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Autore: Roberto Turati    23/06/2020    1 recensioni
Una storia che dedico a Maya Patch, mia amica e mentore.
 
Per capire del tutto questa storia del mio AU, è meglio se leggete la storia di Maya, prima di questa.
Mentre la tribù dei Difensori si sta ancora riprendendo dall'assedio dei Teschi Rossi, Aurora attende con impazienza il ritorno di Lex da Ragnarok per poter continuare ad indagare con lui sugli indizi sparsi per l'Isola. Tuttavia, fa una scoperta inaspettata: rinviene un antico oggetto portato nel mondo delle Arche da un'altra dimensione. Studiandolo, scopre il luogo d'origine del suo defunto proprietario: ARK, l'isola preistorica.
 
Aurora e Lex vi si perderanno loro malgrado. Saranno in grado di trovare un modo per ritornare sulle Arche, nonostante tutti gli ostacoli che ARK riserva per loro?
Genere: Avventura, Mistero, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Un'Isola Unica al Mondo'
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Quando ormai l’aria del deserto di notte era diventata gelida, atterrarono di fronte alla stalla comune e scesero dal tapejara, lasciando che raggiungesse da solo il suo simile. Furono accolti subito da Acceber, che li stava aspettando lì. La figlia di Drof li salutò giovialmente con una stretta di mano e chiese subito di sentire com’era andata alla miniera, confessando di essersi preoccupata da morire quando su padre le aveva detto che Aurora era andata in shock per il morso di un araneomorfo. I due, tranquillissimi, le raccontarono tutto mentre lei li accompagnava alla taverna dei Piedi Sabbiosi, dove aveva già prenotato una camera per loro due; la rossa le assicurò che ormai i sintomi del morso stavano svanendo e che l’indomani sarebbe stata benissimo. Acceber sorrise, dicendosi molto contenta, ma Aurora si accorse di qualcosa: mentre parlava con la ragazza arkiana della sua “disavventura”, questa lasciò trapelare uno sguardo colmo di senso di colpa che, però, svanì quasi subito. Era la seconda volta che glielo vedeva fare, ma perché? Stava per chiederglielo, ma non fece in tempo: erano arrivati all’uscio della taverna e Acceber aveva comunque cambiato argomento. Le disse che l’avrebbe chiamata la mattina dopo per portarla da Logan.

«Ancora non mi hai detto bene cosa fa questo Logan, perché non sei più chiara?» indagò.

«Perché non voglio rovinarti la sopresa! Ora riposa, domani vedrai. Ah, e Lex?»

«Che c’è?» chiese il ragazzo.

«Mio padre ha incontrato i suoi migliori amici per la prima volta da tanti anni, poco fa. Mancavano moltissimo anche a me, a dirla tutta; mi piacerebbe farteli conoscere, ti va?»

Lex rimase interdetto per un secondo, ma poi sollevò le spalle e rispose:

«Certo, perché no? In fondo, io e Aurora ci siamo accordati per rilassarci prima di tornare dai Braddock, per cui…»

«Ottimo! Allora andate di sopra, forza! La vostra camera è la numero tre. Notte!»

Detto questo, diede una chiave a Lex e, dopo un ultimo saluto, uscì dalla taverna quasi vuota, a parte qualche gruppetto di clienti che ancora svuotavano dei boccali. I due sopravvissuti si scambiarono un’occhiata confusa. Dopodiché, salirono le scale e trovarono subito la camera tre. Quando entrarono e vi diedero un’occhiata, Aurora tirò un sospiro di sollievo: c’erano due letti ma, per fortuna, erano ai lati opposti della stanza. Se ci fosse stato un letto matrimoniale, non avrebbe chiuso occhio per l’imbarazzo e Lex, molto probabilmente, avrebbe preferito dormire ancora sul pavimento. Volendosi godere il panorama anche questa volta, la rossa spostò il suo letto sotto la finestra e ci si sedé a gambe incrociate. Continuò a guardare fuori anche dopo che Lex spense le candele nella camera. Da lì, poteva ammirare il villaggio illuminato e poi la distesa di dune e rocce oltre i limiti dell’oasi: molto rilassante, a suo modo. Quando decise di essersi rilassata abbastanza, si distese e si addormentò lentamente, ancora un poco provata dall’esperienza con l’araneomorfo. Sperava di non sognare di essere ancora avvolta nel bozzolo, anche se ne era piuttosto certa.

L’INDOMANI…

Quella mattina Logan Riago, l’autoproclamato allenatore di naufraghi che volevano sopravvivere su ARK, si svegliò di pessimo umore, come tutti i giorni. Aprendo gli occhi nel suo monolocale di terracotta, nel mezzo della vasta distesa di dune nella parte meridionale del deserto nota come "il Mare Dorato", si vestì e barcollò verso l’uscita, ancora reduce della sbronza della notte prima. Quando uscì, il suo compsognato cominciò a gironzolargli intorno alle caviglie pigolando, per chiedergli un pezzettino di carne. Il rozzo e sudicio uomo barbuto dal Montana gli rivolse uno sguardo stizzito, sbuffò e prese un pezzo di carne fresca da un tagliere accanto al focolare. Il compsognato, contentissimo, cominciò a saltellare e a mordere l’aria, in attesa del boccone. Logan allungò il braccio di stacco, ma fece solo finta di lanciare la carne. Il piccolo dinosauro ci cascò e partì di corsa, andando a sbattere contro il muro.

«Ha! Idiota» ghignò Logan, prima di uscire.

Facendo fatica a non cadere per il capogiro, raggiunse la grande zona recintata piena di ostacoli e attrezzi dove le sue bestie, quasi tutte vecchie e malandate e mandate “in pensione” dai loro padroni, aiutavano i cadetti ad allenarsi. Fu salutato dalla sua socia arkiana Acissej, una donna della sua età e coi denti gialli e storti, a cui Logan rispose con un grugnito e la solita domanda del mattino:

«Allora, ci sono nuovi volontari?»

Lei annuì:

«Allora, i quattro della settimana scorsa si sono arresi, il grassone è in arrivo coi suoi guardaspalle e poi c’è una nuova arrivata!»

Logan si sfregò le mani, soddisfatto:

«Bene bene, finalmente una boccata d’aria fresca! Chi è? Adesione piena o di prova?»

«Di prova, l’ha iscritta una ragazza arkiana per lei. Si chiama Aurora, ormai dovrebbe essere qui…»

«Bene, bene, allora va’ a preparare le bestie per i nuovi arrivati, io sto qui ad aspettarla»

Acissej obbedì e andò ad allestire il necessario nell’area d’addestramento, mentre lui si accomodò con le spalle poggiate ad un ulivo morto sul ciglio del sentiero che conduceva alla sua base. Rimase lì, a sudare come un cammello e a masticare foglie di tabacco, finché non vide una ragazza coi capelli rossi e ricci accompagnata da un’Arkiana. Quest’ultima, quando lo vide, lo indicò e mandò l’amica a raggiungerlo, augurandole buona fortuna. Quando la rossa si avvicinò, Logan si staccò dal tronco dell’ulivo e si mise nella posa più autoritaria che riuscì a fare.

«Sei Aurora?» domandò.

«Sì. La mia amica Acceber mi ha detto che puoi insegnarmi qualcosa di nuovo per sopravvivere, così sono venuta qui»

Logan iniziò la sua parte preferita dell’accoglienza, ovvero il teatrino nonnista per spaventare e umiliare i nuovi arrivati:

«Tanto per cominciare, credo che ti chiamerò “cespuglio rosso”»

La rossa sembrò stranita:

«E perché?»

«Perché Aurora non si può sentire, fa schifo! Chi te l’ha scelto? Tua madre o tuo padre?»

«Non lo so»

«Sei fortunata, cespuglio rosso, perché te ne vergogneresti a vita! E adesso passiamo alla tua giornata di prova qui, prima che mi venga voglia di farti notare altri dettagli funesti su di te»

La ragazza rimase a bocca aperta, disorientata da quelle mancanze di rispetto gratuite, ma per il momento le sembrò più conveniente non lamentarsi troppo e seguì il suo nuovo, sbandato istruttore senza fiatare.

Dopo averle fornito una protezione adatta, ovvero una rudimentale tuta di cuoio rinforzata con placche di ferro che non sembrava per niente sicura, Aurora fu condotta alla sua prima prova.

«Lezione numero uno – esordì Logan – Per sopravvivere in mezzo a carnivori che ti vogliono spolpare come si spolpa un’anatra all’arancia, devi saper correre tanto e in fretta»

«Logico» commentò Aurora.

«Ehi, secondo te ho chiesto il tuo parere, cespuglio rosso? E poi i segni sulle tue braccia provano che tu non hai afferrato questo concetto neanche per sbaglio, quindi vergognati per dieci anni della tua miserabile vita per avermi interrotto!» sbraitò Logan.

Aurora alzò gli occhi al cielo, seccata. Logan non incuteva il minimo timore quando sbottava, era solo irritante e patetico. Il suo esercizio, ad ogni modo, consisteva in correre lungo una pista piena di rocce, avanzando a zig-zag tra i macigni, fino ad una bandiera in fondo entro un minuto. Aurora, prendendo la cosa molto sul serio, si concentrò e si preparò con la rincorsa. Quando Logan le diede il via, partì all’istante. Quando inchiodava per girare attorno alle rocce, i suoi piedi scivolavano sulla sabbia e non era facile deviare: un paio di volte, sbatté un fianco contro i massi e perse il fiato, rallentando molto. Ma, in un modo o nell’altro, riuscì a raggiungere il rettilineo finale quando mancavano pochi secondi; tuttavia, di punto in bianco, dalla sabbia di fronte al suo traguardo schizzò fuori un mammifero tutto zanne e saliva che la placcò, la atterrò e cominciò a scrollarla con violenza afferrandole il bavero. Quando finì, Aurora era sul punto di avere un infarto e la testa le girava come una trottola. Appena riuscì a riprendersi, guardò la creatura che l’aveva stesa: una purlovia, che le stava ancora sbavando in faccia. Quando si alzò, Logan la raggiunse con una faccia soddisfattissima:

«Ahahaha! Povera illusa! Credevi che fosse solo una corsetta e via? Le bestie non te la renderanno mai facile su ARK, cespuglio rosso! E hanno ragione: come fai a durare un giorno, con quella chioma color carota che strilla “sono qui, mangiatemi” da mezzo miglio? Hahahahaha!»

Aurora, ancora sconvolta, lo fissò incredula e furiosa al contempo.

«Lezione numero due – annunciò Logan, un paio d’ore dopo – Quando combatti con tanti piccoli avversari, devi spaccare i culi più di loro, o loro masticheranno il tuo a morsi! E direi che con te avrebbero davvero tanta polpa da staccare: davvero niente male!»

«Ehi!» esclamò lei, quando capì che l’istruttore le stava fissando il fondoschiena.

«Ed è per questo che ora ti presento i miei figli adottivi!»

Logan fischiò e, davanti a loro, si radunò un fitto gruppo di troodonti con le piume ingrigite dall’età e sdentati. Quando Aurora, con un certo ribrezzo, chiese come si erano ritrovati così, le fu raccontato che le loro zanne erano state strappate per evitare che narcotizzassero i cadetti e che ora mangiavano solo carne frollata.

«Cespuglio rosso, ti presento Dente, Dentino, Artiglio, Mezzartiglio, Occhidolci, Occhiomorto e Braccino corto! Non farti strane idee, non hanno questi nomi per nessun motivo: è che non avevo voglia di inventarmi altro»

«D’accordo, allora cosa dovrei fare?»

«Prenderli a calci senza che ti sopraffacciano. Facile, no? Così ti sciogli anche le gambe!»

Aurora non ebbe un secondo per prepararsi, che i troodonti partirono subito all’“attacco”. La circondarono e cominciarono a mordicchiarle le gambe, a saltarle sui fianchi e a pizzicarla con gli artigli. Lei cominciò a scalciare del tutto a caso, riuscendo talvolta a colpirne qualcuno. Alla fine, però, uno dei piccoli teropodi si piazzò alle sue spalle, le saltò in testa e cominciò a tirarle i capelli con la bocca. Colta alla sprovvista dal dolore, Aurora smise di tirare calci per provare invano a liberarsi del piccolo impiastro, dimenticando gli altri.

“Guarda, Braccino corto le sta conciando i capelli peggio che ad una piñata! Quasi mi dispiace, ma chi se ne sbatte, è uno spasso!” pensò Logan, più divertito che mai.

Alla fine, Aurora perse l’equilibrio e cadde. I troodonti, avendo finito il loro lavoro, si dispersero. Logan batté le mani e dichiarò che la rossa aveva appena riscritto il significato di “fare pena”. La pazienza di Aurora si stava rapidamente assottigliando.

«Lezione numero quattro: quando non puoi farcela corpo a corpo, devi lottare a distanza e in fretta!» esclamò Logan, nel tardo pomeriggio.

«E quindi cosa devo fare?» chiese Aurora, aspettandosi il peggio.

Arrivò Acissej, che le porse un arco ricurvo e una faretra con dieci frecce. Poi l’Arkiana fischiò e si avvicinò un tirannosauro molto anziano, zoppicante e pieno di cicatrici che facevano provare pena per lui, a cui erano stati appesi diversi bersagli. Acissej spiegò alla rossa che aveva dieci secondi per centrare i bersagli dieci volte, mentre il teropode camminava avanti e indietro per la zona d’addestramento. Mentre Logan andava a prendere Aurora si mise la faretra a tracolla e incoccò la prima freccia; Acissej salì in groppa al tirannosauro, per regolare la sua andatura durante la prova.

«Pronta a fare pena? Via!» esclamò Logan, rovesciando la clessidra.

Quello che successe, questa volta, lo lasciò a bocca aperta: Aurora usò l’arco impeccabilmente e, in metà del limite di tempo, colpì ognuno dei bersagli appesi al vecchio tirannosauro praticamente al centro. Quando finì, Aurora si voltò a fissarlo con sguardo fiero e sorrise, compiaciuta nel vedere di averlo lasciato di sasso. Logan, però, si ricompose subito e ricominciò il siparietto:

«Fossi in te ci penserei due volte, prima di sentirmi ‘sto cazzo! Credi davvero che saper giocare al tirassegno voglia dire saper sopravvivere all’isola? Spiacente, cespuglio rosso, ma non hai capito una beneamata mazza! Adesso…»

«Adesso va’ a prenderti una pausa: te la sei meritata!» si intromise Acissej, con un sorriso gentile.

Logan sbarrò gli occhi e diventò rosso come un pomodoro:

«Acissej! Ma che diamine?! Così il mio ruolo qui non ha più nessun signficato! Ma non hai imparato niente?»

«Chi è l’Arkiano tra noi due? Chi è quello che sa davvero come si insegna la sopravvivenza tra noi due?»

«Be’… ma... io… ma vaffanculo! Hai un quarto d’ora, cespuglio rosso»

Aurora mormorò un muto “grazie” col labiale ad Acissej, che le strizzò l’occhio, e andò a sedersi accanto ad una grossa agave per rilassarsi. Siccome cominciava a sudare tanto per il caldo torrido, prese la borraccia che Acceber le aveva dato a inizio giornata e bevve un sorso. Nel frattempo, osservava le attività della zona di allenamento e le sventure di tutti i naufraghi iscritti, che dovevano sopportare la goffa ed irritante sceneggiata di Logan come lei. Ad un certo punto, però, una voce familiare che non si sarebbe mai aspettata di sentire lì la fece sobbalzare:

«La rosa italiana! Cosa ci fa una creatura così graziosa in questa gabbia di matti?»

Aurora si voltò a occhi sbarrati e vide nientemento che Bob Braddock, ancora intenzionato più che mai a farle il filo. Il fratello di Jonas andò a sedersi accanto a lei, facendola subito sudare il doppio e diventare rossa.

«Mi chiamo Aurora» mormorò, imbarazzata.

«Aurora? Che nome poetico! Dall’orizzonte notturno sorge la tua splendida immagine a rischiarare tutto: una favola! Qualsiasi pettine sarebbe orgoglioso di solcare quegli incantevoli riccioli!»

La rossa cominciò a pentirsi di essersi presa quella pausa. Iniziò ad agitare freneticamente le gambe, in attesa che Logan venisse a richiamarla.

«Ma che ci fai qui?» chiese, iniziando a temere che Bob la pedinasse.

«Che ci faccio qui? Imparo a familiarizzare con l’isola! È da un anno che mi alleno con questa testa di cazzo! Ammettilo, trovi anche tu che lo sia, vero? Tutti i tuoi compagni di corso sono con te»

«In effetti, è proprio vero» annuì lei.

A quel punto, Bob attaccò su un argomento ben più scottante:

«Comunque, vorrei chiederti scusa per come ti ho parlato alle terme: è stato a dir poco oltraggioso investirti con tanta passione al nostro primo incontro!»

«Sì» rispose Aurora, che non era così discorde su quel punto.

«Ho assolutamente intenzione di rimediare con un secondo inizio!»

«Cosa?»

Aurora cominciava seriamente a preoccuparsi, ora.

«Come saprai, carissima… posso chiamarti “carissima”?»

«Ehm…»

«No, troppo espansivo, per ora basti Aurora! Allora, tu e il Tedesco siete già invitati a casa nostra quando ci sarà da sentire cos’ha in mente mio fratello dopo la vostra prima commissione, così ho avuto un’idea che non è brillante, è semplicemente geniale: ti inviterò nel nostro terrazzo per farti vedere la mia collezione di statue di legno!»

Aurora non sapeva più come reagire, sapeva solo che il suo imbarazzo stava salendo in fretta.

«E a questo punto ti chiederai di chi sono quelle statue. La risposta è ovvia, rarissima bellezza fulva: raffigurano la miglior vista di i tuoi occhi potrebbero mai godere: me!»

Le orecchie di Aurora cominciarono a pulsare come se avesse la febbre:

«Ah… ehm… be’…»

«Oh, vedo che sei così entusiasta da non trovare aggettivi per descrivere la tua gioia! È normale, te lo posso garantire. Resterai ancora più senza fiato quando le vedrai!»

«Ecco…»

«Non serve chiederti se accetterai ma, nel dubbio, ci stai? Eh? Dico bene?»

Aurora andò nel panico, essendo costretta a rispondere qualcosa. Iniziò una serie di brevi sillabe rantolate e intervallate da frenetici schiarimenti di gola spontanei, visto che non aveva idea di cosa dire. Alla fine, quasi senza accorgersene, biascicò un fievole “sì?”, con tanto di tono interrogativo. Bob era al settimo cielo e batté le mani con un sorriso a trentadue denti:

«Ah! Lo sapevo! Eh, in fondo sei un’Italiana, hai un talento naturale nel fiutare la vera arte! Credimi, con me sperimenterai piaceri che mai prima d’ora...»

Per grandissimo sollievo di Aurora, a quel punto Bob fu interrotto dall’arrivo di Logan:

«Ma tu guarda! Hai trovato una nuova distrazione, barile di birra?» ridacchiò, con le mani sui fianchi.

«Barile di birra?» chiese Aurora.

Bob sbuffò, umiliato:

«È il nomignolo che ha scelto per me, ne ha uno per tutti. Tu sei il cespuglio rosso, vero? Prima lo sentivo gridare con più foga del solito»

Aurora, imbarazzata, chinò la testa e si coprì il viso con le mani, la sua testa iniziò a somigliare davvero ad un cespuglio rosso fuoco.

«Sì, lei è il cespuglio rosso – rispose Logan per lei – E ha già dimostrato di avere cento volte il tuo talento, trippone! Vergogna! Lei è qui da una giornata e ha già saputo fare quello che con te ho dovuto faticare un anno per fartelo imparare! Fai pena!»

Aurora, piuttosto confusa da quell’improvvisa “ammirazione”, cominciò a far passare lo sguardo da Logan a Bob a bocca aperta. Il petroliere fece la faccia di uno schiavo che viene insultato e rimproverato a gratis dal suo padrone e rimase in silenzio per tutta la sequela di offese, che andò avanti per un altro paio di minuti. Alla fine, Logan gli ordinò di alzarsi e di andare a fare il suo solito riscaldamento di inizio sessione: farsi legare ad un gallimimo e correre intorno allo steccato per dieci minuti tenendo il suo passo. Bob sospirò desolato e iniziò ad allontanarsi come un condannato che va al patibolo, andando verso Acissej, che lo aspettava col gallimimo già pronto.

«Cos’era quella scena?» domandò Aurora, sospettosa.

Logan le strizzò l’occhio, le fece cenno di avvicinarsi e, quando lei obbedì con una certa titubanza, le bisbigliò:

«Vedi, il fatto è che per me fate tutti pietà, però solo fino ad un certo punto. Ma lui è davvero su un altro livello! Appena arriva lui, voialtri sembrate già degli Arkiani con la pelle del colore sbagliato! E allora come faccio io a non riadattare il mio modo di parlare di voi, eh?»

Aurora sospirò e scosse la testa, non sapendo più cosa pensare di quel cialtrone.

«Lezione numero cinque, l’ultima!» annunciò Logan, al tramonto.

“Finalmente!” pensò Aurora.

Acissej si avvicinò portando con sé un velociraptor. Come tutti gli animali di quel posto, quell’esemplare era malandato, zoppicante, pieno di cicatrici e le sue piume erano così rade che si capiva molto poco che ce le aveva. Gli artigli erano stati smussati.

«Adesso il velociraptor, ovvero Harland Sanders…»

«Harland Sanders? Perché?» lo interruppe Aurora, con un sorriso.

«È il mio idolo. E non ti permettere di interrompermi! Cosa sono queste scalate delle gerarchie, eh?» sbottò l’allenatore.

Aurora alzò le mani:

«Scusa, ero solo curiosa»

«E sai quanto me ne frega se sei curiosa?!»

«Logan, chiudi la bocca: sei imbarazzante» si intromise Acissej.

«Ancora mi fai perdere significato?! Bah… dicevo, il generale Sanders correrà verso di te, poi farà un bel salto tipico dei velociraptor per atterrarti. Tu devi scivolargli sotto per schivare, raccogliere un sasso da terra e usarlo per colpirlo. E allora avremo finito! Capito?»

«Sì, ho capito»

Dunque, mentre Acissej metteva il velociraptor in posizione a diversi metri da lei, Aurora iniziò a concentrarsi e a tenersi pronta. Prese la rincorsa mentre Logan faceva il conto alla rovescia e Acissej le rivolgeva uno sguardo incoraggiante; poi Logan fischiò. Il generale Sanders emise un verso fischiante e partì alla carica, quindi la sopravvissuta iniziò a corrergli incontro. Appena vide il teropode piegarsi sulle zampe posteriori per spiccare il balzo, si lasciò cadere e cominciò la scivolata sulla sabbia. Andò esattamente come sperava: il velociraptor le passò sopra, mancandola, e atterrò alle sue spalle. A quel punto, Aurora si alzò in fretta, prese uno dei sassi lì attorno e lo lanciò, colpendo il generale Sanders al fianco. Il velociraptor emise un ticchettio con la gola, guardandosi in giro.

«Ottimo lavoro!» esclamò Acissej.

Logan rimase esterrefatto per alcuni secondi, indeciso se essere onesto o continuare la sua solita recita. Alla fine, però, decise di lasciarsi andare:

«Sì, sei stata brava!»

«Oh, grazie!» esclamò Aurora, fiera.

Il velociraptor, a quel punto le si avvicinò e iniziò a strusciare il muso contro di lei, in cerca di carezze. Aurora rimase interdetta per un secondo, ma poi iniziò ad accontentarlo e il generale Sanders fu molto contento, tanto che la tenne lì ancora qualche minuto.

«Sanders è simpatico!» commentò.

«Esatto – rispose Acissej – Scelgo lui apposta quelli più socievoli, così stiamo certi che durante gli esercizi fingano soltanto di attaccare e non decidano di fare sul serio»

«Mi sembra giusto»

A quel punto, Logan le si avvicinò e batté le mani:

«Cespuglio rosso, la tua giornata di prova è finita. Ora spetta a te decidere se continuare o andartene per la tua strada e morire come una povera stronza, presto o tardi. Adesso vai, che mi sono già stancato di vederti! È venuto qualcuno a prenderti, no?»

«Sì, la mia amica Acceber»

«Bene, allora via da qui, che ho tutti gli altri da allenare»

Una volta che Logan fu lontano, Acissej chiese scusa ad Aurora per il trattamento che aveva ricevuto e le augurò di passare del buon tempo sull’isola, oltre che di sopravvivere, ovviamente. Aurora, allora, non esitò oltre e levò le tende da quella gabbia di matti, come l’aveva chiamata Bob.

Quando tornò al punto dove lei e Acceber si erano lasciate, trovò la figlia di Drof ad attenderla.

«Allora? Com’è stato?» chiese, piena di aspettativa.

Aurora, imbarazzata, ci rifletté un po’ su mordendosi le labbra:

«Uhm… alti e bassi» rispose alla fine.

«Però! Conoscendo la reputazione di Logan, avevo paura che ci fossero solo bassi! Sono contenta per te»

Aurora, colta alla sprovvista da quel commento direttissimo, trattenne a stento una risata sommessa. Acceber le batté una mano sulla spalla:

«Forza, adesso torniamo da mio padre: stamattina gli ha presentato i suoi migliori amici e l’hanno già preso in simpatia. Sarebbe fantastico se li incontrassi anche tu! Facciamo una serata nella prateria, parliamo un po’ di tutto, mangiamo... ti va?»

«Be’, mi sembra un’idea carina! Perché no?»

«Benissimo, allora andiamo! Ti staranno simpaticissimi, vedrai: sono fantastici!» le garantì Acceber, entusiasta.

Quando il Sole era quasi tramontato del tutto, l’argentavis con cui Acceber era venuta a riprendere Aurora atterrò nel mezzo delle Piane Gioiose. La rossa, dall’alto, vide la carcassa di un giganotosauro appena ucciso, circondato da un numeroso contingente di bestie sellate. Poco lontano, c’era un fuoco da campo attorno al quale erano appostate sette persone, tra cui Drof. Guardando bene la zona, Aurora notò che Lex era fuori dal gruppo, accanto ad uno strano pterosauro che non aveva ancora visto sull’Isola. L’argentavis cominciò a girare in cerchio sopra l’accampamento per scendere man mano, poi atterrò in mezzo alle creature, vicino a dove si trovava Lex.

«Quante creature» commentò Aurora, ammirata.

«Sì, i loro contingenti messi insieme fanno sempre un figurone!» rispose Acceber.

Suo padre, vedendola da lontano, salutò la figlia con la mano. Sembrava insolitamente allegro e la ragazza si spiegò perché quando vide che aveva una damigiana di limoncello; Acceber sorrise: era passato tanto tempo dall’ultima volta che suo padre aveva incontrato gli amici di una vita, era giusto che ora si godesse al meglio quella serata speciale. Intanto, Lex raggiunse Aurora e la salutò:

«Ehi! Allora, com’è andata?» chiese.

Aurora sbarrò gli occhi e sbuffò, esasperata:

«Uff, non farmici pensare! È stato tremendo»

Lex rise:

«Ah, sì? Ti credo sulla parola»

A quel punto, Aurora si ricordò del nuovo pterosauro e si avvicinò per osservarlo meglio. Aveva una corta e soffice peluria sulla schiena, non aveva nessuna decorazione sulla nuca e possedeva un becco bizzarro: lungo e spesso, con un rigonfiamento sulla punta, e ne sporgevano parecchi denti aguzzi. Sulla sella era montata una sorta di balista più piccola del solito.

«Ehi, cos’è questa creatura? Non mi sembra di averla vista sulla nostra Isola» indagò, incuriosita.

La creatura volante la guardò negli occhi e gracchiò, vedendo l’umana così concentrata a fissarla. Lex andò ad accarezzarle il collo.

«Perché da noi non c’è, non è tra le specie ricreate dal sistema – spiegò – Oggi ho scoperto due specie uniche di questo posto, e questo è uno di loro. È un tropeognato»

«Interessante! E l’altra specie?»

«Sono i deinonici. Simili ai velociraptor, ma molto più piumati e capaci di scalare le pareti. Oggi mi hanno fatto cavalcare questo tropeognato durante la caccia al giganotosauro, ho potuto provare questa balista da sella… è fantastica! – Aurora poteva percepire l’entusiasmo crescente nella sua voce – È tutto il pomeriggio che provo ad immaginare come potrei adattarla sulle Arche: potrei convertirla in una mitragliatrice! Sarebbe portentoso!»

Aurora non poté fare a meno di sorridere, vedendolo così contento. Furono interrotti da Acceber, che li invitò a raggiungere tutti gli altri e unirsi alla festicciola…

«Ben arrivata, Aurora! Giusto in tempo per i primi giri!» esclamò Drof.

«Ciao» salutò lei, con un sorriso timido.

«Permettimi di presentarti tutti come si deve» disse Acceber.

Tenendola per mano, la portò davanti a ciascun membro della compagnia, che prontamente stringeva la mano ad Aurora e le sorrideva cordialmente. Il primo che le fu presentato fu un uomo, molto alto e muscoloso, calvo, con gli occhi marroni, dei folti baffi degli impressionanti sfregi che gli attraversavano il volto in obliquo, solcando la bocca.

«Lui è Elehcim – disse Acceber – Il più forte e coraggioso del gruppo, o forse solo il più pazzo: si rifiuta sempre di combattere con delle cavalcature, cerca di sconfiggere le bestie solo con le armi e l’astuzia!»

«Però! Piacere, io sono Aurora» sorrise la rossa.

Elehcim ricambiò il sorriso e le strinse la mano, ma non disse nulla, mettendola un po’ a disagio: non sapeva se doveva aspettare che le dicesse qualcosa o se lui si aspettava che prendesse la parola.

«Non può parlare – spiegò Drof – Un velociraptor gli ha strappato la lingua con una zampata mentre lo affrontava con un coltello»

Il pelato rispose con un verso gutturale e aprì la bocca, per mostrarle la sua lingua mozzata a metà. Aurora fu attraversata da un brivido e, d’istinto, gli disse che le dispiaceva. Acceber la portò del secondo amico, che aveva una chioma riccioluta, gli occhi verdi; anzi, un occhio verde, il destro: l’altro era stato cavato ed era coperto da una benda da pirata. Nonostante ciò, aveva un’espressione molto allegra anche le poche volte che non sorrideva e trasmetteva una gran simpatia.

«Questo è Odraccir, un comico nato!» esclamò Acceber.

«Piacere di conoscerti, Aurora! Hai di fronte a te lo spirito guida di tutto il gruppo!» rise Odraccir.

«Non ne dubito!» rispose la rossa.

Odraccir, con fare ammiccante, si rivolse a Lex, che aveva preso posto accanto a Drof e aveva già lasciato spazio libero per l’amica:

«Ehi Lex, la tua compagna è persino più carina di quello che avevo immaginato! È una meraviglia! Nella vostra “ARK artificiale” sono tutte così belle?»

Aurora diventò paonazza all’istante e Acceber la confortò con delle pacche sulla spalla.

«Eeeeeeh, eccolo lì! Ci sta già provando, il furbo!» risero tutti gli altri, quasi in coro.

«Be’, non mi posso lamentare» ridacchiò il biondo.

Odraccir gli strizzò l’occhio:

«Tienitela ben stretta, Lex: in passato sono scoppiate rivolte per donne meno belle! O anche solo spedizioni punitive»

A sentire quell’avvertimento, la rossa ebbe una forte tentazione di precipitarsi accanto a Lex e stringersi forte a lui, pervasa dall’imbarazzo. Ma, siccome era ancora lì in piedi, cercò di resistere e stare al gioco, anche se si sentiva la fronte imperlata di sudore e sapeva benissimo di star facendo un sorriso beota per il disagio. Per evitare ulteriori battute, Acceber continuò col giro di presentazioni; ora toccò ad Odraode, che era il più timido e impacciato del gruppo: dal fisico gracile, un po’ basso, secco come un chiodo, con la pelle smunta per la media della carnagione bronzea degli Arkiani e un’espressione di insicurezza che quasi le faceva tenerezza. Aveva gli occhi azzurri e i capelli corti e unticci.

«Ciao, io sono Odraode!» salutò, a bassa voce.

Aurora, un po’ intenerita, gli rivolse un sorriso caldo:

«Piacere! Scusa la domanda, ma stai bene? Non sembri del tutto in forma»

«Oh, non è niente! È che sono allergico alla carne e ci sono anche altri cibi che digerisco a fatica: con tutta la vita passata a mangiare poco e male, mi sono conciato così. Però me la cavo, stanne certa!» rispose lui.

«Oh, capirai! Certe volte stargli dietro è tremendo: questo filo d’erba è sempre malato!» sbuffò Odraccir.

«Ma come si fa a perdere la pazienza con lui? Ormai ci vogliamo tutti troppo bene, ehehe!» aggiunse Drof, dopo un sorso di limoncello.

Dopo fu il turno di Oilnats che, a dire di Drof, era lo stratega di caccia del gruppo. Era un tipo alto, coi capelli e la barba rasati a zero, gli occhi azzurri e uno sguardo vigile; la sua guancia destra era segnata dalla cicatrice di un morso. La prima cosa che fece mentre stringeva la mano ad Aurora fu squadrarla con grande attenzione da capo a piedi, più e più volte, con un’espressione a cavallo tra il perplesso e il sospettoso. Aurora non capiva perché lo facesse e cominciò a temere di aver detto o fatto qualcosa di strano poco prima, anche se non le risultava.

«Piacere! Toglimi una curiosità» disse Oilnats.

«Cosa?»

«Vai sempre in giro solo con quell’abito? Non metti una tuta mimetica o una corazza di chitina quando vai nelle zone selvagge?»

«Ecco, ieri avevo un’armatura di chitina, ma per il resto…»

«Scusa, ma perché dovrebbe importare?» intervenne Lex, un po’ irritato.

«Certo che importa! L’equipaggiamento è importante: quella striscia viola fa contrasto con quasi tutti i paesaggi dell’arcipelago, allerta subito gli animali anche da lontano e…»

«Oilnats, ti ha appena conosciuto, non tormentarla! Ti sei già lasciato andare abbastanza con Lex, per oggi» lo apostrofò Drof.

«Ma… vabbè, non fa niente, scusami. Comunque, non farci caso se ti sembro disgustato da tutto quello che tocco: mi sento a disagio con le cose sporche e a toccare la gente» rabbrividì.

«Ah, va bene» rispose Aurora, confusa.

«Che eufemismo! Tu sei proprio paranoico! Ehi, ricordi quando io e Ynneb ti abbiamo rovesciato quel secchio di foglie secche dal tetto di casa tua? Hai passato tre ore a lavarti nel fiume!» rise di gusto Odraccir.

Oilnats rabbrividì ancora:

«Aaaaah, finitela di ricordarmelo!»

«Va bene, mentre lui si fa passare lo schifo di dosso, lei è Aisapsa!» si intromise Acceber.

Aisapsa era una donna davvero molto bella e ancora più attraente. Osservandola bene, in qualche modo, ad Aurora ricordò in parte Giselle: quella pelle scura, gli occhi azzurri luminosissimi, l’abbondanza del seno e, più di ogni altra cosa, quello sguardo ammiccante e tentatore; per il resto, era simile ma comunque diversa dalla piratessa: il viso era meno spigoloso e più tondo, i capelli erano più ricci e la muscolatura era leggermente più sviluppata, ma lo si notava comunque bene.

«Ciao, carissima!»

«Ciao!» rispose Aurora, arrossendo un po’.

«Quei segni sulle tue braccia sono un bel trofeo! Il tuo amico ci ha detto qualcosa di questi “Alfa” che ci sono dalle vostre parti. È stata dura?»

«Sì, ho rischiato grosso quella volta»

«Ti dirò, quasi te li invidio! Sarebbero un’aggiunta grandiosa alla mia collezione»

«In che senso, scusa?»

Aisapsa si arrotolò le maniche e sollevò i lembi della veste e delle calzature, rivelando innumerevoli cicatrici di attacchi animali. Le spiegò di essere una domatrice di grande esperienza e che la maggior parte delle bestie del loro contingente di gruppo erano fornite da lei, anche se spesso c’erano stati degli “incidenti di percorso”, come li definì Aisapsa. Allora Odraccir, con una risata complice, aggiunse che per lui e gli altri (tranne Drof) era sempre uno spasso farsi raccontare la storia di una delle cicatrici di Aisapsa, le notti in cui uno di loro passava a letto con lei.

«Non penso che avesse bisogno di quel dettaglio» si intromise Drof.

Lex scosse la testa sorridendo, nel vedere l’ennesima ondata di imbarazzo della rossa.

«Oh, andiamo! Non è mica un tabù!» replicò Aisapsa, disinvolta.

«E ora dirò di più, perché non si finisce mai di imbarazzare Drof: noi lo chiamiamo “il casto”, perché da quando la sua bella Yram non c’è più si rifiuta di avere qualsiasi rapporto con Aisapsa! Non sa proprio cosa si perde da anni» aggiunse Odraccir, divertito.

«Ah…» mormorò Aurora, non sapendo che dire.

Drof si allertò subito e mostrò una sorta di vampata d’ira malcelata:

«Smettila! Non dirlo davanti a mia figlia, è vergognoso!»

«Rilassati, padre! Non mi offendo!» lo tranquillizzò Acceber, tranquillissima.

Infine, toccò ad Ynneb, che Acceber presentò come il costruttore di trappole.

«Ehilà. Senti, dopo la serata ti andrebbe di comprare delle damigiane di limoncello o grappa? Le faccio tutte io, in casa mia! A te farò un prezzo speciale perché sei amica di Drof» ammiccò lui.

«Grazie, ma non credo che mi serva a granché» rispose timidamente la rossa.

«Oh, peccato»

Era il primo Arkiano grasso che Aurora avesse visto da quando aveva scoperto quella dimensione parallela. A dire il vero, non lo era del tutto: gli arti erano atletici come quelli degli altri, però la pancia era rotonda e piena di ciccia e il volto era allargato da un doppio mento. Aveva il naso grosso e aquilino e gli occhi grigi, i capelli erano corti e a spazzola. Aveva un’aria molto rilassata.

«Bene, finalmente hai conosciuto tutti! Possiamo cominciare?» esortò Acceber, felicissima.

«Ben detto. Porgete i boccali!» esclamò Ynneb, mentre Aurora si sedeva accanto a Lex, dove si sentì molto più sicura.

CIRCA UN’ORA DOPO…

Passarono la prima parte della serata raccontandosi storie e vuotando un boccale di limoncello fatto in casa da Ynneb dopo l’altro. Lui serviva la bevanda a tutti da una cassa di damigiane che aveva portato apposta per l’occasione, mentre Oilnats e Odraode facevano a turno per gettare un pezzo di legno nel falò, e descriveva nei minimi dettagli la procedura per fare il limoncello ideale, pieno d’orgoglio. Aurora ne bevve un boccale per cortesia, ma si fermò lì: non le andava più di tanto. Lei non partecipava molto alla conversazione, preferiva ascoltare gli altri o scambiare qualche parola con Acceber, quando la figlia di Drof la interpellava a bassa voce.

«Allora, ti sta piacendo?» le chiese la giovine arkiana, entusiasta.

«Altroché! Sono simpaticissimi!» sorrise la sopravvissuta.

Tutti parlavano principalmente delle loro avventure private per farle scoprire agli altri e la rossa trovò ciascuna delle loro storie alquanto avvincente. Elehcim, ovviamente, non faceva altro che mostrare le sue cicatrici più recenti e a raccontarne la storia coi gesti; Odraccir, che capiva il linguaggio dei segni, faceva da interprete. Aurora dovette ammettere che le storie del muto erano tre volte più spaventose delle altre; ma l’argomento di punta, ovviamente, erano le domande a Lex sulla loro dimensione originaria e le sue somiglianze e differenze con l’ARK terrestre.

«Allora, a che servono gli obelischi che ci sono sulle vostre ARK finte?» chiese Ynneb.

Lex svuotò il boccale e cominciò a spiegare con calma:

«Principalmente, servono ad accedere alle arene dei tre guardiani, delle creature di fantasia molto potenti che servono a mettere alla prova i sopravvissuti. Ma li si può anche usare per viaggiare tra le Arche, che è quello che faccio di solito quando non ho impegni urgenti»

Ynneb si sbatté una mano sul ginocchio:

«Cazzo, adesso vi invidio; farebbero comodo a me, per andare da casa mia alla bottega del vinaio senza sudare come un deodonte!»

Odraccir scoppiò a ridere:

«Eh, certo! E dopo chi ti convincerà a fare qualcos’altro? A momenti, il vinaio diventerà la tua scusa per non seguirci più a caccia! Allora quel doppio mento diventerà triplo»

«Zitto, occhio vispo!»

In quel momento, un deinonico si avvicinò al gruppo e si sedette accanto ad Aisapsa, strusciando il muso sul suo fianco per chiedere del cibo. La domatrice, allora, prese un pezzo di carne essiccata da un sacchetto che teneva appeso alla cintura e lasciò che lo mangiasse. Il deinonico, allora, emise un ticchettio gutturale per ringraziarla e le accarezzò il viso con la punta del muso. Aurora si fece subito attenta, vedendo di persona la seconda specie unica dell’ARK terrestre. Era come Lex le aveva detto: simile ad un velociraptor, ma con un foltissimo strato di piume. Chiese se poteva accarezzarlo e le fu risposto che poteva farlo tranquillamente. Le piume del deinonico erano così morbide che la invogliavano sempre di più ad passarci la mano, e il rettile era così contento che le mordicchiava il polso per trattenerla quando faceva per smettere: quasi quasi, le veniva la tentazione di chiedere a Lex se potevano cercarne uno tutto per lei e domarlo.

«Sembra che gli piaccia!» commentò il biondo.

«Lo credo anch’io!» esclamò lei.

«È così soddisfacente vedere degli stranieri che se ne intendono al volo delle nostre creature! Ho sempre pensato che fosse un’utopia» commentò Oilnats.

Poco dopo, dalla pentola di pietra levigata che avevano appeso sopra il falò cominciò ad uscire un aroma a dir poco delizioso e Drof, che adesso parlava con una strana cantilena per via del limoncello, annunciò che era finalmente pronto. Aurora aveva adocchiato quella pentola da quando aveva preso posto, ma siccome c’era un coperchio non riusciva a capire cosa ci fosse lì dentro; si era promessa di chiederlo un paio di volte, però si era sempre distratta ascoltando la chiacchierata e finiva per scordarselo. Adesso stava per scoprirlo; Elehcim, che era quello che aveva cucinato, andò a prendere una decina di piatti in terracotta dalle borse da sella di uno stegosauro e li riempì del contenuto della pentola. Aurora, come gli altri, ricevé un’invitante porzione caldissima di una sorta di spezzatino, accompagnato da pezzetti tritati di ortaggi verdi e rossi e immerso in un sugo marroncino. Il piatto aveva un profumo di spezie. Quando tutti ebbero preso una forchetta di legno, si misero in bocca il primo boccone e fecero i complimenti al cuoco, prima di rimpinzarsi col resto:

«Lo fai troppo di rado, Elehcim: è sempre ottimo!» esclamò Drof.

Acceber, vedendo che Aurora non l’aveva ancora assaggiato, le chiese cosa stava aspettando. La rossa lasciò che Lex iniziasse a mangiarlo e gli domandò come fosse. Lui le rispose che era buonissimo, ma si raccomandò di stare pronta, perché era molto forte. Allora Aurora, incuriosita, infilzò un pezzo di carne, lo intinse per bene nel sugo e lo mangiò, per poi diventare paonazza e sentirsi la bocca in fiamme: era la cosa più piccante che avesse mai mangiato, le sembrava quasi un’arma chimica. Ingoiò con tutte le sue forze e si asciugò il sudore dalla fronte, mentre tutti gli altri ridevano di gusto a vederla così traumatizzata dalla piccantezza.

«Argh! Che cos’è? Brucia!» esclamò, quando riuscì a riprendersi.

«Si chiama “orgoglio di Arulac” – spiegò Odraccir – Pezzetti bolliti di ovis con verdure miste, conditi con peperoncino e rafano in parti uguali, una perla della cucina dei Teschi Ridenti. Così piccante che l’hanno dedicato al dio dell’estate!»

«Direi che è azzeccatissimo! Aaaaaaah!»

«Sapete, anche Diana aveva la lingua sensibilissima! Mi chiedo cosa mangino nel suo futuro pieno di questo TEK» rise Acceber.

Dopo il primo “impatto”, Aurora si ritrovò completamente anestetizzata dal gusto piccante, quindi riuscì a finire la sua porzione senza problemi. A ripensarci, non le sembrò poi così male, a parte il fatto che dovette ingollare caraffe di latte di mammut per tutto il resto della serata; per fortuna, Elehcim ne aveva portato un’intera scorta, in caso qualcuno non avesse retto l’orgoglio di Arulac.

PIÙ TARDI…

«E così siamo rimasti intrappolati su quello scoglio per tre giorni, prima che qualcuno venisse a spaventare il tusoteutide e a salvarci!» finirono di raccontare Oilnats e Odraccir.

«Cavolo! Che ne è stato delle carbonemis?» chiese Lex.

«Be’, per fortuna avevamo un sacco di lattuga dal villaggio degli Squali Dipinti»

«Non vi siete annoiati, isolati lì per tre giorni?» domandò Aurora, curiosa.

Oilnats scrollò le spalle:

«Non troppo: a tempo perso, sono uno scultore. Ho usato sassi e legnetti per comporre alcune opere»

«E io non mi annoio a prescindere» si vantò Odraccir.

Proseguirono con gli aneddoti ancora un po’, dopodiché Odraode suggerì di far cantare la Pjplabab id Pulà in onore dei due ospiti e tutti accolsero la proposta con entusiasmo. Aurora e Lex chiesero ad Acceber di cosa parlassero e la ragazza, dopo aver sorseggiato altro limoncello, spiegò che significava “Ballata di ARK” e che era la canzone più antica della cultura arkiana che, secondo alcuni, era cantata già dalla prima generazione di nativi, dopo lo sbarco sull’isola avvenuto sessantamila anni prima. Il motivo per cui la cantava Aisapsa era che, per tradizione, la voce che intonava i versi doveva essere quella di una donna, mentre qualcun altro suonava una chitarra. Appena il biondo sentì nominare lo strumento e vide Ynneb andare a prenderlo, gli si illuminarono gli occhi e chiese agli amici di Drof se poteva essere lui a suonarlo. Garantì che era bravo e che sapeva adattare gli accordi ad una canzone, per sventare ogni dubbio. Aurora non poté fare a meno di sorridere, vedendo tutto l’entusiasmo dell’amico. Tutti accettarono la proposta con un certo entusiasmo; Ynneb provò a protestare, non contento per vedersi il ruolo di suonatore soffiato, ma Elehcim lo zittì con una pacca che avrebbe steso un triceratopo e Odraccir ribatté che, tanto, quella chitarra nelle sue mani era come regalare le perle ai deodonti. Così, Lex imbracciò la chitarra, ascoltò le prime parole che Aisapsa intonò per familiarizzare col ritmo e cominciò a pizzicare le corde, dimostrando che diceva sul serio: ci sapeva proprio fare. La domatrice aveva una voce ancora più ammaliante, cantando. Ad Aurora rimasero impressi i primi versi, ma il resto le sfuggì:

«Ev ded ev ev em ab pèmef mef etag, ev ded ev ev edev vag tjzaz ebev»

«Acceber, cosa significa?» sussurrò, per non disturbare.

«Oh, è bellissimo: “io non so se ho la forza per questo, io non so se sono qui tutto solo”» tradusse lei.

Poi arrivò il ritornello, che dal suono le piacque moltissimo:

«Edev eblatag tluc am tjpjzeb edeb! Edev lav em, tjzaz eb evjveb ic tòtovideblat! E plut, eb ev, topibibi! Topibibi!»

«“Sono quello che ha lottato bene; sono il re, tutte le bestiemi obbediscono; è ora, lo so, viviamo, viviamo”» la doppiò Acceber.

«Non male: suona incoraggiante» commentò Aurora.

«Infatti lo scopo è quello!»

Quando Aisapsa finì, gli altri le fecero un piccolo applauso, quindi ne dedicarono un secondo più accorato al “nuovo” chitarrista, a cui si unì anche Aurora.

«Allora, che ne dite di chiudere la serata con la mia specialità di famiglia?» domandò Aisapsa, bevendo per bagnarsi la gola.

«Volentieri» rispose Drof.

Quindi lei andò da un kentrosauro, prese un sacchetto dalle sue sacche da sella e tornò. Fece il giro del falò, distribuendo a tutti dei dolci fatti in casa per la serata: dei biscotti al miele. Quando Lex prese il suo, sorrise e rivelò che anche lui li faceva nel tempo libero, col miele delle sue api vasilisse.

«Oh, davvero?» sorrise Aisapsa, mentre si risedeva.

Aurora mangiò il suo in silenzio e le dispiacque non poter fare il bis: era buonissimo, dolce al punto giusto e con un retrogusto che riconobbe subito: zenzero. Il contrasto non era affatto male. Intanto, le venne quasi da ridere, ad immaginarsi la scena di Lex che faceva biscotti: la faceva sorridere in automatico. Il Tedesco, intanto, stava sommergendo Aisapsa di domandea riguardo, cosa che le suscitava un sorriso ancora più ampio:

 «Tu come li fai? Io uso il latte di ovis e faccio la farina con la lungherba. Ah, e poi ci metto i vari aromi, com’è ovvio, tra cui
 la cannella»

«Lungherba? Cos’è?» domandò la donna.

«Oh, sarebbe il mais. Scusa per l’incomprensione, ma sulle nostre Arche il Sistema ha dato dei nomi specifici alle colture; io ormai sono abituato a quelli»

«Ah, ora capisco! No, nella mia famiglia si usa la farina di grano. Il latte può essere benissimo di ovis, però molti preferiscono quello di fiomia: ha un sapore meno forte, meno invadente. Anzi, i Lupi Bianchi usano quello di mammut come alternativa»

«Questo è vero, ma preferisco quello di ovis»

«E per gli aromi, ti svelo un segreto: sono l’unica che usa lo zenzero. Tutti gli altri apicoltori usano cannella e vaniglia. Mi piace essere unica!»

«E direi che il risultato è una bella soddisfazione» si intromise Aurora.

«Grazie, carissima!»

«Oh, guardatela! Com’è contenta di aver trovato un vero intenditore!» rise Odraccir.

«Acceber, hai ancora in mente di fartelo insegnare? Anche tu hai un grande potenziale in cucina! Tutto merito di tua madre» sospirò Drof, nostalgico.

«Ma certo, padre! Vado all’allevamento di Aisapsa sempre più spesso, non l’hai notato?» ammiccò sua figlia.

La serata era finita da un pezzo, ormai. Il falò era stato spento e tutti erano andati a dormire nei sacchi a pelo, così come gli animali del contingente si erano distesi, a parte quelli lasciati di guardia. Aurora e Lex, seduti in mezzo ad un gruppo di grossi erbivori, si stavano preparando a riposare a loro volta, dopo essersi fatti prestare due sacchi a pelo aggiuntivi.

«Che simpatici, eh?» sorrise la rossa, guardando le stelle; delle vere stelle.

«Molto! Ho capito da prima della caccia che erano brave persone» rispose Lex.

«Che dire, a grandi linee ci sta andando bene, per essere persi in un altro mondo»

«Ma certo: in tutte le Arche che ho visitato c’è sempre stato un modo per cavarsela tranquillamente. Basta solo sapere come muoversi nell’ambiente»

«Uhm…»

«Comunque, domani torneremo da quei due per la sfera» affermò il biondo, deciso.

«Credo che ci daranno almeno un altro incarico, da quello che mi ha detto Bob» avvertì lei.

«Lo sospettavo: quel Jonas è dannatamente furbo. Be’, se tireranno troppo la corda, gli farò capire che non gli conviene spezzarla»

«È il minimo, dopo quello che ho passato con l’araneomorfo!» esclamò Aurora.

E così, dopo un rapido saluto, ognuno dei due si sdraiò a qualche metro di distanza dall’altra e, del tutto rilassati dallo spasso di quella notte, si addormentarono.

   
 
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