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Autore: Lisbeth Salander    31/05/2020    14 recensioni
Ci sono piccoli riti quotidiani ai quali Lily Potter non sa rinunciare, qualsiasi cosa sia accaduta. È per questo che anche quella mattina è in cucina a preparare il caffè con una precisione nei gesti quasi maniacale. Poco importa che i suoi vestiti siano ancora macchiati di sangue, poco importa che quel sangue che ha addosso sia di suo marito.
Lily prende la caffettiera, versa l’acqua, dosa il caffè, accende i fornelli con movimenti meccanici e lo sguardo vitreo. Potrebbe sembrare una mattina come tutte le altre, se solo sui suoi vestiti non ci fosse quel sangue, se solo non tremasse come una foglia, se solo non dovesse appoggiarsi al ripiano della cucina per il timore che le gambe non la reggano più.
Genere: Angst, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: James Potter, Lily Evans | Coppie: James/Lily
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Coffee for your head
 
Ottobre 1979
Ci sono piccoli riti quotidiani ai quali Lily Potter non sa rinunciare, qualsiasi cosa sia accaduta. È per questo che anche quella mattina è in cucina a preparare il caffè con una precisione nei gesti quasi maniacale. Poco importa che i suoi vestiti siano ancora macchiati di sangue, poco importa che quel sangue che ha addosso sia di suo marito.
Lily prende la caffettiera, versa l’acqua, dosa il caffè, accende i fornelli con movimenti meccanici e lo sguardo vitreo. Potrebbe sembrare una mattina come tutte le altre, se solo sui suoi vestiti non ci fosse quel sangue, se solo non tremasse come una foglia, se solo non dovesse appoggiarsi al ripiano della cucina per il timore che le gambe non la reggano più.
Prepara il caffè perché, quando James si sveglierà, dovrà essere tutto come sempre, come ogni mattina da quando vivono insieme.
Preparano il caffè, prendono il pane, la marmellata, il burro, il succo di zucca; qualche volta fanno i pancake, altre James prepara le uova, il bacon, un toast. Poi arriva il loro gufo con la Gazzetta del Profeta. Prima che James inizi a leggere, Lily ruba il giornale; lui finge di essersi infastidito e poi, con il suo classico sorriso un po’ storto, si fa più vicino e lo leggono insieme.
È il loro rito. Lo ripetono ogni mattina da più di un anno, da quando Lily ha lasciato Cokeworth e si è trasferita a casa di James, da quando si sono trasferiti in quel piccolo appartamento in città per iniziare una vita insieme. Non hanno fatto altro che modificare – ma solo un po’ – le abitudini che avevano ad Hogwarts: la colazione, il giornale, i battibecchi.
È il loro rito e Lily non riesce a pensare di rinunciarvi. Poco importa se i suoi vestiti sono ancora sporchi di tutto quel sangue, se James non può aiutarla a preparare la tavola, se non può spostare la sedia per sedersi accanto a lei per leggere il giornale e battibeccare su ogni notizia. Per questa volta, ma solo per questa, gli porterà il caffè a letto ma almeno a quello non può rinunciare.
È stata lei a convincere James ad iniziare a bere il caffè al sesto anno, ormai ben tre anni prima. Dovevano ultimare una ricerca di Trasfigurazione per la McGranitt e lui si era presentato più addormentato che sveglio – solo molto tempo dopo le avrebbe confessato che la notte prima era stata una notte di luna piena. Lei si era infastidita e lo aveva costretto a bere quella dannata bevanda amara che, però, era riuscita a riportare il cervello di James alla solita assurda e geniale frequenza. Da quel giorno James non aveva più smesso di berlo, sostenendo che lo aiutasse con i suoi mal di testa.
È il loro rito e Lily non può rinunciarvi, anche se quella notte sono quasi morti e tutte le sue certezze sulla guerra che impazza stanno crollando, anche se si sono battuti ancora una volta con Lord Voldemort in persona e, per la terza volta, sono sopravvissuti.
La prima volta che si sono scontrati con lui, quasi un anno prima, si sono sentiti forti, quasi invincibili dopo aver declinato l’offerta di unirsi ai Mangiamorte ed essere riusciti a sfuggirgli, dannatamente incoscienti. Dopo quella volta hanno deciso di sposarsi.
La seconda volta, invece, si sono sentiti sicuri. È stata una delle migliori vittorie di sempre dell’Ordine. Per una volta sono stati un passo avanti e non un passo indietro. Quando sono tornati a casa e hanno fatto l’amore, Lily ha pensato che quello fosse il miglior San Valentino della sua vita.
Dopo la terza volta Lily riesce soltanto a pensare che sono stati fortunati e che la prossima non ne usciranno vivi, che c’è una sentenza di morte sopra di loro: non si può sfuggire così tante volte a Voldemort e sopravvivere.
Nella sua testa sente ancora le urla delle famiglie babbane che hanno salvato dalla devastazione dei Mangiamorte. Sente ancora la risata sadica di Bellatrix Lestrange che scaglia impietosa la maledizione Cruciatus, la sua specialità. Vede i lampi di luce, verde, rossa, blu, di quello scontro senza respiro.
Più di ogni altra cosa, Lily sente le urla di dolore di James, vede il suo sangue scorrere dappertutto, avverte il peso del corpo di suo marito mentre si appoggia a lei. È stato un barlume di lucidità o un primordiale istinto di sopravvivenza a farle trovare la forza di lanciare un Sortilegio Scudo sufficientemente potente, prima di smaterializzarsi con James nel loro appartamento.
Tra le mura di casa propria Lily è crollata, quasi dimentica di essere una strega, mentre il sangue caldo di James macchia i loro vestiti, le mani di Lily, il loro divano, la moquette che Sirius detesta, mentre James cerca di trovare la forza per non pesare su di lei, mobili ai quali aggrapparsi che possano sorreggerlo.
Lily trema – non ha mai smesso di tremare quella notte – trema anche quando invia un Patronus al Quartier Generale in cerca di aiuto dicendo che c’è sangue, sangue ovunque, sangue che non smette di scorrere, trema anche quando, riacquistando un briciolo di padronanza di sé, compie alcuni incantesimi per risanare le ferite. Quando pochi minuti dopo arriva Benji Fenwick con una Pozione ricostituente, Lily è riuscita a chiudere le ferite di James da cui non sgorga più sangue.
Benji prova a scuoterla, si offre di rimuovere tutto quel sangue di James che ha invaso la sua casa, che è ancora addosso a lei, ma lei scuote la testa e lo manda via. Resta con suo marito fino a quando non lo vede riacquisire un po’ di colorito, resta immobile sulla poltrona della propria camera da letto, non osa neppure stendersi accanto a lui, non può addormentarsi, non può chiudere gli occhi – non prima che James si svegli ancora.
Si alza dalla poltrona che è appena l’alba. Cammina per casa rimuovendo le tracce di sangue del marito, ovunque tranne che dai propri vestiti. Si sciacqua le mani ed il volto freneticamente mentre l’acqua si tinge di rosso e lei sembra non farci caso. C’è ancora sangue sui suoi vestiti ma Lily non ha intenzione di toglierlo.
Sente ancora quel peso addosso – e non quello fisico di suo marito, del suo metro e ottantacinque di altezza, dei muscoli definiti da Cacciatore di Quidditch – ma il peso di quello che stava perdendo: tutte le loro colazioni, le loro cene, i loro pranzi, tutte le loro serate, tutte le notti in cui lei dice di voler dormire e poi si ritrovano a fare l’amore, tutte le loro litigate furiose, tutti i loro buffi ed imbranati modi di far pace, tutti i figli che hanno soltanto immaginato di avere, tutti i bambini identici a James e tutte le bambine che dovranno essere belle come lei, quei sette bambini – come una squadra di Quidditch – che James dice di voler fare con lei che ribatte «tanto non sei mica tu a doverli portare per nove mesi». Tutto quello che aspettano di poter fare quando la guerra sarà finita.
Adesso Lily vorrebbe solo dirgli che di squadre di Quidditch ne farebbe due, tre, perché l’idea di poter perdere James non è mai stata più concreta di stanotte e non è sicura di voler aspettare la fine della guerra. Non è più sicura che la guerra finirà, non è più fiduciosa che ne usciranno vivi, non vuole rimandare un minuto di più.
È per questo che Lily non può rinunciare al loro rito mattutino. Non può tollerare che la guerra le tolga quella gioia. Così versa caffè nelle tazzine regalatele da sua madre e le sistema nel primo vassoio che trova, afferra una scatola di biscotti, un po’ di cioccolata. Non importa che quella mattina la colazione non sarà perfetta – importa solo che ci sia.
Si scopre incapace di fare un passo con quel vassoio in mano, cercando la magia. Pensa che l’Incantesimo di Levitazione è tra i primi che insegnano ad Hogwarts e che mai le era riuscito così male. Se il Professor Vitious la vedesse, le direbbe di rivedere il movimento del polso. Quel vassoio non fa altro che tremare, trema come lei che si muove incerta nella sua stessa casa.
Quando entra in camera da letto, James ha appena aperto gli occhi e la smorfia che gli deforma appena il volto tradisce il dolore che ancora avverte nel compiere quel che è per lui il più banale dei gesti: mettersi gli occhiali. Non appena si accorge di Lily, si apre in un sorriso – uno vero, non il suo solito ghigno un po’ storto che ha perennemente stampato sul volto ma uno di quelli che riserva solo a lei.
«Sono un uomo fortunato» sussurra e Lily non sa se si riferisca alla colazione o alla sua vita. Sa solo che, ora che è sveglio, può abbassare la guardia per un attimo e, finalmente, stendersi accanto a lui.
Si appoggia appena sul suo petto, timorosa di fargli male, lasciandosi andare soltanto quando avverte le braccia di lui avvolgerla e trattenerla a sé e la bocca di lui posarsi sulla sua fronte.
Restano così per un po’. Non c’è mai stata una volta in cui hanno avuto più paura e, anche se James non lo dice, Lily avverte anche la sua fede vacillare.
James è sempre stato, tra tutti, quello che più ha creduto nella necessità di combattere, nel dovere di debellare l’idea della primazia del sangue puro. È sempre quello che, dopo una sconfitta, dopo una perdita, cerca di motivare tutti loro come se non ci fosse una guerra da vincere ma soltanto un Campionato di Quidditch.
Questa volta, però, se ne sta in silenzio con la bocca sulla sua fronte, le braccia che la avvolgono in una stretta disperata, a respirare il profumo del balsamo di Lily che ha sempre adorato – è di quello, le ha detto un tempo, che profuma la sua Amortentia. Ed anche lei tace con il viso nascosto nell’incavo del collo di James, una lacrima furtiva e solitaria che le bagna la guancia, a bearsi di quel momento perché dopo ore – interminabili ore – ha smesso di tremare.
Riesce solo a pensare che James è ancora lì, vivo e vegeto, a stringerla, che ci sono ancora tutte le loro possibilità e che quel peso non l’ha schiacciata.
«Lily, hai ancora i vestiti tutti sporchi…», nota James grazie alle prime luci del mattino che hanno illuminato la stanza, «Dai, cambiati! Tanto oggi la passiamo in pigiama».
Lei non sa dove il marito trovi la forza ma la costringe a mettersi seduta sul letto, aiutandola a sfilare quel maglione così impregnato di sangue. Mentre lei cerca la camicia da notte, le posa un bacio sulla spalla nuda, poi sul collo, poi sul naso.
Non se lo dicono ma è il suo modo di ringraziarla, di ricordare a se stesso che, sì, è vivo – per miracolo, grazie a lei, è vivo e può respirare ancora, baciarla ancora una volta.
Dove ci sono lei e James non c’è mai silenzio, non ce n’è mai stato. Lo ripete spesso Remus. La loro storia è sempre stata nelle parole, nei battibecchi, nelle litigate, nei rumori che animano la loro casa.
È per questo che quel silenzio la disorienta. E, forse, è per questo che, guardando suo marito negli occhi, riesce finalmente ad infrangerlo e a parlare.
«Non voglio aspettare che la guerra sia finita, James. Non voglio aspettare anni prima di avere la vita che sogniamo. Non voglio morire senza avere i nostri bambini. Non voglio più vivere soltanto per questo».
James la guarda a lungo e Lily nota che non è sorpreso dalle sue parole, che non ribatte a quanto sia folle mettere su famiglia in quel momento.
«Per me va bene. Tanto saranno tutti identici e precisi al sottoscritto» risponde poi con un sorriso, accogliendo implicitamente la sua richiesta.
Lily sorride, sorride davvero, come se non ci fosse stato un combattimento poco prima, come se non si fosse appena sfilata i vestiti impregnati del sangue di suo marito.
«Non ci sperare! I geni Evans hanno intenzione di fare la loro parte» ribatte mentre gli accarezza i capelli.
«Solo… ti dispiace se magari iniziamo domani o dopo che avrò preso il tuo fantastico caffè? Mi sento, più o meno, come quella volta in cui Moony ha strisciato le sue dolci zampine sulla mia schiena. Non credo di poter resistere senza caffeina».
«E io che credevo che ti sentissi come quella volta che tu e Sirius avete deciso di provare tutta la lista cocktail di quel locale babbano sotto casa sua. Mica ci sono stati appena stati spargimenti di sangue!».
È per questo che Lily non può rinunciare a quel rito: serve a riprendersi tutto. È tutto come sempre. C’è ancora tutta la loro vita, tutte le loro possibilità. Lily non sente più pesi che la schiacciano, non sente più addosso tutto quello che avrebbe potuto essere la loro vita, tutti i bambini che non hanno mai avuto. Dei bambini ci saranno – lo ha detto James – e, anche se non lo dice, spera che siano tutti uguali a lui con qualche minuscolo dettaglio di lei. O forse ne faranno talmente tanti che perderanno il conto di chi somiglia a chi.
«Ah, la mia povera testa sta già meglio» dice James, sorseggiando il caffè, sotto lo sguardo compiaciuto e sollevato di Lily.
«Se non fosse stato per me, non avresti nemmeno cominciato a berlo e avresti torturato la tua povera testa per molto tempo!».
«Com’è che dicono i Babbani? ‘Che Dio salvi la Regina’! Per fortuna, Evans, sei sempre nei paraggi per salvare la mia povera testa… e non solo» le dice con complicità.
«Non sono mai stata tanto spaventata».
«Lo so. Anche io», ammette lui, attirando Lily a sé e giocando distrattamente con una ciocca ribelle dei suoi capelli.
Lily sospira. Non c’è molto da dire: per quanto spaventati a morte, non si tireranno mai indietro dalla guerra, nemmeno se dovessero avere una dozzina di figli. Sono due idealisti, testardi, fermamente convinti nella necessità di combattere certe idee, proprio per quei figli che non hanno ancora, per la ferma convinzione che nutrono entrambi di un mondo migliore ancora possibile. Da domani torneranno a combattere, ancora una volta, e lo faranno fin proprio alla fine.
«La tua testa, comunque, deve avere ancora qualche problema. Forse ti è sfuggito ma da qualche mese il mio cognome è Potter, non Evans».
«Te l’ho già detto. Per me e solo per me resterai sempre Lily Evans» le dice lui, con il suo solito tono canzonatorio, mentre le prende il viso per baciarla.
«Sei il solito egocentrico, Potter» gli sussurra lei sulle labbra. James ride e la bacia ancora.
Ad ogni bacio la guerra si allontana sempre di più, esce fuori dalla loro casa, anche se sembrava impossibile dopo l’ultimo scontro.
«Allora, questi bambini… Il primo sarà un maschio» afferma con solennità.
«Non lo abbiamo ancora messo in cantiere e tu già ne sei certo?».
«Sono un Potter, mia cara. I Potter hanno sempre prima un figlio maschio».
«Magari spezziamo la tradizione».
«Non credo».
«Per curiosità, il Mantello lo eredita il primogenito o si decide di volta in volta?» chiede Lily.
«Nel nostro caso, visto che avremo almeno dodici figli, lo erediterà il figlio preferito» risponde lui con ovvietà.
«Che idiota che sei! Non ci sarà il figlio preferito!».
«Certo che ci sarà» ribatte James. Poi la guarda e aggiunge «Sarà quello con i tuoi occhi».
Lily ride e si sente di nuovo leggera, con le mani nei capelli indomabili di James, la bocca premuta contro la sua e, stretta nell’abbraccio di suo marito, ogni nemico le pare lontano. Tutto le sembra ancora possibile.
Non vede più sangue, non sente più il peso schiacciante del futuro che stava per scivolarle tra le mani, non trema più, non sta più precipitando.
Beve un ultimo sorso di quel caffè ormai freddo. Non importa che il gufo non sia ancora arrivato con il giornale. Lo leggeranno a letto.
È il loro rituale e Lily non può rinunciarvi. È la sintesi di tutta la loro vita insieme, è l’essenza di quell’amore che ha impiegato così tanto a riconoscere ed accettare, è tutte le loro conquiste, è tutte le loro possibilità, è le promesse nuziali che si sono scambiati, i voti ai quali non sono mai venuti meno anche quando tutto – compreso loro – sembra scivolare via.
Lei e James si afferrano al volo – lo fanno sempre – anche quando sembra impossibile.
 
Note: alla fine l'angst non l'ho abbandonato nemmeno un po' ma, nonostante stessi scrivendo altro, questa è venuta fuori così. James e Lily sono per me l'OTP di Harry Potter.
Ho letto così tanto su di loro che ho sempre l'ansia di scrivere e, infatti, di solito quello che scrivo poi non lo pubblico mai. Stavo scrivendo sempre di loro ma un'altra storia con una certa difficoltà. Questa, invece, si è praticamente scritta da sola. Ho messo il rating giallo perchè, nonostante ci sia sempre come leit motiv il sangue di James, non descrivo mai la scena ma, se qualcuno più esperto di me ritiene che vada cambiato, me lo segnali. 
Altra cosa, nella storia non cito morti ma, anche se a me pare impossibile, sembra che tutti i membri dell'Ordine originario (quello indicato da Malocchio nella famosa foto) siano morti dopo il luglio 1981. Ho incrociato un po' di date ma credo che la Rowling non vi abbia dato peso. So che lei non ha posto l'attenzione sulle famose tre volte in cui Lily e James sconfiggono Voldemort, dicendo che "sconfitto" può significare tante volte, anche essere sfuggiti ai suoi seguaci, ma per me - per amor di tassatività e determinatezza - sconfitto vuol dire che si sono incrociati con loro. Se non erro, è stata sempre la Rowling a sostenere che all'inizio Voldemort avesse offerto a Lily e James di unirsi a lui.
Il titolo è tratto da quella fastidiosissima canzoncina che ho in testa Death Bed - Coffee for your head e che mi ha acceso una lampadina. 
 
   
 
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