Capitolo 14
Sigyn
conosceva a memoria ognuno degli oggetti presenti nella sua cella. Ne
ricordava
l’esatta posizione e amava toccarli per rievocarne le forme
tramite le dita. Non
che possedesse chissà quante cose:
nel suo misero angolo privato era racchiuso l’indispensabile
e da Asgard aveva
scelto di non portare nulla. Si morse le labbra, perché la
menzogna si era
formata senza che se ne accorgesse. Una delle ancelle di rango
superiore al suo
– pura – colpì il
disco di bronzo che segnava l’inizio delle cerimonie;
Sigyn pensò al buco nel muro in cui aveva nascosto
l’unico frammento che le
ricordava l’illusione della sua vita passata e si
buttò sulle spalle il
mantello di lana grezza. Le dita incontrarono il tessuto ruvido della
tunica e
lei lo esplorò con i polpastrelli, perché il
mondo di tenebra in cui era
rinchiusa le restituiva una sensibilità accentuata per i
rumori, i sapori e le
sensazioni tattili, e Sigyn aveva bisogno di conoscere, ricordare,
rievocare.
C’era stato un tempo in cui la sua pelle aveva conosciuto la
seta e il broccato
importati dalle terre degli Elfi, un tempo in cui si era permessa di
sfoggiare
un abito cremisi di fronte a un principe guerriero degli Æsir
e ne aveva pagato
il prezzo. E quello sguardo conficcato su di lei bruciava ancora, a
distanza di
anni.
Sospirò,
avviandosi lungo i corridoi che non
le avrebbero riservato alcun tipo di sorpresa. Avrebbe dovuto
sfiorargli il
volto. Percorrere il naso diritto e virile, affondare le dita nelle
ciocche
scure come la notte, accarezzare gli zigomi alti e affilati, la
mascella
severa, le labbra sottili e quella cicatrice ormai bianca che gli
segnava il
sorriso, vista per la prima volta quand’era ancora una ferita
fresca. Sotto il
suo tocco, il viso di Loki avrebbe ripreso forma e consistenza. Erano
stati
vicini, però – l’aveva tenuta tra le
braccia e lei aveva sentito la sua voce
carica di risentimento e di rancore, si era lasciata inebriare dal
profumo
della sua pelle, fatto di cuoio, acciaio, inchiostro. Le loro dita si
erano toccate
appena, i loro respiri mescolati, ma non poteva bastare a nessuno dei
due – non
era bastato mai.
Ricordava
il momento esatto in cui aveva capito d’essersi innamorata di
lui, ma non era
sicura che coincidesse con l’istante in cui aveva saputo di
volerlo. Indagare
in tal senso era pericoloso, perché Sigyn aveva creduto per
tutta la vita di
essere un’ancella e invece s’ingannava, era una
donna.
Una
fatta di carne e di sangue, colpevole d’aver agito
cercandolo. Quella notte
lontana tremava e si era rifugiata tra le sue braccia, ma mentre si
stringeva a
lui sapeva, era cosciente di che rischio stessero
correndo: Loki era
stato così sfrontato da rubarle l’ennesimo bacio,
assaggiandole le labbra con
la voglia disperata di risolvere la tensione che c’era tra
loro – quella che li
consumava, spingendoli a lanciarsi occhiate di fuoco e a far di tutto
per sfiorarsi
anche solo le dita, quella che provocava rancori e gelosie da ambo le
parti. Tremava,
ma credeva che sarebbero morti e lo aveva baciato zittendo la sua bocca
beffarda e ironica, perennemente sul punto di mentire, incapace di
allontanarsi
dalla sua.
Sembravano
ricordi appartenenti non a una, ma a mille vite prima.
Partecipò alla funzione senza
farlo davvero, con ancora in testa la voce amara di Loki. Lo
immaginò risalire
a cavallo e galoppare nervoso verso Asgard e pensò a quando
arricciava le
labbra mentre lo osservava compiere quelle medesime azioni, al tempo
della sua
prigionia dorata. All’inizio lo spiava, facendo attenzione a
non farsi vedere,
ma un giorno si ritrovò ad ammirare apertamente il modo
agile con cui saliva in
groppa al suo baio, la decisione con cui stringeva le gambe sui fianchi
dell’animale per farlo correre. Osò avvicinarsi,
fino a scorgere la luce che brillava
nei suoi occhi verdi mentre si occupava di quella bestia intelligente e
magnifica, ma intrattabile quanto lui[1].
“Ti
ha mai disarcionato?” gli chiese divertita, inarcando un
sopracciglio.
Loki non
nascose la sorpresa nel vederla lì, di fronte a lui.
“Infinite volte,” rispose
orgoglioso, slacciando con movimenti rapidi la sella. Quando la vedeva,
drizzava ancora di più le spalle, sfoggiando un portamento
regale e fiero che
si accordava perfettamente con la sua aria spavalda.
Sigyn
sapeva solo da poche settimane di essere la scintilla. Lingua
d’Argento gliel’aveva
confessato la notte in cui era rimasto con lei per guarirla da una
feroce
febbre. All’inizio non ci aveva creduto, ma poi.
“È
una gara a chi è più testardo, allora,”
osservò carezzando il muso del cavallo.
L’animale la guardò con i suoi neri e intelligenti.
Loki rise,
ma senza smettere di tenerla d’occhio. “Non sarebbe
divertente, altrimenti.”
Quando sorrideva scopriva i denti regolari e bianchissimi e il labbro
superiore
quasi spariva, dando al suo viso affilato un’aria furba e
astuta, irresistibile.
A
quel tempo, Sigyn non sentiva di avere alcun dono particolare: la sua
percezione di se stessa e del mondo era rimasta quella di sempre. Dopo
giorni
di scoramento, Odino le aveva parlato illudendola di essere davvero intoccabile.
Gli Æsir erano un popolo di pirati, vero, ma non avrebbero
mai osato fare del
male a colei che abitava parte delle loro profezie, questo credeva. Era
libera
di servire gli Antenati e, qualora l’essenza che
l’animava si fosse
manifestata, si sarebbe posta il problema di cosa e
quanto dire
al popolo che l’aveva presa in ostaggio. Era la scintilla,
non avrebbe dovuto
dormire con nessun uomo, mai. Una considerazione che l’aveva
resa sicura e
avventata, spingendola a non temere abbastanza lo scaltro figlio di
Odino; adesso,
a distanza di anni, lo sapeva.
In
fondo, era stato lui a svelarle l’arcano, ammettendo che ogni
riferimento al
suo destino non era che una perfida bugia detta per terrorizzarla, ma
non
sapeva il resto: Loki aveva bisogno di allontanarla da sé,
d’immaginarla di un
altro, di ricordarsi ogni momento che toccarla era un sacrilegio. Il
principe
cadetto di Asgard viveva in una tensione perenne, stritolato tra la
necessità
di gettare caos nella sua vita e l’imposizione che si era
dato di non
desiderarla.
Sigyn
ricordò di avergli sorriso appena in risposta, stringendosi
nel mantello.
“Peccato che non tutte le sfide possano essere
vinte.”
Di
fronte a quella battuta provocatoria, Loki le mostrò, di
nuovo, la sua natura
piratesca e sfrontata, sfoggiando il suo ghigno peggiore. “Tu
dici?”
A
quel tempo Sigyn si mordeva le sue, di labbra, quando lo vedeva ridere,
ma non
si domandava mai il perché.
La
funzione si concluse al tramonto e l’ancella si
avviò verso la propria cella
col cuore e la testa pieni di ricordi. Che l’ingannatore la
odiasse era un
bene, anzi, la cosa migliore che potesse capitarle. Doveva disprezzarla
e
tornare ad Asgard senza voltarsi indietro. Se la sua visita non
l’avesse colta
di sorpresa, si sarebbe messa d’impegno per ferirlo
nell’orgoglio e liberarlo
da lei per sempre. Esitando, poggiò le dita sottili e
rovinate sul muro, seguendo
una crepa antica – un pezzo dell’intonaco era
caduto da tempo. Arrivò al punto
in cui si congiungeva con l’angolo del semplice letto, fino
ad arrivare a un
mattone particolare, che sotto la pressione dei polpastrelli si mosse
appena.
Lo tolse, sfilandolo con delicatezza infinita: all’interno
c’era un fazzoletto
appallottolato – e, dentro, un errore.
Non commise lo sbaglio di
aprirlo. Le bastò valutarne il peso per ricordarlo. Era il
monito che le
rammentava perché avesse scelto di non opporsi al fato
filato dalle Norne,
giustificando anche la rete di menzogne tessuta a danno di Loki in
persona. Saperlo
morto, immaginare il suo corpo agile e scattante privo di vita,
abbandonato in
un anfratto vicino alla fonte di Mimir, con gli occhi spalancati fissi
nello
stupore della morte, era insopportabile. Rimise il suo personale tesoro
a posto
e attese. Kalfr sarebbe venuto a farle visita, chiedendole il resoconto
di
quella visita dolorosa: voleva sapere cosa Loki avesse intuito di tutta
la
vicenda, e Sigyn si domandò cosa rispondere per proteggerlo.
Non dovette
attendere a lungo; presto i passi dell’uomo rimbombarono per
il corridoio e la
porta in legno si aprì cigolando.
La
ragazza s’irrigidì – detestava le sue
attenzioni, non sopportava quando la
raggiungeva in quella stanza.
“Lo
sa?” s’interessò il guardiano
scostandole la treccia e toccandole volutamente
la nuca.
“Sì.
Tornerà ad Asgard e troverà conferma ai suoi
sospetti,” ammise lei.
Lo
sentì chinarsi tanto da baciarle la spalla e lei
tentò di soffocare il
disgusto. “Ma il tuo irascibile principe non è una
minaccia per lui,
vero?”
“No.”
Sigyn aveva risposto velocemente e con sicurezza. Era diventata brava a
mentire, pensò.
Gli
ordini di Odino erano stati perentori: la serie di faide e di vendette
che si perpetrava
sulle terre poste all’estremo confine con Jotunheim andava
necessariamente interrotta.
I cavalli scalpitavano; Loki e Thor portavano ancora sulle spalle il
peso del
recentissimo viaggio presso il tempio dov’era rinchiusa
Sigyn. Il dio del tuono
era certo che Loki avesse dormito per un pugno d’ore totali,
non di più. Glielo
dicevano gli occhi cerchiati di scuro e i lineamenti affilati
dell’altro,
contratti in una smorfia impaziente. L’insonnia lo aveva
sempre afflitto a
periodi alterni, ma ora, Thor lo sapeva, quel tormento aveva un nome,
un colore
e il sapore di un rimpianto innominabile. Solo che Loki avrebbe
preferito farsi
spellare vivo piuttosto che ammettere di stare soffrendo per averla
perduta.
Codardo,
pensò, ma si trattava di un’accusa
ingiusta, che non teneva conto di quando l’ingannatore,
stravolto e con negli
occhi una luce folle, gli aveva proposto un piano troppo ardito anche
per lui. Il
primo figlio di Odino era rimasto ad ascoltare il racconto fantastico
del
fratello finendo per accettare di aiutarlo – ma lo avrebbe
fatto comunque,
anche se Loki non avesse perorato con veemenza la sua causa. Sarebbe
bastato
che gli chiedesse di seguirlo e sapeva, era certo che lui avrebbe fatto
altrettanto.
Codardo,
ripeté mentalmente, perché glielo aveva
già detto a voce e ne era scaturita una breve rissa: uno di
quegli scontri
violenti e brutali a cui si abbandonavano fin dall’infanzia e
che, negli anni,
si erano fatti più crudeli. Thor aveva vinto –
vinceva sempre, alla fine – ma,
come spesso accadeva, trionfava a caro prezzo: Loki era stato crudele e
lo
aveva ferito di striscio con uno dei suoi pugnali. Codardo,
dovresti correre
a salvarla, gli aveva detto.
Eppure
Loki non mancava di coraggio, anzi. Erano poche le cose che temeva ed
era
abituato a fissare i suoi avversari negli occhi, ad ascoltarne il
respiro, ad
anticiparne o bloccarne i movimenti. Eccelleva nel combattimento con i
pugnali,
del resto; la minima esitazione nel parare un colpo e affondare in un
punto
vitale la lama, significava morire senza appello.
L’educazione che li
accomunava e una buona dose di istinto gli aveva insegnato ad agire nel
più
efficace dei modi di fronte a un problema o a un nemico
perché così fanno i re.
Eppure.
Dalle
fattorie uscirono alcuni uomini armati, mentre un paio di servitori
corsero
fuori dalle porte laterali per radunare il bestiame e portarlo nelle
stalle.
L’ingannatore si avvicinò alla fattoria
presentando entrambi con una voce che
risuonò chiara e decisa sopra il vento sferzante. Il
più anziano degli uomini
aveva una fronte larga e un naso aquilino. Si strinse in un mantello
blu che ne
testimoniava l’importanza e si avvicinò a loro
senza nascondere il suo
scetticismo. Probabilmente si aspettava che i figli di Odino fossero
più
vecchi. Loki non scese dalla sua cavalcatura, ma diede con i talloni un
leggero
colpo sui fianchi dell’animale affinché si
avvicinasse alla fattoria. Il
coraggio di suo fratello, ragionò Thor, era un miscuglio di
spavalderia,
calcolo e orgoglio ed era stato quest’ultimo a inghiottire la
possibilità di
salvare Sigyn. Lei gli aveva mentito, se n’era andata, e Loki
aveva perso
troppo nel tentativo di salvarla. Quando lo avevano trovato, delirava e
parlava
una lingua antica più delle rune, che aveva fatto impallidire
persino Padre
Tutto.
Vennero
accolti in una sala sobria e ampia, opportunamente scaldata con un
fuoco
centrale allegro e guizzante. Thor lodò l’idromele
che gli veniva offerto e
così fece Loki, che si mise subito a fare domande: la faida
aveva origini
recenti e il sangue versato era stato moltissimo. Due fratelli si erano
contesi
l’eredità del loro padre, un valoroso guerriero
che era stato amico di Odino in
persona. Uno credeva di aver ricevuto un trattamento ingiusto da parte
del
genitore morente per via di un antico dissapore. Dopo la morte del
vecchio, il
rapporto tra gli eredi si era deteriorato al punto da sfociare in una
serie di
liti crudeli. La divisione della terra e dell’oro aveva
coinvolto gli avidi
giganti di ghiaccio, vicini terribili della famiglia divisa. Il loro
ospite,
Helgi, raccontò di aver ucciso i propri amici
d’infanzia in un’imboscata
aiutato dai parenti di sua moglie. Mentre lo diceva, si guardava le
mani e parlava
del fratello che, presto, sarebbe venuto a ucciderlo per vendicare
quelle
morti. Lui, con voce rotta, pensava a tutti i viaggi e le imprese
vissute con
l’altro, domandandosi se la loro stirpe dovesse finire
così, nel sangue.
Il
dio degli inganni fece molte domande; all’inizio erano
considerazioni caute:
desiderava conoscere più dettagli possibili della vicenda,
ma senza offendere i
suoi ospiti. Col passare del tempo, però,
s’interessò alla vicenda in un modo
che Thor non colse appieno. Alla luce calda delle fiamme, il possessore
di
Mjollnir non notò le labbra serrate di Loki, né
le sue sopracciglia aggrottate.
Non si accorse che, in qualche modo, l’altro capiva Helgi,
partecipava alla sua
disgrazia, comprendendo anche perché
l’uomo fosse arrivato a chiedere
l’aiuto dei suoi pericolosi vicini. Per Thor suo fratello era
l’alleato più
prezioso, l’amico più caro e antico che avesse. I
suoi scherzi perfidi e gli
inganni sottili in cui si dilettava erano armi che affilava contro i
loro
nemici. Certo, qualche volta la magia crudele di Loki si era abbattuta
anche su
di lui, come la volta in cui lo aveva tramutato in rospo abbandonandolo
a se
stesso, ma quell’episodio era da aggiungersi alla lunga serie
di reciproci
affronti, liti e contrasti che avevano avuto negli anni. Erano
fratelli, del
resto: un giorno si maledicevano mandandosi a quel paese e quello dopo
bevevano
assieme fino a sbronzarsi. La tragedia di Helgi non li riguardava: Thor
non
riconobbe il destino suo e di Loki nelle parole rotte di rimpianto di
quel
guerriero che, sospirando, annunciava che non si sarebbe difeso, se suo
fratello Oddr avesse levato la spada contro di lui. Era convinto che
nessuna
ombra sarebbe mai calata davvero su Asgard e il pensiero che, presto,
Odino
avrebbe ufficialmente nominato il suo successore non lo preoccupava.
Era certo
che, in quanto primogenito, Padre Tutto avrebbe scelto lui e che Loki
si
sarebbe limitato a inghiottire la sconfitta, accettando la decisione
del loro
genitore e re. Certo, all’inizio non avrebbe accolto con
entusiasmo l’idea di
non poter governare Asgard; era volitivo, arrogante e superbo:
sicuramente
avrebbe avuto diverse cose da ridire riguardo quella scelta, ma poi,
dopo
qualche lite furiosa, si sarebbe calmato, accettando il suo posto e
traendone
gli immancabili vantaggi, come solo lui sapeva fare. In fondo, erano
coscienti
entrambi che al primo figlio sarebbe toccato il trono. Loki stesso lo
sapeva – quella
volta, con voce tremante e una lucidità
spaventosa, stringendo la ragazza
svenuta tra le braccia, gliel’aveva detto. Sceglierà
te, fratello, perché
non mi considera degno. Questo, poi, ha annullato ogni mia
possibilità – ho
commesso ben più di un sacrilegio.
Loki
sfiorava il corno e ascoltava, ma i suoi pensieri erano diversi. La sua
prima
riflessione era stata di natura pratica: Helgi doveva pagare i parenti
dell’ucciso, mentre suo fratello poteva sfogarsi con una
rappresaglia che
avrebbe coinvolto qualche fattore scomodo o ingestibile, che aveva
partecipato
al precedente assalto. Solo così il caos sarebbe cessato.
Padre Tutto si
sarebbe rammaricato profondamente se la terra si fosse bagnata col
sangue di
Helgi e di Oddr – sarebbe stato un atto empio, intollerabile.
Con tetra ironia,
si disse che era maledetto, perché ogni cosa cui si
avvicinava portava i segni
di una profanazione o di un delitto. Magari avrebbe dovuto interrogare
le
Norne, a tal proposito. Espose l’accordo che aveva elaborato
con voce chiara e
decisa, accompagnando ogni osservazione con ampi gesti delle mani.
Helgi
lo ascoltò con attenzione per tutto il tempo, catturato
dalla forza del suo
ragionamento. “Parli molto bene, per essere così
giovane,” ammise con un velo
di rispetto.
Thor,
che fino ad allora era rimasto in silenzio a bere, intervenne dandogli
una
pacca sulla spalla. “È la sua
specialità,” rise.
Gli
occhi dell’ospite e dei suoi uomini si spostarono sul dio del
tuono e su
Mjollnir, la reliquia sacra ricoperta di rune, e Loki seppe di aver
perso il
suo momento. “Qualcuno deve pur farlo,” rispose
tagliente, ma suo fratello non
colse la frecciata e l’occhiata comprensiva di Helgi non
bastò a placarlo.
Il
primo figlio, il massacratore dei troll, era lì e, dopo aver
finito di bere,
quando la parte più faticosa dell’incontro poteva
dirsi conclusa, si apprestava
a partecipare alla discussione – a diventare il centro
dell’attenzione,
occupando il posto che ricopriva senza alcuno sforzo, solo esistendo.
Thor
gli fece notare che aveva il corno mezzo vuoto e lo riempì
fino all’orlo
d’idromele, scompigliandogli in un gesto brusco e fraterno i
capelli scuri. “Bravo,
fratellino. Forse non si ammazzeranno,” gli
bisbigliò complice.
Un
istante di silenzio. “E se ci proveranno, li fermerai,”
concluse Loki
distante, bagnandosi le labbra col dolce sapore della bevanda. Aveva
il
colore dei capelli di lei. L’altro
annuì, senza cogliere, una volta di più,
il suo tono ironicamente amaro, né il fatto che si era
tirato via
dall’ipotetica, futura, rappresaglia.
Loki
beveva e ascoltava suo fratello vantarsi e rispondere a
un’infinità di domande
sulle sue leggendarie imprese. Ogni tanto puntualizzava, precisava o
rendeva il
racconto più succoso con qualche aneddoto divertente, ma
nemmeno il ricordo o
lo scherzo più irriverente riuscivano a strappargli
più di qualche risata breve
e senza gioia. Aveva in mente troppi pensieri, che gravavano come una
massa
oscura sul suo petto bloccandogli il respiro. La sua attenzione venne
catturata
dalla porta che si apriva. Erano gli alleati di Helgi, i due giganti di
ghiaccio che vivevano sul confine, padre e figlio. Non erano di Utgard,
la
capitale, e si vedeva. Possedevano una fattoria che si trovava a poche
ore da
lì e vestivano con abiti semplici, ma di buona fattura.
Thor, vedendoli, si
rizzò in piedi di scatto, in un misto di offesa, stupore e
furia. Loki lo seguì
alzandosi più lentamente e riconoscendo, nei lineamenti
ingentiliti degli altri,
tracce di commistioni vicine e lontane. A stento trattenne una smorfia:
chi
poteva unirsi a un gigante di ghiaccio? Con che coraggio le famiglie
che
gravitavano attorno a Helgi osavano permettere ai propri figli e figlie
di mescolarsi
con una stirpe così odiosamente avversa agli Æsir?
Capiva, comprendeva che si
trovava in una terra ai confini del mondo. Per quei giganti,
così come per gli
uomini che li ospitavano, Asgard e Utgard erano la stessa cosa: luoghi
fantastici e ugualmente distanti, ignoti. In quella sala, lui e Thor
erano i
veri stranieri. I giganti li fissarono con curiosità e
furono ragguagliati da
uno dei figli di Helgi su quanto aveva promesso loro da Odino per bocca
di Loki[2].
Il
più anziano degli Jotnar si girò per squadrarlo
nuovamente da capo a piedi e,
nel farlo, increspò le labbra bluastre: lo
giudicò un ragazzo insolente, niente
di più, spedito da Padre Tutto fin là per farsi
le ossa. Non gli piaceva,
intuendo immediatamente che il principe cadetto era animato da tensioni
occulte
e nascondeva qualcosa, dietro quei suoi occhi verdi e penetranti.
Un’insoddisfazione sorda, un rancore senza nome che
traspariva
dall’inquietudine sapientemente nascosta dietro le movenze
misurate.
“Parla
con grande saggezza,” lo difese Helgi, “ha imparato
bene da suo padre.”
“Odino
ha molte cose da insegnare, ma non tutte meritano di essere
apprese,” sospirò
il gigante.
Loki
sentì nominare lo scrigno degli Antichi Inverni
più tardi. L’aria nella sala si
era fatta troppo calda e opprimente e lui era uscito a prendere una
boccata
d’aria. Aveva riconosciuto delle voci e si era avvicinato a
passi felpati per
raccogliere qualche confidenza strappata alla notte, venire a
conoscenza di
segreti da sfruttare a proprio vantaggio. Si mosse furtivo per
ascoltare ancora
meglio e districare le voci, rendendole frasi e parole distinte. I
giganti
parlavano di loro e li valutavano, perché nessuno, a
Jotunheim, sapeva che
aspetto avessero lui o Thor; i racconti dei troll in merito erano
incerti e
inattendibili. Erano rimasti colpiti dall’aspetto gagliardo
del primo figlio di
Odino e avevano stabilito, con un inspiegabile interesse e dopo una
lunga
discussione, che lui, Loki, era nato durante l’ultima, atroce
guerra; quella in
cui lo scrigno era stato sottratto. Attribuirono alla reliquia di cui
l’ingannatore ricordava vagamente l’ubicazione la
disgrazia che si era
abbattuta sulla sterile Jotunheim. Se avessero avuto tra le mani
l’artefatto
che proteggeva il loro regno, le cose sarebbero andate in modo
totalmente
diverso[3].
L’ingannatore
non elaborò alcun piano in quel momento. Si
limitò a registrare il rimpianto
nella voce dei due Jotnar, a recuperare la memoria del giorno in cui
Odino
aveva preso per mano lui e Thor bambini per raccontargli la storia
della guerra
sanguinosa in cui aveva perso persino un occhio. In
quell’occasione, aveva
promesso a entrambi il trono – siete nati per
essere re, queste erano
state le sue parole. I giganti si allontanarono e Loki rimase nascosto,
nel
buio.
I
sovrani non dovrebbero fallire. Laufey aveva perso lo Scrigno e Odino,
ora, lo
sfoggiava come uno dei suoi innumerevoli trofei. Lui aveva perso la
scintilla,
consentendole di andare via in nome del bisogno logorante di averla. La
maledisse tra i denti, augurandole senza convinzione il destino che
l’attendeva: bugiarda, mi hai mentito. Se mi avessi
detto che stavi
diventando cieca, avrei potuto, forse.
Rientrò
nella sala sfoggiando un sorriso largo e sornione e fece un complimento
a una
delle ragazze venuta a riempirgli il corno. Quella arrossì e
gli rivolse
un’occhiata lunga e compiaciuta: lo trovava bello e lui aveva
voglia di
seppellire l’immagine di Sigyn sotto strati di azioni,
pensieri e desideri.
Dopo essersi accordato con lei per un appuntamento notturno, Thor gli
si
avvicinò.
“Guarda
come brindano con quei bastardi. Dovremmo uccidere i giganti, non berci
insieme,” sentenziò disgustato.
Loki
strinse le labbra sottili e gli rivolse un’occhiata breve e
fredda. “Romperemmo
la pace costata sangue persino a nostro padre,” gli
ricordò. “Non è così che si
comporterebbe il re di Asgard.”
L’angolo
di Shilyss
Care
Lettrici e Lettori,
Rieccomi
con questo aggiornamento! ^^ Anzitutto, sappiate che le prossime cose
che
leggerete saranno Ombre strette e Solo un
accordo: so che la seconda
è molto attesa, ma siamo nella zona calda della storia,
nell’ultimo blocco, e devo
scrivere, ma anche rileggere. Inoltre, Ombre (che vi consiglio
caldamente) non
avrà più di 5/6 capitoli. Ma torniamo a questa:
sono felicissima di aver concluso
il capitolo qui perché, come forse qualcuno
ricorderà, le cose stanno per unirsi
al primo film di Thor. Vi avviso che non farò una
riscrittura del primo
film, ma sicuramente ci saranno amore, avventura e dramma.
A proposito
di dramma: su Sigyn e Kalfr ho preferito lasciare le cose vaghe, per
dare modo
a voi di immaginarvela un po’ come credete, in fondo la
lettura offre questo
vantaggio, il poter interpretare. Non ho messo note
sulle faide
vichinghe, ma funzionava più o meno così. Nel
testo vengono fatti continui
riferimenti a una battaglia in cui Loki è rimasto quasi
ucciso. La leggerete,
non l’avete dimenticata.
Ringrazio di
cuore tutti coloro che listano/recensiscono la storia: io posto e ogni
volta è
un salto nel buio. Non rispondo a tutte le recensioni pubblicamente, ma
sappiate che le leggo e mi danno una gioia infinita. Tante delle mie
storie
sono nate per una fanart inviata, per una battuta. Questa doveva essere
una
shot, lo sapete, e pure Accordo. Quindi io sono qui e giuro che non vi
mordo ♥ (e
lo so che a volte non si ha che dire, ma ricordatevi che anche due
frasi
possono volere dire tanto).
Per ulteriori info, tante foto
di Loki, di Sigyn e di Tom e un po’ di
divertimento… c’è la mia pagina
facebook
♥ https://www.facebook.com/Shilyss/. Ah,
mi trovate pure su Twitter
e Instagram ;)
Ricordo che Vanheim e il
personaggio di Sigyn, tolto quello che trovate alla voce
“Sigyn” su
Wikipedia, è una mia
personale
interpretazione/reinterpretazione/riscrittura e vi prego di essere
originali
anche per quanto concerne miti, rituali e per alcune caratteristiche di
Loki
che non vengono espletate e/o chiaramente mostrate nei film. Anche
l’espressione “Per le Norne”
che compare sempre nei miei scritti dal
2017 lo è.
Vi informo anche che ho ancora
nuove cose in cantiere ♥, spero di
farvele leggere presto!
E la settimana prossima? Ah,
boh, non ho ancora deciso XD
A presto e grazie per tutto
l’affetto/sostegno/cose,
Shilyss
[1]
Questa scena è speculare a quella in cui Sigyn osserva Loki
smontare da
cavallo. Qui, però, si azzarda a parlagli. Quindi non
è mancanza di fantasia,
ma un modo per farvi vedere l’evoluzione dei due personaggi.
[2]
Vi ricordo che a questo punto della trama Loki ignora totalmente il
fatto di
essere un gigante. I suoi pensieri nei confronti dei
“sanguemisto” sono odiosi
e chiaramente non rispecchiano i miei. Attento, Loki, che
“chi sputa per aria
je ricade addosso!” se dice a Roma :P.
[3]
Nel primo Thor