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Autore: SaraFantasy98    29/05/2020    0 recensioni
Tra gli alberi secolari della Foresta di Boundary, che tutti nel piccolo villaggio omonimo temono, è custodito un segreto.
Un segreto capace di rubare il cuore e i sogni a chiunque arrivi a scoprirlo, un segreto che è lì da sempre, ma che nel corso dei millenni è stato protetto a dovere: nessuno infatti lo conosce, almeno in questo mondo.
Emma e Jeremy, due gemelli rimasti orfani pochi mesi dopo la nascita, vengono inconsapevolmente attirati verso quel luogo tanto affascinante quanto misterioso. Ciò che ancora non sanno è che la foresta, assieme a ciò che contiene, potrebbe finalmente svelare l'enigma che da sempre circonda la storia della loro nascita, la vera storia dei loro genitori. Storia a cui entrambi cadranno dentro, inesorabilmente.
Genere: Fantasy, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Emma
 
La prima immagine della Città della Notte che mi si presenta davanti è completamente sfocata: i miei occhi infatti sono pieni lacrime trattenute, lacrime che premono tanto da far male e che a stento mi fanno deglutire per via del nodo in gola che non accenna a lasciarmi tregua.
Siamo arrivati ormai alla fine del sentiero: davanti a noi si stagliano le mura che circondano Yakamoz, in pietra grezza ricoperta da muschio profumato; saranno alte circa sei o sette metri, ornate sulla sommità da merli perfettamente squadrati e simmetrici. Proprio di fronte a me un’apertura sormontata da un arco di pietra permette l’ingresso in città.
Dopo essermi assicurata che i ragazzi siano ancora alle mie spalle, una decina di metri più indietro, mi appresto ad oltrepassare l’apertura e a immergermi tra le strade della città in cui sono nata.
Per un attimo cerco di mettere da parte il pensiero delle parole di Axel, che ancora sento rimbombare nella testa, per provare a godermi appieno la vista di Yakamoz; mi strofino così gli occhi con le mani, respiro profondamente e inizio a guardarmi intorno.
Gli edifici sono costruiti in pietra come le mura, un susseguirsi non simmetrico ma decisamente armonico di graziose casette una diversa dall’altra, ma sempre nello stesso stile che ricorda molto quello medievale del Mondo di Fuori.
Ognuna ha la sua torretta dal tetto appuntito oppure un’altana sostenuta da eleganti colonnine bianche, finestre a sesto acuto circondate da cornici di mattoni rossi con tende ricamate che ne nascondono l’interno; balconcini in legno, scale rampanti e affreschi geometrici blu e bianchi ornano molti dei muri esterni, impreziosendo ulteriormente le abitazioni della Gente della Notte assieme a piante rampicanti di edera e gelsomino.
Le strade, se così si possono chiamare, sono lastricate con grandi pietre scure levigate, distanziate l’una dall’altra dall’erba che si è fatta strada tra di esse. Alcune delle costruzioni più grandi possiedono alte torri con grandi orologi dalle lancette in ferro sulla cima, visibili da tutti, perfettamente funzionanti e sincronizzati uno con l’altro.
Ogni piazzetta è impreziosita da antiche fontane, pozzi di pietra, grandi alberi o statue di personaggi che naturalmente non riconosco, ma tutte dal volto e dall’atteggiamento schivo e misterioso. Alcune case, le più belle e imponenti, sono circondate da eleganti ringhiere in ferro battuto, dietro alle quali splendidi giardini ne nascondono parzialmente l’aspetto.
Non c’è molta gente in giro, ma i pochi che vedo sembrano aggirarsi come pallidi spettri tra le vie di questa città dal sapore antico, misterioso e sfuggente. Alcuni sembrano vagare senza una vera meta, altri si avvicinano silenziosamente alle botteghe o alle bancherelle che vendono stoffe raffinate, strane ampolle contenenti non so quali intrugli e bellissime pietre preziose e minerali di ogni forma, colore e dimensione.
«Bella signorina, vuole provare alcuni gioielli? Le pietre vengono dalle grotte sotto le montagne, le ho raccolte io stesso!» tenta di attirarmi verso la sua mercanzia un anziano ma furbo venditore, vestito di una lunga tunica rossa, avendo evidentemente notato il mio volto meravigliato nel vedere oggetti così belli.
Prima di potergli rispondere negativamente, però, mi sento chiamare:
«Emma, sbrigati!» grida Jeremy, e io mi volto appena in tempo per vedere Axel tirargli una discreta gomitata e lanciargli un’occhiata truce. Subito mi muovo per raggiungerli, ma la voce del venditore mi costringe nuovamente a rivolgergli la mia attenzione:
«Emma, che nome singolare! Sicuramente non originario di Yakamoz...» 
«Mi scusi, devo andare», lo congedo il più in fretta possibile allontanandomi a passo svelto, comprendendo improvvisamente il perché del gesto di Axel.
Dobbiamo stare attenti con i nostri nomi qui: la Gente della Notte porta i nomi delle stelle così come la Gente del Giorno quello di erbe, piante e fiori; Emma e Jeremy di certo non appartengono a nessuna delle due categorie.
“Aspetta, neppure Axel corrisponde ad una delle categorie”, penso, ma mi sono già guastata a sufficienza la giornata a causa sua per aumentare ancora di più il mio malumore, dunque decido di chiudere questa nuova deduzione in un cassetto della mia mente per riprenderla in mano in un altro momento.
Quando raggiungo i ragazzi Axel sta ancora sgridando Jeremy per aver urlato il mio nome ai quattro venti.
«Scusami, Axel, non ci ho pensato!» si difende Jeremy sbuffando e incrociando le braccia, facendomi provare un moto d’affetto nei suoi confronti e sorridere, anche se debolmente.
Poco dopo entriamo in una piazza più grande e imponente delle altre: subito mi rendo conto che l’edificio che spicca maggiormente tra quelli che vi si affacciano deve essere il palazzo di Yakamoz, casa di Alhena e di Deneb prima di lei, luogo che ha assistito alla nascita mia e del mio gemello.
A differenza del palazzo di Komorebi, che si trova in posizione rialzata e periferica rispetto al resto della città, sul fianco di una collina, questo si trova invece in pieno centro, anche se isolato dalle altre abitazioni da un muretto in pietra che delimita il perimetro del giardino che lo circonda: un piccolo viale alberato conduce all’edificio, che spicca certamente sia per grandezza che per bellezza.
Lo stile richiama quello delle altre abitazioni delle città, fuorché il tetto: sulla cima del palazzo infatti sorgono numerose e grandi cupole di vetro, senza strutture metalliche a sorreggerle; sembrano quasi bolle di sapone appena posate a terra in procinto di scoppiare.
A presidiare l’ingresso al viale alberato ci sono due giovani uomini vestiti in modo molto simile alle guardie della Città del Giorno, ma in blu: guardie di Yakamoz, suppongo. Non appena ci scorgono ci vengono incontro lentamente, senza dare troppo nell’occhio.
«Vi stavamo aspettando, di Fuori. La Guardiana Alhena vuole vedervi», sentenzia il primo, un ragazzo di circa vent’anni alto e spigoloso, dai profondi occhi neri.
«Come sapete che siamo proprio noi quelli che cercate?» chiede Jeremy mentre un sopracciglio gli scatta verso l’alto.
«Stavamo aspettando due gemelli biondi e molto somiglianti tra loro accompagnati da un Notturno: mi sembra che voi corrispondiate abbastanza bene alla descrizione», interviene la seconda guardia, più bassa e robusta della prima, in tono decisamente più freddo e lanciando un’occhiata di sottecchi ad Axel.
«Vacci piano, Castore, sono ospiti! A noi i di Fuori non hanno mai fatto alcun male», lo rimprovera subito il collega, sorridendoci.
«Seguitemi», continua poi incamminandosi oltre il cancello del muretto di confine.
Nonostante io cerchi di trattenermi, mentre ci incamminiamo verso il palazzo non riesco a fare a meno di voltarmi verso il Notturno accanto a me, quello che fino a poco tempo fa avrei chiamato “il mio salvatore”.
Mi sento spinta da un istinto quasi incontrollabile, come se i miei occhi bramassero di guardarlo ancora, perché da troppo tempo privati della vista di quel volto.
Senza rendermene conto mi ritrovo ad accarezzare con lo sguardo il profilo perfetto del suo viso, trattenendo il respiro, indugiando e perdendomi in ogni dettaglio, eclissandomi da tutto il resto: i riccioli neri che gli ricadono sulla fronte chiara e che lui continua a scacciare indietro nervosamente, come fa spesso, l’arco ben definito del sopracciglio, gli occhi più luminosi delle stelle che si guardano attorno con attenzione e quelle labbra di cui ora conosco così bene il sapore...
E quando lui si volta facendo scontrare i nostri sguardi, in quell’attimo sento il mio cuore saltare un battito e qualcosa trafiggermi il petto: una fitta bruciante che mi fa girare la testa e tremare la terra sotto ai piedi, mentre ogni cosa fuorché l’immagine di lui perde i suoi contorni.
In una qualunque altra situazione avrei distolto di scatto lo sguardo, vergognandomi di essere stata colta in flagrante, ma in questo momento non ce la faccio, sono completamente bloccata mentre mi sento arrossire fino alla punta delle orecchie e buttare fuori tutta l’aria trattenuta, cercando miseramente di far trasparire il meno possibile all’esterno la confusione generatami dalla strana e avvolgente sensazione che provo: come se una potente energia mi avesse invaso lo stomaco per poi continuare a  risalire fino al cuore per poi tornare ancora giù, togliendomi il respiro.
«Emma, stai bene?» mi chiede Axel dolcemente rallentando il passo, mentre una ruga di preoccupazione gli si disegna sulla fronte; il resto del gruppo avanza lasciandoci di un po’ indietro.
A questo punto riesco a distogliere lo sguardo, ancora scossa, confusa e per niente lucida.
«No... io non sto bene...» sussurro.
A queste parole il mio Axel si blocca, facendo fermare anche a me prendendomi per le spalle e facendomi voltare verso di lui, senza forse rendersi conto dei brividi che mi sta procurando a causa di questo nuovo e improvviso contatto.
«Emma, ti prego... So che hai tutte le ragioni per essere arrabbiata con me, ma ti supplico, non stare male per colpa mia, non riuscirei a sopportarlo! Perdonami per non averti detto niente, perdonami! È che sai... non sono più abituato a condividere i miei pensieri, i miei piani con qualcuno», dice guardandomi con un’intensità travolgente, facendo vibrare dentro di me corde di cui mai prima d’ora avrei sospettato l’esistenza.
“Come posso non stare male, Axel?” penso.
“Come posso dal momento che l’unica cosa che voglio in questo momento è stringermi a te il più possibile, sentire le tue braccia avvolgermi come questa mattina e ieri sera... Come posso stare bene quando non desidero altro che te, ma tu non me lo permetti?”
«Emma, dì qualcosa... Cominci a spaventarmi!»
«Axel...» riesco finalmente a dire coprendo le sue mani ancora su di me con le mie:
«Non ce la faccio ad essere arrabbiata con te, non ci riesco. Anzi, ti chiedo perdono: arrivando qui ho pensato solo a me stessa e al fatto di quanto mi avessero ferito le tue parole, senza riflettere su come ti devi sentire tu nel tornare qui dopo tanto tempo, dove tutto è successo, dove hai perso tutti coloro che amavi, dove Alhena non ti vuole»,  dico a bassa voce per non far sentire le mie parole alle guardie che ci stanno aspettando, assieme a Jeremy, in prossimità del portone d’ingresso del palazzo.
«Io sto bene, Emma, davvero! Non devi preoccuparti per me, io...» inizia Axel.
«Mi preoccupo invece e lo farò sempre», lo interrompo arrossendo un po’, ancora col fiato corto e le gambe molli, ma guardandolo con decisione.
«Possiamo tornare ad essere quelli di prima, due persone simili che si sono incontrate in un momento di bisogno e che ora si stimano e aiutano a vicenda. Non voglio perderti anche come amico, Axel. Non allontanarmi», insisto, avendo appena compreso che ormai i fatti sono questi: voglio Axel nella mia vita, in un modo o in un altro. Nel modo in cui lui vorrà.
«Non ho mai avuto intenzione di farlo, Emma. Tu sei la mia salvezza, non potrei mai e poi mai tagliarti fuori dalla mia vita! Non posso più farlo ormai, perché non voglio farlo!» afferma con voce incrinata e gli occhi lucidi fissati dentro i miei.
«Solo che...» esita.
«Solo che non possiamo fare parte della vita uno dell’altra in quel modo», concludo io fingendomi serena, nascondendo il peso sul cuore che mi causano simili parole.
«Va bene, Axel, non c’è problema. Fingiamo che quei due episodi non si siano mai verificati e ricominciamo, ci stai?» continuo cercando di sorridere e di sembrare convincente, stringendo con maggiore intensità le sue mani.
«Certo», conferma lui sorridendo a sua volta: un sorriso che però coinvolge solo le labbra, un sorriso che non arriva ad illuminargli gli occhi.
 
***
 
L’interno del palazzo di Yakamoz è stupefacente: camminando per raggiungere il salone nel quale ci sta aspettando Alhena percorriamo stanze e alti corridoi dai soffitti a volta gotica, scalinate di marmo, balaustre dalle ringhiere di ferro.
Le pareti e le colonne dai capitelli finemente decorati sono in pietra grigio-chiara e lucida, i pavimenti in marmo più scuro, quasi nero. Ci sono mobili intarsiati in legno, soffitti affrescati di lapislazzulo e decorati con schemi di costellazioni e fasi lunari e arazzi blu notte.
Ciò che però risulta davvero incredibile sono le numerose sale circolari sormontate dalle cupole di vetro, talmente trasparenti da risultare invisibili: l’effetto è quello di stare in ambienti scoperchiati, senza soffitto.
“Per guardare le stelle direttamente da casa”, penso estremamente meravigliata guardando in alto verso il cielo grigiastro.
A differenza del palazzo della Città del Giorno qui tutto è caratterizzato da corridoi dritti, pareti perpendicolari ai soffitti ed angoli ben definiti, da forme geometriche perfette per quanto sinuose ed elaborate, da un ordine e una simmetria quasi maniacale: un paradosso, conoscendo a grandi linee il carattere di entrambe le Genti.
La Gente del Giorno è pragmatica, concreta, realistica, ferma fino al feticismo sulle proprie posizioni, timorosa nei confronti di tutto ciò che sa di non poter comprendere con la razionalità, ma nonostante questo il palazzo del loro Guardiano è ciò che di meno razionale possa esistere.
Il palazzo di Yakamoz è invece un inno di proporzioni e armonia, un luogo dove tutto è lì dove dovrebbe essere, un luogo dove non si riuscirebbe a perdersi neanche immersi nel buio più impenetrabile: e questo nonostante il fatto che la Gente della Notte viva di istinto, passione, pulsioni dettate dal cuore e dall’anima piuttosto che dalla mente, nonostante essa si senta a proprio agio solo se protetta dalle ombre, da ciò che non si riesce ad afferrare al primo sguardo.
Evidentemente, nonostante lo neghino, anche i Diurni hanno bisogno del loro caos quotidiano, mentre i Notturni si fanno bastare quello che sperimentano nel buio della notte, dove niente è mai davvero come sembra.
Finalmente anche l’ultima porta a doppia anta si apre davanti a noi: subito entriamo in una stanza con ampie finestre a sesto acuto lungo tutto il perimetro, incorniciate da pesanti tende di velluto blu impreziosite da arzigogolati arabeschi dorati.
Accanto ad un camino di pietra sta in piedi una ragazza: la prima cosa che noto di lei è lo sguardo risoluto e sicuro di sé che ostenta, gli occhi grandi e nerissimi fissati su di noi.
Dimostra all’incirca tre o quattro anni più di me e Jeremy, è alta e molto magra, fasciata da un bellissimo abito al ginocchio color pervinca; lunghi capelli castano scuro e mossi le incorniciano il viso, mentre la bocca è piegata in un sorriso soddisfatto.
«Vi devo fare i miei complimenti, di Fuori! Non è da tutti riuscire a sfuggire alle guardie di Komorebi all’interno del loro stesso palazzo e farla franca. Ottimo lavoro, grazie a voi mi sono goduta una gran bella soddisfazione quando Anthemis è stata costretta a rivelarmi ciò che era accaduto!» dice dopo averci studiati per alcuni istanti.
«Mia Signora, sono lieto di fare la vostra conoscenza,» dice Axel facendo un passo avanti.
È teso più che mai, lo vedo chiaramente: teme che nonostante l’incantesimo Alhena possa riconoscerlo. Nonostante questo, però, mi stupisco di quanto riesca a sembrare convincente.
«Mi chiamo Axel e sono un Notturno che vive fuori città», continua lui provocando un moto di perplessità sia in me che in mio fratello.
“Perché non mente anche sul suo nome? Alhena potrebbe fare due più due!” penso, ma subito mi torna in mente il fatto che prima di scappare da Komorebi ho gridato forte il suo nome, ho gridato “Axel”: non può inventarsene un altro adesso. Spero davvero tanto che esista una stella a me ignota che chiamata Axel, cosicché Alhena non si insospettisca troppo. Purtroppo, pare che non sia così.
«Axel... Posso chiederti perché non porti uno dei nostri nomi tradizionali? Semplice curiosità!» dice la Guardiana inarcando un sopracciglio, ma sempre in tono amichevole.
Voltandomi verso Jeremy noto che è diventato estremamente pallido.
«Ero un mezzosangue, dunque i miei genitori mi diedero un nome neutrale come accade quasi sempre in certi casi. Il giorno del rito, a sedici anni, preferii non assumerne uno nuovo. Ero affezionato a quello vecchio», spiega Axel senza battere ciglio, facendomi domandare quanto ci sia di vero in questa storia.
«Comprendo, e sono felice che tu abbia scelto la notte, Axel», risponde Alhena tranquillamente. Grazie a Dio non sospetta nulla.
«Se Anthemis è già stata qui saprete già ciò che è accaduto», continua lui con voce ferma.
«Speravamo di trovare aiuto e protezione da parte vostra, mia Signora: questi ragazzi sono stati strappati per sempre al loro mondo, non meritano di essere anche privati della libertà.»
«Sei furbo, ragazzo. Hai aspettato un giorno intero prima di portarli qui per non finire dritti nelle grinfie delle guardie del giorno. Hai fatto bene i tuoi conti, se ne sono già andate, così come Anthemis, che è voluta venire di persona a chiedermi di restituirvi a lei quando sareste arrivati», dice la Guardiana con un sorriso furbetto sul viso.
«E voi cosa le avete risposto?» chiede Axel mantenendo la tranquillità, mentre io e il mio gemello tratteniamo il respiro.
«Ho risposto che è Komorebi ad avere problemi personali con i di Fuori, non Yakamoz, e che se foste venuti qui sareste stati miei graditi ospiti. Siete sotto la mia protezione adesso», afferma convinta mentre io e Jeremy veniamo investiti dal sollievo.
«Mia Signora, vi siamo infinitamente grati!» dico mentre tre paia di occhi si puntano su di me.
«Ma posso chiedervi perché lo fate?» continuo non riuscendo a trattenermi.
«Per un reale desiderio di aiutarci o per fare un torto alla Gente del Giorno?»
«Per entrambe le cose, ragazza. Per entrambe le cose», risponde lei.
 
***
 
Mi trovo nella camera assegnatami da Alhena, sola con me stessa per la prima volta dopo non so quanto tempo. Dopo esserci presentati alla Guardiana, questa ci ha accompagnato nelle stanze che aveva già predisposto affinché ci accogliessero: saremo suoi ospiti finché le acque non si placheranno, così ha detto.
Appena sola mi sono fatta un bagno e cambiata i vestiti, indossando quelli che Alhena aveva fatto preparare per me precedentemente, poi mi sono immediatamente infilata sotto alle coperte per riposarmi davvero dopo le intense emozioni e le lunghe camminate di questi ultimi giorni.
Dopo un sonno agitato durato qualche ora, sono rimasta sdraiata a fissare il soffitto e a far viaggiare la mente.
Non riesco a smettere di pensare ad Axel: ogni volta che chiudo gli occhi il suo viso mi compare davanti, nitido sotto le palpebre, come se il suo ritratto vi fosse stato marchiato col fuoco.
E ogni volta, nei recessi più profondi di me, qualcosa si torce dolorosamente mozzandomi il respiro. Vorrei che lui fosse qui in questo momento, vorrei che venisse da me e mi parlasse, che mi guardasse come faceva prima di sapere chi sono davvero... La figlia dei suoi migliori amici.
“Ma ormai non è più possibile, lui l’ha messo subito bene in chiaro”, penso mentre un nodo mi si forma in gola e due grosse lacrime salate mi sgorgano dagli occhi nonostante i miei sforzi per trattenerle.
Incapace di reggere oltre comincio a singhiozzare cercando di fare il minor rumore possibile, affondando il viso nel cuscino e raggomitolandomi su me stessa mentre forti spasmi mi scuotono il petto e gli occhi cominciano a bruciare terribilmente.
Io, Emma Baker, sto piangendo per un ragazzo.
Quante volte nel corso della mia vita precedente ho sognato il momento in cui sarebbe successo, il momento in cui qualcuno sarebbe arrivato e avrebbe spazzato via tutte le mie resistenze, tutte le mie paure di espormi così tanto nei confronti un'altra persona?
Ogni volta che ci pensavo immaginavo che sarebbe stato tutto bellissimo, che sarei stata davvero felice, che tutto sarebbe stato semplice. Poi quella persona è arrivata, certo, ma subito mi è stata tolta brutalmente senza che io potessi fare nulla per impedirlo, lasciandomi ferita e triste invece che sprizzante gioia come una qualunque ragazza innamorata. “Perché proprio a me?” mi chiedo. A me, che aspetto questo momento da un sacco di tempo.
Aspetta, ho davvero pensato “ragazza innamorata”?
I miei pensieri e i miei singhiozzi vengono interrotti da un rumore alla porta: qualcuno sta bussando. Con la voce più ferma che riesco a trovare dico di aspettare un attimo, anche se l’effetto è quello di una cornacchia a cui hanno pestato la coda.
Velocemente cerco di darmi un contegno: mi alzo, tolgo la vestaglia, indosso un abito azzurro chiaro e mi sciacquo il viso, poi prendo un respiro profondo e apro la porta.
Axel se ne sta davanti a me in una posizione rigida e imbarazzata, le braccia dietro alla schiena e un lieve rossore sugli zigomi. Il mio cuore fa una capriola: non mi sarei mai aspettata di trovarmelo davanti alla porta della mia stanza.
«Axel...» sussurro dopo qualche istante, pietrificata, per la prima volta imbarazzata nel parlare con lui.
Lui apre la bocca per dire qualcosa, ma poi la richiude senza emettere suono, lo sguardo preoccupato che scorre sul mio viso; forse voleva chiedermi il motivo delle mie lacrime, i segni del pianto sul mio viso infatti sono ancora ben visibili, ma evidentemente ha cambiato idea: probabilmente pensa di non essere più nella posizione per poter farmi domande così personali.
Mi sta allontanando, proprio quello che gli avevo scongiurato di non fare. “Meglio così”, tento di consolarmi: non avrei saputo cosa rispondergli altrimenti.
Mi accorgo solo ora che anche lui si è cambiato gli abiti: ora ne indossa di più eleganti e raffinati che gli stanno una meraviglia.
«Emma... Posso entrare per favore?» chiede lui spezzando l’imbarazzante silenzio in cui eravamo immersi da un po’. Io annuisco e apro di più la porta, scostandomi per farlo passare.
Una volta dentro Axel si guarda attorno, poi riporta l’attenzione su di me.
«Allora, ti piace Yakamoz? Ti trovi bene qui?» chiede.
«Sì, la città e il palazzo sono meravigliosi e la camera accogliente», rispondo a disagio:
avere il ragazzo per cui piangevo fino a qualche minuto fa qui dentro mi manda completamente in confusione.
«Sei riuscita a riposare un po’?» continua lui.
«Oh sì, ho dormito un paio d’ore. E tu?»
«Sì, anche io.»
«Avevi ragione comunque: Alhena ci ha aiutati senza indugio. Come lo sapevi?» gli domando per tentare di rendere l’atmosfera meno tesa e strana, dal momento che lui sembra non avere intenzione di dire altro.  Axel sembra pensarci un attimo prima di rispondere.
«Mio padre ha servito Deneb per moltissimi anni, io stesso conoscevo bene l’ex Guardiano. So come ragionano le persone che hanno tra le mani potere e responsabilità: non è difficile prevedere le loro mosse se si hanno presenti le condizioni in cui essi si trovano a lavorare e, a grandi linee, anche il loro carattere», dice poi sorridendo un poco.
«Sei bravo a mentire, Axel: Alhena non si è resa conto di nulla, non si è accorta di conoscerti già», affermo.
Evidentemente ho toccato un punto sensibile, un nervo scoperto, perché subito lui si rabbuia e distoglie lo sguardo da me.
«Non lo faccio mai a cuor leggero, Emma. Mai. Mento solo se è necessario farlo, solo se serve per proteggere qualcuno a cui tengo molto o se è fondamentale per poter fare poi la cosa giusta, ma vorrei non doverlo fare mai.»
«Certo, non l’ho mai messo in dubbio,» rispondo subito, «intendevo dire che senza di te noi ci saremmo fatti beccare subito, quindi grazie.»
I tratti del suo viso si addolciscono a queste mie parole e gli occhi ambrati tornano ad illuminarsi di più mentre un ricciolo scuro gli ricade sulla fronte.
“Dio, è così bello...” penso arrossendo.
E la sento di nuovo, quella spinta che mi attira verso di lui come se io fossi una falena e lui una lanterna nella notte, il desiderio irrefrenabile di...  Sospiro.
Non so neppure io di cosa, forse semplicemente di lui, ma so di non poterlo fare, dunque rimango ferma al mio posto mentre un fuoco mai provato prima mi consuma dall’interno.
«Axel,» dico invece, «cosa c’è di vero nella storia che hai raccontato ad Alhena, quella sul tuo nome? Eri davvero un mezzosangue?» gli chiedo.
«Sì, quella parte era vera, ero un mezzosangue. Mia madre era una Diurna, ma non l’ho mai conosciuta: ha abbandonato me e mio padre appena dopo la mia nascita», mi confessa lui.
«Mi dispiace tanto, Axel, so quanto sia dura crescere senza un genitore. Io stessa non ho mai conosciuto i miei e, anche se i nonni non ci hanno mai fatto mancare nulla, ho sofferto comunque tantissimo per questo, come anche Jeremy.»
«Grazie, Emma, so che tu mi capisci come nessun altro potrebbe mai fare.»
«Bene,» cambio discorso io, «allora, dove pensi che sia lo scrigno?»
   
 
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