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Autore: Sayami    30/05/2020    1 recensioni
"-La vita non è fatta per essere semplice, Laney, non lo è per nessuno. Ma se non provi, se non fallisci, se non cadi e ti rialzi dieci, cento, mille volte, puoi dire davvero di aver vissuto?
Laney esitò per un breve intervallo, valutò, soppesò la dichiarazione di Samuel con la massima cura, infine rispose: -No, credo di no."

Laney odia il mondo. Letteralmente. Misantropa, remissiva e un tantino paranoica, si chiede spesso quale sia stato il momento esatto in cui la sua vita ha preso la piega sbagliata, portandola a crollare sull'ultimo gradino della scala sociale: quello degli emarginati. Mentre le sue giornate procedono monotone, tra una sistematica opera di autodemolizione e il penoso tentativo di sopravvivere all'ultimo anno di liceo, in città fa ritorno Samuel, cugino della sua migliore - nonché unica - amica. Niente di eccezionale, non foss'altro che il nuovo arrivato, oltre a essere un tipo bizzarro, è anche un grandissimo impiccione! Così, tra situazioni paradossali, equivoci, incontri-scontri e un piano infallibile per realizzare tutti i sogni, Laney e Samuel scopriranno pensieri e sensazioni che credevano di aver sepolto tempo prima, insieme a un'ultima solenne promessa.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Parte Seconda: Dove Nasce Una Speranza

"Che giorno è?
Di quale mese?
Mai questo orologio mi è sembrato
così vivo.
Non riesco a stargli dietro
o a tirarmi indietro;
ho perso tanto di quel tempo...
Perché siamo io, te
e tutti gli altri che
non hanno niente da fare,
e niente da perdere.
E siamo io, te
e tutti gli altri.
E io non capisco
per quale motivo
non riesco a smettere
di guardarti."

 

2.1

Ma il cambiamento era più facile a dirsi che a farsi, e alla mattina della domenica il cuore di Laney si era già riempito di dubbi.
Aveva promesso, certo, ma sarebbe stata in grado di tenere fede al suo impegno? Cosa avrebbe fatto in caso contrario?
I ricordi erano come mosche fastidiose: immagini di braccia avvolte intorno a lei, di occhi negli occhi e di sorrisi che volteggiavano nella sua mente, scomodi e imbarazzanti.
Come le era saltato in mente di gettarsi dalla finestra per andare a picchiarlo? Perché diamine aveva fatto mignolino?
Eppure lui l'aveva accettata. Con tutta la sua goffaggine, la sua inettitudine e la sua assurda follia, lui aveva giurato che non l'avrebbe lasciata sola. Mai più.
Laney sentì il respiro venirle meno. Sommersa da questi e altri pensieri, continuò a rotolarsi come un bozzolo nel piumone del letto, fin quando non la raggiunse la voce di sua madre, dal piano inferiore.
-Laney!- chiamò. -Svegliati! C'è Samuel alla porta!-
Con un salto, Laney fu in piedi e fuori dalle coperte. Che ci faceva Samuel alla porta di casa sua?!
"Lo prometto. Da ora sarà tutto diverso."
Maledicendosi mentalmente, Laney cercò di darsi un tono.
-Lo faccio salire?!- gridò sua madre.
-NO!- rispose lei, la voce così roca da far spavento.
Si lanciò sull'armadio alla disperata ricerca di qualcosa da mettere, ma non appena scorse il proprio riflesso nello specchio a muro si congelò. Era orribile. In cima alla testa aveva un nido di rondini, i suoi occhi si erano tramutati in due gonfie palle da biliardo e il suo pigiama con i maialini azzurri di certo non sdrammatizzava la situazione. Samuel non poteva incontrarla in quello stato. Nemmeno per sogno.
Pensò di andare in bagno a sciacquarsi il viso, ma così lui l'avrebbe vista dall'ingresso. Quindi rimase impalata dove si trovava, in attesa, come sempre, che la soluzione piovesse dal cielo.
E la soluzione arrivò. Ma non era quella che Laney avrebbe auspicato.
-Laney, Samuel sta salendo!- annunciò sua madre.
-COSA?!- Aveva i palmi delle mani gelidi e sudati. -No, no, non può!-
Udì i passi di lui sulle scale e poi nel corridoio, e il cuore le finì in gola. Così, fece la prima cosa che le venne in mente: ignorando il disordine imperante, la sua tenuta tutt'altro che presentabile e ogni altro disturbante pensiero, balzò di nuovo sul letto e si tirò le coperte fin sopra alle punte dei capelli. Poi tacque. Non una parola, non un sospiro. E, dopo istanti interminabili di attesa, Samuel entrò nella sua camera. -Laney?- chiamò.
Lei non rispose. Strizzò gli occhi e cercò di rimanere immobile. Forse, credendola addormentata, se ne sarebbe andato, giusto? Ma Samuel non era tipo da lasciar perdere, e Laney lo sapeva bene. Di colpo, il ragazzo accese la luce. -Avanti, è ora di alzarsi- disse.
Laney gli scagliò contro una lunga serie silenziosa di anatemi, ma non si mosse. Attese ancora, ma non udì alcunché. Forse Samuel era rimasto tanto disgustato da quella topaia, che aveva già deciso di fare dietrofront?
Sopraffatta dalla curiosità, Laney scostò un lembo del lenzuolo, il tanto che bastò per sbirciare. Vide le spalle di Samuel coperte da una grossa felpa nera, e il suo profilo mascolino. Era in piedi a pochi passi da lei, tra le scarpe e i calzini disseminati a terra come mine esplosive. Stava osservando i bozzetti dei suoi vestiti. La sua stanza, in questo senso, era un gigantesco archivio: i disegni tappezzavano le pareti, penzolavano dalle mensole, affollavano la scrivania in pile asimmetriche e pericolanti.
Laney trascorreva giornate intere a inventarne di nuovi, diversi, assurdi ed eccentrici. Ritagliava zelante pagine e pagine di riviste di moda, spulciava migliaia di siti internet in cerca di informazioni utili a nutrire il flusso inesauribile di idee che le sgorgava da dentro.
Vedeva forme, tagli e colori mentre mangiava, mentre camminava e perfino mentre dormiva. Quegli schizzi erano la cosa più preziosa che aveva al mondo, il suo posto felice.
Il terrore si impossessò di lei, più graffiante di qualsiasi altra paura mai provata prima, quando Samuel alzò una mano e fece per prenderne uno. Si trattava di un modello da sera, un lungo vestito verde giada con un vertiginoso spacco laterale e un corpetto tempestato di brillanti. Lo aveva immaginato di seta, con lo strascico per metà ricamato di pizzo, e magari qualche strato di tulle per aggiungere volume. Per tracciare le linee si era servita di elaborati criteri geometrici che potessero slanciare la figura e avvolgerla al contempo. Aveva impiegato mesi per perfezionarlo.
"Non toccarlo."
Ma non fece in tempo a uscire dal suo nascondiglio, che Samuel l'aveva già afferrato. E se sulle prime Laney si sentì ribollire di rabbia per quell'affronto, in seguito si accorse che le mani e gli occhi di Samuel erano gentili e delicati sulla sua arte, tanto da farla sentire al sicuro. Samuel poteva entrare nel suo posto felice. Perché l'avrebbe protetto, non distrutto.
"Non sei sola. Non lo sarai mai più."
Ormai era uscita allo scoperto. Era seduta sul materasso, le lenzuola sulle cosce, scarmigliata e impresentabile. Ma Laney non ci badò più.
Samuel si voltò. La frangia gli ricadeva a ciocche irregolari sulla fronte, e aveva le labbra secche. Era la prima volta che lo vedeva da Halloween, e nel realizzarlo il suo stomaco si annodò.
-Questi li hai fatti tu?- le chiese lui. Come immaginava, era sorpreso, ma non dal suo aspetto tremendo.
In imbarazzo, Laney si morse la lingua e chinò il capo in segno di assenso.
-Ti piace la moda? Vuoi fare la stilista?-
Non c'era scherno nella sua voce, ma Laney non riuscì comunque a controllarsi. -Ha importanza?- rimbeccò, forse un po' troppo dura.
Ma la risposta era sì. Sì, adorava la moda, sì, avrebbe voluto con ogni fibra del suo essere fare la stilista, sì, avrebbe dato qualunque cosa per diventarlo. Però sapeva che era impossibile, perché lei non avrebbe mai potuto aspirare a tanto. Una come Laney Barnes. La piccola, stupida, inutile Laney Barnes.
-Ha un'importanza cruciale- disse all'improvviso il ragazzo, prendendola in contropiede. -È la cosa più importante che ci sia.-
Laney lo guardò. Samuel era mortalmente serio, e nel suo sguardo c'era una luce fervida e tagliente. Un battito d'ali, un guizzo nel petto. Pensò al balcone, ai fuochi d'artificio e ai suoi occhi allungati nel buio.
"Prometti?"
"Lo prometto."
Un brivido le corse lungo la schiena. -Che ci fai qui?-
In risposta, lui sorrise. -Sono venuto ad assicurarmi che i buoni propositi siano ben saldi dentro di te.- Detto questo, ripose con cura il bozzetto al suo posto. -Verresti con me, stamattina? Voglio mostrarti una cosa.-
Laney lo osservò incerta. Non sapeva che diamine avesse in testa quel ragazzo, né per quale motivo fosse così determinato a starle accanto. Ma se c'era una cosa che sapeva, era che non voleva che tutto questo finisse.
-Va bene- acconsentì, alzandosi una volta per tutte dal suo amato giaciglio. -Andiamo.-
Samuel annuì e fece per uscire dalla stanza. -Ti aspetto di sotto- disse. Ma, un secondo prima di chiudersi la porta alle spalle, mise su un ghigno divertito e la squadrò da capo a piedi. -Carini i maialini, comunque.-



Laney aveva i nervi a fior di pelle. Cercava sempre di fare la parte della persona matura, e non le riusciva mai granché. Non poteva negare di avercela con Samuel per il commento sul suo splendido pigiama, ma di certo non gli avrebbe dato la soddisfazione di darlo a vedere.
Per cui se ne stava seduta sul sedile in fondo al bus, lo sguardo fisso sul paesaggio cittadino che scorreva fuori dal finestrino, dandosi un'aria di distaccata imperturbabilità.
Tuttavia Samuel, seduto al suo fianco, sembrava aver capito ogni cosa e continuava a ridacchiare sotto ai baffi. Si decise a scusarsi solo alla fine della corsa. L'autobus si avvicinava all'ennesima fermata, quando lui si alzò col grosso zaino che aveva sulle spalle. -Mi dispiace se te la sei presa, ma il tuo pigiama era davvero molto carino- le disse.
Laney si voltò e lo osservò nel modo più indifferente di cui fosse capace. Era in abbigliamento sportivo, eppure, in qualche modo, riusciva a sembrare sempre alla moda. -Non me la sono presa- ribatté piccata.
Il ragazzo le indicò con la testa le porte del mezzo. -Dobbiamo scendere.-
Sbuffando, Laney si tirò in piedi e lo seguì. Una volta in strada, riconobbe subito la zona: erano a Sporthings, proprio davanti al Palazzetto che dava il nome al quartiere. Insieme alla riviera, era l'orgoglio di Tiny Town, e non ospitava solo gli sportivi del luogo ma anche gli aspiranti atleti delle cittadine limitrofe. Si trattava di un imponente cilindro intonacato di bianco, mitragliato a piani alterni da finestrelle nere e profonde. Il maestoso ingresso principale si fregiava di una scritta gotica con lettere dorate: "AD MAIORA SEMPER".
Al suo cospetto, Laney si sentì piccola e sciocca. -Che ci facciamo qui?-
-In questi anni ho fatto un sogno. Voglio mostrartelo- le rispose Samuel, criptico.
Laney attese ulteriori delucidazioni, ma lui non gliene diede. Al contrario, la prese per un braccio e la trascinò all'interno dell'edificio.
Laney, che non aveva mai praticato altri sport se non quelli proposti dal loro comprensorio, una volta all'accoglienza rimase di stucco: l'ambiente era ultramoderno, illuminato da tenui luci al neon che irradiavano dal pavimento. Poltroncine grigio ghiaccio erano posizionate qui e lì per gli ospiti e una lunga vetrata con vista sull'enorme piscina offriva qualcosa con cui distrarsi. Pensò che il consiglio comunale doveva essersi impegnato molto per difendere il buon nome di quel posto.
Samuel andò dritto al bancone e spiegò alla receptionist che per quel giorno avrebbe avuto una spettatrice.
La donna, quindi, le sorrise, e le porse un badge con la scritta "Accompagnatore". Laney sentiva le guance bruciare. Ringraziò balbettando e si lasciò condurre da Samuel oltre i tornelli, fino all'ascensore. Salirono al terzo piano.
Approdati a un lungo corridoio tappezzato di rosso, Laney diede voce alle proprie domande. -Dove stiamo andando?-
-Ancora un attimo e lo scoprirai.-
Samuel fece strada fino all'ultima porta del piano. La spalancò e Laney si ritrovò in una stanza bianca, ariosa e soleggiata, con un grande specchio a muro, un logoro divanetto beige addossato alla parete opposta, un bel parquet lucido di cera e avvolgibili immacolate istallate alle finestre.
Di fianco a una di queste, c'era una donna. Quest'ultima era minuta, nera e con le spalle coperte da una cascata di box braids. Indossava un crop top giallo fluo, che metteva in risalto le dorature nel suo incarnato, e un paio di ampi pantaloni da ginnastica con una vistosa striscia laterale. Non doveva avere più di trent'anni, e ciò si evinceva dal volto giovane e piuttosto contrariato.
-Sei in ritardo- statuì seria, non appena li vide entrare.
-Mi dispiace, Maya, l'autobus ha saltato una corsa- si affrettò a spiegare Samuel.
Ma l'attenzione della donna era già stata catturata da altro. Scrutò Laney da capo a piedi con piglio rapace, dopodiché, ringalluzzita, chiese a Samuel: -Lei è la tua ragazza?
Laney per poco non si strozzò con la sua stessa saliva. Scosse la testa tra un accesso di tosse e l'altro, ma il ragazzo le venne subito in aiuto.
-Maya, ti presento Laney, una mia cara amica d'infanzia- disse allegro, e poi, sfiorandole la spalla: -Laney, ti presento Maya, la mia istruttrice, nonché coreografa.
Laney cercò di non lasciar trasparire la sua sorpresa. -Coreografa?- pigolò.
Samuel annuì. -Negli ultimi anni mi sono dedicato alla danza. È la mia più grande passione.
-Oh...- esalò Laney. -Non me lo hai mai detto.
Ed era naturale che fosse così. Perché, nonostante tutto, loro due avevano parlato pochissimo, da quanto si erano riappacificati. Eppure Samuel sapeva già tutto quello che c'era da sapere sul suo conto, mentre lei... brancolava nel buio.
Si sentí mortificata e fu sopraffatta dal desiderio di conoscere ogni dettaglio: si era appassionato così tanto alla danza? Da quanto tempo la praticava? Che cos'altro gli piaceva fare? Che cosa, invece, detestava? Ricordò di colpo che sua madre in gioventù era stata una ballerina di incredibile talento, e iniziò a mettere insieme i pezzi. Ma non era abbastanza.
Ebbe la sensazione che in quel momento Samuel le stesse nascondendo qualcosa e che, al contempo, le stesse scoprendo il fianco più vulnerabile.
Nel frattempo, Maya aveva continuato a fissarla.
Laney tornò al presente e, pensando che non voleva apparire sgarbata, allungò una mano tremante e si sforzò di sorridere. -P-p-piacere- disse solo.
L'istruttrice parve entusiasta del suo gesto, e ricambiò la stretta di mano con grande vigore. -Il piacere è tutto mio! Sono così felice che Samuel abbia deciso di portare qualcuno! Ultimamente ha preferito isolarsi, per via...
-Bando alle ciance- tagliò corto Samuel. -Siamo già in ritardo, non perdiamo altro tempo.
In risposta, Maya sorrise. -D'accordo. Perché non ti dai una mossa e le mostri cosa sai fare?
I due la fecero accomodare sul divano, insieme a tutte le loro cose. Samuel si tolse la felpa e le lasciò in custodia anche quella, dopodiché le rivolse uno sguardo particolarmente penetrante e disse, in modo che solo lei potesse udirlo: -Guardami bene, capito?
-Sei pronto?- gli chiese allora Maya.
Samuel annuì e Laney lo vide raggiungere il centro della stanza. Abbassò il capo e portò entrambe le braccia al petto.
Laney sentiva il cuore palpitare forte nelle orecchie. Era a disagio all'idea di trovarsi nel posto felice di Samuel, perché sapeva meglio di chiunque altro che cosa poteva significare. Ne era terrorizzata. Non voleva guardare. Ma Samuel le aveva intimato di farlo. "Ho fatto un sogno, una volta. Voglio mostrartelo."
Maya pigiò il tasto "Play" e, di colpo, l'atmosfera mutò. La stanza risuonò di una musica triste, e così anche il corpo di Samuel.
Il ragazzo iniziò a muoversi, dapprima dolce, poi frenetico, come posseduto da una forza più grande di lui. Laney ne era certa: quello non poteva essere lo stesso ragazzo che aveva fatto irruzione nella sua stanza quella mattina. La sua espressione, i gesti, i movimenti: tutto era diverso. Ed era bravissimo.
Samuel ruotò su sé stesso, gettò la testa indietro e slanciò le braccia verso l'alto. Produsse un'onda con il busto, si rannicchiò a terra e poi tornò di colpo in piedi, avanzando due passi che tradivano una profonda tristezza. Poi ancora una giravolta, un colpo in pieno stomaco e una caduta drammatica, straziante.
C'era una storia nella sua danza. Una storia che parlava di notti insonni a esercitarsi, di sogni grandi e terribili come giganti nella nebbia, di paure che strisciavano alla base del collo e si annidavano, infide, dietro alle orecchie.
Samuel, che cercava di afferrare qualcosa. Samuel, che voleva essere un ballerino. Samuel, che avrebbe dato tutto, pur di diventarlo. Correva, si allungava, si snodava fin quasi a sgretolarsi, a rompersi in mille pezzi per quell'unica cosa che desiderava, che agognava più di ogni altra, per cui avrebbe lottato con le unghie e con i denti.
E lei? Lei cosa voleva? Cosa avrebbe sacrificato, pur di ottenerlo?
Le sembrò di condividere le sue emozioni a ondate: c'erano una luce, nei suoi occhi, e un fuoco, nei suoi movimenti, che erano stregati. E c'erano muscoli, e spigoli, e angoli di lui che non ferivano, piangevano soltanto. E il suo volto era un groviglio contorto e perfetto di chiaroscuri, e Laney seppe che il modo in cui lui era in quel momento, lei non lo avrebbe dimenticato mai più.
Avrebbe voluto avere carta e penna per disegnarlo, per avvolgerlo: senza volerlo, immaginò una giacca di stelle sulle sue spalle agili e forti, e pantaloni svolazzanti di seta intorno alle sue gambe veloci, e guanti di velluto bianco tra le sue dita affusolate, e poi colori e consistenze e decorazioni e altro ancora, fino a farle girare la testa.
E così capì, capì ogni cosa: lei doveva guardarlo. Non aveva altra scelta. Come si guarda la morte di una stella o la nascita di un dio, Laney doveva assistere allo spettacolo di Samuel, alla sua arte. E forse, allora, dentro di lei tutto sarebbe appassito e poi rinato, migliore e per sempre.
Si trattò di un miracolo, una falla nel sistema grande abbastanza da lasciarle sbirciare oltre.
Sullo sfumare delle ultime note, Samuel portò a termine la coreografia con un'incredibile acrobazia e Laney non riuscì a impedirsi di applaudire.
Si accorse di star sorridendo solo quando Samuel si avvicinò al divanetto. Il ragazzo si accucciò al suo fianco, aprì lo zaino e ne estrasse borraccia e asciugamano. Si tamponò la fronte, bevve e poi chiese: -Che ne pensi?-
-Fantastico- esalò lei. -E' stato fantastico.
Ma non fece in tempo ad aggiungere altro, che la voce di Maya aveva già riempito la sala. -Era tutto sbagliato. Quante volte devo ripeterlo? Si chiama popping per un motivo, Samuel. Se non scandisci bene i movimenti non otterrai mai la giusta intensità. E poi che diavolo era quella cosa con le braccia? Pensi che riuscirai a superare le regionali, di questo passo?
Laney non riusciva a credere alle proprie orecchie. L'esibizione di Samuel era stata da vero e proprio fuori classe, le sembrava inconcepibile che Maya la trovasse tremenda.
Spostò in fretta lo sguardo dall'uno all'altra, cercando di capire. L'espressione sul viso della donna era severa e intransigente, quella sul volto di lui contrita e pensierosa.
Faceva male essere criticati lì, nell'intimità della propria passione, nella carne debole del fianco scoperto. Laney lo sapeva, lo sentiva.
Non riuscì a trattenersi oltre. -Era perfetto- disse secca, la voce tremula e le mani strette tra di loro. -Ho sentito le sue emozioni, mentre ballava. Samuel è bravissimo, non deve...-
-Non ho detto che non sia bravo- intervenne pacata Maya. -Ma è ancora molto lontano dall'essere perfetto.
Laney sentì lo stomaco strizzarsi di più. -Ma...
-No, Maya ha ragione- la interruppe Samuel. -Lo so.
Non c'era tristezza nella sua voce, ma piuttosto... turbamento. Ripose borraccia e asciugamano nello zaino, poi scattò in piedi, come scottato. -Ricominciamo- statuì, rivolto all'istruttrice.
Maya gli fece un cenno, gli diede le spalle e tornò ad armeggiare con lo stereo. -Dall'inizio, per favore- dispose solo.
Samuel approfittò dell'occasione. Si chinò su Laney e le fece segno di porgergli l'orecchio. Anche se con un po' di imbarazzo, Laney lo assecondò. -Non abbandonarlo mai- le sussurrò allora lui, quasi ordinandoglielo. -Se la moda è ciò che ami davvero, se è la cosa che ti rende più felice al mondo, tu devi seguirla. A qualunque costo.-
Laney ebbe un tuffo al cuore.
Il ragazzo si ritrasse, lei si voltò a guardarlo e i loro sguardi si incontrarono per un tempo sufficiente ad annientarla. Alla fine però, Samuel riprese ad allenarsi, e Laney sentì il suo corpo, il suo sangue, la sua essenza intera tremare. Nelle parole di Samuel, nei suoi occhi, nel modo in cui aveva danzato ci fu qualcosa che la costrinse ad abbassare il viso per impedire che la vedessero piangere.
E così, Laney seppe con esattezza che quel pomeriggio sarebbe tornata a casa e avrebbe disegnato modelli fino a scorticarsi le mani.
"Ha un'importanza cruciale. È la cosa più importante che ci sia."
Un tramonto rosso bruno si stendeva su Tiny Town, ma la sua luce non scaldava più come in estate. C'era qualcosa di orribilmente nostalgico nell'atmosfera di quella scena, Laney riusciva a percepirlo in fondo alla gola, in quel magone che aveva faticato a ricacciare indietro da quando avevano lasciato Sporthings.
Dopo un'intera giornata passata ad allenarsi, Maya l'aveva salutata con un abbraccio caloroso e un sorriso accogliente (nonostante il loro contrasto mattutino) e si era raccomandata di tornare spesso ad assistere alle loro lezioni perché, a suo dire, Samuel non si era mai applicato tanto come quel giorno.
Il diretto interessato, dal canto suo, era uscito dalle docce dello spogliatoio bello e profumato. L'aveva guardata e le aveva detto: "Beviamo qualcosa, prima di rientrare." Laney si era chiesta dove trovasse tutte quelle energie.
Così eccoli lì, gambe incrociate sulle rive del laghetto artificiale di Central Place, a sorseggiare limonata ghiacciata nonostante il freddo impertinente. L'acqua era tutta diamanti e increspature viola, e le goccioline di condensa scivolavano lungo i fianchi delle bottigliette di vetro, infrangendosi sulle loro dita in lacrime cadenti e perdute.
-Grazie per essere venuta- iniziò Samuel. -Ne avevo bisogno.- Buttò giù un sorso di limonata e si leccò le labbra sottili.
Laney pensò che fosse fin troppo educato da parte sua farle credere che non era lei, quella che aveva bisogno di aiuto. Ma, in fondo, cosa ne poteva sapere? L'intera esistenza di Samuel era un'incognita, un gigantesco punto interrogativo nel nulla.
-Non c'è di che- si limitò a dire, bevendo a sua volta dalla bottiglia. La bibita era aspra sulla lingua. -Grazie a te per avermi invitata alla tua lezione di danza.
La conversazione si stava raffreddando. Sentendo calare tra loro una vaga sensazione di imbarazzo, Laney sputò la prima cosa che le venne in mente: -Voglio farmi aiutare. Mi metterò in contatto con uno sportello di ascolto e proverò a stare meglio.-
Samuel non commentò. Afferrò un ciottolo liscio al suo fianco e lo scagliò lontano. Quello disegnò una parabola in aria e piombò nel lago provocando uno zampillo d'acqua lucente.
La curiosità la stava divorando. Laney non riuscì più a trattenersi. -Che cosa hai fatto, in questi anni?
Samuel parve rifletterci mentre cercava altri sassolini da spedire sui fondali. -Un sacco di cose- rispose alla fine. -Ma non credo di essere stato io a farle. Credo che alcune siano successe e basta.
-Ma hai scelto tu di diventare un ballerino.
-Non ne sono sicuro.
Laney era confusa. "Perché?" avrebbe voluto chiedergli. A dire il vero, avrebbe voluto fargli miliardi di domande. Avrebbe voluto sapere tutto, dell'Europa, delle persone che aveva incontrato lì, dei suoi genitori, di come fossero finiti così, di tutti i suoi sogni. Invece, alla fine, gli domandò solo: -Sei felice?
Di nuovo, Samuel ci pensò per qualche istante. Si allungò sull'erba, si puntò sui gomiti e reclinò il capo su una spalla. Il sole morente gli schiariva i capelli e faceva sembrare la sua pelle ancor più levigata e dorata del solito. -No- disse alla fine. -Solo a volte- si corresse poi.
Laney sbarrò gli occhi per la sorpresa e lo scrutò sconcertata. Questo ragazzo, questo ragazzo che l'aveva inseguita per settimane, che l'aveva spinta a buttarsi da un balcone e l'aveva obbligata a riscuotersi dalla sua confortante tristezza, questo ragazzo... non era felice.
Samuel si accorse del modo in cui lei lo stava guardando e sorrise. Era così disinvolto che Laney un po' lo detestò.
-Cosa ti aspettavi di sentire, che sono interamente soddisfatto della mia esistenza e che l'unico mio desiderio, arrivato a questo punto, sarebbe invecchiare in pace in una casetta in riva al mare?- la punzecchiò. -Ho solo diciotto anni, non posso essere felice. Non voglio esserlo.
Questa volta fu il turno di Laney di riflettere. Si sentiva stordita e al contempo dispiaciuta dalle parole di Samuel, perché in un certo senso le comprendeva. -Ma allora...- tentò, pigolando -sei infelice?-
Samuel si limitò a stringersi nelle spalle. -No- disse. -Solo a volte.-
Poi, forse notando l'espressione smarrita sul suo viso, aggiunse: -La vita non è fatta per essere semplice, Laney, non lo è per nessuno. Ma se non provi, se non fallisci, se non cadi e ti rialzi dieci, cento, mille volte, puoi dire davvero di aver vissuto?-
Laney rimase schiacciata dalla portata di quelle parole, e fu costretta a bere una lunga sorsata di limonata per impedirsi di soffocare. Esitò per un breve intervallo, valutò, soppesò la dichiarazione di Samuel con la massima cura, infine rispose: -No, credo di no.
Samuel annuì. -Non sono del tutto appagato dalla mia vita, ma non ne sono nemmeno del tutto scontento. Semplicemente, penso che ora ce l'ho, quindi tanto vale provare e vedere che succede.
Si guardarono. Laney lo vide serrare la presa delle dita intorno alla bottiglia. I suoi occhi erano pieni di quella luce sicura e irremovibile, e lei si ritrovò a pensare che era cresciuto. Molto più di quanto aveva fatto lei, forse molto più di quanto sarebbe mai riuscita a fare. Provò un'improvvisa fitta di vergogna. Tornò ad ammirare il tramonto e si prese le ginocchia tra le braccia. -Mi dispiace- sibilò.
-Per che cosa?- chiese Samuel. Ma non c'era una vera e propria risposta a quella domanda e così tra di loro cadde il silenzio.
Rimasero muti e vicini per un tempo che parve un'eternità. Nella testa di Laney i pensieri rotolavano e si sovrapponevano gli uni agli altri.
Infine, quando il sole stava ormai scendendo oltre il bordo del mondo, Samuel scattò in piedi e si stiracchiò come un gatto. Poi guardò Laney e le rivolse un sorriso gentile. -Allora verrai a scuola domani?
Laney annuì senza guardarlo. -Ci proverò.
-Mettiti qualcosa di carino.
Laney si voltò a guardarlo di scatto. -Che?
-Qualcosa che ti piace- specificò il ragazzo. -Vuoi fare la stilista o no? Scommetto che puoi fare di meglio di "jeans e t-shirt grigia".
Laney lo fissò per un po'. Forse Samuel era impazzito, forse tutto quello sport gli aveva dato alla testa. O forse aveva ragione. Di nuovo. Su tutta la linea.
Valeva la pena soffrire così? Valeva la pena passare tutto quel tempo a preoccuparsi dell'infelicità, quando la vita era qualcosa di così strano, mutevole e... complicato? C'era stato un tempo in cui Laney si era espressa attraverso i suoi vestiti. Ma quel tempo era passato e lei aveva trascorso giornate infinite a piangersi addosso, senza nemmeno provare a vedere ciò che di bello ancora c'era.
Perché, dopotutto, lei aveva ancora un obbiettivo.
Perché, dopotutto, lei era ancora viva.
Viva.
Un brivido le corse lungo la schiena, mentre una ventata gelida scuoteva le rive del laghetto. Lei e Samuel si guardarono, e Laney fu avvolta da qualcosa di inspiegabile, una sensazione sepolta da anni di apatia e dolore: la speranza.
Laney sperò. Sperò e sorrise.
E, se sulle prime Samuel parve spiazzato da quella reazione, in seguito ricambiò con altrettanto calore. -Allora?- chiese.
-Non prometto niente- rispose vaga Laney. -Ma farò del mio meglio.
Samuel assentì, soddisfatto. -D'accordo- disse. -Mostrami il meglio che sai fare.
Poi le tese la mano e l'aiutò ad alzarsi. Entrambi gettarono le rispettive bottiglie di limonata ormai vuota nel cestino e, insieme, si avviarono verso casa.

ANGOLINO TUTTO NOSTRO:
Hi, Cutiepies!
Come state? Come avete trascorso questo periodo di quarantena? Come vi sentite?
Dopo numerosi mesi di assenza, ecco qui il nuovo capitolo! Sul suo conto dirò solo che... be', è stato un parto plurigemellare con complicazioni e aggravanti. A conti fatti sono quattro mesi buoni che ci sgobbo sopra e sono fermamente convinta che non sia un granché, anzi. Però questo capitolo ha un posto davvero molto prezioso nel mio cuore, qualcosa che mi porterà a rileggerlo ogni volta che sarò triste. Perché è nato e terminato in un momento particolare, e quindi ho deciso di passarlo anche a voi così, come è venuto a me.
Se avete tempo, voglia e non vi disturba, fatemi sapere che ne pensate! Mi fa sempre tanto piacere leggere le recensioni (anche se mi dimentico di rispondere come una cretina ç_ç)!
Grazie mille, in ogni caso, per il vostro tempo, la vostra attenzione e il vostro sostegno, sotto qualsiasi forma essi siano.
Vi mando un bacio e un abbraccio grandi e forti.
Luv ya. <3
Sayami.

 

   
 
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