Questi personaggi non mi appartengono, sono di proprietà di Mann Yzawa. Questa storia è stata scritta senza fini di lucro.
 
“La signora Smith è finita un’altra volta in terza classe” precisò con dolcezza il ragazzo, accompagnando a braccio la vecchia signora; presentandosi sul ponte di prima classe, d’un colore chiaro nel suo legno di teak.
“Dovrebbe stare più attenta” rimproverò pacato al maggiordomo accorso a servirla, mentre, di contro, i congiunti della nobildonna sembravano spazientiti dell’ennesimo inconveniente che riguardava la vecchia matriarca.
La nonnina si girò a sfiorare amorevole la morbida e imberbe guancia del giovane, come verso un nipote. “Cain, sei tanto caro” disse appena con occhi lucidi, quasi lontani nella memoria; i capelli grigi acconciati in uno chignon, trattenuto da un pregiato ricamo di merletto nero, pochi ciuffi che vi fuoriuscivano discreti, incorniciando un viso paffuto, espressione d’una vita estranea ai patimenti delle privazioni.
Il maggiordomo in livrea scura, la giacca lunga e uniforme e i pantaloni lunghi che ne gessavano il corpo, che accompagnava la vecchia lady in quel viaggio, si scusò con lui che l’avesse nuovamente infastidito, mentre l’anziana si dispiaceva della propria mancanza, corrugando la fronte e imbronciandosi, dandosi una giustificazione “E’ tanto caro, il mio Cain, vero?”, rivolgendosi al maggiordomo con tono quasi petulante, perché fosse d’accordo con lei.
Il maggiordomo confermò le parole della padrona, più per rispetto al proprio ruolo che per non deluderla, attento di contro agli sguardi di coloro che ne avevano la tutela. Da quando erano in viaggio nella “Monarca” era successo già sei volte che la vecchia duchessa Margherite Smith, fosse finita a passeggiare ovunque e avesse conosciuto quel giovane che tanto le ricordava un nipote scomparso per cui aveva provato grande affetto un tempo; forse l’unico, sicuramente tra i più autentici.
Arthur, o meglio Cain agli occhi di Margherite, sorrise dolcemente, scuotendo solo leggermente la testa, di composti capelli castani, da cui sfuggivano leggeri ciuffi ricci, quasi con la saggezza e soprattutto il cuore d’una madre pronta a capire la distrazione d’un bambino imprevedibile e incauto. Giovani labbra che sapevano sorridere limpide, prive d’interessi calcolatori; che avevano provato affetti veri e genuini.
Fosse anche vero, che la signora Smith finisse per infastidire spesso chiunque, cercando attenzione, per Arthur non era così. Ad Arthur faceva semplicemente tenerezza, quella donna gentile che sognava di riabbracciare i parenti a Londra, quelli vivi, come il ricordo di quelli scomparsi. Vedeva in lei, una donna messa visibilmente da parte da un figlio, ormai uomo sposato, che pomposo non aveva di meglio che sfilare tutto il giorno sul ponte di prima classe a braccetto della moglie, una dama dalle labbra sprezzanti e dal volto niveo, adorna di merletti e sfavillanti gioielli che risaltavano su guanti immacolati, in abiti larghi come campanule cresciute oltre l’immaginabile.
Arthur probabilmente nell'anziana contessa leggeva la stessa amarezza ch'era stata di sua madre Mary, nel suo disagio di sentirsi abbandonata.
Fu così che il ragazzo la accompagnò nuovamente nel mondo vanesio che era proprio a Margherite, ricevendone un caloroso abbraccio prima dell’ennesimo commiato, davanti al capitano Matteo Ancoretti, un italiano dal sorriso calibrato ma dall’occhio vivace che fumava spesso in silenzio una lunga pipa, riflessivo.