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Autore: manpolisc_    31/05/2020    2 recensioni
•Primo libro della trilogia•
Sharon Steel è una ragazza di diciassette anni che vive a Ruddy Village, una cittadina tra il Nevada e la California. La sua vita non è mai stata semplice: è stata definita pazza per le cose che vede e alle quali la gente non crede, che l'hanno portata a sentirsi esclusa. Solo l'arrivo di una persona come lei riuscirà a farle capire di non essere sbagliata, ma solo diversa. Scoprirà la sua vera natura e dovrà decidere del proprio destino.
Dal testo:
- È solo un bicchiere che è caduto. - Mormoro. Mi guarda, accennando un sorriso divertito.
- E la causa della sua caduta è solo qualcosa alle tue spalle, che brancola nel buio, pronto ad ucciderti. -
Genere: Azione, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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Capitolo 15

- Io penso che quel vestito ti stesse bene invece. -
- Non è il mio stile. - Mormoro mentre mando l'ennesimo messaggio a Harry. Delice spia lo schermo del cellulare, curiosa, e mi guarda.
- C'è qualcosa fra voi due? - Chiede mentre continua a fissarmi.
- No. Non lo vedo da qualche giorno e mi sto solo assicurando che stia bene. Mi ha salvato la vita. Prendermi cura di lui è il minimo che possa fare. - Le sorrido mentre attraversiamo la strada. Io e Delice siamo state tutto il giorno fuori a fare shopping. Alla fine è riuscita a trascinarmi per i negozi con lei. Ne abbiamo girati più di dieci per cercare dei vestiti per la festa di June. Dopo almeno cinquanta abiti, Delice ha optato per un vestito aderente nero e lungo, al di sopra del ginocchio e con le spalline; io, invece, ne ho comprato uno blu scuro, quasi notte, un po' ricamato sul corpetto e con le spalline trasparenti.
Delice è rimasta sorpresa quando le ho detto che saremo andate alla festa. Sono sorpresa anch’io, in realtà, ma farei di tutto pur di scoprire cosa sta macchinando June. Non mi convince per niente quella ragazza, specialmente in questi giorni. Ricevo un altro messaggio da Harry:
"Ci vediamo nella foresta vicino al parcheggio più tardi allora."
Blocco il cellulare e lo ripongo nella tasca del pantalone.
- Ancora non ho capito perché hai cambiato idea. - Dice mentre camminiamo nel mio quartiere. Sorrido non appena noto comparire casa mia in lontananza. Non vedo l'ora di gettarmi sul divano e levarmi le scarpe. Mi stanno sanguinando i piedi.
- Riguardo cosa? - La guardo mentre mi divido le buste in mano. Stanno cominciando a pesarmi e a formarsi dei segni sulle dita a causa loro.
- Riguardo alla festa. Tu odi le feste, e non hai neanche nessuno con cui andare. - Aggiunge in tono abbastanza fastidioso, ma al tempo stesso onesto.
- Hey! - Esclamo un po' offesa, ma lei ride e mi guarda.
- Sappiamo entrambe che è la verità. - La guardo male e poi roteo gli occhi al cielo. Lei nel frattempo caccia le chiavi della macchina dalla borsa e la apre da lontano.
- E tu con chi vai, allora? - Le chiedo, incrociando le braccia al petto. Delice alcune volte è insopportabile. Riesce a farmi sentire esclusa facilmente. Solo perché non ho un accompagnatore, non vuol dire che non posso partecipare. Non è mica il ballo della scuola.
- Non lo so... vorrei chiedere ad Albert Sanchez. Anche lui è stato invitato. - La guardo sorpresa per due ragioni. La prima: June non sa dell'esistenza di Albert ma è stato invitato; la seconda: Delice sa dell'esistenza di Albert. Potrei sembrare cattiva a dire così, ma è pur sempre la verità. Non l'ha mai preso in considerazione e lo definisce un vandalo solo per i murales che crea e che, per precisare, sono davvero stupendi.
- Albert? Non lo degni neanche di uno sguardo a scuola! - Esclamo, camminando verso la macchina di Delice. Lei ride e impedisce a una busta di cadere dalla sua mano. Ho perso il conto di quante ne abbia.
- Ieri ci siamo presi un caffè e ci siamo fatti quattro chiacchiere, tutto qui. È simpatico. E poi forse lui mi vuole invitare, quindi lascio a lui il primo passo. -
- Ah, bene. - Dico un po' irritata del fatto che mi abbia lasciata da sola anche questa volta. Quando si tratta di ragazzi non guarda in faccia a nessuno. Solo io preferisco metterla al primo posto in tutto. Delice non sembra accorgersi del mio evidente fastidio e poggia tutte le buste sui sedili posteriori quando raggiungiamo la sua auto. Apre lo sportello ed entra in macchina.
- Allora. - Si alza gli occhiali da sole in testa per reggere i capelli che le cadono davanti agli occhi. - Stasera serata film da me? - Mi mordo il labbro dopo aver preso le buste in un'unica mano per cercare le chiavi di casa nella piccola borsa a tracolla, abbassando lo sguardo su di essa per evitare i suoi occhi. Non le mento quasi mai, se non in casi di estrema riservatezza, come con il fatto dei mostri. È vero che la metterei al primo posto in tutto, ma mi tocca l'allenamento con Harry e questo davvero non posso saltarlo. È davvero gentile ad aiutarmi con gli elementi, anche se lui non può controllarli, e mi sembra brutto rimandare.
- No, mi dispiace. Ho alcune cose da fare con mia madre e sai quanto diventi isterica se non passo del tempo con lei. - Alzo gli occhi al cielo in modo scocciato, anche se per finta. Assottiglia gli occhi e mi squadra. Deglutisco nervosa che possa aver intuito che le sto mentendo. Non ci vuole un genio a capirlo infatti, dato che sono una pessima bugiarda.
- Sì, in effetti diventa molto isterica. - Concorda dopo un po'. Mette in moto e abbassa gli occhiali da sole sugli occhi. - Beh, mi chiami tu allora. - Mi sorride prima di partire. La guardo allontanarsi. Incredibile, ci ha creduto sul serio. Allora non sono poi tanto male a dire le bugie.
- Guida piano! - Urlo per farmi sentire. Lei suona il clacson come segno di saluto e alza un braccio in aria, mostrandomi il pollice all'insù. Rido e mi giro, incamminandomi verso casa, mentre apro le buste e controllo gli acquisti. Non ho mai comprato tanta roba in vita mia. Non mi piace fare shopping, ma quando Delice mi porta con lei non la finisco più, anche se maggiormente compro magliette. Le richiudo tenendole tutte nella mano destra e con l'altra la cinghia della borsa a tracolla. Non la uso mai, ma da qualche parte dovevo pur mettere il portafoglio e le chiavi di casa. Mi guardo in giro mentre cammino. Un vento fresco soffia leggermente e muove quelle poche ciocche che sono scappate dalla mia treccia. Chiudo per un attimo gli occhi, inspiro ed espiro profondamente, beandomi di quella tranquillità presente nel quartiere oggi. Sembra essere tornato tutto alla normalità dopo l'incidente alla casa abbandonata. Perfino le vicine adesso stanno in giardino a bere il tè e a chiacchierare. Appena passo vicino a loro mi salutano e ricambio con un sorriso. Mi sento anch’io normale dopo tanto tempo, senza problemi. Menomale che Harry si è occupato di risolvere tutto con quelli dell'ospedale, anche se non mi ha detto come ha fatto. Dei ragazzi che entrano per delle cure mediche e poi scompaiono, senza lasciar nome e nulla. Già immagino Harry nella sua felpa nera, col cappuccio in testa, ad ammaliare quelle due povere donne per evitare che possano metterci nei guai. Sicuramente avrà fatto qualcosa del genere, conoscendo i suoi modi.
Continuo a camminare con un sorriso stampato sulla faccia fino a casa per la tranquilla giornata trascorsa. Questo si spegne quando trovo Jackson sul mio muretto e con le mani in tasca. Ha una maglietta bianca e una camicia a quadri rossi e neri sopra. Dei pantaloni scuri strappati sulle ginocchia e le stesse Converse nere ai piedi. Per un momento, mi sembra lo stesso Jackson che vidi per la prima volta a scuola, con i capelli sbarazzini, lo sguardo perso nel vuoto a guardare solo lui sa cosa e l'aria da duro. Si gira non appena si sente osservato e, appena incrocia il mio sguardo, rimane un attimo perso, quasi felice (o almeno credo) di vedermi, poi scende dal muretto con un piccolo saltello. Giro lo sguardo cercando qualcos'altro su cui posare gli occhi.
- Hey. - Mormora ancora con lo sguardo su di me. Non gli rispondo, lo supero, apro il cancello e salgo velocemente i gradini. - Sharon. - Mi chiama, seguendomi. Rimpiango che Delice abbia parcheggiato la macchina più avanti. Se l'avesse lasciata qui, davanti casa mia, mi avrebbe aiutato a scacciare Jackson più facilmente perché so che il mio essere sgarbata giunge ad un limite, poi mi dispiace per l'altra persona.
- Ora mi parli? - Chiedo freddamente.
- Scusami, ma Harry è irritante a volte e in ospedale... -
- Forse sei tu che fai irritare la gente, ti sei mai posto il problema? Scusami, domanda retorica: certo che no. - Lo interrompo, prendendo le chiavi e aprendo la porta. Entro e, prima che possa chiuderla, Jackson la blocca con una mano.
- Posso parlarti? - Chiede mentre mi guarda negli occhi. Mi faccio forza e spingo la porta per chiuderla, senza lasciare che questi mi distraggano. - Lo prendo come un forse? - Chiede di nuovo da fuori, alzando leggermente il tono di voce per farsi sentire. Mi lascio scappare un piccolo sorriso che blocco subito. Sono ancora arrabbiata con lui, dal modo in cui si è comportato con me e soprattutto con Harry poiché non se lo meritava proprio. Vado in cucina, poggiando le chiavi e le buste sul tavolo. Prendo un bicchiere dalla mensola in alto e lo lascio sul bancone, poi mi dirigo al frigo per prendere una bottiglia d'acqua fresca che apro dopo averla posata sul tavolo. Afferro il cellulare per mandare un messaggio a mia madre per informarla che sono tornata e nel frattempo mi verso da bere, puntando un dito verso la bottiglia e muovendolo piano verso il bicchiere. Allo stesso modo, l'acqua esce dalla bottiglia e segue la mia direzione, levitandosi in aria.
- Sei migliorata. - Sussulto a quella voce, perdendo la concentrazione e facendo cadere l'acqua a terra. Impreco nella mia testa alla vista di Jackson appoggiato allo stipite della porta della cucina, con le braccia incrociate al petto.
- Come diamine sei entrato? - Chiedo infastidita, lascio il telefono sul bancone e vado a prendere dei fazzoletti per asciugare l'acqua.
- Nello stesso modo in cui sono uscito quella sera che sei svenuta nel mio giardino. A proposito, ti saluta il mio gallo. - Ridacchia mentre si dirige verso l'acqua, poi ci posa un dito sopra.
- Ricambia. - Rispondo seccata. L'acqua, nel frattempo, si attorciglia intorno al suo dito e viene successivamente risucchiata dalla sua pelle. Lo guardo mentre appoggio una mano sul bancone della cucina e l'altra sul fianco, bloccandomi dal prendere i fazzoletti. - Ti chiederei di insegnarmelo così la prossima volta che entri di nascosto e mi fai spaventare ci metto un secondo a pulire, ma non mi alleni più. - Ride di nuovo e chiude la bottiglia d'acqua, poi me la lancia. La afferro prima che possa cadere a terra, la riapro e verso l'acqua nel bicchiere.
- Ti volevo chiedere scusa. - Per esserti messo con June? Per avermi spezzato il cuore? Per aver interrotto gli allenamenti, l'unica cosa che non avrei mai fatto eppure la facevo solo per te?
- Per cosa? - Mi limito a chiedere. Ormai non voglio neanche sprecare più tanto fiato con lui: sarebbe del tutto inutile. Pensavo fosse un cretino, gli ho dato una possibilità, seguendolo nelle sue pazzie, e alla fine mi ha confermato di essere un cretino.
- Per non calcolarti molto ultimamente. - Rido con amarezza prima di posare le mie labbra sul bicchiere e bere. Mi giro per guardarlo e mi appoggio con la schiena contro il bancone. Come se gli dispiacesse davvero.
- Se vuoi passare le tue giornate con una vipera hai tutta la libertà di farlo. Non sono nessuno per dirti di non stare con lei, e questo me l'hai dimostrato. -
- Non è una vipera. Lei è una persona fantastica, soprattutto simpatica e dolce. - Acquisisce un tono strano mentre mi fissa negli occhi, ma ha lo sguardo vitreo. Corrugo la fronte nell'osservarlo: sembra stia recitando un copione. Beh, direi che June gli ha fatto un eccellente lavaggio del cervello.
- Se sei venuto qua per adularla la porta è lì. - La indico per poi mettere il bicchiere nel lavandino e la bottiglia nel frigo.
- Sto cercando di scusarmi. - Ora il suo tono sembra quello di sempre. Corrugo di nuovo la fronte, dandogli le spalle questa volta. Non riesco a capire se mi stia prendendo in giro o meno. L'unica cosa che voglio è che se ne vada.
- Invece sono più che sicura che tu la stia adulando. -
- Ci sarai alla festa? - Mi chiede all'improvviso.
- Sì, ma che c'entra ora la festa? -
- Bene. Volevo sapere solo questo. – M’interrompe per poi uscirsene di casa, senza darmi il tempo di elaborare cosa stia effettivamente succedendo. Schiudo la bocca, guardandolo sbigottita.
- Scuse accettate. - Dico in modo ironico.
***
- Quindi era rincoglionito? - Chiede Harry. Sospiro, facendo ballare delle piccole fiamme sulle dita della mano destra. Rimango appoggiata all'albero mentre Harry pulisce il suo coltellino, seduto sull'erba. Non mi piacciono i coltelli, ma il suo non è male, anzi: è molto bello. È nero con il manico abbastanza sottile, con su disegnati degli scorpioni in acciaio, che viene aperto in due parti per scoprire la lama. Sposto lo sguardo in alto, nel cielo stellato. Non c'è neanche una nuvola e anche l'aria è fresca. Si sta proprio bene. Siamo nel bel mezzo della foresta. Abbiamo trovato un piccolo spazio dove gli alberi non sono molti fitti affinché possiamo allenarci. Dovrei esercitarmi con l'acqua, ma dopo raggiungeremo il lago quindi, per il momento, l'unico a far pratica è Harry.
- Non ho detto che era rincoglionito. - Mi guarda scettico, alzando un sopracciglio. - Ma sì, lo sembrava abbastanza. - Ammetto mentre spengo il fuoco sulle dita, sospirando. Si mette in piedi e guarda il proprio riflesso nel coltellino, aggiustandosi i capelli, mentre lo fisso, divertita.
- L'amore fa male. - Commenta, scuotendo la testa in segno di disapprovazione, poi mi fa cenno di star ben ferma all'albero. Mi blocco contro di questo, stringendo le braccia ai fianchi e le gambe una contro l'altra in modo molto rilassato. Da quante volte ormai me l'ha lanciato, ed essendo a conoscenza della sua mira infallibile, non ho più timore che possa uccidermi. Lo guardo negli occhi mentre lui mi sorride. - Non c'è sfizio se non tremi più di paura. -
- No, Harry, stai attento. Ho paura. - Dico senza sentimento nella voce, per poi sbadigliare. Si gira il coltello tra le mani più volte, guardandomi in modo divertito. Una volta, su Internet, ho visto che ogni mossa con il coltello ha un nome, anche se non ricordo questa come si chiama. Sicuramente ha a che fare con un Rollover o qualcosa del genere.
- Oh, andiamo. Fammi divertire un po' e fai una faccia terrorizzata. - Accenno un sorriso divertito mentre lancia il coltello senza preavviso, mirando al mio naso. Quando questo è a pochi centimetri dalla mia faccia urlo il suo nome per farglielo fermare, sul serio spaventata che possa uccidermi, mentre lui lo fa tornare indietro, ridendo. Lo guardo con gli occhi sbarrati.
- MA SEI PAZZO?! - Urlo sconvolta mentre lui ride di nuovo, riprendendo a girarsi il coltello tra le mani con gli stessi movimenti di prima.
- Quella è la faccia che volevo. - Accendo una piccola fiamma sul palmo della mano e gliela lancio contro per spaventarlo come lui ha fatto con me. Appena vede il fuoco andare verso di lui, smette di ridere e lo blocca, difendendosi col coltello. La fiamma esplode contro la lama, illuminando di poco lo spazio intorno a noi. Sorrido mentre questa volta lui mi guarda sbalordito.
- Mi hai preso per un hot dog o cosa?! - Sbotta mentre ripone il coltellino nella tasca anteriore dei pantaloni e cammina dall'altro lato, dandomi le spalle, abbastanza offeso.
- Dai, non dirmi che ti sei arrabbiato. - Si gira e mi mostra entrambe le dita medie continuando a camminare all'indietro. Rido e porto le mani dietro la mia schiena per muovere una radice senza che lui se ne accorga. Dietro il dampiro se ne sta allungando una abbastanza robusta dall'albero più vicino, ma non sembra accorgersene. Continua solo a camminare e a guardarmi male, infastidito. Forse ho esagerato un pochino: so che alla fine non mi avrebbe fatto davvero del male. Appena raggiunge la radice ci inciampa sopra, cadendo col sedere a terra. Scoppio a ridere e libero la radice dal mio controllo, per poi raggiungerlo.
- Stupidi Elementali. - Sbotta. - Dovrei uccidervi tutti, partendo da quel coglione del mio migliore amico. - Continuo a sogghignare e gli porgo la mano, lui la afferra e si tira su. Sorrido alle sue parole: non ho mai sentito dalla bocca di Harry le parole "migliore amico", riferite a Jackson. Allora anche lui ha un cuore nel profondo. Davvero, davvero nel profondo.
- Non mi hai ancora detto come vi siete conosciuti voi due. - Dico mentre lui si pulisce i jeans sporchi di terra e successivamente le mani. Mi soffermo a guardargli il braccio destro, stupita: non porta più le bende e le ferite si sono già rimarginate. Ora c'è solo una bella cicatrice che gli arriva fino sotto la manica bianca. È probabile che si sia tolto da solo i punti dato che non penso che avrebbe messo di nuovo piede in un ospedale. È incredibile anche il fatto che, nonostante quell'incidente al braccio, abbia lanciato il coltellino con la destra, quasi a sfidare se stesso. So per certo che è mancino, ma anche con la destra la sua mira è comunque perfetta. Se dovessi lanciare qualcosa con la mano opposta a quella che uso di solito non oso immagine che fine farebbe quell'oggetto.
- A Roma. - Taglia corto. Non che sia sorpresa di ciò: non è molto loquace. - Andiamo al lago, così ti alleni anche un po' tu. - Annuisco mentre comincia a camminare. Lo guardo allontanarsi per poi fare una piccola corsetta per raggiungerlo.
- Allora? Come mai non ti ha ucciso? Comunque sei mezzo vampiro. - Mi osserva e poi porta lo sguardo davanti a sé, mettendosi le mani in tasca, dopodiché sospira, cosciente che è costretto a rispondermi se non vuole che continui a insistere.
- Ero a Roma perché dovevo incontrarmi con mia madre mentre Jackson e Avery erano lì per cacciare. Stavano cercando un vampiro e in poche parole hanno scambiato me per lui. Eravamo tutti e tre nello stesso ristorante e, quando sono uscito, anche loro si sono alzati. Io non pensavo che quei due mi seguissero sul serio, ma quando sono entrato in un vicolo per esserne certo arriva quella testa vuota e mi blocca al muro mentre la cugina mi ruba il coltello. Nello stesso istante il vero vampiro che stavano cacciando ci raggiunge e si occupa di mettere fuorigioco lei, rompendole una bottiglia di vetro in testa. Jackson mi aveva legato a un palo nel frattempo e mi aveva allontanato il coltello. Ho provato a raggiungerlo, ma non sono riuscito a prenderlo. Non potevo neanche fare qualcosa a causa della corda stregata per neutralizzare le mie abilità speciali, altrimenti Jackson sarebbe volato da un pezzo. Poi quell'uomo pieno di tatuaggi e piercing che non vedeva l'ora di bucare il collo a Jackson si era sdoppiato e... -
- Si era sdoppiato? - Lo interrompo, confusa.
- Sì, sono pochi i vampiri che sanno creare una proiezione di se stessi. Comunque, Jackson stava cercando di usare quel poco di cervello che si ritrova per capire quale fosse il vero vampiro, e ovviamente ha scelto quello sbagliato. Mentre litigava con il sosia, il vero stava per ucciderlo da dietro. Quindi mi sono allungato il più possibile anche a costo di farmi male e ho attirato il coltello vicino a me. Mi sono slegato e gli ho tagliato la testa. -
- Wow, sei un eroe. - Ridacchio. - Ma perché l'hai salvato? Cioè, senza offesa, ma sei un mostro: avresti dovuto aiutare il tuo simile. E poi come facevi a sapere quel era il vero vampiro? - Non mi risponde, ma si mordicchia il labbro mentre osserva i suoi piedi, poi alza la testa.
- Sono metà vampiro, riesco a riconoscerlo. Comunque trovavo Avery carina, e avrei fatto colpo se avessi salvato quel deficiente del cugino. - Lo guardo. Harry innamorato è la cosa più strana che abbia sentito finora, e di cose strane ne ho sentite tante. Non perché non lo veda con qualcuno, ma perché non lo vedo essere dolce, dati i suoi modi.
- Ci sei riuscito alla fine? - Lo guardo.
- Sì, e dopo lei ha colpito me. Quella troia. Un giorno di questi la lascio sul serio. - Sbuffa mentre scoppio a ridere.
- Quindi hai la ragazza? - Lui annuisce, anche se non molto convinto. Alla fine è un bel ragazzo: avrei dovuto immaginare che stava con qualcuno. - Hai un coltello figo, comunque. Come fai a farlo tornare indietro? - Chiedo per cambiare discorso.
- Non lo so, sinceramente. Mio padre me lo regalò quando ero piccolo. - Si limita a dire mentre si stringe nelle spalle. Annuisco solamente, non volendogli chiedere niente su suo padre. Appena l'ha nominato la sua espressione è cambiata, tramutandosi in un misto di malinconia e di rabbia.
Continuiamo a camminare in silenzio fino al lago. Rimango con lo sguardo basso in modo da fare attenzione a dove metto i piedi per evitare di cadere. Appena usciamo dalla parte più fitta della foresta Harry si blocca. Alzo lo sguardo e lo porto su di lui per capire perché si sia fermato, confusa, poi noto il lago. Schiudo di poco la bocca, stupita, quando vedo dei serpenti d'acqua grandi quanto Harry fendere l'aria, rimanendo però con la coda immersa nel lago. Sulla riva, e ai piedi dei serpenti, c'è un ragazzo seduto a gambe incrociate. È girato di spalle e indossa una felpa verde scuro con le maniche tirate su, fino al gomito, e il cappuccio in testa. Al polso destro ha un orologio nero. Muove le braccia in modo strano, indicando la direzione da seguire a quei serpenti. Harry mi fa segno di fare silenzio e m’incita a muovermi per allontanarci prima che lui se ne accorga. Capisco la sua preoccupazione, ed è analoga alla mia: e se fosse un Cacciatore Oscuro?
Comincio a muovermi piano ma, non appena calpesto un rametto e lo spezzo, le braccia del ragazzo si fermano. Lascia cadere i serpenti d'acqua sulla superficie del lago che s’increspa, facendo sparire il riflesso della Luna. Il ragazzo si mette in piedi, ma continua a darci le spalle. Harry, invece, s’irrigidisce e mette una mano sul coltello, pronto a estrarlo; io impreco nella mia testa. Ho una grazia da far invidia a una ballerina di danza classica.
Il ragazzo alza piano le braccia, con i palmi rivolti al cielo, e allo stesso modo l'acqua sorge nuovamente, creando una specie di muro. Harry osserva attentamente i suoi movimenti mentre io ho lo sguardo fisso sull'acqua. Quando il muro è del tutto immobile, il ragazzo si gira di scatto verso di noi, e getta le braccia in avanti, come se stesse spingendo qualcuno alle sue spalle. Prima che l'acqua possa colpirci, riesco a vedere il suo volto. La mia bocca si schiude completamente e sgrano gli occhi, stupefatta, non appena riconosco quel ragazzo: Albert Sanchez.
   
 
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