Videogiochi > ARK: Survival Evolved
Segui la storia  |       
Autore: Roberto Turati    23/05/2020    1 recensioni
Una storia che dedico a Maya Patch, mia amica e mentore.
 
Per capire del tutto questa storia del mio AU, è meglio se leggete la storia di Maya, prima di questa.
Mentre la tribù dei Difensori si sta ancora riprendendo dall'assedio dei Teschi Rossi, Aurora attende con impazienza il ritorno di Lex da Ragnarok per poter continuare ad indagare con lui sugli indizi sparsi per l'Isola. Tuttavia, fa una scoperta inaspettata: rinviene un antico oggetto portato nel mondo delle Arche da un'altra dimensione. Studiandolo, scopre il luogo d'origine del suo defunto proprietario: ARK, l'isola preistorica.
 
Aurora e Lex vi si perderanno loro malgrado. Saranno in grado di trovare un modo per ritornare sulle Arche, nonostante tutti gli ostacoli che ARK riserva per loro?
Genere: Avventura, Mistero, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Un'Isola Unica al Mondo'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

«Ah, perché non sono sorpreso? Ho sentito parecchi dire che i fratelli Braddock si approfittano di tutti. Vedo che è vero. Mi dispiace che siate finiti in questo giro»

Questo fu il commento di Drof quando tornarono a casa sua, a notte fonda. Aurora si era potuta rilassare un po’ al pediluvio, con Acceber, ma quella era stata comunque una giornata intensissima ed era molto stanca. Lex non sembrava essere da meno, anche se era decisamente più abituato di lei. Non vedeva l’ora di dormire, quindi salutò tutti e andò nella camera di Acceber. Si addormentò quasi subito, nonostante il pensiero del nuovo casino in cui si erano cacciati con la sfera.

«Be’, credo che andrò anch’io» disse Lex, dopo qualche minuto di riflessione in silenzio.

«D’accordo. Io invece vado al lago a tirare su le reti: magari ho preso qualche celacanto. Comunque, vuoi che ti dia una mano col megalosauro nel deserto?» suggerì Drof.

«Saresti disposto?» chiese Lex, sorpreso.

Il padre di Acceber annuì:

«Come ho detto, cominci a starmi davvero simpatico: mi servirebbe più spesso una mano come quella che mi hai dato tu oggi, col tirannosauro. E poi sembra che dobbiate tornare da dove siete venuti il prima possibile, quindi se posso aiutarvi a fare più in fretta, lo faccio volentieri. Così anche Acceber sarà contenta»

«Be', grazie»

«Di niente»

Detto questo, anche Lex andò a riposarsi. Però, diversamente da Aurora, rimase sveglio per un pezzo, con la mente piena di pensieri.

La mattina dopo, quando Aurora si svegliò, vide che Lex si era già alzato da tempo anche questa volta. Mentre si strofinava gli occhi con una mano e sbadigliava coprendosi la bocca con l'altra, uscì dalla stanza e sobbalzò quando trovò Acceber ad aspettarla oltre la soglia, con un ampio sorriso. Tra le mani aveva il suo vestito, rammendato così bene che i rattoppi si notavano solo osservando con attenzione.

«Ecco, ho finito!» esclamò Acceber.

«Oh, grazie! Hai già terminato?»

«Sono stata sveglia tutta la notte per lavorarci!»

Aurora prese l’abito e passò le dita sulle cuciture, poi sollevò lo sguardo e si accorse che, in effetti, l’Arkiana aveva le occhiaie scavate e lo sguardo assonnato.

«Non dovevi! Non ti ho mai detto di fare in fretta»

«Lo so, l’ho fatto perché mi andava. E perché sei una delle ragazze più simpatiche che conosca. Forza, siamo già pronti ad andare: cambiati e raggiungici fuori!»

Aurora arrossì e l’Arkiana, a quel punto, scese le scale e la lasciò sola. Aurora lasciò il vestito preso in prestito appeso nell’armadio e si rimise il suo classico abito con la striscia viola e scese le scale. Prima di uscire, notò delle ciliegie in un portafrutta di legno accanto alla porta e le venne la tentazione di mangiarne un paio. Ci stette a pensare un secondo, poi cedette e ne mangiò due. Sputò i noccioli nella latrina e uscì.

«Ciao» salutò Lex, quando lo raggiunse.

«Ciao. Hai di nuovo il tuo vecchio vestito»

«Acceber è stata così pazza da ricucirlo tutto in una notte. Ora non so come ripagare»

Lex fece una risata sommessa:

«Fidati, non serve: da quel che vedo, averti vicina le basta ad essere al settimo cielo»

I due sopravvissuti andarono alla stalla comune e trovarono padre e figlia ad attenderli, affiancati da due tapejara. Drof, accarezzando il collo di uno dei due pterosauri, spiegò:

«Buone notizie: sono riuscito a convincere due conoscenti a prestarmi questi tapejara, così potremo andare al villaggio dei Piedi Sabbiosi abbastanza in fretta. Una volta lì, noleggeremo bestie e attrezzi per andare a cercare il megalosauro»

Lex annuì:

«Va bene. Allora fate strada!»

Allora, Drof e sua figlia salirono su uno dei tapejara, Lex e Aurora sull’altro. Portarono i volatili ad uno spazio senza ostacoli accanto alla pista dei quezal e i due Arkiani presero il volo, seguiti a ruota dai due visitatori. Iniziava così il viaggio verso la prima missione affidata da Jonas.

Aurora ebbe subito la sensazione che l’aria stesse diventando più calda, perché anche se il cantone desertico era solo una striscia gialla in lontananza, era preceduto da una savana dove i cristalli erano viola. Il paesaggio mutava così improvvisamente da farle quasi effetto. Quando i due tapejara sorvolarono le grandi formazioni rocciose e le distese di sabbia, l’aria diventò soffocante. La rossa era sempre costretta a coprirsi la fronte con una mano per non farsi accecare dal Sole. Aveva l’impressione che le sue braccia scoperte stessero come rosolando. Il villaggio dei Piedi Sabbiosi era un ammasso rossiccio all’orizzonte costruito in prossimità di quella che Drof chiamava l'Oasi Serena, ma si avvicinavano piuttosto rapidamente. Nel mentre, le venne una curiosità e chiese a Lex:

«Quell’Arca da dove vengono i diari di Dahkeya e Raia, Terra Bruciata, somiglia in qualche modo a questo deserto?»

Lex rispose dopo qualche secondo:

«Sì, c’è parecchia somiglianza. Solo che qui non c’è quel senso di sconfinatezza»

La rossa fece un sorrisetto:

«Allora pensi che ci troveremo delle creaturine come Jerry? Vorrei così tanto averne uno anch’io»

Il biondo scosse la testa:

«Non credo, mi spiace. I jerboa sono tra le creature di fantasia ricreate dalle Arche, come il mio grifone. Quando ho parlato con Drof di questo posto, mi è sembrato di capire che su quest’isola vivono solo animali esistiti per davvero, nella preistoria»

«Oh, peccato»

«Ci siamo, loro due stanno scendendo sul villaggio» avvisò lui.

Nel giro di due minuti, atterrarono davanti alla stalla comune del villaggio. Aurora si precipitò subito sotto la tettoia e sospirò di sollievo: finalmente un po’ di ombra. Chiese a Lex se non gli dava fastidio quel caldo torrido e lui, con una risata, rispose semplicemente che ormai ci aveva fatto l’abitudine, tra una visita a Terra Bruciata e l’altra, anche se era sempre meglio avere le giuste riparazioni. Drof si avvicinò e annunciò:

«Eccoci qua. Ora aspettate qua: vado dall’armaiolo e prendo l’equipaggiamento per tutti e quattro»

«No, tutti e tre: io non vengo» lo interruppe Acceber.

Drof era sorpreso:

«Cosa? Non ti sei mai tirata indietro da…»

«No, non è questo: mi sono ricordata solo ora di una cosa che devo sbrigare. Hai presente il rotolo di seta che avevo chiesto ad Alcet la settimana scorsa?»

«Oh, adesso sì. Non puoi pensarci dopo questa caccia? Devi ancora migliorare molto negli scontri nelle caverne e l’anno prossimo dovrai…»

«No, padre, voglio togliermelo subito di torno: così domani potrò portare subito Aurora da Logan!»

«Chi è Logan?» domandò Aurora, perplessa.

Acceber ridacchiò:

«Lo scoprirai, per ora sappi solo che è uno straniero che aiuta i naufraghi ad “ambientarsi” più in fretta su ARK; sai, almeno quelli interessati a cacciare o avere a che fare con le creature selvatiche»

Detto questo, si allontanò, lasciando i due sopravvissuti soli con suo padre. Drof, a quel punto, sospirò e fece cenno di seguirlo. Raggiunsero la piazza del mercato, che si trovava sulla sponda dell'Oasi Serena; la bottega dell’armaiolo fu facilissima da riconoscere, in quanto c’era l’artigiano che batteva del ferro sull’incudine accanto all’uscio.

«Tlabav» lo salutò Drof.

«Tlabav! Evec tjpomec?» chiese l’armaiolo.

Quando rispose, Drof iniziò a tradurre per farsi capire da Lex e Aurora:

«Io e i miei compagni stranieri dobbiamo cacciare un megalosauro in una grotta. Possiamo prendere in prestito tre delle armature migliori che hai?»

Colto alla sprovvista, l’armaiolo sbuffò e si asciugò il sudore dalla fronte, imbarazzato:

«Mi dispiace, ma sono state quasi tutte già prese, tra ieri e oggi. Non so neanche quante torneranno: il becchino sta diventando davvero svogliato a cercare i corpi dei cacciatori caduti, nel deserto»

Aurora si lasciò sfuggire un’espressione colma di disagio, sentendo quell’informazione.

«Capisco. E cosa rimane?»

«Un’armatura in chitina e qualche lancia in ossidiana»

«E va bene, faremo in modo che bastino»

Dunque, l’armaiolo entrò nella sua bottega e ne uscì trasportando un’armatura di corazze di insetto e tre lance con la punta in ossidiana levigata. L’Arkiano pagò al bottegaio i ciottoli del noleggio, quindi disse ad Aurora e Lex di tornare con lui dai tapejara. Mentre camminavano verso la stalla comune, la rossa chiese all’amico, a bassa voce, come mai loro non capivano la lingua degli Arkiani. Lex le rispose subito che era semplice: siccome i loro innesti erano dei traduttori automatici e adesso erano disattivati, trovandosi fuori dal sistema delle Arche, non potevano capire lingue nuove. Per fortuna, gli Akiani erano poliglotti e quindi non era un problema. Come giunsero alle stalle, Drof distribuì le lance, dunque prese la sua balestra dalla sella di uno dei tapejara e chiese chi fosse interessato a prenderla. All’inizio non rispose nessuno dei due, ma alla fine Aurora si fece avanti e disse che era disposta ad usarla. Drof, allora, annuì e gliela passò assieme alla faretra.

«Non so se la usi bene come il tuo amico, ma quei segni che hai sulle braccia mi fanno pensare che tu sappia quantomeno sopravvivere, quindi mi fido»

Aurora chiuse gli occhi e rabbrividì, come tutte le volte che si ritrovava a pensare all’attacco del velociraptor Alfa sulla spiaggia. Senza rispondere, si legò la faretra alla schiena e si appese la balestra a tracolla.

«A proposito, posso guardare meglio questi graffi? Mi sono sembrati strani, quando ti ho fasciato la schiena» aggiunse l’Arkiano.

Anche se perplessa, la ragazza acconsentì e alzò le braccia per mostrare meglio le vecchie ferite:

«Va bene, ma cosa c’è di strano?»

Drof le guardò con attenzione, seguendo le linee di pelle bianca e ruvida da un capo all’altro con lo sguardo e riflettendoci a bassa voce. Lex, vedendo la scena, era quasi stranito, ma non disse niente.

«Tagli precisi, profondi; giovane, molto forte; direzioni diverse, scontro lungo. Sarebbe decisamente un velociraptor, se solo non fosse impossibile» disse infine.

«Cosa? Ma non ti sbagli!» rispose Aurora, confusa.

«No. Nessun velociraptor è mai stato così grosso. Che razza di mostro ti ha attaccata? Un terizinosauro in miniatura?»

«No, era un velociraptor! Un Alfa, come l’hanno chiamato»

«Vuoi dire un capobranco? Solo perché guidano il gruppo, non significa che sono più grandi»

Lex capì il fraintendimento e spiegò:

«D'accordo, è abbastanza chiaro che su quest’Arca non ci siano gli Alfa che intendiamo noi. Te lo dirò meglio più tardi, per ora ti basti sapere che da noi alcuni esemplari sono più grossi e forti e hanno una nebbia rossa intorno al corpo, li chiamiamo Alfa. Fa parte della prova di forza che ti ho accennato»

Drof storse la bocca, perplesso:

«Da dove venite voi, è tutto distorto. Be’, in ogni caso sono certo che questa caccia non sarà difficile per voi due. Possiamo partire?»

I due sopravvissuti annuirono, quindi si tornò in sella e decollarono verso il centro del deserto; ma non prima che, su richiesta di Aurora, prendessero un turbante in tessuto con cui lei potesse ripararsi la testa: infatti, si sentiva come se avesse il capo schiacciato contro una padella d’olio bollente. Lex, con un sorrisetto, pensò che la rossa fosse stata davvero fortunata ad apparire sull’Isola e non su Terra Bruciata.

Finalmente, dopo una decina di minuti, raggiunsero la caverna dove i Braddock avevano mandato i minatori ad estrarre il petrolio: si trovava all'interno della parete della Gola del Morto, un immenso canyon che serpeggiava attraverso l'intero bioma del deserto dividendolo in due, noto per essere pieno di ossa e di predatori in cerca di ripari dal Sole cocente. Come le apparenze suggerivano, i minatori avevano scavato delle gallerie a partire dalla parete esterna del lato settentrionale della gola, poi poi ramificare ed espandere le gallerie sotto di essa. Scesero dagli pterosauri e si avvicinarono all’ingresso: era dell’altezza di una persona, quindi non avrebbero potuto portare delle cavalcature ad aiutarli, anche se ne avessero avute. Accanto alla buia entrata, i lavoratori avevano appeso un cartello che Drof tradusse per i due sopravvissuti:

LAVORI SOSPESI FINCHÉ LA MINIERA NON SARÀ SICURA.

NESSUNO DOVREBBE ENTRARE, A MENO CHE NON SIATE VENUTI A DISINFESTARE.

L’ENTRATA SULL’ALTRO LATO È CHIUSA: L’ABBIAMO FATTA FRANARE PER CHIUDERE DENTRO IL MEGALOSAURO

«Speravano che morisse di fame» constatò Lex.

«Già, ma dubito che abbia funzionato: senz’altro, la loro assenza avrà spinto gli insetti a trasferirsi lì dentro per ottenere un riparo fresco e comodo, quindi avrà cibo in abbondanza»

«Allora dobbiamo uccidere il megalosauro e anche tutti gli insetti che ci sono laggiù?» chiese Aurora, che si rese conto dell’ovvietà della domanda un secondo dopo.

«Guardate il lato positivo: quei due fratelli vi dovranno una ricompensa in più» sdrammatizzò Drof.

Aurora fece un lungo respiro per concentrarsi e prese subito la balestra, preparando una freccia: si sentiva pronta. I tre entrarono nella grotta e trovarono subito uno stretto ascensore di legno mosso da carrucole, che conduceva alla miniera. Si sistemarono nella cabina, Drof tirò la leva e la discesa cominciò. Un avviso diceva che il limite di peso era quello di sei persone, quindi non c’erano problemi per loro. Dopo un paio di minuti, la carrucola li condusse nelle gallerie.

“Eccoci qua” si disse la rossa.

Laggiù, il buio era quasi assoluto: non si vedevano altro che ombre indistinte a qualche passo di distanza, per il resto era tutto nero come una notte nuvolosa. Drof vide una torcia appesa alla parete, quindi la prese e diede fuoco alla paglia che conteneva con l’acciarino e la pietra focaia che si portava sempre appresso. Appena il fuoco illuminò la porzione di grotta tutt’attorno a loro, Aurora ebbe un sobbalzo: appesi al muro, c’erano due bozzoli di seta. La loro sagoma fu facile da distinguere: lì dentro c’erano degli esseri umani. Inoltre, le pareti della galleria che partiva da lì erano tappezzate di ragnatele.

«Araneomorfi. Pòmec!» imprecò Drof.

«Me l’aspettavo: non c’è caverna senza ragni giganti» commentò Lex.

“Oh, fantastico” pensò Aurora.

Il padre di Acceber prese la lancia e sussurrò ai due:

«Per ora, lasciamo perdere il megalosauro: a lui penseremo dopo. Dobbiamo liberarci di questa colonia di araneomorfi, per prima cosa. Parlate a bassa voce e non toccate le tele, o le sentiranno vibrare»

I due annuirono. La galleria proseguiva in lieve discesa e lungo tutto il muro c’erano altre torce spente. Drof le accendeva man mano che proseguivano. Il terreno era cosparso di piccole impronte puntiformi, segno che gli araneomorfi passavano di lì spesso. In quel momento era giorno, quindi erano poco attivi e rifugiati nei buchi più profondi e remoti. Ogni tanto trovavano altre vittime rinchiuse nei bozzoli, che pendevano dal soffitto o dalle pareti come frutti maturi. Aurora, inorridita, si chiedeva come fossero finiti lì, visto che da quel che aveva capito la miniera era stata evacuata del tutto quando i fratelli Braddock avevano messo la taglia sul megalosauro. Forse la risposta giaceva in quelle profondità, da qualche parte; se era così, era certa che non le sarebbe piaciuta. Improvvisamente, vide che Lex e Drof si erano fermati di colpo e, confusa, fece altrettanto. Sempre imitandoli, si congelò come una statua. Ora che erano immobili, li sentì: leggeri e frenetici passi e il ticchettio di un paio di cheliceri. Il rumore sembrava lontano e vicinissimo al contempo. Ascoltando bene, la ragazza si rese conto che veniva da un punto alle sue spalle e, sentendosi raggelare, si voltò di scatto e il suo cuore si fermò per un attimo: di fronte a lei era apparso un ragno grande come un carretto, che sollevava l’addome per lanciarle contro della seta.

«Ah!» esclamò, d’istinto.

Senza nemmeno che se ne accorgesse, il suo dito fece pressione sul grilletto della balestra. Un secondo dopo, la bocca mostruosa dell’araneomorfo fu trapassata dalla freccia; schizzi di poltiglia verdastra imbrattarono i muri. L’aracnide mutilato rimase immobile per un attimo, prima di accasciarsi sulle sue otto zampe. Ancora disorientata, Aurora si girò a fissare Lex e Drof a bocca aperta, non trovando le parole.

«Brava» sussurrò Lex.

«Ehm… grazie»

«Continuiamo, prima che ne arrivino altri» disse Drof, preoccupato.

L’esplorazione della miniera riprese. Ad un certo punto, arrivarono a quella che sembrava a tutti gli effetti una sala di ritrovo dei minatori, probabilmente per le pause: c'erano tavoli e sgabelli, attrezzi, casse con scorte di cibo e altri corpi. Da lì partirono diverse gallerie, ma solo una era opera dei lavoratori: le altre erano molto più recenti, anguste e coperte di ragnatele. Dovevano averle scavate gli araneomorfi, una volta stanziatisi per bene. Drof notò qualcosa su uno dei tavoli: una vecchia lettera, sporca di sangue, scritta in una lingua straniera. La lesse, poi scosse la testa e commentò:

«Bastardi incoscienti»

«Che cos’è?» chiese Lex.

«Il megalosauro era l’ultimo dei loro problemi: questa colonia è qui da molto più tempo e stava già facendo delle vittime. Devono averlo detto ai due fratelli, ma quei geni hanno dato per scontato che se la potessero cavare causando qualche crollo. L’arrivo del megalosauro dev’essere stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso per chi lavorava qui. E tutto per del petrolio. Idioti»

Aurora si guardò in giro e domandò:

«Quindi a cosa servono tutte quelle bottiglie? Non sembra roba da bere»

Aveva notato, infatti, diverse partite di bottiglie da cui usciva un fortissimo odore di alcol puro, anche se erano tappate. Il padre di Acceber ne esaminò una, storse il naso per l’odore e affermò:

«Erano già pronti a scacciarli, ma non hanno mai iniziato. Lo faremo noi adesso»

Quindi stappò la bottiglia e, senza dire una parola, andò ad una delle gallerie degli araneomorfi per annaffiarne l’ingresso con tutto il contenuto della bottiglia. A quel punto, gettò la torcia nella galleria. Tutte le ragnatele, per almeno tre metri nel tunnel, presero fuoco. Oltre al crepitio delle fiamme, dalle viscere della terra, iniziarono ad echeggiare gli stridii e i fischi degli araneomorfi che andavano nel panico.

«Forza, aiutatemi a bruciare le altre e andiamo avanti, prima che il fumo ci soffochi» li esortò Drof.

Aurora e Lex non se lo fecero ripetere due volte e gli diedero una mano a completare l’opera. Soddisfatti, presero un’altra fiaccola e ripresero il cammino. Dopo qualche minuto, arrivarono al fulcro di tutto: la galleria finiva e si apriva su un vastissimo spiazzo circolare. Si trovavano a qualche metro di altezza, quindi poterono averne una vista “panoramica”. Al centro della stanza c’era il giacimento di petrolio, circondato da pozzanghere di greggio. Era illuminata dal Sole, grazie ad un grande buco nell’altissimo soffitto. E, in giro, scorrazzava una decina circa di araneomorfi. Sembravano agitati, forse perché erano quelli fuggiti dalla fiamme. Stavano dando l’allarme a tutti i loro simili. Infatti, in quella grotta, c’erano ben cinque, grosse entrate cosparse di tela e il terreno era un mosaico di loro impronte: erano come delle superstrade che convergevano lì.

«Abbiamo trovato il loro crocevia» commentò Lex.

«È un bene o un male?» chiese Aurora.

«Un grande bene: da qui possiamo organizzare per bene la caccia – spiegò Drof – Tuttavia, prima dobbiamo uccidere quelli laggiù»

«Hai un piano?» indagò Lex.

«Sì: improvvisare»

Lasciandoli di sasso, Drof prese la mira con la lancia e la tirò in un lampo, infilzando uno degli aracnidi. A quel punto, saltò nella stanza e si buttò tra la mischia: recuperò l’arma e la usò subito per trafiggere un araneomorfo partito alla carica. Lex fu presto pronto ad aiutarlo e lo raggiunse. Insieme, si aiutarono a coprirsi le spalle a vicenda e colpire i ragni senza che uno dei due rimanesse esposto ai loro attacchi. Aurora, decisa a contribuire, mise in fretta e furia una nuova freccia nella balestra e cominciò a tirare. Eliminò tre ragni al primo colpo, il quarto che prese di mira fu colpito di striscio, ma morì comunque. Alla fine di tutto, i dieci araneomorfi erano stati eliminati con successo.

«Ancora una volta, mi hai colpito: sei riuscito a non farti mordere, né intrappolare mentre mi aiutavi! – disse Drof al biondo – Sicuro che dovete per forza tornare da dove siete venuti? Io e te saremmo un ottimo duo»

Lex ridacchiò:

«Grazie dell’offerta, ma no: a “casa” abbiamo ancora troppe questioni da risolvere. Semmai ripassiamo da voi ogni tanto a salutare»

«E io?» chiese Aurora, dalla sua postazione.

Drof le fece un cenno di approvazione:

«Non contavo molto su di te, ma complimenti per la mira. Cominci a starmi simpatica, Aurora. Non dirlo ad Acceber, o si sentirà invasa»

«Oh! Lusingata!» scherzò lei, con un inchino.

«Forza, vieni qui: è ora di uccidere tutti gli altri in un solo, fiammeggiante colpo»

Dopo essere tornato indietro a prendere la cassa di bottiglie d’alcol, Drof si fece aiutare da Lex e Aurora ad annaffiare gli ingressi di tutti i corridoi usati dai ragni tranne uno. Per quello, in mancanza d’altro, decisero di prendere uno dei barili di petrolio del giacimento accumulati in un angolo e ne rovesciarono il contenuto dentro e fuori la galleria rimasta, quella più grande.

«Dite che quei due se la prenderanno per aver perso un barile d’olio?» chiese Aurora.

«Che importanza ha? Che ne estraggano altro» rispose Drof, con un tono sprezzante.

Poco dopo, la trappola fu pronta. L’Arkiano passò la torcia su tutte le pozze d’alcol, ignorando la macchia di petrolio, e tutti e tre tornarono di corsa sul gradino che era lo sbocco del corriodio da cui erano venuti. Ora non dovevano fare altro che aspettare. Durante l’attesa, infiammarono una freccia e Aurora la caricò nella balestra, per poi cominciare a tenerla puntata verso la galleria più grande. In pochi minuti, tutta la miniera fu attraversata da un coro confuso di fischi e gemiti di ragno, mentre le fiamme divampavano alte e consumavano le ragnatele verso le profondità del sottosuolo, il fumo saliva e usciva dal buco nel soffitto. Poco dopo, finalmente, tutti gli araneomorfi cominciarono a uscire dal buco principale e scivolare sulla macchia di petrolio. Siccome tutte le loro vie erano bloccate, erano stati costretti ad ammassarsi lì e ad emergere uno alla volta.

«Tira!» esclamò Drof, quando decise che ne erano arrivati abbastanza.

Aurora premé il grilletto, la freccia infuocata toccò il combustibile fossile e scatenò l'inferno. Tutto si incendiò: l’olio, le ragnatele, la galleria, gli araneomorfi, tutto quanto. Gli aracnidi cominciarono in men che non si dica a strillare di dolore e diventarono torce viventi. Correvano all’impazzata in giro per la stanza, giravano in cerchio in preda alla confusione; alcuni provavano ad arrampicarsi sui muri, ma il fuoco consumò le loro zampe e precipitarono malamente. Aurora provava emozioni contrastanti: era dispiaciuta per loro da un lato e, dall’altro, provava gusto nel vedere quegli schifosissimi ragni giganti bruciare e morire fra atroci sofferenze. Alla fine, ne contò più o meno una trentina e tutti loro subirono la stessa sorte. Il silenzio piombò di nuovo sulla miniera, a parte il crepitio delle fiamme. Drof aveva ragione: li avevano uccisi tutti in un colpo solo.

«Davvero un buon piano» commentò Lex.

Drof annuì:

«Ora possiamo passare al nostro “vero” obiettivo: il megalosauro. Penso di sapere dove cercarlo: laggiù ci sono delle impronte di teropode, le vedete?» chiese, indicando un’uscita dalla stanza che dapprima non avevano notato.

«D’accordo, allora andiamo?» domandò la ragazza.

«No, noi due andiamo: questa volta, tu resterai qui»

«Perché?»

«Per fare la guardia. Se ci sono degli araneomorfi superstiti che usciranno dalle gallerie, li ucciderai»

«Te la senti, Aurora? Se no ci penso io» si offrì Lex.

«No, per me va bene»

Allora, concordi sul nuovo piano, Drof e Lex scomparvero per seguire la pista del dinosauro notturno. Aurora, allora, andò a sedersi vicino al giacimento di petrolio, con la balestra pronta. Teneva d’occhio le entrate delle gallerie, anche se era difficile non essere disgustata dall’odore degli aracnidi bruciati e dalla vista dei loro corpi anneriti e fetidi, ancora fumanti; ma si sforzò di sopportarlo. Quella missione stava andando bene, dopotutto: forse sarebbero tornati sulla loro Arca molto presto.

FSFSFSFSFSFSFSSSSSSSSSS

Di punto in bianco, i suoi pensieri furono interrotti dalla ripresa del ticchettio di cheliceri. Questa volta, però, era vicinissimo. Appena si voltò di scatto, Aurora sentì un dolore lancinante alla spalla destra e urlò. L’araneomorfo ferito, ma vivo, che la sovrastava sfilò le tenaglie dalla sua carne ed emise un verso furioso. Nell’attimo fugace in cui poté guardarlo, la rossa vide la ferita del ragno e lo riconobbe: era quello che aveva colpito solo di striscio. Non era morto dissanguato e, adesso, aveva approfittato della sua distrazione. La balestra cadde dalle mani della sopravvissuta e, prima che succedesse qualsiasi altra cosa, l’aracnide alzò l’addome e schizzò un mucchio di seta su di lei, inchiodandola al suolo. Quindi, mentre il respiro di Aurora si faceva sempre più affannato e difficoltoso, iniziò a rigirarsela tra le zampe con la manualità di un vasaio e la ricoprì di altri strati di seta, insaccandola del tutto nel bozzolo. Soddisfatto, afferrò la preda e la trascinò verso una delle gallerie.

Scivolando lungo un crinale, Drof e Lex scesero in un livello ancora più basso della caverna. Le impronte erano abbastanza vecchie e sbiadite, segno che il megalosauro non passava lì da giorni. Ad un certo punto, Lex notò dei ciuffi di piume attaccati alle pareti, ne raccolse uno e lo mostrò a Drof:

«Ha lasciato parecchi batuffoli, sfregandosi il fianco» commentò.

«Sì, vuol dire che la tana è vicina»

Era giorno, quindi entrambi non si aspettavano grande difficoltà: il megalosauro era sicuramente aqquattato in un angolo buio, in un sonno così profondo che nemmeno gli odori sconosciuti lo svegliavano. L’avrebbero colto di sopresa e ucciso prima che si alzasse e tutto sarebbe finito in un lampo. Notarono che in quell’area non c’erano ragnatele, dunque gli aranemorfi non invadevano il territorio del rettile o, ribaltando la prospettiva, non l’avevano ancora considerato cibo. Finalmente, qualche minuto dopo, lo trovarono. Ma non fu affatto come avevano immaginato: il megalosauro era morto. Lungo disteso a ridosso del muro, orribilmente mutilato. La sua carcassa era piena di buchi quasi circolari e profondi, che lasciavano intravedere le interiora ormai seccate. Il cranio era orribilmente consumato, come se si fosse sciolto.

«Nessun araneomorfo può aver fatto questo» disse Lex.

«Hai ragione»

Drof si inginocchiò accanto alla carogna e osservò con attenzione le ferite: avevano tutte i bordi frastagliati e sembravano delle ustioni, ma le scaglie non erano state annerite da una fiamma. Inoltre, emettevano un odore pungente, che sapeva di intruglio chimico: un acido. E c’era solo una creatura delle caverne che aveva a che fare con l’acido.

«Attento!» lo avvertì Lex.

Drof sentì un ticchettio di zampe sopra di sé e, capendo tutto, rotolò di lato appena in tempo per salvarsi. Una gigantesca scolopendra si gettò dal soffitto e atterrò sulla carcassa del dinosauro. Ci girò intorno, poi si sollevò come un serpente, per intimidire i due umani con le sue tenaglie: un’artropleura. Il miriapode dal sangue acido aveva eliminato il megalosauro per loro, ma adesso era di lui che si dovevano preoccupare. La situazione era molto delicata: l’artropleura, sentendo le vibrazioni dei loro passi con le antenne, si girava freneticamente a guardare ora Drof, ora Lex, indecisa su chi attaccare per primo. Sapevano entrambi che avrebbe potuto sputare acido su di loro da un momento all’altro. Ora più che mai, Lex rimpianse di non essere protetto da un’armatura antisommossa, così indicate per esplorare le grotte sulle Arche, o di non avere un fucile a pompa. Come facevano gli Arkiani a vivere, così arretrati? Drof, senza fiatare, gli fece cenno di alzare la lancia. Lex, capendo il piano, si preparò a lanciare l’arma. A quel punto, il padre di Acceber gridò:

«Ehi!»

L’artropleura stridé e schizzò il suo sangue corrosivo nella direzione dell’urlo. Piroettando di lato con un’agilità incredibile, il cacciatore evitò il liquido per un soffio. La brodaglia caustica imbrattò le pareti e fece schiuma, sfrigolando. Lex non perse un secondo e tirò la lancia. La punta in ossidiana penetrò il ventre del miriapode, ferendolo gravemente; il manico si dissolse quasi subito a causa del sangue acidissimo. L’artropleura iniziò a contorcersi furiosamente a terra, ad arricciarsi e a rovesciarsi sul dorso, nel panico. Drof, allora, la raggiunse facendo attenzione a non mettere i piedi nelle pozze caustiche e le trafisse la testa. Anche la sua lancia si corrose, ma questa volta il colpo fu fatale: l’artropleura si accasciò a terra, senza vita.

«Ottimo lavoro. Ce l’abbiamo fatta, dunque!» esclamò Drof, contento.

Lex gli fece un cenno di ringraziamento:

«Be’, te l’ho detto: vivo sulle Arche da dieci anni. Qualcosa si impara per forza!»

«Hai imparato tutto quello che serve per essere un cacciatore. Forza, torniamo dalla tua amica»

Quando ritornarono alla grotta del giacimento, entrambi si pietrificarono di colpo e sbarrarono gli occhi: Aurora era sparita. Tutto quello che era rimaneva di lei era la balestra, con una freccia pronta al tiro. Lex, ripensandoci bene, si meravigliò di non aver pensato che lasciarla indietro fosse una cattiva idea. Ma per quella volta gli era capitato un momento di superficialità, o di fretta di finire la missione per ottenere quella dannata sfera e tornare sull’Isola, e questo gli era costato. Sempre con gli occhi sbarrati, Drof cominciò a dare un’occhiata in giro e si accorse di una traccia particolare: un solco appena accennato che partiva dal centro della stanza ed entrava in una delle gallerie bruciate, come se qualcosa di pesante fosse stato trascinato via a peso morto. Inoltre, nel solco c’era anche una scia di sangue di araneomorfo, il che chiariva tutto: la ragazza era stata presa e portata in una tana.

“Sapevo che portare lei non era saggio. Questa è l’ultima volta che fingo di fidarmi di lei per educazione!” si disse, digrignando i denti.  

Chiamò Lex e gli indicò la traccia. Il ragazzo, allora, raccolse la balestra e disse che non c’era un secondo da perdere. I due, quindi, corsero a capofitto nella galleria, dove tutta la ragnatela era diventata fuliggine, e la percorsero più in fretta che poterono. Dopo aver scivolato giù per una discesa, si ritrovarono in una piccola stanza, anch’essa illuminata da un raggio di Sole. Ci trovarono quello che speravano e temevano di vedere: un araneomorfo ferito che sorvegliava una persona avvolta nel bozzolo, circondata da grappoli di uova arancio, incollate alle pareti. Erano arrivati nella caverna in cui gli aracnidi si riproducevano.

«Aurora!» esclamò Lex.

L’araneomorfo, vedendo i due intrusi nella grotta delle uova, si mise subito in posizione d’attacco e stridé per avvertirli, ma Lex sparò subito la freccia, uccidendolo sul colpo. Subito dopo, corse al bozzolo e squarciò la seta con le mani. Sospirò di sollievo: Aurora era viva e conscia, ma era sotto shock; la sua spalla destra era gonfia e cianotica. Al centro dell’infiammazione c’erano i piccoli buchi delle tenaglie del ragno. La gola era altrettanto irritata e la ragazza faceva seriamente fatica a respirare: ansimava freneticamente, a bocca spalancata, e non riusciva a dire una parola. Liberarla dal bozzolo fu come tirarla fuori dall’acqua, a giudicare dal modo in cui prese ad inspirare più a fondo che poteva, nonostante la difficoltà nel provarci.

«Che succede?» chiese Drof, che si stava accertando che l’araneomorfo fosse morto.

«Sembra che sia allergica al loro morso. Dannazione!»

«Fammi vedere. Oh! Decisamente!»

Mentre parlavano, Aurora faceva saettare gli occhi tra loro due, con aria disorientata e spaventata. Drof fece un profondo sospiro, poi affermò:

«Queste uova devono essere tutto quello che resta della colonia: se ce ne fossero altri, sarebbero già venuti di corsa a proteggerle da noi. Le brucerò, tu portala fuori»

«Bene. Spero che questo shock le passi in fretta»

«Ho un’idea: da queste parti c’è una guaritrice piuttosto brava, che si occupa soprattutto di veleni e infezioni. Dovrebbe essere in grado di aiutarla»

Lex, fiducioso, annuì:

«Non vedo perché non dovremmo andarci. Allora ti aspettiamo fuori»

QUELLA SERA, SUL TARDI…

Aurora era migliorata, quando raggiunsero la casa isolata nel deserto della guaritrice: adesso riusciva a parlare, anche se ogni tanto era costretta a fermarsi per riprendere fiato. Una mano non le avrebbe fatto comunque male. Lex fu molto stupito, a scoprire chi abitasse lì: Drof, mentre volavano sui tapejara, gli aveva anticipato che era una coppia di stranieri da due luoghi diversi. Tuttavia, non si sarebbe mai aspettato di trovare nientemeno che John Dahkeya e Raia in persona, i due personaggi nativi di Terra Bruciata di cui aveva i diari. Fu una bella sorpresa incontrare le loro versioni alternative: lo faceva sorridere il fatto che in quell'universo parallelo ci fossero dettagli simili, ma diversi da quelli della loro dimensione d’origine.

Ora, al chiaro di luna, Lex era seduto sul portico della casa, in compagnia dell’ex bandito Apache e di alcuni dei vari animali velenosi domati che si aggiravano per la zona, poiché la sacerdotessa egizia li usava per creare gli antidoti. Drof non c’era più, era tornato al villaggio per ricongiungersi con Acceber. Lex e Dahkeya avevano trascorso il pomeriggio intrattenendo un’interessante conversazione sui rispettivi passati. Il pellerossa aveva lo sguardo di un uomo che aveva finalmente trovato la pace dopo una vita di fughe e lotte; stando seduto su un titanoboa arrotolato su se stesso e tenendosi le mani sulle ginocchia, rispondeva molto volentieri alle domande del biondo. Raccontò del suo passato in Arizona con la banda del fuorilegge Doc Russo, di come era finito su ARK, dell’inizio di una nuova vita lì dopo aver conosciuto Raia e dei tempi in cui avevano vissuto nella versione terrestre di Nosti. Lex trovò interessante il fatto che anche su quell'ARK, la città fondata dalla sacerdotessa egizia fosse stata distrutta in seguito ad una reazione degli obelischi. Dunque venne a sapere che i tre obelischi erano in realtà presenti su quell'isola, erano semplicemente diversi: simili ad effettivi obelischi egiziani, in ossidiana e dalle punte di cristallo dai tre colori tipici.

Fino a che punto differivano dagli obelischi delle Arche? Appena avesse trovato del tempo libero, avrebbe dovuto assolutamente fare un indagine, se lo ripromise: la faccenda si faceva interessante. Alla fine, Dahkeya chiese al ragazzo quale fosse la storia di lui e Aurora. Il Tedesco, visto che non c’era nulla di male, rivelò tutto: delle Arche artificiali, della sua personale avventura in dieci anni di prova e dei Difensori, passando poi alla sfera e a come erano arrivati su quell’ARK terrestre.

«Be’, anche se non ricordi chi eri prima della tua nuova vita, posso decisamente dire che hai vissuto appieno questi dieci anni. Io non sono qui da così tanto, ma puoi stare certo che ne ho passate parecchie»

«Vorresti passarne altre ancora?»

«Affatto: sono felice così, con Raia, e voglio che le cose rimangano come sono adesso»

«Mi sembra giusto»

«E spero onestamente che riusciate a tornare a “casa”: qualunque sia il mistero della vostra isola, sembra che sia importante che lo sveliate»

«Oh, è molto importante, non ho dubbi. C’è solo da mettere insieme gli indizi nel modo giusto, ma una cosa per volta: prima dobbiamo tornare là»

«Non ti preoccupare: Raia ha le mani d’oro coi malati. La tua amica si riprenderà in fretta»

Lex annuì e guardò per un attimo il cielo stellato, mentre una megalania della coppia strisciava pigramente verso il portico ed entrava lentamente dalla porta aperta. Nel frattempo, poco lontano dall'abitazione, il giovane giganotosauro della coppia, ancora grande quanto un allosauro, dormiva raccolto su se stesso sulla sabbia. Dopo una brevissima riflessione, sorridendo all’idea, Lex decise di rivelare a Dahkeya delle versioni “alternative” di lui e di Raia, su Terra Bruciata. John fu molto sorpreso, ma gli credette. In fondo, una volta scoperto il mondo arkiano, uno non si stupisce più di nulla.

«Questa è proprio bella. Dimmi, come è andata perduta l'altra Nosti?»

«È stata inghiottita dalle sabbie, letteralmente»

«Sembra terribile. Immagino che Raia abbia sofferto terribilmente anche nel tuo mondo»

«Invece alla vostra cos'è successo? Come hanno fatto gli obelischi ad innescare la distruzione?»

«È venuto Kong, il gorilla gigante. Ha distrutto tutto e massacrato tutti, senza pietà. A volte, se chiudo gli occhi, rivedo alcuni dei miei fidati uomini schiacciati o gettati via»

«Non me l'aspettavo, ma potevo prevedere qualcosa di simile: mi hanno detto che ha come un ruolo da guardiano. Indagherò»

«Attento a non provocare il re di ARK: è molto diffidente coi grossi cambiamenti sull'isola. E di Raia cosa mi dici? Anche nel tuo mondo ci siamo conosciuti e amati?»

«Far arrabbiare quello scimmione non è tra i miei piani. Comunque sì, tu e Raia vi siete incontrati. Stava nascendo qualcosa tra voi, mentre la aiutavi a proteggere Nosti dalle minacce, ma…»

«Ma?»

«Non hai avuto la stessa fortuna che hai avuto qui: sei morto»

Dahkeya annuì in silenzio, pensoso. Mantenendo la calma, chiese com’era accaduto, scommettendo che erano state le mantidi spadaccine. Stando in tema, aggiunse che adesso si rendeva utile ai raccoglitori dei Piedi Sabbiosi eliminando tutte quelle che decidevano di attaccare gli insediamenti umani, così univa il profitto alla solidarietà.

«No, con loro hai regolato i conti con una bomba. Sai cos’è una viverna?»

«Mai sentito questa parola in vita mia»

Lex, allora, spiegò in breve di che si trattava e conlcluse la storia. John annuì, comprensivo:

«Ucciso da enormi lucertole alate? Fatico a immaginarlo. Almeno la mia morte è servita a qualcosa?»

«Certo: le hai distratte per permettere a Raia di fuggire; grazie a te, ha vissuto molto a lungo»

«Capisco. Be', allora che la mia vita felice con lei sia il premio per l’altro me, anche se non potrà mai saperlo. Grazie per questa storia, Lex: l’ho apprezzata. Non vedo l’ora di condividerla con Raia: si commuoverà senza dubbio» ridacchiò.

«Di niente, è stato un piacere»

In quel momento, sentirono dei passi e Aurora uscì, accompagnata dalla sacerdotessa da Luxor:

«Fatto, le ho messo degli antinfiammatori e un dilatante per la gola. In ogni caso, sta guarendo in fretta: credo che sarà come nuova entro domani!» annunciò Raia.

«Grazie ancora per l’aiuto» disse la rossa, sorridente.

«Dovere. La vostra storia è davvero intrigante, sapete? Parlare con Aurora è stato divertente! Ah, scusa se il nostro ragno ti ha spaventata, quando l’hai visto: ti assicuro che non è cattivo»

«Non fa niente, sul serio! Non l’avevo notato, tutto qui» rassicurò la ragazza.

«Spero per voi che tutto si concluda per il meglio, sia qui, sia nella vostra terra»

I due sopravvissuti si scambiarono un’occhiata compiaciuta e ringraziarono con un cenno. A quel punto, dopo un ultimo saluto, i due salirono sul tapejara e si diressero al villaggio, per ricongiungersi con Drof e Acceber. Quando Raia si sedé accanto al compagno pellerossa, questi le disse che aveva appena sentito un bel racconto dal finale agrodolce su di loro grazie a Lex e si accinse a rivelarglielo, mentre le stelle brillavano nel firmamento.

Mentre volavano, Aurora rimase in silenzio per un po’, poi disse:

«Non riesco a credere che abbiamo incontrato quei due!»

«Lo so, è stato insolito» rispose Lex.

«Scusa se mi sono lasciata fregare da quel ragno: non l’avevo visto»

«Tutta acqua passata, non ti preoccupare: può capitare a chiunque. Che ne dici se ci prendiamo una pausa, prima di tornare da quei due? Direi che è tutto riposo guadagnato»

«Puoi davvero contarci! E poi Acceber ha detto di dovermi portare da questo Logan, quindi tanto meglio»

«Ecco, allora approfittiamone. Intanto, proverò a fare altre domande a Drof: mi è venuta voglia di scoprire ancora di più su quest’isola, magari sulle rovine sparse in giro»

«Non lasciarmi fuori, eh? Sei qui grazie a me!»

«Certo, certo»

Non si dissero altro, quindi Aurora si godé il panorama: anche di notte, era davvero impressionante. Fece un sorriso e sospirò, rilassata: nonostante tutti quegli incidenti, credeva davvero che fosse valsa la pena di finire in quel mondo parallelo per sbaglio. C’era veramente un lato positivo nell'essersi persi su ARK.

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > ARK: Survival Evolved / Vai alla pagina dell'autore: Roberto Turati