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Autore: Marti Lestrange    28/05/2020    11 recensioni
Quando la tranquillità della Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts viene spezzata da una misteriosa sparizione, l’Auror del Dipartimento Investigativo Teddy Lupin è mandato sul posto a cercare risposte. Ma, mentre l’uomo insegue la verità, le domande aumentano. Lo sfuggente gruppetto capeggiato da Albus Potter e Scorpius Malfoy nasconde qualcosa, un segreto celato tra amici e cugini, e in cui anche l’irreprensibile James Potter è rimasto invischiato. Chi crollerà per primo? Chi finirà per cedere sotto il peso della verità?
[ dal testo: ❝ La notte in cui successe era una notte strana. Su Hogwarts e i suoi prati era sceso il buio, quel buio fitto e pregno di spettri delle notti d’inverno, cariche di presagi e nuvole ammassate come mostri in cieli di piombo e carbone. ❞ ]
Genere: Introspettivo, Romantico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Albus Severus Potter, James Sirius Potter, Rose Weasley, Scorpius Malfoy, Teddy Lupin | Coppie: Rose/Scorpius, Teddy/Victorie
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Nuova generazione
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'GENERATION WHY.'
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Note iniziali: non sappiamo nulla riguardo la sorte di Teddy Lupin, quindi nella mia mente è diventato un Auror (come sua madre ed Harry) e attualmente lavora presso il Dipartimento Investigativo, una sottosezione dell’Ufficio Auror al Ministero della Magia, quindi tutto ciò che riguarda Teddy in questa veste è farina del mio sacco, a parte i dettagli già resi noti dalla Rowling in merito a questa professione.

 




PARTE PRIMA

1.

CAPITOLO UNO


 

Un ticchettio proveniva da molto lontano, da una regione remota dei suoi sogni. All’inizio gli sembrò parte della bolla indefinita di pesante silenzio e colori stroboscopici che gli circondava la testa, e dentro la quale vorticava leggero e senza peso, cullato dalla notte e dal battito ritmato del suo cuore. Quando realizzò che no, non faceva parte di quel vivido sogno che stava vivendo, fatto di un mare cristallino e Victoire stesa accanto a lui in un costume da bagno rosso, e un tenue vento tra i capelli e l’odore di salsedine, Teddy Lupin capì che proveniva fuori da lì, da quella rumorosa e pericolosa e incivile regione chiamata realtà. 

Aprì gli occhi di soprassalto. Il ticchettio era ancora lì ed era ancora più forte, ora che era sveglio. Gli occhi appannati cercarono di abituarsi alla penombra dell’alba di gennaio tutt’intorno nella stanza. Si voltò, allungando la mano sinistra accanto a sé. Il corpo caldo di Victoire era ancora lì, avvolto nel piumone pesante, su e giù con il suo respiro. Teddy alzò leggermente la testa e lo vide: un barbagianni era appollaiato sul davanzale della finestra e, con le unghie della zampa, batteva contro i vetri. Ticchettava

Teddy si passò una mano sulla faccia, e si sentì improvvisamente stanco, ancora prima di iniziare una nuova giornata. Un gufo a quell’ora - erano le sei del mattino, secondo la sveglia poggiata sul comodino - voleva dire soltanto una cosa: un’emergenza. 

Un altro ticchettio, questa volta più insistente, come se il vecchio barbagianni grigio si fosse reso conto di averlo svegliato e volesse invitarlo ad alzare il culo dal letto e andare a prendere quella dannata lettera che teneva legata alla zampa, così sarebbe potuto volare via, di ritorno, e poi fuori per qualche altra consegna. 

Un altro ticchettio ancora più forte fece tremare il vetro della finestra, e così Teddy si alzò, imprecando a denti stretti per non svegliare Victoire, e aprì la finestra quel tanto che bastava per infilare una mano fuori nel geno invernale, afferrare la missiva, e lasciare qualche biscotto gufico al suo amico pennuto - e stronzo. Sentiva di odiarlo, un po’. Forse più di un po’. 

Il barbastronzo volò via e Teddy richiuse la finestra. Sbuffando e quasi inciampando nei jeans che si era tolto la sera prima, si ributtò sul letto e si portò un braccio davanti agli occhi: non era ancora pronto a leggere quello che conteneva il messaggio. 

Sentì Victoire muoversi lentamente al suo fianco, rigirarsi e sfiorargli un polpaccio nudo con il piede. Lui si girò a guardarla. Lei gli sorrideva, gli occhi socchiusi. 

«Tutto okay?» gli chiese, la voce arrochita dal sonno.

Teddy sventolò in aria la lettera a mo’ di risposta. «Il gufo ti ha svegliata. Scusa.» Allungò un braccio e le carezzò una guancia calda. 

«Il gufo? Veramente sei stato tu quando hai deciso di lasciarti cadere a letto come un Erumpent.»

«Ah, sì? Sarei un Erumpent, adesso? Ti faccio vedere.»

Le si buttò addosso di peso, infilando le mani sotto il piumone e cercando la sua pelle nuda solo per farle il solletico, mentre affondava il viso nel suo collo e le depositava una scia di baci giù giù fino alla clavicola scoperta. Victoire rideva e cercava di opporgli resistenza, ma la sua era una battaglia vana, era sempre una battaglia vana. Ben presto cedette e si lasciò baciare, la lingua di Teddy che le si infilava in bocca a cercare la sua, i denti che cozzavano e i corpi mezzi nudi uno addosso all’altro. Teddy infilò una mano sotto la canotta di raso nero che Victoire usava per dormire (e che lui trovava incredibilmente sexy) e le afferrò un seno, stringendo leggermente. A Victoire scappò un gemito e lui le leccò la mandibola, sfilandole poi la canotta dalla testa. 

«Non la leggi, la lettera?» gli chiese lei ansimando mentre la mano di Teddy scendeva sempre più giù. 

«Dopo», rispose lui facendole scivolare via le mutandine. 

Per qualche tempo nessuno dei due parlò, e fecero l’amore quasi con voracità, come capitava loro quasi sempre, quasi a volersi consumare, l’uno dentro l’altra, ancora e ancora, finché l’orgasmo non li liberava da ogni tormento, e ogni paura, e ogni dubbio. 

Dopo, Teddy si accasciò sul letto, il respiro corto. Si scostò i capelli, biondo cenere e ricci, dalla fronte, e sorrise tra sé e sé. «Come abbiamo fatto senza questi risvegli, quando non vivevamo ancora insieme?»

Victoire gli si appollaiò sul petto, i capelli biondi come il grano che la facevano somigliare a un angelo, gli occhioni di cielo aperti e bellissimi che lo guardavano. «Non ne avrò mai abbastanza, credo.»

«Non dirlo a me». Teddy allungò una mano sul comodino e afferrò la lettera. La fissò per un momento e poi la srotolò. 

 

Ti aspetto nel mio ufficio appena puoi. 
È un’emergenza.
Hestia Jones1

 

«Cazzo!» imprecò Teddy. Lasciò cadere la lettera e si alzò di foga dal letto, facendo quasi cadere Victoire. «Cazzo, lo sapevo che era un’emergenza».

«Be’, avresti potuto aprirla prima, invece di…», iniziò lei, ma Teddy la guardò, quasi pregandola, e lei non andò oltre. 

«Grazie, mi sarebbe d’aiuto un po’ di collaborazione, amore.»

La donna si alzò e recuperò una camicia pulita dall’armadio. Gliela passò e Teddy evitò di indugiare sul corpo nudo di lei, flessuoso e bello, ma cercò di concentrarsi invece solo sul lavoro, e sull’uscire di casa il prima possibile. Odiava quando succedeva, e ora si malediceva per essersi distratto con Victoire nella loro sessione giornaliera di sesso mattutino. E non solo mattutino. Teddy scosse la testa e scacciò via quei pensieri, che in quel momento non lo aiutavano. Per niente.

Vestito di tutto punto, la bacchetta in tasca, si lavò i denti e si diede una rapida occhiata nello specchio del bagno: i capelli erano come al solito ingestibili, e in quel momento avevano assunto un colore rossiccio, in linea con il suo umore variabile e nervoso, sotto gli occhi verdi aveva due leggere occhiaie e il colletto della camicia era abbottonato storto. Ottimo, tutto come al solito. 

Victoire gli aveva intanto tostato due fette di pane e gliele passò prima che lui uscisse. Teddy fu felice di constatare che aveva indossato una vestaglia. Brava, Vicky. 

«Prendi un caffè al volo al bar qui dietro, lo abbiamo finito», gli disse riabbottonandogli per bene la camicia. 

Teddy annuì, morsicando con voracità uno dei toast. Si era appena accorto di essere affamato. 

«Scusa per la levataccia», le disse. 

«Tanto il mio turno comincia alle dieci, sta’ tranquillo.» 

«Ah, sì, me lo hai detto ieri sera, scusa.»

«Hai finito di chiedermi scusa? Sì? Bene, ora fila, prima che Hestia ti licenzi.»

Victoire lo baciò sulle labbra e Teddy se la strinse addosso per un momento. «Ti mando un gufo appena so qualcosa, okay?»

La donna annuì. «Io finisco il turno alle dieci di stasera.»

«Te lo dico sempre che lavori troppo. Al San Mungo non c’è nessun altro?»

Victoire scosse la testa. «Senti chi parla.»

Effettivamente, Teddy era quasi sempre fuori, talvolta anche per giorni, impegnato con il suo incarico di Auror del Dipartimento Investigativo. Victoire lavorava al San Mungo già da qualche anno, al Reparto Incidenti da Manufatti2, e faceva dei turni indecenti. 

La sua fidanzata lo baciò un’ultima volta a fior di labbra e lui uscì quasi di corsa dalla piccola casetta a due piani con vista sul canale che avevano affittato a Little Venice, non lontano dal centro di Londra. A poco distanza, si fermò in una caffetteria Babbana, che a quell’ora era relativamente tranquilla, e si fece preparare un caffè lungo da asporto. Ringraziò Bobby, il barista ventenne pieno di tatuaggi e con i capelli tinti di verde, e consumò il caffè quasi interamente lungo il tragitto fino al solito vicoletto, sordido e puzzolente, situato sul retro di un paio di ristoranti, che in quel momento erano ovviamente chiusi. Si nascose dietro una scala antincendio e si Smaterializzò. 

Riapparve lontano da lì, in un vicolo altrettanto sordido e puzzolente del centro città. Buttò il bicchiere di carta ormai vuoto in un cestino traboccante immondizia vecchia e putrida, facendo una smorfia. Si riassettò velocemente il pesante montone che aveva indossato prima di uscire, diretto a passo svelto verso la via trafficata poco più in là. 

Dietro di sé sentì il classico e ben noto pop che annunciava una Materializzazione. Si voltò e riconobbe un certo Smith3, dell’Ufficio Cooperazione Magica Internazionale. 

«Lupin», lo salutò quello sistemandosi la veste da mago. «Sei stato buttato giù dal letto anche tu, vedo.»

Teddy non aveva alcuna voglia di fare conversazione, quel tipo di conversazione di circostanza tra colleghi, seppur di uffici diversi, ma che si conoscono di vista e che si incrociano davanti ad un ascensore o nell’Atrium affollato. Si sforzò di sorridere debolmente a Smith. Non si ricordava nemmeno il suo nome, ora che ci pensava. Forse iniziava con la “zeta”, ma non ne era sicuro. 

Scrollò le spalle. «Già, sarà una lunga giornata.»

«Scusa, amico, vado di fretta», si affrettò ad aggiungere Teddy, e lanciò un saluto con la mano. «Buon lavoro!»

«Buona giornata a te», sentì che gli rispondeva l’altro.

Teddy sbucò finalmente fuori dal vicolo e, a una cinquantina di metri sul marciapiedi affollato, una ringhiera nera con le aste appuntite divideva due rampe di gradini, una con il cartello ‘Signori’, l’altra con il cartello ‘Signore’4

Prese la rampa di sinistra ed entrò in quello che, all’apparenza, era solo un sudicio bagno pubblico, di quelli che ormai nessuno usava più da tempi immemori, pieno zeppo di incantesimi Respingi Babbani. L’interno era stato sistemato, negli ultimi anni, le piastrelle bianche e nere a scacchiera erano pulite, mentre le pareti erano tappezzate con programmi e idee guida lavorative del Ministero, di poster pubblicitari su nuove pozioni e articoli per il Quidditch e manifesti informativi. 

Teddy entrò dentro uno dei cubicoli e si richiuse la porta alle spalle. Inquadrò il viso nello specchio mezzo arrugginito appeso alla parete e si schiarì la gola. I capelli erano di nuovo biondicci. 

«Identificarsi, prego», pronunciò una voce metallica.

«Edward Remus Lupin. Dipartimento Investigativo».

Sullo specchio apparvero delle luci, e il suo viso venne scannerizzato e analizzato e la sua voce decodificata. Quel nuovo, modernissimo sistema di identificazione era stato introdotto solo da un paio d’anni ed era stato fortemente voluto dal nuovo Ministro della Magia, Hermione Granger, in collaborazione con l’Ufficio Auror. Teddy, in quanto membro del Dipartimento Investigativo, non ci aveva lavorato direttamente, ma Harry lo aveva chiamato nel suo ufficio - nell’ufficio del capo dell’Ufficio Applicazione della Legge sulla Magia - e gli aveva chiesto cosa ne pensasse, e Teddy ne era rimasto fortemente lusingato. Harry Potter che chiedeva un parere a lui. Ancora stentava a crederci, nonostante fosse legato al suo padrino da un affetto che somigliava molto a quello tra un padre e un figlio5

«Edward Remus Lupin, Dipartimento Investigativo», annunciò finalmente la voce. «Benvenuto».

Sulla superficie dello specchio apparve il simbolo del Ministero della Magia, una “emme” divisa a metà da una bacchetta, e poi Teddy sentì il famigliare tremolio del pavimento che annunciava la “partenza”. Infatti, di lì a qualche secondo il pavimento si abbassò e Teddy si ritrovò travolto in un vortice scuro, e dentro una specie di scivolo che lo condusse direttamente fuori da un camino, e all’interno del Ministero della Magia. 

L’Atrium a quell’ora era pressoché deserto, a parte qualche mago o strega mattiniero come lui, o i pochi che, reduci da qualche turno di notte, partivano in quel momento dalla fila di camini dorati di fronte a lui, assonnati e stanchi. 

Teddy si avviò a passo svelto in direzione della Fontana dei Cinquanta Caduti, eretta in onore delle vittime della Battaglia di Hogwarts del 1998, e oltre verso gli alti cancelli dorati che delimitavano l’Atrium6. Superò lo strillone che vendeva la Gazzetta del Profeta, che stava facendo Levitare copie del giornale fuori da una grossa sacca nera, depositandole poi su un piccolo carretto a due ruote lì accanto. Solitamente Teddy ne comprava una copia ogni mattina, ma quel giorno tirò dritto. Sentiva già Hestia camminare avanti e indietro nel suo ufficio, che lo aspettava, e forse era già infuriata per il suo ritardo. 

La scrivania della Sorveglianza era stata sostituita da un lungo banco di mogano, abbinato ai pannelli di legno scuro delle pareti, al quale solitamente sedevano due streghe e un mago, ma che a quell’ora ospitava solo una strega, che sorrise a Teddy con entusiasmo.

«Teddy», lo salutò. «Già qui?»

«Megan», ricambiò lui. «Purtroppo sì, Hestia mi aspetta.»

Conosceva Megan Hall dai tempi di Hogwarts e, non troppo modestamente, sapeva che aveva sempre avuto un debole per lui, ed era sicuro lo avesse ancora, ma per lui era esistita sempre e solo Victoire, e non aveva mai guardato nessun’altra in tutta la sua vita. 

«Buona giornata, allora».

Teddy rispose con un «grazie, altrettanto» al volo e si diresse verso gli ascensori che, ogni giorno, conducevano i Ministeriali su e giù per i vari Livelli. Entrò dentro uno di quelli e le griglie dorate si chiusero con un cigolio. Schiacciò il bottone con il numero “2” e attese. Solitamente, durante gli orari di punta, l’ascensore si fermava ad ogni Livello, per permettere al fiume di Ministeriali di scendere e recarsi ai propri uffici sparsi sui vari piani, ma in quel momento c’era solo lui, e ringraziò l’ora, che gli permetteva di sbrigarsela ed evitare ulteriori ritardi. 

Il numero “2” lampeggiò in alto sulla pulsantiera e la voce metallica enunciò: «Secondo Livello, Ufficio Applicazione della Legge sulla Magia, comprendente l’Ufficio per l’Uso Improprio delle Arti Magiche, il Quartier Generale degli Auror e i Servizi Amministrativi Wizengamot7.» Le griglie dorate si aprirono e Teddy si precipitò fuori proprio mentre due Promemoria Interuffici sfrecciavano all’interno della cabina ormai vuota. Abbassò la testa per evitarli e proseguì lungo un corridoio costeggiato da porte chiuse. Girato un angolo, e dopo una porta a doppio battente di solida quercia, sbucò in un open space diviso in postazioni singole, molto simili a dei cubicoli, in quel momento deserto. Una targhetta dorata con la scritta “Quartier Generale degli Auror” troneggiava appesa al muro. 

I cubicoli eran tappezzati dei contenuti più disparati, dalle foto di famiglia a quelle tra vecchi compagni di scuola, da poster delle squadre di Quidditch del cuore a quelli di band musicali, da manifesti Ministeriali ad articoli del Profeta, da relazioni fitte di nomi e luoghi a pergamene di riconoscimenti e titoli accademici e lavorativi. Teddy si diresse al fondo, verso un’apertura ad arco che lo condusse ad un’altra serie di cubicoli, meno numerosi dei precedenti, ed occupati dai membri del Dipartimento Investigativo, una sottodivisione dell’Ufficio Auror che si occupava di indagini e investigazioni di ogni tipo, legate alle Arti Oscure e non, e diretto da Hestia Jones, una tra le streghe più capaci che Teddy avesse mai conosciuto. Individuò Roger Davies8, il suo partner, al fondo, proprio accanto alla porta a vetri del capo-ufficio. Camminava avanti e indietro, una mano sul mento, pensieroso. Lo aspettava. 

Molto probabilmente, Hestia li aveva convocati insieme, e realizzò solo in quel momento che stavano per essere messi di fronte ad un’emergenza, e si chiese di quale emergenza si trattasse, e sperò ardentemente che non fosse nulla di troppo grave, anche se essere chiamati a quell’ora del mattino non prometteva nulla di buono. 

In quel momento, Roger alzò lo sguardo e lo vide. Gli fece segno di muoversi e Teddy lo raggiunse.

«Ci hai messo una vita, per Merlino!» esclamò il suo collega, vestito di tutto punto come sempre, i capelli brizzolati lisciati all’indietro e la cravatta perfettamente annodata. Roger era vicino alla mezza età e aveva più esperienza, e insieme formavano una coppia alquanto stramba, poco amalgamata a vedersi, ma andavano d’accordo e lavorativamente parlando avevano una sintonia fuori dal comune. Sul fronte vita privata, ogni tanto uscivano a bere qualcosa al Paiolo Magico o ai Tre Manici di Scopa, Roger era uno scapolo impenitente e amava troppo la sua indipendenza per avere una relazione stabile o costruirsi una famiglia. Era una delle persone migliori che conoscesse. 

«Scusa, ho avuto un… », esitò Teddy, «… un contrattempo.»

«Meglio se entriamo», disse solo il suo collega, senza fare domande.

«Sai qualcosa di più?»

Roger scosse la testa. «Ho ricevuto un gufo molto presto, so solo che si tratta di un’emergenza.»

Si girò e bussò piano alla porta a vetri, sopra la quale campeggiava la scritta nera “Hestia Jones — Direttrice Dipartimento Investigativo”. Una voce di donna li invitò ad entrare e Teddy seguì Roger all’interno. 

L’ufficio della Direttrice Jones era ordinato come al solito, e di un ordine quasi maniacale: la scrivania in legno lucido ospitava plichi di documenti e pergamene, un porta-piume completo di calamaio, alcune cornici che Teddy sapeva contenevano foto di famiglia, una lampada e un vassoio d’argento, sul quale erano poggiate una teiera e una tazza di vetro. Alle pareti, altre foto di famiglia (due donne, Hestia e la sua compagna Georgia, che stringevano due bambini, un maschio e una femmina, a casa loro oppure al mare, o a Diagon Alley), alcuni poster del Ministero e schedari in legno. Alle spalle della donna, un’ampia finestra incantata riproduceva il centro di Londra, che a quell’ora brulicava già di traffico di automobili e di Babbani frettolosi. 

Hestia Jones sedeva alla sua scrivania, le dita intrecciate, il cipiglio serio. Gli occhi scuri lampeggiavano. «Quale onore, finalmente.»

«Scusa, Hestia, ci hai colti impreparati, stamattina», si scusò Roger prendendo posto su una delle due poltroncine posizionate di fronte alla scrivania e riservate ai visitatori, senza neanche aspettare un invito da parte della donna. 

Teddy richiuse la porta e rimase in piedi, in attesa. Hestia lo guardò e gli indicò la sedia libera. «Non fare il timido, non ti si addice.»

Dopo essersi seduto, Hestia si schiarì la voce e, senza indugiare oltre in convenevoli - non era da lei - affrontò subito il motivo della loro convocazione. 

«Vi sarete chiesti come mai vi abbia chiamati qui in ufficio così presto, e con questo poco preavviso», cominciò, appoggiando la schiena alla sua poltrona e incrociando le mani in grembo. «Stanotte ho ricevuto un gufo. Erano all’incirca le quattro, e posso assicurarvi che non è stato piacevole, se la cosa vi può consolare.»

«Un pochino, devo ammetterlo», rispose Teddy accennando un ghigno, ed Hestia alzò gli occhi al cielo. 

«Era un gufo del Capo Chapman9», aggiunse. 

Teddy alzò le sopracciglia e sentì Roger accanto a sé muoversi nervoso sulla sedia. Eva Chapman era il severissimo Capo dell’Ufficio Auror, e diretta superiore di Hestia. Da lei arrivavano tutti gli incarichi più importanti, tutto ciò che riteneva potesse rientrare nelle competenze del Dipartimento Investigativo. 

«La Chapman ha ricevuto un gufo, ieri sera molto tardi. Un gufo da Hogwarts», precisò.

«Hogwarts?» esclamò Roger accavallando una gamba. 

Hogwarts, pensò Teddy. Cosa poteva essere successo?

Hestia annuì. «Direttamente dalla McGranitt. Sembra che non riescano a trovare uno studente. Lo hanno cercato per tre giorni senza successo, e nessuno sa nulla di certo riguardo il momento della scomparsa, come al solito.»

«È scomparso uno studente?» Teddy era allibito. Era da qualche tempo, ormai, che ad Hogwarts era tutto tranquillo, da quando era successo l’incidente della Giratempo10 e dell’erede di Voldemort nel quale erano stati coinvolti Albus Potter e Scorpius Malfoy. 

«Si chiama Karl Jenkins, Serpeverde del Sesto Anno», spiegò Hestia lanciando verso di loro alcuni fogli, che sembravano formare una sorta di scheda identificativa dello studente, completa di foto (Karl sorrideva beffardo all’obiettivo, ammiccando, il mento alzato; sembrava molto sicuro di sé, e neanche così tanto simpatico, se proprio Teddy avesse dovuto dirla tutta) e dati anagrafici e verbali comportamentali. Teddy lesse che era stato fatto Prefetto l’anno prima, e che aveva ottimi voti in tutte le materie. 

«I suoi compagni hanno dichiarato che, la mattina del 3 gennaio, non era nel suo letto, ma non ci hanno fatto caso perché era solito alzarsi presto. A colazione non c’era, e hanno pensato fosse già sceso, avesse mangiato e si fosse recato in anticipo a lezione. Peccato che non l’abbiano visto né a lezione, né a cena, e così, dopo mangiato, sono andati a riferire alla McGranitt.»

«Hanno cercato Jenkins per qualche ora, e hanno ripreso le ricerche il giorno successivo. Lo hanno cercato per tre giorni interi, fino a quando Minerva ha deciso di scrivere a Eva», concluse Hestia. 

Teddy poteva solo immaginare quanto fosse costato a Minerva McGranitt scrivere quel gufo: la preside non amava le ingerenze del Ministero nella vita della sua scuola, anche se doveva ammettere che il Ministro Granger le lasciava carta bianca, in merito. 

«Come mai non ha scritto direttamente al Ministro?» chiese Roger. «Tutti sanno che la McGranitt è in ottimi rapporti con la sua ex studentessa, e la stessa cosa non si può dire della Chapman.»

«Ha seguito le procedure, immagino», rispose Hestia sorseggiando un po’ di tè dalla sua tazza. «Vi faccio portare qualcosa? Un caffè?»

«Un caffè sarebbe gradito, grazie, Hestia.»

«Anche per me, grazie.» Teddy le sorrise ed Hestia chiamò Emily, la sua assistente, e le chiese di portare due caffè per i suoi Auror. Hestia era severa ma giusta, e trattava i suoi sottoposti sempre con rispetto e gentilezza, unite ad una bacchetta ferma e ad una volontà d’acciaio. 

Aspettarono i caffè e nel mentre lessero il file su Jenkins, nel quale Teddy non trovò nemmeno una sbavatura, una singola crepa o incrinatura che facesse pensare ad un colpo di testa e ad una fuga improvvisa dal castello. Anche in famiglia le cose sembravano andare bene. Si chiese che cosa fosse scattato nella testa di quel ragazzo. 

Emily lasciò due tazze fumanti davanti a loro ed uscì. Teddy sorseggiò piano il liquido bollente e vagamente amaro e posò il fascicolo sulla scrivania, scuotendo la testa. «Non capisco cosa l’abbia spinto a scappare, o comunque a lasciare il castello…»

«E mi chiedo anche come si sia allontanato», aggiunse Roger. «Non gioca a Quidditch, quindi escludiamo subito la scopa. Non ci si può Smaterializzare e Materializzare nei confini del castello e del parco, ma solo a Hogsmeade, e comunque Jenkins è minorenne, non ha ancora seguito il corso e tantomeno sostenuto l’esame. L’unica ipotesi è che qualcuno lo aspettasse al villaggio per poi eseguire una Smaterializzazione Congiunta.»

«Quindi lui sarebbe uscito, magari in piena notte», continuò Teddy, «per recarsi fino ad Hogsmeade, dove se ne sarebbe andato con qualcuno, non si sa chi, per poi sparire nel nulla. Un po’ macchinoso.»

«Ma probabile», aggiunse Hestia. «Potrebbe essere una pista, ma prima non voglio escludere che Jenkins si possa trovare ancora nel parco, magari ferito, senza bacchetta, o prigioniero. Può essersi spinto fin dentro la Foresta Proibita senza il permesso dei Centauri e sappiamo che la cosa li offende, no? Insomma, vorrei che batteste il parco palmo a palmo, e vi scriverò un mandato da consegnare ai Centauri per richiedere un permesso di perquisizione all’interno della Foresta. Non voglio tralasciare niente.»

«Andremo a Hogwarts, quindi?» chiese Teddy, incredulo.

Hestia annuì. «Credo sia la cosa migliore. Siete tra i miei Auror più capaci, e stamattina ho mandato un gufo personale a Minerva dove le promettevo tutto l’aiuto possibile - dove le promettevo i migliori. Voi due.»

Teddy fece un cenno d’assenso, ma dentro di sé non poteva fare a meno di chiedersi se non fosse eccessivo, il dispiegamento di ben due Auror per cercare un sedicenne che, molto probabilmente, aveva solo voglia di fare un po’ il ribelle, decidendo di scappare dal castello per imboscarsi chissà dove e tutto solo per rendersi più interessante agli occhi dei compagni con futuri racconti eroici davanti al fuoco della Sala Comune. 

«Alloggerete ad Hogsmeade, ovviamente, ci sono un paio di camere libere accanto ai Tre Manici di Scopa. Se volete fare un salto a casa per fare i bagagli…» Suonava tanto come un congedo e così i due Auror si alzarono in piedi. Teddy poggiò la tazza del caffè ormai vuota sulla scrivania.

«Mi aspetto rapporti giornalieri», aggiunse Hestia alzandosi in piedi a sua volta. «Mi raccomando, conto su di voi.»

Strinse loro la mano e i due colleghi uscirono dall’ufficio, richiudendosi la porta alle spalle. 

Il Dipartimento aveva cominciato a popolarsi e Teddy sospirò. Si diresse silenziosamente verso la sua postazione, e Roger lo seguì. 

«Ci vediamo a casa tua più tardi, ti basta un’ora per prepararti?» gli chiese il suo collega. 

Teddy annuì. «Sì, sistemo solo alcune cose qui in ufficio, scrivo un gufo al volo a Victoire e corro a casa.»

«Ci vediamo dopo, allora.» Roger gli diede una pacca sulla spalla a mo’ di saluto e si allontanò a passo sostenuto. Salutò alcuni colleghi ma senza fermarsi.

Teddy si sedette alla sua scrivania e aprì un cassetto. Prese della pergamena, afferrò la piuma e si chinò sul foglio. Scrisse due righe a Victoire, dove le diceva che stava per partire per Hogwarts per una missione che riguardava una scomparsa e che si sarebbe fermato fuori a tempo indeterminato. Aggiunse un “ti amo” al fondo e, ripiegata la missiva, se la mise in tasca: l’avrebbe poi spedita al San Mungo con uno dei gufi Ministeriali mentre lasciava l’Atrium. 

L’altro messaggio era diretto a Harry. Era solito informarlo in via confidenziale di tutte le sue missioni, nonostante Eva Chapman fosse comunque sempre tenuta a fare rapporto. Harry si fidava di lui e Teddy era un po’ il suo informatore dall’interno. Gli scrisse un Promemoria con la sua destinazione e lo scopo della sua missione, e promise di tenerlo informato. Spedì il Promemoria e si alzò in piedi. Si passò una mano tra i capelli, cercando di mettere ordine nei suoi pensieri, ma venne interrotto e rimandò l’ordine a più tardi. 

Molly Weasley II11 bussava al suo pannello divisorio e lo osservava con una strana espressione negli occhi azzurri. Teddy le sorrise. «Ciao, Molly.»

«Tutto bene? Hai una faccia strana…» La ragazza fece un passo avanti. 

Teddy aveva sempre considerato Molly come una cugina acquisita, in quanto cugina di primo grado di Victoire. Avevano più o meno la stessa età, ma la ragazza era entrata all’Ufficio Auror da pochi mesi, dopo aver terminato l’addestramento in Accademia. Era stata destinata al Dipartimento Investigativo e a Teddy aveva fatto piacere ritrovare un viso conosciuto. Ora lei lo osservava preoccupata. 

«Sto bene», si affrettò a rispondere lui. «Sto partendo. Per una missione.»

«Oh. Qualcosa di grave?» Molly era sempre stata scrupolosa e precisa, fin dai tempi di Hogwarts. Sarebbe diventata un ottimo Auror, se solo avesse seguito un po’ di più i suoi impulsi e meno la sola, e solida, e logica ragione. Ma aveva ancora tempo. 

«Un problema a Hogwarts, speriamo di risolverlo presto.»

«D’accordo, allora ti lascio andare.»

«Ho scritto un gufo a Victoire, ti scoccia passare da casa, ogni tanto? A volte quando torna dal San Mungo è troppo stanca e si dimentica persino di mangiare. E in questi giorni Dominique è fuori città, altrimenti chiederei a lei…»

«Certo, non ti preoccupare», lo rassicurò Molly annuendo, pratica. «Salutami Hogwarts.»

Teddy le sorrise. «Lo farò.»
 



Note:

1. Hestia Jones: siccome non ci sono informazioni dettagliate sulla sorte di Hestia al termine della Guerra, ho pensato che potesse aver fatto carriera e quindi l’ho inserita a capo del Dipartimento Investigativo
2. Reparto Incidenti da Manufatti: al San Mungo, dove lavora Victoire; dettaglio di mia invenzione
3. Smith: è proprio Zacharias Smith
4. Una ringhiera nera con le aste appuntite divideva due rampe di gradini, una con il cartello ‘Signori’, l’altra con il cartello ‘Signore’: tratto da “Harry Potter e i Doni della Morte” di JK Rowling
5. Per quanto riguarda Harry ed Hermione, mi sono attenuta a quanto è stato detto e scritto su di loro, quindi Harry è il capo dell’Ufficio Applicazione della Legge sulla Magia, mentre Hermione è diventata Ministro della Magia dopo Kingsley Shacklebolt; il nuovo sistema identificavo per accedere al Ministero e voluto da Hermione è invece di mia invenzione
6. Atrium: sono dell’idea che la Fontana dei Magici Fratelli sia stata rimpiazzata da qualcosa di meno razzista, quindi ho inventato la Fontana dei Cinquanta Caduti, eretta per celebrare e ricordare i caduti della Battaglia di Hogwarts; lo strillone che vende il Profeta è una mia invenzione
7. Secondo Livello, Ufficio Applicazione della Legge sulla Magia, comprendente l’Ufficio per l’Uso Improprio delle Arti Magiche, il Quartier Generale degli Auror e i Servizi Amministrativi Wizengamot: tratto da “Harry Potter e l’Ordine della Fenice” di JK Rowling
8. Roger Davies: nella mia mente, diventa Auror e finisce a lavorare in coppia con Teddy, proprio come due detective
9. Eva Chapman: personaggio di mia invenzione, e madre di Polly Chapman, studentessa di Hogwarts; ho pensato che la donna fosse subentrata come capo Ufficio Auror dopo la promozione di Harry
10. Incidente della Giratempo: uno dei pochissimi riferimenti a “The Cursed Child” presenti nella storia, utile per dare un’idea dei trascorsi “movimentati” di Albus e Scorpius; non è necessario aver letto l’opera teatrale per seguire questa storia, comunque, anche perché i miei Albus e Scorpius avranno caratterizzazioni diverse
11. Molly Weasley II: ho immaginato Molly già fuori da Hogwarts, e quindi perché non inserirla nel Dipartimento Investigativo come Auror appena diplomata all’Accademia?

 

Come avrete notato, nel capitolo sono presenti alcuni dettagli tipicamente “Babbani”, come i jeans e il montone di Teddy, l’andare al bar a prendere un caffè, e forse ho dimenticato qualcosa, perdonatemi, ma sono dettagli volutamente inseriti perché ho sempre pensato fosse un po’… come dire… arcaico (e ridicolo), andare in giro con la veste da mago (rido XD), per cui ho anche pensato che, con il passare degli anni, i tempi siano mutati e anche i maghi si siano in qualche modo “aggiornati” e “modernizzati”, soprattutto i più giovani, come Teddy e Victoire, appunto, e che abbiano diciamo “abbracciato” alcune consuetudini e abitudini tipicamente Babbane. In ogni caso, niente cellulari o smartphone, state tranquilli XD

 

Se siete arrivati fin qui, grazie mille, e grazie a chi ha recensito il prologo e a chi ha messo questa storia tra le seguite/preferite ♥︎ alla prossima settimana!

 
   
 
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