino ha molte cose da insegnare, ma non tutte meritano di essere apprese,” sospirò il gigante.

 

Loki sentì nominare lo scrigno degli Antichi Inverni più tardi. L’aria nella sala si era fatta troppo calda e opprimente e lui era uscito a prendere una boccata d’aria. Aveva riconosciuto delle voci e si era avvicinato a passi felpati per raccogliere qualche confidenza strappata alla notte, venire a conoscenza di segreti da sfruttare a proprio vantaggio. Si mosse furtivo per ascoltare ancora meglio e districare le voci, rendendole frasi e parole distinte. I giganti parlavano di loro e li valutavano, perché nessuno, a Jotunheim, sapeva che aspetto avessero lui o Thor; i racconti dei troll in merito erano incerti e inattendibili. Erano rimasti colpiti dall’aspetto gagliardo del primo figlio di Odino e avevano stabilito, con un inspiegabile interesse e dopo una lunga discussione, che lui, Loki, era nato durante l’ultima, atroce guerra; quella in cui lo scrigno era stato sottratto. Attribuirono alla reliquia di cui l’ingannatore ricordava vagamente l’ubicazione la disgrazia che si era abbattuta sulla sterile Jotunheim. Se avessero avuto tra le mani l’artefatto che proteggeva il loro regno, le cose sarebbero andate in modo totalmente diverso[3].

L’ingannatore non elaborò alcun piano in quel momento. Si limitò a registrare il rimpianto nella voce dei due Jotnar, a recuperare la memoria del giorno in cui Odino aveva preso per mano lui e Thor bambini per raccontargli la storia della guerra sanguinosa in cui aveva perso persino un occhio. In quell’occasione, aveva promesso a entrambi il trono – siete nati per essere re, queste erano state le sue parole. I giganti si allontanarono e Loki rimase nascosto, nel buio.

I sovrani non dovrebbero fallire. Laufey aveva perso lo Scrigno e Odino, ora, lo sfoggiava come uno dei suoi innumerevoli trofei. Lui aveva perso la scintilla, consentendole di andare via in nome del bisogno logorante di averla. La maledisse tra i denti, augurandole senza convinzione il destino che l’attendeva: bugiarda, mi hai mentito. Se mi avessi detto che stavi diventando cieca, avrei potuto, forse.

Rientrò nella sala sfoggiando un sorriso largo e sornione e fece un complimento a una delle ragazze venuta a riempirgli il corno. Quella arrossì e gli rivolse un’occhiata lunga e compiaciuta: lo trovava bello e lui aveva voglia di seppellire l’immagine di Sigyn sotto strati di azioni, pensieri e desideri. Dopo essersi accordato con lei per un appuntamento notturno, Thor gli si avvicinò.

“Guarda come brindano con quei bastardi. Dovremmo uccidere i giganti, non berci insieme,” sentenziò disgustato.

Loki strinse le labbra sottili e gli rivolse un’occhiata breve e fredda. “Romperemmo la pace costata sangue persino a nostro padre,” gli ricordò. “Non è così che si comporterebbe il re di Asgard.”

 

 

L’angolo di Shilyss

Care Lettrici e Lettori,

 

Rieccomi con questo aggiornamento! ^^ Anzitutto, sappiate che le prossime cose che leggerete saranno Ombre strette e Solo un accordo: so che la seconda è molto attesa, ma siamo nella zona calda della storia, nell’ultimo blocco, e devo scrivere, ma anche rileggere. Inoltre, Ombre (che vi consiglio caldamente) non avrà più di 5/6 capitoli. Ma torniamo a questa: sono felicissima di aver concluso il capitolo qui perché, come forse qualcuno ricorderà, le cose stanno per unirsi al primo film di Thor. Vi avviso che non farò una riscrittura del primo film, ma sicuramente ci saranno amore, avventura e dramma.

A proposito di dramma: su Sigyn e Kalfr ho preferito lasciare le cose vaghe, per dare modo a voi di immaginarvela un po’ come credete, in fondo la lettura offre questo vantaggio, il poter interpretare. Non ho messo note sulle faide vichinghe, ma funzionava più o meno così. Nel testo vengono fatti continui riferimenti a una battaglia in cui Loki è rimasto quasi ucciso. La leggerete, non l’avete dimenticata.

 

Ringrazio di cuore tutti coloro che listano/recensiscono la storia: io posto e ogni volta è un salto nel buio. Non rispondo a tutte le recensioni pubblicamente, ma sappiate che le leggo e mi danno una gioia infinita. Tante delle mie storie sono nate per una fanart inviata, per una battuta. Questa doveva essere una shot, lo sapete, e pure Accordo. Quindi io sono qui e giuro che non vi mordo ♥ (e lo so che a volte non si ha che dire, ma ricordatevi che anche due frasi possono volere dire tanto).  

Per ulteriori info, tante foto di Loki, di Sigyn e di Tom e un po’ di divertimento… c’è la mia pagina facebook ♥ https://www.facebook.com/Shilyss/.  Ah, mi trovate pure su Twitter e Instagram ;)

 

Ricordo che Vanheim e il personaggio di Sigyn, tolto quello che trovate alla voce “Sigyn” su Wikipedia, è una mia personale interpretazione/reinterpretazione/riscrittura e vi prego di essere originali anche per quanto concerne miti, rituali e per alcune caratteristiche di Loki che non vengono espletate e/o chiaramente mostrate nei film. Anche l’espressione “Per le Norne” che compare sempre nei miei scritti dal 2017 lo è.

Vi informo anche che ho ancora nuove cose in cantiere ♥, spero di farvele leggere presto!

E la settimana prossima? Ah, boh, non ho ancora deciso XD

A presto e grazie per tutto l’affetto/sostegno/cose,

Shilyss



[1] Questa scena è speculare a quella in cui Sigyn osserva Loki smontare da cavallo. Qui, però, si azzarda a parlagli. Quindi non è mancanza di fantasia, ma un modo per farvi vedere l’evoluzione dei due personaggi.

[2] Vi ricordo che a questo punto della trama Loki ignora totalmente il fatto di essere un gigante. I suoi pensieri nei confronti dei “sanguemisto” sono odiosi e chiaramente non rispecchiano i miei. Attento, Loki, che “chi sputa per aria je ricade addosso!” se dice a Roma :P.

[3] Nel primo Thor

   
 
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