- Autore:
Dike_Nike
Titolo: Just a mistake
Oggetti: Mantello – Pennello -Spada
Rating: Giallo
Genere: Fantasy – Malinconico – Sentimentale, vagamente!
Avvertimenti: One-shot – Shounen-ai
Introduzione: Lui non si apparteneva in quel momento. I suoi sentimenti era certo corrispondessero a quelli dei due sconosciuti. Il suo corpo voleva muoversi e raggiungere Yevor. Abbracciarlo e dirgli che lo amava, che lo voleva. - Note dell'Autore: Questa storia è nata in cinque diverse versioni. Questa è l’ultima e anche quella che ho deciso di proporre. Spero che la storia si comprenda dato che in poche righe ho spiegato qualcosa che è assolutamente fantasy.
- Partecipante
al contest I
tre oggetti (Magical tales II^ edizione)
- JUST
A MISTAKE
- Il
ragazzo
lanciò un grido acuto. Tremante si gettò fuori
dalle coperte, strisciando come
un miserabile fino alla parete.
- Lì
si fermò.
Toccò la carta da parati ed i polpastrelli avvertirono il
rilievo degli
aeroplani decorativi.
- -Cosa
volete?-
chiese in un urlo strozzato, gli occhi verdi sgranati e le labbra
strette per
impedirsi di strillare oltre.
- La
risposta dei
due uomini venne attraverso il loro solenne avanzare.
- Keith
sussultò.
Fece leva sulle gambe e sperò di indietreggiare ancora.
Tentativo che dal
principio sapeva essere vano.
- Osservò
le due
figure. Le ombre lunghe sul pavimento e i mantelli a coprire
interamente corpo
e capo. Il ragazzo udì il frusciò della stoffa
sul parquet. La sentì strisciare
sinuosa. Un suono che non presagiva nulla di piacevole.
- Alle
loro spalle
era ancora aperto il varco di luce bianca. Un ovale che Keith aveva
visto
comparire nel pieno della notte. Se fosse stato qualche attimo
più svelto
sarebbe riuscito a lasciare la stanza prima che i due incappucciati
facessero
la loro comparsa.
- Ma
era andata
diversamente. I suoi sensi non erano stati tanto acuti da permettere la
fuga.
- Uno
dei due
uomini fece roteare qualcosa in aria con movimenti sciolti e il
passaggio alle
sue spalle svanì.
- Keith
si spinse
ulteriormente contro la parete, spostandosi alla ricerca di un angolo
all’apparenza più sicuro.
- -Ha
paura-
sussurrò uno degli sconosciuti, perdendo la facciata
impassibile. La schiena si
flesse e il cappuccio scomparve quando l’uomo si
passò una mano sul capo.
Lunghi capelli ramati gli ricaddero sulle spalle. Si
affrettò a legarli in una
coda impeccabile, denotando una certa abitudine nel compiere quel gesto.
- Keith
sgranò gli
occhi ed emise un rantolio strozzato, portandosi le ginocchia al petto.
Un’azione infantile che fece sorridere il giovane Ricurvo. Le
labbra rosee e
sottili si inarcarono nell’oscurità e la testa
venne inclinata appena, alla
ricerca di una nuova e più interessante angolazione.
- -Sei
così
carino- sussurrò, passandosi una mano sul mantello azzurro,
come a voler
sistemare le pieghe irregolari della stoffa.
- Keith,
nonostante il terrore, comprese che lo sguardo del ragazzo celava una
vena di
dolcezza inadatta alla situazione. Una parvenza di affetto paterno. Lo
squadrava quasi fosse un figlio da amare e accudire. La sua creazione
più
bella.
- Ne
fu
spaventato. Piegò la testa e la nascose fra le gambe.
Strinse forte gli occhi
alla ricerca del buio. Forse una volta riaperti quei due sarebbero
svaniti
dalla sua vista.
- Pregò
che fosse
così. Che la comparsa di quegl’uomini non fosse
altro che un pessimo scherzo
dell’immaginazione sin troppo fervida.
- -Starà
piangendo?-
sussurrò il Ricurvo.
- Keith
lo poté
sentire chiaramente, seguito dal fruscio della stoffa che, strisciando
sul
parquet, si faceva sempre più vicino.
- Il
bambino
implorò aiuto. Chiese perdono per gli errori commessi e si
ripromise di non far
arrabbiare più i suoi genitori. L’importante era
che qualcuno lo tirasse fuori
da quella situazione terrificante.
- Fu
un attimo ed
il fruscio svanì, come se qualcuno avesse udito le sue
suppliche e deciso di
dare una mano a quel giovane impotente.
- Sollevò
piano il
capo, gli occhi ancora chiusi e le labbra serrate.
- Un’ultima
preghiera, la speranza di vedere la stanza nuovamente vuota, prima di
aprire
gli occhi e lasciarsi avvolgere dal tenue bagliore della luce notturna.
- Deglutì
sonoramente e spostò lo sguardo per trovare i due uomini in
piedi accanto al suo
letto.
- -Forse
dovremmo
spiegare, Leiver- sentì mormorare il Ricurvo.
- L’altro
emise un
segno di dissenso che venne snobbato dal compagno.
- Keith
sentì il
cigolio delle molle sotto il peso del Ricurvo. Istintivamente si
schiacciò
contro il muro, quasi sperasse di esserne inglobato.
- -Lo
vedi-
continuò con gentilezza, voltandosi ad osservare il compagno
che non si era
ancora scomposto –Ci assomiglia così tanto. Non
possiamo farlo. Forse è meglio
cercare di nasconderlo agli altri e…-
- -Smettila,
Yevor!-
- Fu
la prima
volta che l’uomo parlò.
- Kaith
si stupì
di quanto la voce differisse da quella del suo compagno. Era scura e
bassa.
Fredda e tagliente come non ne aveva mai udite. Per quanto volesse
trovarvi qualcosa
di umano non ne fu in grado e quello lo spaventò
più di quanto già non fosse.
- Il
Ricurvo lo sentì
gemere e d’istinto si voltò a guardarlo. Keith
poté vedere le linee del suo
volto che sottolineavano stanchezza. Sembrava aver passato attimi di
atroce
dolore, talmente acuto da segnare il suo sguardo con profonde occhiaie
e rughe
d’espressione precoci.
- -Smettila
di
dire idiozie. Quell’essere non assomiglia a nessuno,
è inutile che tu ti
convinca di certe sciocchezze e ne soffra- Leiver parlò con
voce pacata.
- Yevor
sollevò lo
sguardo e si piegò ulteriormente, scrutando sotto il
cappuccio del mantello il
volto del compagno. Sorrise tristemente e non si permise di vacillare.
- -Se
tu pensi sia
giusto, faremo come desideri- disse.
- Le
molle del
letto cigolarono ancora una volta, mentre il peso di Yevor veniva a
mancare sul
materasso.
- Si
sollevò in
piedi, la schiena nuovamente dritta e Keith notò che
superava di qualche
centimetro l’altro.
- -Faremo
come
desideri- ripeté. La voce piatta, mentre si sporgeva e
sollevava le braccia per
circondare le spalle di Leiver e stringerlo con forza.
Affondò la testa sulla
sua spalla, baciando la stoffa del mantello con le labbra. Produsse un
lieve
schiocco che risuonò nel silenzio e venne presto dimenticato.
- -Ti
amo-
sussurrò.
- Se
Keith non
fosse stato attento non lo avrebbe sentito, tanto la voce del rosso si
era
abbassata. Parole destinate a Leiver. Soltanto a lui.
- L’altro
non
rispose. Non ricambiò l’abbraccio.
- Fu
Yevor a
sollevare il braccio e a passare la mano sul suo capo, facendo
scomparire anche
il cappuccio di lui. I capelli corti e neri vennero intrappolati fra le
dita del
Ricurvo, che erano scese dietro la nuca ad accarezzare la cute
sensibile.
- Fu
un attimo, in
cui Keith perse la lucidità. Vide il Ricurvo abbassarsi
appena per incontrare
le labbra dell’altro. Il respiro aveva accelerato e le
palpebre si erano abbassate.
- In
un tocco che
non produsse suoni i due si baciarono. Yevor aveva in mano la
situazione.
Mordicchiava il labbro inferiore dell’altro e ci giocava con
divertito
interesse. Lo stringeva appena fra le sue per poi lasciarlo andare. Un
tocco
che nulla aveva di passionale, ma che sembrava bastare per saziare i
corpi
degli amanti.
- Keith
li
guardava sgomento. Mai si sarebbe aspettato simili gesti. Aveva visto
quei baci
solo nei film e non ne era mai rimasto tanto colpito come in quel
momento.
- Era
come se
avvertisse i sentimenti contrastanti che invadevano mente e cuore dei
due
sconosciuti. Sentiva le loro emozioni. Le percepiva nel petto, come se
tentassero di aprirgli la cassa toracica.
- Poi
una piccola
sfera di luce bianca nacque dal torace di entrambi. Fluttuò
nell’aria, dinnanzi
allo sguardo stupefatto di Keith che non era più tanto certo
di essere sveglio.
- La
vide
avvicinarsi a lui barcollando. Si muoveva lentamente e in modo
scomposto,
scendendo di quota per poi risalire, fino a quando non gli fu di fronte.
- Si
fermò per
qualche istante davanti al suo volto. Lui non smise di guardarla,
neanche
quando con un movimento più rapido dei precedenti
andò a posarsi sulle sue
labbra e scomparve.
- Keith
sussultò e
si sollevò in piedi. Il corpo percosso da una scarica
elettrica e la voglia di
gridare espellendo tutta l’aria nei polmoni. Era come se
fosse stato svuotato
di ogni sentimento che gli appartenesse. Niente più paura o
stupore, voglia di
scappare e di sapere.
- Lui
non si
apparteneva in quel momento. I suoi sentimenti era certo
corrispondessero a
quelli dei due sconosciuti. Il suo corpo voleva muoversi e raggiungere
Yevor.
Abbracciarlo e dirgli che lo amava, che lo voleva.
- Ma
si trattenne.
Lo fece per rispetto e per timore di errare. Così si
limitò ad urlare. Si prese
la testa fra le mani e spinse con forza le dita sulle tempie. Voleva
allontanare ogni pensiero, ogni desiderio, ogni emozione che sapeva non
essere
sua.
- -E’
ora- disse Leiver.
- Keith
riuscì a
sentirlo appena. Fra le urla ed il desiderio incessante di voler
tornare se
stesso aveva perso contatto con la realtà. In quel momento
avrebbero potuto
fare di lui ciò che più desideravano.
- -Non
voglio
fargli del male.-
- -Lo
farai. E’ la
nostra vita in cambio della sua esistenza, la decisione da prendere
è più che
chiara- fu la risposta tagliente, seguita dal fruscio della stoffa.
- Leiver
si
avvicinò al ragazzino. Gli afferrò le braccia e
lo costrinse a guardarlo. Fece
tutto con lentezza e senza l’utilizzo della forza, sfruttando
l’attuale
impotenza del bambino.
- -Leiver-
un
ultimo tentativo, mentre si accostava al compagno e con lo sguardo
smeraldo gli
implorava di attendere.
- -Cosa
vuoi
ancora?-
- -Spieghiamogli
almeno.-
- -Non
sono tenuto
a informarlo di nulla.-
- -Ma
è la sua
esistenza, Leiver, gliela stiamo per portare via senza motivo.-
- Si
guardarono
per qualche attimo. Gli occhi di uno che lasciavano trapelare un
fastidio
crescente, quelli dell’altro che imploravano altro tempo.
- Fu
un ‘Tsk’
stizzito quello che determinò la vittoria di Yevor.
- Il
ragazzo sorrise
senza reale gioia. Un’ultima occhiata al volto pallido di
Leiver per poi
riportare l’attenzione sul bambino e afferrargli le mani in
una presa delicata
che voleva infondere un’inutile sicurezza.
- -Keith-
lo
chiamò.
- Il
ragazzino non
rispose. Reclinò maggiormente il capo e cercò di
nasconderlo contro il petto. I
corti capelli marroni ricaddero sul volto e nascosero gli occhi
arrossati.
- -Keith-
ancora
un tentativo che si perse nello scorrere del tempo.
- Non
ottenne
risposta, Yevor, e fu costretto a parlare. Leiver non gli avrebbe dato
molto
altro tempo.
- -Keith,
sai che
noi siamo viaggiatori del tempo? Siamo coloro che determinano il
susseguirsi
degli eventi, che regolano passato e futuro- disse tutto d’un
fiato. Non era
certo che il ragazzino avesse capito, né, tantomeno, che
stesse seguendo il suo
discorso –Siamo venuti qui per te. Perché siamo
stati io e Leiver a crearti
facendo qualcosa che non dovevamo-
- Il
bambino
mugugnò, segno che stava ascoltando e che forse voleva
sapere qualcosa in più.
- Yevor
sorrise
mestamente e aumentò la stretta alle gracili mani.
- -Sei
come nostro
figlio. Solo un figlio che non doveva esserci. Sei nato in questa forma
circa
duemila ore fa, quando io e Leiver abbiamo…- Yevor si
fermò. Guardò la testolina
castana di Keith e decise di cambiare strada –Insomma, io e
Leiver ci siamo
voluti un po’ troppo bene ed i sentimenti non sono ammessi
per noi viaggiatori
del tempo. Abbiamo commesso un peccato che ci è costato la
tua nascita. Hai
preso questa forma e assunto ricordi che non ti appartengono. Tu non
saresti
dovuto esistere, Keith-
- Nel
pronunciare
quelle parole un groppo gli ostruì la gola, si
sentì soffocare perché lui non
vedeva quel bambino come uno sbaglio. Pensare che dal suo amore per
Leiver era nato
qualcosa di tanto grazioso non poteva che renderlo felice.
- -Keith-
ripeté
quel nome come una nenia. Non vi impresse sentimento nel farlo. Si
limitò ad un
suono meccanico, più roco di quanto avrebbe voluto essere
–Dobbiamo ucciderti-
- Il
bambino non
si mosse. Non sollevò il volto. Non parlò, non
subito almeno.
- Quella
situazione aveva dell’incredibile. Era assurdo pensare che
quello non fosse uno
scherzo di pessimo gusto. Nessuno gli aveva mai parlato di viaggiatori
del
tempo, quelli erano esseri che vivevano solo nella sua fantasia e in
quella di
milioni di altre persone.
- -La
sfera di luce
bianca…?- riuscì a sussurrare. Se doveva morire
sul serio a causa di qualcosa
che andava oltre l’umana comprensione, lo avrebbe fatto dopo
che tutto sarebbe
stato spiegato correttamente.
- -Quella
era la
passione- rispose Yevor incerto, mentre spostava le mani ad afferrare
il
bambino sotto le ascelle per sollevarlo –Ogni volta che io e
Leiver ci
tocchiamo pensando ad un sentimento che va oltre la reciproca
indifferenza una
piccola parte del nostro io si stacca dal corpo e si aggiunge al tuo.
Tu sei un
agglomerato di luci bianche, un insieme di desideri carnali
inappropriati-
riuscì a dire, posando il corpo di Keith sul letto e
lasciandolo immobile.
- -Tienilo
fermo-
ordinò Leiver, mentre da sotto il mantello estraeva un
pennello dalla punta
sottile e lo posava sulla fronte di Keith.
- Il
ragazzino
chiuse gli occhi e strinse forte le palpebre. Respirò
profondamente e si disse
che quello era un sogno, un sogno assurdo che la mattina sarebbe
scomparso.
- -Mi
dispiace- fu
il sussurro di Yevor.
- Il
pennello
tracciò delle linee scure sul suo volto. Dei segni creati
apparentemente a
caso, con una fluidità di movimenti che aveva qualcosa di
magico.
- Leiver
sollevò
con grazia il pennello dal volto niveo del bambino. Non si
lasciò sfuggire
alcun sospiro o gemito di tristezza.
- -Devi
colpire
fra gli occhi, così lui svanirà senza conseguenze
per entrambi-
- Keith
tremò
appena, immobilizzato dalle braccia di Yevor. Le lacrime salirono agli
occhi e
non riuscì a trattenerle. Con la vista appannata
osservò la figura austera e
giovanile di Leiver. Il pennello che teneva in mano gli pareva uno
strumento di
estrema tortura. Come sarebbe potuto essere altrimenti? Dopotutto
avrebbe
determinato la sua morte.
- -Perché?
Perché?- chiese con voce strozzata. Ora osservava Yevor, il
cui volto era
deformato da una tristezza dilaniante che mal celava nelle guance
scarne e
nelle labbra grinzose.
- -Mi
dispiace. Se
si accorgessero di ciò che abbiamo fatto, se ti
trovassero…- fece una lunga
pausa, scandita da respiri profondi e singhiozzi trattenuti
–noi saremmo
condannati alla morte-.
- Keith
scoppiò in
lacrime. Non trattenne oltre il dolore e la tristezza provati. Una
sofferenza
che solo in quel momento, compreso che per lui non c’era
speranza, aveva deciso
di farsi viva in ogni sua diabolica sfaccettatura. Lui aveva sentito
l’amore di
Yevor. Aveva sentito l’amore di Leiver. E aveva compreso.
Compreso che entrambi
mettevano al primo posto sempre l’altro. Se ucciderlo
significava salvarsi lo
avrebbero fatto per il bene del loro amore.
- -Ci
dispiace-
gemette Yevor, mentre lasciava che le mani di Leiver andassero a
stringere le
sue braccia, trattenendolo.
- Lo
vide muoversi
lentamente, afferrare il pennello che il compagno aveva lasciato sul
letto e
stringerlo fra le mani con una forza che avrebbe spezzato in due del
legno
comune.
- Fece
scorrere i
polpastrelli sulle setole, scendendo poi a sfiorare
l’impugnatura laccata che
si illuminò, tramutandosi.
- Al
posto del
pennello era comparsa una spada di luce rossa. Non sembrava avere
consistenza e
Keith si chiese se avrebbe potuto nuocergli davvero.
- La
risposta
arrivò seguita da un dolore dilaniante. Dalla sensazione del
corpo che viene
squarciato in due.
- Un
urlo
strozzato e pochi istanti, inadatti per comprendere che la fine era
arrivata
davvero.
- Yevor
strozzò in
gola un gemito di puro orrore, mentre uccideva colui che considerava
suo
figlio. La lama rossa attraversò il volto del bambino,
colpendolo precisamente
in mezzo agli occhi. Affondò fino a quando questi non
urlò e scomparve dalla
sua vista. Un insieme di sfere luminose che tornarono ai loro originari
possessori.
- -E’
per il tuo
bene- urlò rivolto ad un impassibile Leiver che sembrava non
aver risentito
affatto della perdita.
- Si
chiese cosa
amasse tanto in quell’uomo dall’aria impassibile e
sguardo feroce.
- Non
ebbe tempo
di trovare risposta. Gli occhi di Leiver lo richiamarono. Un nero
così lucente
e profondo che implorava perdono, una richiesta che Yevor sarebbe
riuscito ad
esaudire sin troppo facilmente.
- Il
pensiero che
con quel gesto ogni cosa era conclusa gli fece male più
della morte di Keith
stesso. Non dovevano più baciarsi, fare l’amore,
sfiorarsi altrimenti un nuovo
bambino sarebbe nato e Yevor sarebbe stato costretto ad ucciderlo
ancora una
volta.
- Guardò
il letto
vuoto e si pulì le guance da lacrime troppo umane.
- -Andiamo
a casa-
furono le ultime parole di Leiver che sfilò il pennello
dalle mani dell’altro e
lo utilizzò per tracciare un cerchio nell’aria. Il
varco di luce che li aveva
portati in quella stanza si era riaperto, decretando la definitiva
conclusione
di quell’esperienza dilaniante.
- Leiver
vi saltò
dentro. Non si fermò a guardare Yevor e non
indugiò pensando a Keith. Voleva
dimenticare. Cancellare tutto ciò che era stato e continuare
il suo lavoro.
Regolare il tempo, era nato per quello e si ripromise che nulla lo
avrebbe più
distratto dal portare a termine quella mansione.
- Né
Yevor.
- Né
suo figlio.
- ***
- Note
dell’autrice: Questa storia ha
raggiunto risultati che non mi aspettavo. E’ la prima, dopo
tanto tempo, che
richiede l’utilizzo delle mie energie psichiche per giungere
alla fine in
maniera decente (che non ritengo, tuttavia soddisfacente).
- Essendo
il primo contest con più di 2
partecipanti a cui mi iscrivo, avevo già preso in
considerazione l’idea di
raggiungere una posizione inferiore. E’ stata davvero una
sorpresa quella
ricevuta, soprattutto conoscendo l’abilità di
scrittura delle altre
partecipanti che stimo moltissimo.
- Grazie
a Niobe88 per aver indetto il
contest e a chi è riuscito a raggiungere la fine di questa
assurda storia.
Grazie di cuore.
- Dike