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Autore: Maki Tsune    28/05/2020    1 recensioni
Quale storia si potrebbe raccontare se i personaggi di Miraculous avessero vissuto nel periodo di fine 1800 proprio durante la costruzione della Tour Eiffel e dell'Esposizione Universale? Questa storia mostra i personaggi non più adolescenti ma nella prima fase adulta, (20-25 anni) che affrontano la vita e le difficoltà senza miraculous magici ma comunque con maschere, mistero, amicizia e amore.
Genere: Comico, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Alya, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug, Nino, Un po' tutti
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Incompiuta
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Parbleu!” Marinette si strofinò i capelli raccolti in due codini bassi, frustrata e impaziente nel mostrare il vestito ad Alya. “Ma quanto tempo ci mette? Siamo nelle prime ore del pomeriggio e ancora non si è fatta vedere. Questo mi preoccupa.” Sospirò parlando a sé ad alta voce come aveva abitudine di fare, specialmente quando doveva riflettere.

“Ieri, mi ha detto che ci saremo viste oggi e invece niente. Non è da lei. Certo, ogni tanto le capita di far tardi, ma in ogni caso cerca il modo di avvertire se non viene più o in ogni caso non ha mai fatto così tardi.” Si portò il lato dell’indice appoggiato al labbro inferiore e il pollice sotto al mento, per pensare meglio mentre vagava per la camera, facendo avanti e indietro.

“Basta! Ho deciso! Vado da lei e nessuno mi ferma!” aprì la porta della camera e chiese ad un aiutante di preparare per lei la carrozza. Poi ci pensò: “Hmm… quasi quasi… le porto il vestito direttamente a casa.” Sorrise all’idea. “Sì, deciso. Le farò una sorpresa. Un regalo che non potrà rifiutare. Intanto speriamo non sia successo niente.”

Nel frattempo che la carrozza venne preparata con due cavalli, Marinette trovò una scatola azzurra sufficientemente grande per mettere all’interno il vestito preparato per Alya e legato con un fiocco rosa.

Et voilà. Parfait.” Sorrise prendendo la scatola, scese le scale e uscì dal negozio salendo sulla carrozza pronta. “Merci”. Marinette ringraziò l’aiuto che ricevette dal suo staff per salire nella carrozza.

Poi parlò al cocchiere. “Alla casa di Alya Césaire, s’il vous plaît.” E così il cocchiere fidato partì verso il luogo richiesto.

Marinette appoggiò sulle gambe la scatola azzurra mentre saltellava nella carrozza a causa di alcune strade dissestate con buche o a volte per strade fatte di ciottoli. Poche erano le strade lisce, di solito erano quelle al centro città, ma lei stava andando in periferia.

Guardava fuori dietro la tendina della carrozza e si stupì nel vedere la Torre Eiffel in lontananza. Doveva ancora abituarsi a quella opera d’arte.

Il tragitto non fu tanto lungo in carrozza, ma certamente doveva esserlo a piedi. L’unico mezzo che Alya poteva servirsi.

Nel pensarci, ci rimase male nel sapersi più fortunata dell’amica e delle persone che stava osservando in mezzo alla strada, quasi alla periferia di Parigi, dove vivevano gran parte delle persone sfortunate. Divenuto un quartiere malfamato e di certo non per persone altolocate o di semplici persone con bei vestiti, come Marinette in quel momento.

Non era una persona altolocata come poteva esserlo Chloé, era una semplice ragazza che non pretendeva troppo dalla vita ma anzi accettava quello che aveva. Essere la figlia di un fornaio non la pesava in alcun modo, grazie a questo riusciva a vedere la semplicità come un dono ma spesso si vedeva più fortunata di altri e credeva fosse dovuto alla quantità di clientela che la pasticceria aveva. Se non avesse avuto tutta quella clientela, forse sarebbe ancora più semplice come altri fornai, senza collaboratori. Come Marinette li chiamava. Non a caso, la sua pasticceria-panetteria era considerata tra le favorite del popolo. Ottima qualità, accessibile a tutti.

Marinette spostò lo sguardo sulla scatola che aveva sulle gambe.

Quanto avrebbe cambiato la vita di Alya? Lo avrebbe migliorato o peggiorato?

Non era più così convinta che fosse una buona idea portarle il vestito a casa.

Ora capiva perché Alya rifiutava sempre i vestiti che le voleva regalare. Perché si sarebbe sentita privilegiata rispetto ad altri, come le aveva detto. Forse rischiava di essere vista in un modo non bello da quelle persone vestite di stracci che la circondavano in quel quartiere.

Era ancora certa di voler avviare una rivoluzione silenziosa tramite i vestiti? Non poteva crearne uno alla volta, e non poteva partire da solo una famiglia. Potevano venire cacciati per invidia.

Immaginò la famiglia Césaire con i bei abiti che avrebbe preparato per ognuno di loro. Vestiti così, andando in giro per il quartiere dove vivevano, con gli occhi di tutti puntati su di loro e magari aggrediti pensando potessero avere qualcosa di prezioso o ricattati perché volevano le stesse cose. Oppure per invidia a causa dell’amicizia nascosta tra Alya e Marinette, pensò che potessero essere cacciati perché si sentivano traditi dalla loro fortuna nell’avere una persona con le possibilità economiche in grado di aiutarli.

No. Non voleva dare loro nessun guaio.

 

Un urlo femminile distolse Marinette dai suoi pensieri e guardò fuori.

Assistette ad una scena che non le piacque per niente e chiese al cocchiere di rallentare, per non dare troppo nell’occhio. Una carrozza che si ferma sulla strada all’improvviso poteva attirare poche belle persone.

Un uomo rozzo schiaffeggiò una donna di colore e la spinse nel fiume, lei urlò, distraendo Marinette che corrugò le sopracciglia. Sentì l’uomo ridere con cattiveria urlandole contro “Ben ti sta, putain!

L’uomo sputò verso la donna in acqua e si allontanò dal piccolo porto e sparì senza scrupoli.

Marinette lo guardò indignata e fermò il cocchiere. Lasciò la scatola sul sedile e uscì dalla carrozza dirigendosi verso il fiume, incurante di essere vista da altri, cui alcuni si sorpresero nel vedere una carrozza e una ragazza così giovane e ben vestita.

 

Marinette scese di fretta alcune scale che portavano a un marciapiede a stretto contatto con il fiume. Si avvicinò al bordo e l’acqua era almeno venti centimetri più basso del marciapiede. Guardò da un lato e l’altro e alla sua destra vide la giovane ragazza che si stava ancora tenendo a stento alle fessure del muro, aggrappata con le unghie ai mattoni per non essere portata via dalla corrente. Era in lacrime e impaurita, non sapeva cosa fare e singhiozzava con la testa contro il muro.

Marinette cercò di attirare la sua attenzione. “Ehi! Signorina! Mi raccomando non lasci la presa.”

La ragazza di colore si sorprese che qualcuno stesse parlando con lei e nel distrarsi allentò la presa. Lo scorrere del fiume provò a portarla via di nuovo e la spostò dal suo punto di alcuni centimetri, per lo spavento si agitò cercando un nuovo appiglio con le mani, afferrando di nuovo con le unghie altre fessure. Arrestando la sua corsa.

“Tu! Cosa vuoi?!”

“Oh! Che modi! Sto cercando di aiutarti!” rispose Marinette.

“E come? Facendomi strascinare dalla corrente? Non ho bisogno di aiuto!” Riprese a piangere. “Merito di morire nel fiume. Ha ragione.”

“Eppure ti stai aggrappando in tutti i modi per poter uscire dalla situazione in cui ti trovi. Quindi non direi che te lo meriti solo perché un villano di poco conto te lo dice. Ora fammi pensare.”

Si guardò attorno e studiò un modo per aiutarla. Non c’era nulla di utile. Guardò l’altra sponda e vide che l’architettura era organizzata nello stesso modo in cui si trovavano. Scale, marciapiede, muro a causa del ponte e poi di nuovo scale, marciapiede. La sequenza era la stessa. “Ma certo!” Marinette si affacciò tenendosi al muro e parlò alla ragazza. “Ho un’idea. Ma ti devi fidare di me. Quando te lo dico, conta fino a venti e poi lascia la presa.”

“Oh che bella idea.” Disse sarcastica. “Da quello che hai detto pensavo che non me lo meritassi.”

“E infatti lo penso ancora e so che lo pensi anche tu, altrimenti saresti alla deriva. Perciò, fidati di me. Appena te lo dico inizia a contare, sarò ad aspettarti più avanti.”

Marinette salì le scale di corsa, mentre la ragazza in acqua si chiese cosa avesse in mente e perché dovesse fidarsi di una ragazza che non conosceva.

Marinette si affacciò dal ponte e la guardò dall’alto con il fiatone “Ora! Inizia a contare!”

La ragazza alzò lo sguardo intravedendola e poi sparì di nuovo. Sospirò e iniziò a contare come le disse. Non sapeva perché, ma le ispirò fiducia.

Marinette correva veloce nelle sue ballerine nere costeggiando il muro, tenendosi la gonna rosa leggermente alzata per non inciampare.

“Diciotto, diciannove, venti.” Pensarono entrambe le ragazze e quella in acqua lasciò la presa lasciandosi trasportare dal fiume.

Il cocchiere rimase a guardare la scena sulla carrozza, tra il meravigliato e il confuso. Decise comunque di seguirla e ripartì, mentre un’altra ragazza di colore che stava passeggiando tranquillamente vide sfrecciare una ragazza dai capelli scuri e una gonna rosa, inseguita da una carrozza. Questa si fermò un attimo pensando “Una carrozza qui?” poi si girò quando la carrozza e la ragazza la superarono. “Aspetta, ma quella carrozza e quella persona mi sono familiari. Dove li ho già visti?” Si grattò la testa e le venne un’illuminazione. “Possibile? Che sia… nah...” Guardò di nuovo.

 

Marinette rallentò la corsa per il fiatone ma doveva farcela. “Mademoiselle, salga. Con dei cavalli sarà più facile correre.” Il cocchiere le offrì la mano, rallentando l’andatura.

Marinette sorrise e salì sulla carrozza vicino al cocchiere. “Presto, dobbiamo arrivare prima dell’altro ponte.”

“E prima della ragazza in acqua, suppongo.” Rispose il cocchiere con un sorriso fiero.

Marinette ricambiò il sorriso con un po’ di imbarazzo.

Tout de suite.” Spronò i due cavalli che corsero facendo ballare la carrozza, per poco non si ribaltava per la strada dissestata e fecero attenzione a non investire le persone che passavano di lì, cui la strada era fortunatamente poco trafficata. Arrivarono a destinazione prima del successivo ponte e il cocchiere arrestò la corsa dei cavalli tirando le redini. I cavalli sbuffarono per la corsa mentre Marinette era saltata giù dalla carrozza poco prima che essa si arrestò del tutto.

Marinette scese le scale di fretta e si inginocchiò al bordo del marciapiede. Si affacciò per vedere dove si trovasse la ragazza e quando la ragazza vide Marinette, il suo cuore era colmo di speranza.

Marinette allungò la mano e la afferrò. Per poco non la trascinò con sé nel fiume, ma resistette e la tirò su aiutandola a salire sul marciapiede. La ragazza boccheggiò cercando ossigeno, essendo affondata più volte e avendo bevuto acqua pur di rimanere a galla e vicino al muretto.

Riprese a piangere stesa sul marciapiede riscaldato dal sole, ma questa volta il suo pianto era di gratitudine e lentamente si sedette accanto a Marinette che la guardò con un grande sorriso, anch’essa seduta.

La ragazza di colore vide i vestiti della sua salvatrice e abbassò la testa. “Mi dispiace averle parlato in quel modo, mia signora.”

Marinette la guardò confusa e un po’ si dispiacque per quel cambio repentino nel modo di parlare, solo perché si rese conto dai vestiti di Marinette che veniva da un altro quartiere.

“Non dispiacerti. E non sono la tua signora. Ti ho vista in difficoltà e ho voluto salvarti.”

“Se posso chiedere, perché avete voluto salvare una persona come me?”

Marinette rimase spiazzata per quella domanda. “Come perché? Perché è giusto. È così che si fa tra persone. Non sei diversa da me, solo perché hai un colore di pelle diverso dal mio. Siamo più simili di quel che pensi. Se ti senti diversa solo perché la società dice che lo sei, allora sono diversa anche io perché non penso allo stesso modo della società.” Sorrise dolcemente.

Notò la guancia rossa della ragazza a causa dello schiaffo e si alzò. Marinette si diresse verso la carrozza, aprì la portiera e dal suolo aprì una piccola botola dove c’era tutto l’occorrente per le emergenze. Prese un vasetto di crema e richiuse il piccolo scompartimento segreto. Lo sguardo cadde sulla scatola azzurra.

Il suo sguardo si addolcì ulteriormente. Prese la scatola e il vasetto e tornò dalla ragazza che nel frattempo si alzò e gocciolò ovunque.

“Prendi queste cose, ti serviranno.”

“Mia signora, non posso accettare. Avete già salvato la mia vita.”

“Insisto. Ti servirà sicuramente un cambio e questo vestito nuovo potrà aiutarti appena toglierai quelli inzuppati che hai addosso. Inoltre penso proprio che sia della tua misura. La crema mettila sulla guancia, toglierà via almeno il dolore e forse anche il rossore.

La ragazza di colore abbassò la testa imbarazzata, portandosi timidamente e tristemente le dita sulla guancia rossa.

“Non pensare a quel villano. Non è un uomo se si comporta in quel modo, qualsiasi sia la ragione.”

“Mi ha chiesto qualcosa che… non mi sentivo di fare...” singhiozzò.

“Ora è tutto finito. Se n’è andato. Ma se mi capita di nuovo sotto gli occhi, ti prometto che verrà arrestato. Non farti carico dell’ignoranza di certe persone. Sii te stessa e ragiona con la tua testa.” Le porse scatola e vasetto e la ragazza li accettò.

Mademoiselle, dobbiamo andare.” Il cocchiere l’avvertì.

Oui. Merci. J’arrive.” Salì le scale.

Merci mademoiselle.” Disse tra le lacrime la ragazza inzuppata.

De rien.” Rispose Marinette chiudendo lo sportello e salutando con la mano dal finestrino.

Il cocchiere fece girare i cavalli guidandoli con le redini e tornarono nelle vicinanze dove tutto ebbe inizio. Si allontanarono troppo dalla casa Césaire.

 

La ragazza di colore che stava passeggiando, si ritrovò di nuovo la stessa carrozza passarle accanto. “Ma cosa…? Di nuovo?”

Poi vide che svoltò in un angolo a lei interessato. “Forse ho ragione...” sogghignò e iniziò a correre.

La carrozza si fermò in una piazza piccola perché non poté proseguire oltre. Così Marinette scese dalla carrozza e iniziò la sua passeggiata verso la casa di Alya.

Durante il percorso vide quanto soffrivano le persone in quel posto e le si strinse il cuore. Se avesse potuto, avrebbe aiutato tutti. Ma non ne era ancora in grado. Non ancora.

Di certo, l’esperienza appena avuta, l’aiutò a riaccendere la voglia di ribellione verso la società altolocata e sarebbe stata dalla loro parte. Dai diritti umani.

Un fischio di adulazione e una successiva risata fecero fremere Marinette e cercò di fare finta di nulla continuando per la sua strada.

“Cosa ci fa una persona del tuo rango da queste parti?”

Marinette non rispose e cercò di alzare il passo. Era quasi vicina alla casa di Alya, ma non voleva di certo portare quell’uomo scomodo da lei.

“Perché non rispondi? Ti credi di essere chissà chi e non merito le tue attenzioni?” per il fastidio, l’uomo grezzo e ubriaco già dal pomeriggio, afferrò il polso di Marinette che si spaventò, ripugnata dall’uomo.

“Lasciatemi!” Disse con tono imperativo.

“Allora la lingua l’avete. Ora merito la vostra attenzione?”

Non finì di parlare che ricevette un pugno improvviso sullo zigomo e lasciò la presa.

Marinette guardò il suo salvatore.

“Certo. Hai tutta la mia attenzione Umbert. E non dovresti toccare una signorina con le tue mani sudice.”

O meglio… salvatrice.

L’uomo sputò per terra. “Guarda chi è arrivata. La paladina delle signorine.”

“Nora!?” Esclamò Marinette con sollievo misto a incredulità.

“Sparisci Umbert. O con il prossimo pugno ti faccio sputare un dente.”

Lui sghignazzò. “Va bene, va bene. Non ne vale la pena con te.”

“Certo. Perché sai che potrei farti male, mentre tu non hai il coraggio di picchiarmi perché sono una donna.”

“Attenta con quella lingua. Prima o poi troverai pane per i tuoi denti.”

“Sarò pronta a sfamarmi se accadrà.” Sogghignò.

Umbert girò al largo barcollando come un ubriaco quale era.

 

“Che ci fai qui?” chiesero a vicenda.

“Io ci vivo. Tu?”

“Ehm, sono venuta per trovare Alya. Doveva passare oggi, ma non l’ho vista.”

“Tranquilla. Ha avuto un contrattempo con le gemelle. Dovrebbe essere ancora a casa con loro. Ti faccio strada.”

“Ricordo dove vivete, anche se ci sono venuta poche volte. E comunque, ti ringrazio per prima, Nora.”

“Figurati. Con certe persone è la lingua giusta da usare. Se no non capiscono altro.”

“Non ti ricordavo così violenta.”

“Non lo sono. Ma è la realtà dei fatti. A volte gli uomini si capiscono meglio a pugni e poi sono sempre stata affascinata da quel mondo. Il mondo del pugilato, intendo.”

Arrivarono a casa Césaire e Nora aprì la porta dando la precedenza a Marinette.

Alya stava rincorrendo le sorelle per casa.

“Oh Nora, sei tornata...” guardò verso la porta. “Marinette?” Alya rimase immobile.

“Bonjour, Alya. Che bella accoglienza.” Ridacchiò Marinette.

“Oh, scusa. Ma non me lo aspettavo proprio. Come mai sei venuta fin qui?”

“Oh beh, non ti ho vista arrivare e mi sono preoccupata. Pensavo ti fosse successo qualcosa nel tornare a casa ieri sera, ma mia madre mi ha detto di aspettare perché forse eri stanca per la serata. Così… ho aspettato… ma ero impaziente di...” pensò un attimo al vestito che le aveva fatto e abbozzò un sorriso.

“Vederti. Volevo vederti per assicurarmi che non fosse accaduto nulla. Ecco. Sì, proprio così.”

“Certo che sei strana a volte. Però ti ringrazio per la tua premura nei miei confronti. Come vedi sto bene e sono impegnata con le gemelle. Non ho potuto mandarti nessuno perché non sapevo se i miei genitori avrebbero fatto in tempo a tornare a casa prima di poter venire da te, ma a quanto pare…” sospirò.

“Potevi mandare Nora” ridacchiò Marinette.

“Cosa? Sai benissimo che non faccio da messaggera a nessuno.” Ribatté la sorella maggiore di Alya.

“Certo. Anche volendo non avrei potuto visto che è da ieri sera che non si fa viva. È tornata proprio adesso, con te. A proposito, perché siete insieme?”

Marinette e Nora si guardarono a vicenda poi Nora spiegò alla sorella. “L’ho vista per caso, poi Umbert si è messo in mezzo e le ha prese.” Rise di gusto.

“Umbert? Ancora quell’ubriaco fradicio gira da queste parti?”

Nora alzò le spalle. “Ora che sono tornata, starà lontano da questo quartiere per un po’ di tempo.”

Marinette ascoltò la conversazione. A quanto pare era una persona che conoscevano.

Alya sospirò. “Scusa Marinette. Appena avrei potuto, ti avrei avvisata.”

“Oh non fa niente. Ora sono qui, se vuoi posso darti una mano con le gemelle.”

“Grandioso! Così non avrai bisogno di me e posso stare fuori ancora un po’.”

“Nora! Non ci provare! È il tuo turno!”

La sorella maggiore alzò le spalle. “Non ti sento...”

“Ah sì? Allora dirò a nostro padre che vai ancora agli incontri...”

“SSH!” Nora le tappò la bocca. Alya la guardò con ricatto e tolse la mano della sorella dalla sua bocca. “Vedila in questo modo, se mi darai il cambio adesso, avrai tutto il tempo dopo per fare quello che vuoi.”

“Questo significa che posso stare fuori anche stasera senza che spifferi tutto?”

“Se sarai in grado di non farti beccare da mamma e papà, rimarrò muta.”

Nora e Alya si strinsero la mano. “Affare fatto. Divertiti con la tua amie, ma non tornare a casa troppo tardi o ti vengo a cercare.”

Alya sorrise e abbracciò le sue sorelle.

“Andiamo Marinette, respiriamo un po’ d’aria. Conosco un posto dove possiamo stare tranquille.”

Casa Césaire conosceva il rapporto di amicizia tra Alya e Marinette e non avevano nulla in contrario, anche se sembrava inusuale. A causa di questo, decisero tutti di tenere nascosta la loro amicizia. Potevano mettere in pericolo entrambe. Così, in luoghi sicuri come le loro case, si comportavano da amiche. Ma all’esterno e davanti alla servitù cercavano di mantenere i loro ruoli di padrona-schiava.

   
 
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