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Autore: Luinloth    27/05/2020    11 recensioni
Gli angeli sono scesi sulla terra e hanno soverchiato l’umanità, regredendola ad uno stato quasi medievale. Gli umani lavorano come schiavi alla costruzione di una torre, di diverse torri sparse intorno al globo, ma nessuno sa cosa succederà una volta che il loro lavoro sarà concluso. John Winchester è a capo di una delle cellule della Resistenza e Dean nei confronti degli angeli non ha mai provato altro che odio, per ciò che hanno fatto alla sua famiglia, per ciò che hanno fatto a Sam. Finché, un giorno, Castiel non viene assegnato al suo cantiere e tutte le certezze che aveva iniziano a sgretolarsi. Ma come gli ripete spesso suo padre, un umano non dovrebbe mai fidarsi di un angelo.
80% AU, 20% what if (vi assicuro che non è così complicato come sembra)
Dal testo:
«Perché?» […]
«Perché ho sempre creduto che non mi importasse» […] «Ma mi sbagliavo»
Genere: Angst, Drammatico, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester, Sam Winchester
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
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Disclaimer: storia scritta senza scopo di lucro, nessuno dei personaggi mi appartiene





5. Punti deboli




25 dicembre 2008

«Dean, mi stai ascoltando?»

Suo padre picchiettò con le dita sul tavolo. A dieci centimetri dalla sua mano c’era una calibro 22 tirata a lucido, con il calcio di madreperla; sette proiettili perfettamente allineati lì accanto attendevano soltanto di essere sistemati nel caricatore.

Era da poco calata la notte.

«Sì papà»

«Bene. Non manca molto»

L’esplosione si prevedeva a minuti. John era uno dei pochi al cantiere che possedeva un orologio, e il suo sguardo altalenava ossessivamente tra le lancette dorate e Dean.

Il ragazzo caricò la pistola e controllò per la quarta volta che i meccanismi non si fossero inceppati. O forse era la quinta volta, aveva perso il conto.

Assicurate sotto gli abiti aveva ancora due semiautomatiche e un coltellaccio da cucina con la lama grossa tre dita, ma un solo proiettile di quella calibro 22 valeva più di tutto quell’armamentario da assalto.

I simboli enochiani che John aveva preteso che tutti gli uomini del cantiere si disegnassero sotto i vestiti, direttamente sulla pelle, erano invece l’unica armatura che aveva potuto permettersi.

Ma almeno quei bastardi non avrebbero percepito la sua presenza già a un chilometro di distanza. Era tutto ciò su cui contavano, quella notte: l’effetto sorpresa.

«In tutto ci sono sei angeli qui al cantiere: dobbiamo evitare che allarmino la Corte prima che gli uomini abbiano raggiunto l’acquedotto. Non abbiamo armi a sufficienza per fronteggiare una squadra di angeli al completo»

Dean annuì. Suo padre gli aveva ripetuto le stesse identiche parole neanche due minuti prima.

«Ho un ottima mira»

John gli mise una mano sulla spalla.

«Ho fiducia in te, figliolo. Sono… sono fiero di te» mormorò con gli occhi lucidi «Lo sarebbe anche la mamma»

Dean sentiva il proprio cuore pulsare così forte da credere che stesse per sfuggirgli dal petto.

«Sì. Lo sarebbe anche la mamma»

Un boato fece tremare le pareti della baracca; Dean afferrò la calibro 22 e seguì di corsa John all’esterno.

Qualsiasi cosa gli uomini della Resistenza fossero riusciti a incastrare tra un blocco e l’altro, si era rivelato dannatamente efficace.

La torre bruciava. Un’immensa pira funebre di marmo e di legno.

Una colonna di fumo iniziò ad alzarsi dal punto dell’esplosione, mentre i frammenti che la dinamite aveva sparato verso il cielo ricadevano infuocati al suolo come una pioggia di meteoriti.

Simili ad un’onda di straccioni, gli uomini e le donne del cantiere si lanciarono all’assalto.

Dean perse suo padre di vista quasi subito. Con il trascorrere dei minuti l’aria diventava via via più calda e opaca, e i frammenti di roccia incandescente sfrigolavano sul terreno, come residui esausti sputati dalle viscere di una stella morta.

Si mosse verso gli alloggi dei Collaborazionisti. Era molto probabile che gli angeli si trovassero lì, per gestire la controffensiva insieme al resto degli umani loro fedeli.

Si sentivano i primi spari. Un proiettile fischiò sopra la sua testa e lui fu costretto a ripararsi a terra. In lontananza, riusciva a vedere le luci accese nelle abitazioni dei Collaborazionisti e svariati completi azzurri e bianchi che si allontanavano in direzione della torre.

Scattò in avanti, la calibro 22 già in pugno.

Zaccaria sbraitava ordini ad un confusissimo e lacero Abbadon, e non lo vide arrivare.

Il primo proiettile lo colpì alla spalla. Abbadon estrasse la sua pistola e la puntò contro Dean ma non riuscì a premere il grilletto: si sentì l’esplosione di un secondo colpo e il Collaborazionista cadde all’indietro con un buco grosso quanto un pugno nel cranio.

Dean imprecò: aveva appena sprecato uno dei proiettili destinati agli angeli per un bastardo ed inutilissimo umano.

Zaccaria ruggì di dolore e si avventò su di lui; non riusciva più a muovere il braccio destro, e forse solo per questo il ragazzo riuscì a schivarlo. Rotolò sul terreno e si nascose dietro una fila di container metallici, dove i Collaborazionisti tenevano parte delle provviste di cibo.

«Winchester ti caverò il cuore dal petto!»

Il passo pesante dell’angelo faceva tremare la terra.

Dean prese un profondo respiro e rinsaldò la presa sulla pistola. Gli fischiavano le orecchie.

L’ombra di Zaccaria comparve sul muro di lamiera del container, a mezzo metro da lui.

«Dì le tue ultime preghiere Winchester»

Dean uscì allo scoperto e sparò.

Il proiettile ebbe sull’angelo l’effetto di una scarica di fulmini.

Zaccaria non cadde all’indietro come Abbadon ma si accasciò da un lato, mentre tutto il suo corpo sussultava e si dibatteva. Dall’interno, come se qualcuno avesse acceso nel suo stomaco una potentissima lampadina, iniziò a diffondersi una forte luce che aumentò d’intensità, finché l’ultimo fremito non abbandonò le membra di Zaccaria e Dean non si accorse — con sommo orrore — che, al posto degli occhi dell’angelo, lui stava fissando due insanguinate orbite nere.

Lo shock fu tale che per poco la pistola non gli cadde di mano.

Un angelo era appena morto.

E l’aveva ucciso lui.

Un altro boato lo fece sobbalzare: la torre, o quel che ne restava, stava collassando su se stessa.

Iniziò a camminare senza una meta intorno al perimetro del cantiere. L’unico obiettivo che aveva era quello di mettere quanto più spazio possibile tra lui e il cadavere di Zaccaria.

Qualcuno d’un tratto piombò sopra di lui. La calibro 22 gli sfuggì dalle mani e scivolò sul terreno, lontano.

Il corpo asciutto di Alastair lo bloccava al suolo. La pelle dell’uomo scottava come se avesse la febbre, e un rivolo di sangue gli scendeva da una brutta ferita alla testa e gocciolava sui suoi vestiti e su quelli di Dean.

Le dita del Collaborazionista si strinsero intorno alla sua gola.

«Avrei dovuto spezzarti il collo…» ruggì Alastair «…molto tempo fa»

Dean boccheggiava.

Globi di luce nera gli esplodevano davanti alla faccia, e per quanto si sforzasse non riusciva a raggiungere nessuna delle due semiautomatiche che aveva legate alla cintura.

Si spinse su un fianco facendo leva sui gomiti e lui e il Collaborazionista rotolarono nella polvere. Le schegge di marmo gli graffiavano le braccia e la schiena.

La presa dell’uomo si indebolì e lui ne approfittò per sgusciare fuori dalla sua portata. Si portò una mano alla cintura e le sue dita incontrarono il profilo gelida di una una lama di tre dita.

Sentì lo schiocco di una sicura e alzò lo sguardo appena un istante prima che Alastair premesse il grilletto.

La sua calibro 22.

Si tuffò di lato. Il proiettile lo ferì di striscio, al fianco, e il dolore lo colpì come una rasoiata di ghiaccio.

Il Collaborazionista afferrò la pistola con due mani e avanzò verso di lui.

«Stavolta non sbaglierò la mira, Winchester»

Poi il coltello di Dean gli si piantò in mezzo al petto e l’uomo crollò in ginocchio.

«Nemmeno io, bastardo»

Fu sorpreso da un eccesso di tosse; la polvere di marmo gli si infilava direttamente nei polmoni.

Alastair era caduto a faccia in giù.

Dean lo rovesciò supino e si riprese il coltello; le viscere dell’uomo produssero un risucchio gorgogliante e lui non riuscì a trattenere una smorfia. Si sentiva enormemente disgustato e allegro allo stesso tempo.

Recuperò la calibro 22 e controllò la ferita al fianco: era piuttosto superficiale, ma bruciava come un colpo di frusta.

Oltrepassò un cumulo di detriti e riconobbe suo padre a una decina di metri da lui.

Una figura bianca accasciata ai suoi piedi.

«Figliolo! Stai bene?» John gli andò incontro.

«Sì, sì. Io…»

L’angelo riverso sul terreno aveva i cappelli rossicci e le labbra sottilissime. Non era Castiel.

L’uomo accennò al suo fianco sanguinante «Cosa è successo?»

«Alastair mi ha sparato» ammise lui, costringendosi a trattenere un sospiro di sollievo «Ma è stata l’ultima cosa che ha fatto»

L’uomo gli diede una pacca sulla spalla «Ben fatto figliolo! Ben fatto!» esclamò «Abbiamo trovato il cadavere di Zaccaria vicino al deposito dei viveri, e ora con questo qui…» indicò sprezzante il cadavere ai suoi piedi «…siamo a cinque su sei!»

Dean fremette.

«Chi… chi è rimasto?»

Non era sicuro di voler ascoltare la risposta.

John sputò un grumo di terra e saliva «Castiel» sibilò.

«Ketch lo ha quasi preso ma quel mostro è riuscito a dileguarsi prima di ricevere il colpo di grazia. Non abbiamo più tempo: dobbiamo raggiungere l’acquedotto, andrò a controllare se è rimasto qualcun altro alla torre, tu va! Ketch sparerà un razzo di segnalazione, sai già che quello sarà l’ultimo avviso»

Suo padre gli allungò una carezza frettolosa su una guancia e si allontanò.

Dean s’incamminò verso l’acquedotto guardandosi intorno sospettoso: ad ogni passo aveva l’impressione che qualche altro Collaborazionista stesse per tendergli un secondo agguato.

Della torre non rimaneva che un ammasso di pietre affumicate; dei loro anni di schiavitù, poco più che una pioggia di schegge e una distesa di macerie.

Poi qualcosa si mosse, tra due file di blocchi semidistrutti, e Dean si immobilizzò.

La cosa che si muoveva era vestita di bianco.

Castiel era accartocciato su se stesso, piegato in avanti, le mani poggiate sulle ginocchia come se stesse riprendendo fiato; ondeggiava, sembrava fosse sul punto di collassare; il suo completo era stropicciato e sudicio di terra.

Dean si rannicchiò al riparo di alcune casse di legno sfondate e controllò quanti proiettili gli fossero rimasti nella pistola. Ne contò due.

Più che sufficienti ad uccidere un angelo, specie se in quelle condizioni. Sbirciò di nuovo al di sopra delle casse: Castiel si era voltato e si era accasciato contro uno dei blocchi, adesso ne riusciva a scorgere un po’ meglio il volto e il fianco destro.

Inorridì.

Dalla spalla al polso, la manica destra della giacca dell’angelo, una volta candida, era color cremisi, completamente impregnata di sangue scuro. Il braccio destro di Castiel, così come il tessuto, era squarciato in diversi punti, e il sangue gli scorreva lungo la mano e sgocciolava dalla punta della dita, formando piccole pozzanghere sul terreno.

Assomigliava a una colomba, a cui avessero appena strappato un’ala.

Dean tornò a nascondersi dietro le casse. La mano che reggeva la pistola improvvisamente gli sembrava meno salda. Un razzo di segnalazione illuminò in quel momento la coltre di fumo che ricopriva le loro teste al posto del cielo, come una goffa stella cadente.

Doveva fare in fretta.

Fece scattare la sicura della pistola e la puntò al di sopra delle casse; chiuse un occhio per prendere meglio la mira. Castiel aveva alzato il viso all’esplosione del razzo e ora ne seguiva con lo sguardo la lenta traiettoria discendente. Dean lo vide staccarsi dal blocco e arrancare a fatica nell’aria polverosa. Il sangue che gli scorreva lungo il braccio lasciava una traccia macabra dietro di lui.

Impugnò l’arma con due mani. Così vicino… avrebbe potuto centrarlo con facilità in mezzo agli occhi.

Lo stomaco gli si contrasse di colpo e il ragazzo cadde in ginocchio in preda ai conati.

Non sarebbe mai riuscito a premere quel grilletto.

L’immagine delle iridi di Castiel che bruciavano fino a incenerirsi gli dava la nausea.

Rimise la sicura alla pistola. Una volta per uno, pensò Dean: Castiel lo aveva salvato quando Alastair lo aveva pestato quasi a morte. Adesso erano pari.

Si stava facendo tardi: il ragazzo si asciugò con il dorso della mano il sudore gelido che gli imperlava la fronte e sgattaiolò all’ombra delle casse, verso l’imboccatura dell’acquedotto, senza voltarsi indietro.

Dietro di lui, puntati contro la sua schiena come due canne di fucile, due occhi blu lo guardavano allontanarsi, cupi come l’acqua di un pozzo.




Quando furono tutti all’interno del condotto, Ketch ne fece saltare in aria l’ingresso. Dean si sforzò di reprimere un attacco di claustrofobia alla vista dell’ammasso di detriti che sbarrava loro la via d’uscita. Se volevano avere un minimo di vantaggio sugli angeli, quello era l’unico modo. I sigilli enochiani che si erano disegnati sotto i vestiti li rendevano irrintracciabili, ma se gli angeli avessero scoperto il loro punto di partenza avrebbero poi potuto seguirli con facilità.

Nessuno sarebbe riuscito a coprire le tracce di un centinaio di esseri umani, alcuni feriti e ancora sanguinanti, all’interno di un acquedotto in disuso da vent’anni.

Dean camminava poco dietro John. Con la coda dell’occhio riusciva a scorgere Bobby, sorretto da due uomini, avanzare lentamente tenendosi ai margini del gruppo.

C’erano Martha, Meg e i gemelli, Garth che aveva un braccio al collo ma camminava spedito, e un mucchio di altre persone che non si sarebbe aspettato sarebbero riuscite a sopravvivere a quella notte.

Eppure ce l’avevano fatta. Un sorriso spontaneo gli spuntò all’angolo della bocca.

Secondo i calcoli di suo padre ci avrebbero messo poco più d’un paio d’ore per arrivare allo snodo di Pueblo.

L’acquedotto era come un labirinto: ogni dieci metri circa, dalla conduttura che loro seguivano si dipartivano tre o quattro condotti più o meno grandi. Sarebbe stato impossibile prevedere i loro spostamenti, tanto più che John si era premurato di tracciare il percorso meno lineare possibile, passando attraverso canali secondari e deviazioni quasi invisibili sulla mappa. Da Pueblo in poi, sarebbero stati al sicuro. Lì avrebbero trovato degli uomini della Resistenza ad aspettarli e gli angeli e la torre sarebbero diventati solo un brutto ricordo.

Camminavano da un’oretta ormai, quando uno spiffero d’aria fredda s’insinuò sotto la maglietta di Dean facendolo rabbrividire.

«Papà? Ci sono delle condotti che sbucano all’esterno, nelle vicinanze?»

John studiò silenziosamente la mappa per qualche secondo «Lo sbocco esterno più vicino è a mezzo chilometro da qui»

Dean si strinse le braccia al petto: iniziava a fare davvero freddo. Forse era solo la sua ferita al fianco che reclamava attenzione.

«Potrebbero esserci delle crepe nelle tubazioni. In ogni caso meglio muoversi» commentò l’uomo allungando il passo.

Svoltarono a destra, dopo una decina di minuti svoltarono per la seconda volta a destra e arrivarono all’ennesimo incrocio, e lì avrebbero dovuto nuovamente deviare, ma d’un tratto un’espressione sgomenta comparve sul viso di John.

Le due condutture laterali non erano più accessibili.

Nulla ne ostruiva l’imboccatura, non c’erano stati né crolli né frane. Il pavimento si era — semplicemente — accartocciato e fuso con il soffitto, e un’irregolare parete di metallo si innalzava beffarda di fronte a loro: sembrava che una mano gigantesca avesse strozzato i due condotti come tubi di gomma.

Non potevano fare altro che procedere in avanti.

E davanti a loro c’era Castiel.

Immobile, inespressivo, la manica destra ancora insanguinata e lacera. Dean sentì le gambe cedergli.

«E’ finita John»

Le sue parole rimbombarono nel condotto.

«Come avete fatto?» la voce dell’uomo non tremò nemmeno per un attimo. La voce di John non tremava mai.

«Sapevamo già che alcuni di voi avevano legami con la Resistenza»

Castiel parlava senza fretta. Sembrava quasi ci tenesse a spiegare per bene l’accaduto.

«Quando Michael mi ha mandato in questo cantiere, non aveva idea di cosa i ribelli stessero organizzando: nel tempo le varie cellule si sono diversificate così tanto tra loro da non poterne più prevedere le mosse» confessò.

«Non sapevamo nemmeno chi di voi fosse il capo, ma a quanto pare su questo abbiamo avuto fortuna»

Lo sguardo dell’angelo incrociò quello di Dean, che a quel punto non riuscì più a trattenersi.

«Pensavate che fossi… io?»

Castiel abbozzò un sorriso indulgente.

«Non abbiamo mai pensato che fossi tu. Certo, avevamo alcuni candidati: diversi uomini tra cui John, il qui presente Arthur Ketch…» socchiuse gli occhi, invelenito.

Nel sentir pronunciare il suo nome con quel tono, Ketch impallidì.

«…ma se ti interessa sapere perché abbiamo deciso di avvicinarci proprio a tuo padre beh… lui è l’unico che aveva un punto debole ben identificato»

Il ragazzo non ebbe bisogno di sentirlo, per capire a che cosa si stesse riferendo Castiel. Da vent’anni a questa parte, suo padre non aveva che due soli punti deboli.

Che si erano ridotti a uno quando Sam era sparito nella notte al seguito di Lucifer.

«La paura e l’incertezza corrodono la mente umana più efficacemente di qualsiasi tortura» proseguì l’angelo «Quanto a lungo può camminare un uomo sopra un filo, prima di mettere un piede in fallo e cadere?»

Fu solo allora che Dean capì.

I modi gentili, la cortesia, le visite puntuali. Castiel non se ne sarebbe mai fatto nulla di tutte quelle informazioni di poco conto che aveva preteso due volte alla settimana da John.

Voleva soltanto tenerlo sulle spine.

«Alla fine è bastato che io rimanessi da solo con te per cinque minuti e tuo padre si è lasciato sfuggire molto più di quanto avessi potuto sperare»

Il ragazzo ripercorse mentalmente ognuna delle serate in cui l’angelo si era presentato alla porta della loro catapecchia.

L’unica volta in cui si erano ritrovati loro due, soli, era stato appena due sere prima. Castiel era entrato e l’aveva sorpreso con quella vecchia foto tra le mani.

Quando poi John era ritornato alla baracca, l’angelo si era improvvisamente ricordato di dover fare qualcosa, ed era andato via.

Dean si sforzò di ricordare: che cosa era successo in quel paio di minuti? Castiel gli aveva posato una mano sulla spalla, poi suo padre aveva detto qualcosa e…

«Nessuno perderà nessun altro qui. Fosse l’ultima cosa che faccio»

…e gli occhi dell’angelo si erano accesi.

Dean scattò in avanti.

«Come hai potuto?»

Non era vero. Non poteva essere vero.

Castiel l’aveva usato.

L’aveva ingannato, aveva finto di essere interessato a lui soltanto perché sapeva che John non l’avrebbe mai sopportato; aveva teso suo padre come una corda di violino, tra quegli interrogatori inutili e tutte quelle gentilezze mirate nei suoi confronti — e per un lungo, dolorosissimo istante, Dean si rese conto che l’averlo salvato da Alastair rientrava perfettamente nell’elenco.

E alla fine, quando Castiel aveva toccato suo figlio — e il ragazzo aveva permesso che quella mano rimanesse, placida, sulla sua spalla — John Winchester si era spezzato.

Distratto, per una manciata di secondi, ma erano stati più che sufficienti.

John afferrò il polso del ragazzo un attimo prima che lui si scagliasse contro l’angelo. Dean gemette: la presa di suo padre era così salda da fargli male.

«Non sei mai stato diverso, io… io…»

Si era fidato di Castiel, gli aveva risparmiato la vita.

Era stato uno stupido.

John gli torse il braccio costringendolo ad indietreggiare. Il dolore di quella stretta e lo sguardo di pietra di suo padre gridavano un unico ordine: resta dietro di me.

«Sono anni che studio le mosse della Resistenza: ci sono stati altri casi di sparizioni di massa, in diversi cantieri» riprese l’angelo imperturbabile, come se leggesse le domande direttamente nella loro testa «Dopo quelle parole… rimaneva solo da scoprire come avreste attuato la vostra fuga, e a quel punto è bastato controllare le vecchie cartine per capire che sareste scappati attraverso l’acquedotto»

Castiel batté i tacchi sul pavimento e intorno a loro, per l’intera lunghezza del condotto e fin dove riuscivano a spingere la vista, comparvero delle rune enochiane, rosse e brillanti sulle pareti.

«Tutte le condutture sono state segnate da qui fino a Pueblo: è stato inutile far saltare l’ingresso dell’acquedotto, con queste rune avremmo tracciato il vostro percorso in ogni caso. E vi avremmo fermati parecchio tempo prima ma la bomba sotto la torre…» una smorfia di disappunto gli corrugò la fronte «…è stato qualcosa che non ci aspettavamo»

Il braccio destro gli penzolava lungo il corpo come una protesi inerte: aveva smesso di sanguinare ma di tanto in tanto i muscoli dell’avambraccio e delle dita si contraevano a intermittenza.

«Ho avvisato personalmente Michael. Ci sono due angeli di guardia ad ogni bivio dell’acquedotto: non riuscirete a tornare indietro né a disperdervi»

Castiel era tornato a rivolgersi a suo padre.

«John, se accettate di consegnarvi ti prometto che la maggior parte degli uomini e delle donne che sono qui ora sopravviveranno. Se rifiutate, tu sarai l’unico ad uscire vivo da questo condotto»

Una bambina iniziò a singhiozzare, a qualche metro da Dean, e il ragazzo si voltò.

In fondo al gruppo erano comparsi quattro angeli, si riconoscevano dal candore dei loro vestiti. Non li aveva mai visti al cantiere, immaginò che fossero arrivati in gran fretta direttamente dalla Corte.

«Credimi John, la possibilità che ti sto offrendo è molto più misericordiosa di qualsiasi destino Michael avesse originariamente progettato per voi»

Un urlo agghiacciante riempì la conduttura, seguito da un tonfo.

Uno degli angeli aveva trapassato il petto di un uomo da parte a parte, con la sola mano. Il cadavere, sul pavimento, continuava a dibattersi come un pesce sulla sabbia: ci mise quasi un minuto a morire.

Un’onda di panico percorse il gruppo degli uomini fino ad arrivare a Dean. I vestiti, la pelle, le ossa se ne impregnarono come di un veleno. I bambini piangevano, gli adulti gridavano, e la paura era così densa sopra le loro teste da poterne sentire l’odore acre pungere le narici.

«BASTA!»

Il grido di John non riuscì a dissipare del tutto quella nube di terrore, ma fu sufficiente ad ottenere il silenzio.

«Basta così» ripeté, stremato.

Castiel continuava a fissarlo, impassibile. Le sue ciglia avevano avuto un unico - impercettibile - fremito, quando l'altro angelo aveva ammazzato a sangue freddo quell'uomo nelle retrovie.

«Avresti dovuto farlo subito…» sorrise amaramente l’uomo «Tagliarmi anche l’altra mano e strapparmi via quel nome dalla gola»

«Attaccarvi apertamente sarebbe stato troppo rischioso» tagliò corto Castiel «Portarvi a Corte ed interrogarvi… avremmo potuto torturare la persona sbagliata, e a quel punto i ribelli ancora rimasti al cantiere si sarebbero dispersi come topi. Dovevamo lasciarvi un minimo di spazio d’azione, altrimenti non ne avremmo tratto niente di utile»

Lo sguardo affilato dell'angelo pareva volesse trafiggere la sagoma mutilata di suo padre.

«Ma adesso che abbiamo capito chi è qui il capo…»

E le duecento pupille umane che fissavano John Winchester trattenendo il fiato erano una prova ancor più evidente della piantina dell’acquedotto che l'uomo aveva tenuto stretta nella mano sinistra fino a pochi minuti prima.

«… e che nessuno di voi potrà fuggire da questo condotto, ti concedo ancora dieci secondi prima di mettere fine a questa storia»

John si leccò lentamente le labbra.

«Non mi fiderò mai delle parole di un angelo, Castiel» mormorò, i suoi occhi scuri piantati come chiodi contro il blu di due cieli senza stelle.

«Ma se le tue promesse sono sincere mantienile…» la voce gli s’incrinò «…ti prego»

Si girò verso Dean.

Ora suo padre teneva qualcosa tra le mani, qualcosa che luccicava appena.

«Resta vivo, figliolo»

Poi John s’infilò la canna della pistola in bocca e Dean lo sapeva, sapeva che non avrebbe dovuto guardare, che avrebbe dovuto chiudere gli occhi, o voltarsi, correre via, tapparsi le orecchie e urlare, per non sentire lo sparo.

Ma non lo fece.

Non fece niente.









Ehm, ciaaao *scappa a nascondersi dietro il divano*
Ebbene sì, Castiel ha fregato tutti quanti. Spero di aver spiegato bene il suo ‘piano’, temo sempre di rendere le cose troppo cervellotiche in questi casi.
E lo so, lo so che adesso volete la mia testa, per aver fatto crollare in questo modo barbaro tutta la Destiel dei capitoli precedenti (vi chiedo umilmente scusa) ma la storia è ancora lunga e vi prometto che io e Castiel sapremo farci perdonare.
E poi, confesso, il finale di questo capitolo ha fatto malissimo anche a me ma era necessario.
Vi invito, se ancora non mi odiate, a lasciarmi un parere piccino piccino su questo capitolo, il penultimo della prima parte.
Augurandomi di non avervi rovinato la settimana, vi do appuntamento a sabato per un altro po’ di angst (molto meno drammatico di questo, tranquilli!) se ancora vorrete continuare a seguire questa storia.
Vi mando un bacio da dietro il divano (dove penso resterò a nascondermi ancora un po’) e vi ringrazio — come sempre, ma davvero, siete stupende e ve lo meritate ogni singola volta — per le bellissime recensioni che mi avete lasciato fin qui <3

   
 
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