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Autore: effe_95    01/06/2020    0 recensioni
Questa è la storia di diciannove ragazzi, i ragazzi della 5 A.
Questa è la storia di diciannove ragazzi e del loro ultimo anno di liceo, del loro affacciarsi a quello che verrà dopo, alla vita. Questa è la storia di Ivan con i suoi tatuaggi , è la storia di Giasone con le sue stelle da contare, è la storia di Italia con se stessa da trovare. E' la storia di Catena e dei fantasmi da affrontare, è la storia di Oscar con mani invisibili da afferrare. E' la storia di Fiorenza e della sua verità, è la storia di Telemaco alla ricerca di un perché, è la storia di Igor e dei suoi silenzi, è la storia di Cristiano e della sua violenza. E' la storia di Zoe, la storia di Zosimo e della sua magia, è la storia di Enea e della sua Roma da costruire. E' la storia di Sonia con la sua indifferenza, è la storia di Romeo, che non ama Giulietta. E' la storia di Aleksej, che non è perfetto, la storia di Miki che non sa ancora vedere, è la storia di Gabriele, la storia di Lisandro, è la storia di Beatrice che deve ancora imparare a conoscersi.
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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I ragazzi della 5 A

 

65.Coltivare un fiore, Germoglio del cemento e Caro Cristiano .

 

 

Giugno

 

Gabriele aveva trovato Katerina nascosta dietro il cespuglio.
No, trovarla lì non era stata una cosa razionale, non lo era stata per nulla.
Aveva girovagato in lungo e largo per tutta la casa di sua nonna, intralciando la donna che se ne stava tutta agitata in cucina, impegnata a preparare uno dei suoi pranzi inventati. Era euforica, troppo tempo era passato dall’ultima volta che i suoi nipoti di sangue, e quelli acquisiti, erano andai a mangiare da lei. Sarebbe andata presto in pensione e cominciava con fatica ad abituarsi a quella vita fatta solo di famiglia e libertà, tempo per se stessa.
Gabriele era finito in giardino solamente per inerzia, perplesso, faceva un caldo tremendo anche sotto l’ombra dei due maestosi e unici alberi di noce, quindi avrebbe sicuramente preferito starsene dentro casa, dove c’erano i condizionatori accesi.
Era convinto che per Katerina fosse lo stesso, eppure gli era bastato distrarsi qualche ora, immerso nei libri di letteratura italiana in un disperato tentativo di recupero dell’ultima ora, per perderla di vista. Aveva abbassato lo sguardo sul libro, l’aveva rialzato distrattamente dopo un tempo che non aveva saputo quantificare esattamente, e sul divano non c’era più nessuno rannicchiato con un libro tra le mani.
Era comunque ora di pranzo e una pausa se l’era meritata, quindi si era messo alla ricerca.
L’odore, era stato l’odore a condurlo verso il cespuglio, non qualcosa di razionale o un pensiero concreto, un intuizione, ma l’odore di cocco trasportato da un’inaspettata folata di vento, che aveva smosso leggermente il caldo asfissiante di quel Giungo che stava entrando nella sua fase finale. Il giorno successivo Gabriele avrebbe sostenuto gli scritti. Non era preoccupato, non ancora almeno, si sentiva piuttosto sospeso in un punto di svolta che sapeva sarebbe giunto, ma non era stato preparato ad accogliere consapevolmente.
Katerina era stesa a pancia in sotto sull’erba fresca, appena innaffiata, aveva i gomiti piantati nel terreno mentre reggeva il libro che stava leggendo in quel periodo di vacanze estive tra le mani curate, il suo braccialetto scintillava quasi fastidiosamente al sole.
Indossava un vestitino leggero, di cotone bianco a fantasia di lillà, era a piedi scalzi e, poiché li teneva sollevati in aria e incrociati tra di loro, Gabriele notò che erano sporchi di terra bagnata e clorofilla verde. Sorvolò velocemente sull’accenno di gluteo che si intravedeva dal lembo sollevato del vestitino, sul fianco destro, e ignorò il bordo bianco delle mutandine a strisce colorate che stava indossando, scelta non molto saggia dato il colore dell’abito.
Anzi, nel mettersi seduto sotto l’albero, accanto a lei, le aggiustò quel pezzo di stoffa, sistemandogliela compostamente sulla pelle abbronzata dal sole.
<< Fa caldo, perché ti sei messa qui fuori? >> Le domandò lui pigramente.
Aveva tuttavia appoggiato la testa sul tronco e sollevato lo sguardo sulle fronde dei due unici alberi del giardino che si intrecciavano tra di loro, come se si stessero abbracciando. Il sole vi filtrava attraverso creando giochi di luci e ombre sul suo volto sudato.
<< L’erba è fresca. L’innaffiatore automatico ogni tanto la bagna >>.
Fu la risposta distratta di Katerina, che non aveva nemmeno sollevato lo sguardo dalla pagina che stava leggendo, sebbene avesse dovuto percepire la sua presenza in qualche modo. Gabriele non era stato certo discreto nello spostare il cespuglio per raggiungerla.
Le stavano crescendo i capelli, aveva adesso un caschetto sistemato che le arrivava giusto al mento, incorniciandole il viso affilato, sotto il sole sembrava una pepita d’oro scintillante. Gabriele allungò una mano e sciolse il fiocco del nastro che aveva utilizzato al posto del cerchietto, avvolgendolo immediatamente attorno al polso, anche quello profumava di cocco.
Katerina non sollevò lo sguardo dalla pagina che stava leggendo nemmeno in quel caso.
<< Cos’è che stai leggendo con tanto interesse? Non ti sei staccata da quel mattoncino da quando siamo arrivati da nonna stamattina presto! >>.
Le disse allora lui e proprio in quel momento l’innaffiatoio automatico prese a spruzzare l’acqua sull’erba e nelle piante attorno, Gabriele si ritrovò con la maglietta umida e il volto bagnato, ma non se ne dispiacque affatto. Era fresco, proprio come aveva detto Katerina.
Ora capiva perfettamente perché si fosse andata a rifugiare proprio in quel posto.
<< Potrei mettermi a studiare qui oggi pomeriggio … >> Mormorò allora Gabriele, completamente dimentico o improvvisamente disinteressato alla sua domanda precedente. Katerina sollevò allora lo sguardo dal libro per la prima volta, voltandosi a guardarlo.
Le venne un sorriso spontaneo sulle labbra carnose; Gabriele aveva due aloni di sudori ben visibili sotto le ascelle, che si espandevano anche sulle maniche corte della maglia grigia. Il ciuffo era raccolto in alto in un mini – codino con un elastico rosa, uno di quelli minuscoli che si utilizzavano per le bambine piccole, appartenuto probabilmente a Lisa e dimenticato. I bermuda color cachi erano a loro volta inumiditi dagli schizzi dell’innaffiatoio automatico e una delle due infradito che indossava stava per cadergli dal piede, poiché li aveva incrociati.
Aveva anche una cavigliera che scintillava sotto la luce del sole, la K d’argento le feriva quasi la vista, ma Katerina era compiaciuta da quella vista. Gabriele non la toglieva mai.
<< Io adoro questo posto >> Decise allora di parlare lei.
Si era nel frattempo messa seduta, le ginocchia e le gambe affondavano nell’erba bagnata e corta e il vestitino bianco le si allargava attorno, il libro l’aveva appoggiato a pancia in giù sulle cosce, il titolo Jane Eyre spiccava nel suo colore blu cobalto sulla copertina beige.
Gabriele la guardò, allungando immediatamente una mano per aggiustare una ciocca dorata sfuggita da dietro l’orecchio quando le aveva sfilato via il nastro.
<< Davvero? >> Domandò lui osservandola intensamente << Come mai? >>.
Lei sorrise lievemente, era struccata e il viso pulito era illuminato a tratti dalla luce che filtrava attraverso le fronde, fece un passettino in avanti sull’erba per accostarsi a lui, sporcandosi le ginocchia di terra e del verde della clorofilla sprigionata a contatto con l’acqua e lo sfregamento. Avanzò fino ad appoggiare il mento sulla sua spalla, dandogli ora totale attenzione. Gabriele venne totalmente investito dal suo odore di cocco, forte, lo adorava.
<< Quella sera puzzavi di alcol e mi hai anche vomitato addosso >>.
Mormorò lei arricciando le labbra, Gabriele sollevò un angolo delle labbra in un sorriso ammiccante, sciolse il fiocco fortuito che aveva fatto con il nastro intorno al suo polso e lo avvolse dolcemente intorno al collo della ragazza, come fosse una sciarpa o un foulard.
Aveva immediatamente compreso a che cosa Katerina stesse facendo riferimento, il loro primo bacio, inaspettato, dato proprio dietro quel cespuglio in una notte brava.
<< Ma ti ho anche baciata >> La provocò Gabriele, tirandola dolcemente in avanti con lo stesso foulard; nello slancio Katerina avvolse automaticamente le braccia attorno al suo collo. Gabriele profumava di ammorbidente, bagnoschiuma all’iris, dopobarba e sudore.
<< E ti sei salvato per un pelo >> Lo ammonì lei a fior di labbra << Se non mi avessi vomitato addosso ti saresti trovato con un cazzotto dritto sul naso >>.
Gabriele mise su un ghigno terrificante, anche se risultava ugualmente smorzato, o forse ridicolo, se accostato a quel codino da samurai rosa anche troppo stretto.
<< Tu non mi piacevi Gabriele Rossi! >> Continuò lei, con un finto tono minaccioso.
Si guardarono negli occhi, talmente vicini che i loro respiri si confondevano.
C’era sfida nei loro sguardi, ma durò poco, scoppiarono entrambi a ridere l’istante successivo.
Avevano caldo a stare vicini in quel modo, la pelle era lucida e appiccicosa e le mani di Gabriele sulle sue scapole e sul fianco erano decisamente bollenti, ma a Katerina piaceva. Non che si fossero ancora mai toccati oltre dei vestiti, ma le dava quella sensazione lì.
<< Ma il bacio deve esserti piaciuto eccome >> Replicò poi lui ad un certo punto, quando la sua risata si era finalmente smorzata << Sei stata inarrestabile da quel momento in poi >>.
Aveva ancora quel ghigno fastidioso sulle labbra, Katerina sollevò un sopracciglio biondo, i suoi occhi grigi avevano delle pagliuzze dorate a contatto con i raggi del sole indiretti.
<< Ma ti ho fatto innamorare di me. Quindi ho vinto io >>.
Sembrava una bambina capricciosa mentre pronunciava quelle parole sussurrate sulle sue labbra. Gabriele avrebbe voluto baciarla, farla stendere sull’erba se possibile e accompagnarla in quel movimento sinuoso e sensuale, ma gli piaceva quel modo nuovo che avevano di rubarsi quei baci a fior di labbra, mostrando una reticenza giocosa nel toccarsi. Alla fine non riuscivano mai a capire chi l’aveva vinta per primo.
<< Sei preoccupato per domani? >> Katerina voleva portare quel gioco ancora per le lunghe.
Gabriele si sentì infatti solleticare le labbra dal suo respiro quando pronunciò quelle parole. Ma le morsicchiò ugualmente il labbro inferiore prima di risponderle.
<< No, conoscendomi mi verrà l’ansia una volta consegnato il tema >>.
Katerina rise di quelle parole, una risata cristallina e breve, che le lasciò le fossette sul viso.
Gabriele si era fatto audace da quando aveva confessato della loro storia alla famiglia.
Katerina non credeva di averlo mai visto tanto spontaneo e felice come lo era stato in quelle settimane. La portava dappertutto con sé, la toccava senza vergognarsi, le parlava con spontaneità anche per strada; era stato strano all’inizio, non aveva potuto fare a meno di provare una sorta di estraneità nei confronti di un aspetto del suo fidanzato che le era sconosciuto. Se ne era sentita spaventata all’inizio, Gabriele si era sempre frenato con lei.
Ma con il passare del tempo quella sensazione era velocemente sparita, Katerina avrebbe infatti potuto dire senza ombra di dubbio che adesso Gabriele era una persona libera. Felice. Quindi, lei non poteva che esserlo in egual misura.
E quel Gabriele felice le piaceva decisamente di più, con la sua spontaneità, con la sua passionalità e anche con quegli anni in più che la facevano apparire ancora una bambina. Gabriele aveva mostrato perseveranza e determinazione nelle proprie convinzioni anche riguardo quella faccenda, Katerina sarebbe rimasta una bambina ancora per qualche anno e lui non aveva fretta. Per l’amore vero, aveva imparato di non aveva fretta alcuna.
Era come coltivare un fiore, qualcosa di minuscolo, lento, fragile e delicato, che una folata di vento eccessiva o una mancanza di cure avrebbe spazzato via e distrutto in un secondo. Ma qualcosa di straordinariamente incantevole quando sbocciava nei suoi petali caleidoscopici. Gabriele aveva dato quell’immagine all’idea che aveva dell’amore. Katerina era senza ombra di dubbio il bocciolo che avrebbe coltivato per tutta la vita.
Era una convinzione che, a vent’anni di vita, aveva pensato di potersi permettere di fare.
<< Quando avrai finito gli orali andremo insieme in vacanza >>.
Katerina lo baciò velocemente sulle labbra, uno sfiorasi leggero prima di ritrarsi nuovamente.
<< Davvero? Non ne sapevo nulla >> Commentò Gabriele, e quella volta toccò a lui baciarla.
A fior di labbra, uno schiocco silenzioso e l’innaffiatore li spruzzò nuovamente con l’acqua.
<< Si, i nostri si stanno organizzando. Parlavano di Cefalonia come meta >>.
<< Cefalonia? Non male … tra qualche anno potremmo andarci insieme solo io e te … >>.
La voce di Gabriele si era fatta leggermente roca, il caldo stava aumentando. Era ora di pranzo ormai, molto presto nonna Luna sarebbe uscita fuori a chiamarli.
<< Dovrai aspettare ancora un bel po’ per quello >> Gli disse lei, seria.
<< Sono paziente … >> Commentò Gabriele, poi ci pensò su << … a volte >>. Risero nuovamente, questa volta a voce più alta.
Era così bello stare insieme senza vergognarsi, senza avere paura di essere scoperti, senza preoccuparsi di quei cinque anni che li dividevano lungo la linea temporale. Era stato un anno difficile quello, ma quante cose nuove avevano imparato.
Gabriele, di certo, aveva quanto meno guadagnato qualcosa di prezioso e una maggiore consapevolezza di se stesso e della sua vita. Di cosa farsene del suo futuro.
Quando la loro risata si estinse, Katerina e Gabriele si scambiarono solamente uno sguardo di tacito accordo prima di scambiarsi finalmente un bacio pieno, e ancora una volta non potevano dire chi avesse cominciato e chi avesse vinto quel gioco infantile di effusioni rubate.
Sentirono in quel momento il cancello scattare, erano vicini all’entrata del giardino.
Gabriele e Katerina non temevano di essere visti, nascosti dal cespuglio e dagli alberi, ma il vestito bianco di lei e l’ennesimo spruzzo improvviso dell’innaffiatoio automatico tradirono la loro presenza. Ebbero appena il tempo di separare le labbra prima che qualcuno spostasse le fronde.
<< Fa caldo, ma non vi annoiate a stare appiccicati a quel modo? >>.
Il volto abbronzato di Aleksej fece capolino tra le frasche, aveva una voce monotona.
Doveva essere appena arrivato; in lontananza sentirono anche la voce squillante di Lisa, Andrea e Simone che scendevano le scale al piano di sotto pronti per il pranzo.
Aleksej aveva i capelli talmente rischiarati dal sole che sembravano bianchi, mentre gli occhi erano un caleidoscopio di tonalità d’azzurro difficili da catalogare.
<< Tu ti annoi a stare appiccicato a Miki? >> Gli domandò di rimando Gabriele, annoiato.
Katerina, forse per l’imbarazzo o forse perché ancora non ci era abituata, fece un debole tentativo di sciogliere il loro abbraccio; ma le mani di Gabriele, bollenti, rimasero ben incollate sul suo corpo e la tennero stretta a sé. Era quasi prepotente.
Non che Aleksej avesse mai mostrato disagio ad ogni modo di fronte alle loro manifestazioni d’affetto. In realtà, nessuno aveva mai detto nulla, se non Alessandra o Jurij i primi tempi. Ma anche loro aveva smesso alla fine.
<< Vedo che sei simpatico stamattina eh? >> Commentò Aleksej mettendo su un sorriso sghembo, se ne stava accovacciato nel cespuglio maltrattandolo visivamente.
Gabriele non rispose, ma guardò il suo migliore amico negli occhi, ringraziandolo in silenzio.
Aleksej gli fece l’occhiolino, ma senza che Katerina, ancora rossa, potesse notarlo.
<< Ti vedo accaldata, Katja >> Decise allora di prenderla in giro per farla sciogliere, funzionò.
Katerina non era famosa né per la sua sottomissione, né per la sua calma.
<< Ora ti faccio accaldare io con un calcio nelle pal- >>.
<< Va bene, calma, calma! >> Intervenne immediatamente Aleksej alzando le mani, rise.
Gabriele invece si morse un labbro inferiore per trattenere le sue di risate. Era evidente che non volesse essere il prossimo a ricevere quel genere di minaccia.
Proprio in quel momento dall’abitazione sopraggiunse la voce allegra e contenta di nonna Luna, che annunciava il pranzo. Era una bella prospettiva quella di trovare la tavola invasa dalla metà dei suoi nipoti, acquisiti e non, persino Gabriele era dell’umore adatto quel giorno.
I tre si alzarono, raggiungendo velocemente il vialetto di ghisa.
Il libro di Jane Eyre era stato brutalmente abbandonato presso le radici dell’albero, scivolato indisturbato e silenziosamente dalle gambe della ragazza mentre si stringeva a Gabriele, che alla fine aveva vinto la sua battaglia. Aveva vinto tutta la sua attenzione.
Katerina li distanziò quasi subito, camminava circa un metro più avanti, saltellava felice nonostante i piedi nudi e il vestito umido, il fiocco le pendeva ancora dal collo … sembrava una ninfa dei boschi. Gabriele la osservava con un sorriso accennato sulle labbra. Non si era accorto di essere osservato a sua volta, ma da occhi diversi.
<< Se continuerai a guardarla in quel modo, allora credo che Francesco possa stare tranquillo per il resto dei suoi giorni >> Commentò Aleksej, richiamando finalmente la sua attenzione << E anche io >> Ci tenne poi ad aggiungere, con voce calda e confortante.
Gabriele distolse lo sguardo dalla schiena di Katerina e fissò il suo migliore amico.
Non disse nulla riguardo quelle parole, non ne aveva più bisogno ormai.
<< Sei preoccupato per domani? >> Cambiò argomento.
Aleksej fece spallucce, era una domanda sciocca quella di Gabriele e lo sapeva bene.
<< Mi dispiace solo che sia finita >> Si ritrovò piuttosto a dire. Gabriele si fermò a riflettere su quelle parole, era vero, molte cose stavano finendo, ma …
<< Ma io e te saremo ancora insieme >> Constatò, facendo semplicemente spallucce.
Quella volta toccò ad Aleksej fissarlo e riflettere sulle sue parole.
<< Come i migliori tra i fratelli eh? >> Decretò infine.
<< Già >> Rise Gabriele.
Proprio in quel momento Katerina li richiamò, invitandoli a sbrigarsi, aveva fame. Era ferma sullo stipite di legno della portafinestra, che toccava delicatamente con una mano. Aleksej e Gabriele si guardarono un’ultima volta complici.
Era forse passata la stagione della loro adolescenza, ma loro due erano lì, pronti insieme ad affrontare qualsiasi cambiamento e dolore la vita avesse in serbo in futuro per loro. Esattamente così come avevano cominciato, molti anni prima.

 

Il salice piangente, che pendeva sul marmo grigio tempestato di nero, aveva le foglie secche.
Era un’estate torrida quella che si stava affacciando alle porte.
Zosimo aveva la fronte totalmente impregnata di sudore, con i ricci che rimbalzavano umidi sul volto dai tratti fiabeschi. Aveva appena gettato un intero secchio d’acqua ghiacciata sul marmo della lapide, spazzando via lo sporco e i fiori secchi, facendo in modo che un po’ di quell’acqua colpisse accidentalmente anche lui e il suo accompagnatore. Cristiano, di fatto, non sembrò minimamente toccato o infastidito da quel gesto.
Anche lui aveva caldo, stava sudando nonostante la maglietta a giro-maniche che indossava. Inoltre, si stava avvicinando l’ora di pranzo, il momento di caldo peggiore in assoluto. Zosimo, inginocchiato accanto al vaso dei fiori, che emanava un odore nauseante di acqua putrida, strofinava alacremente la fotografia di sua madre mentre gocce di sudore solcavano le sue tempie. Ma nonostante questo, come sempre, il sorriso adornava le sue labbra sottili.
<< Mi passi i fiori freschi, Cris? >> Domandò all’amico, allungando una mano.
Aveva infatti appena svuotato e ripulito brutalmente il vaso, schizzandosi addosso sia di acqua putrida che di acqua fresca, ma siccome aveva i vestiti già sporchi di grasso dei motori non faceva alcun tipo di differenza per lui sporcarsi anche un altro po’.
Cristiano, mortalmente annoiato dal caldo soffocante, passò il fascio di fiori all’amico come gli era stato precedentemente richiesto.
<< Se anche il vaso di mia madre puzza in quel modo io me ne vado >>.
Commentò con la sua solita voce scocciata e apatica, anche lui era inginocchiato accanto alla lapide curata e immacolata, ma dalla parte opposta. I capelli indomabili erano tirati indietro da un cerchietto che aveva sottratto a Sonia qualche tempo prima, mentre studiavano da lei.
Zosimo rise, mentre sistemava con cura le peonie e le begonie nel contenitore d’ottone.
<< Non preoccuparti, ci sono qui io per questo, no? >>.
Cristiano guardò il suo migliore amico e lo spinse leggermente sulla spalla quando lo sentì provocarlo in quel modo, Zosimo ricambiò l’occhiata, entrambi avevano un sorriso scherzoso sulle labbra, anche se forse il burbero Cristiano lo nascondeva decisamente meglio.
<< Ecco fatto! >> Annunciò poi il folletto, soddisfatto << Hai visto che belli mamma? >>.
Domandò alla donna sorridente riflessa nella foto, Emilia sembrava sempre rispondergli.
Cristiano inoltre si era anche abituato a quelle scene, le trovava familiari e necessarie quasi, avrebbe ormai potuto dire.
Zosimo congiunse le mani in preghiera e rimase in silenzio per qualche minuto, immerso in pensieri personali che non voleva condividere; anche per quello ormai Cristiano ci aveva fatto l’abitudine, rimaneva in silenzio ad aspettare con rispetto.
<< Andiamo da tua mamma ora, Cris? >>. La domanda di Zosimo arrivò una volta che ebbe terminato la sua preghiera.
Cristiano annuì impercettibilmente e si tirò in piedi, stiracchiando le gambe che si erano tutte indolenzite a furia di starsene piegato sulle ginocchia accanto al marmo grigio e freddo. La lapide di Margherita era bianca, con venature rosa e grigie al suo interno, era ancora pulita dall’ultima volta che Cristiano l’aveva visitata, ovvero quasi una settimana prima. I due si accorsero immediatamente di un particolare inaspettato, di quell’unica rosa rossa sistemata nel vaso, ancora frasca in mezzo a quel mare bianco e giallo di margherite dai petali appassiti e macchiati prematuramente a causa del caldo soffocante.
Cristiano si inginocchiò nuovamente accanto alla lapide e sfiorò con le dita la rosa rossa, accigliato. Si domandava chi potesse averla portata e Sonia era stata la prima persona che gli era venuta in mente, ma con Sonia al cimitero ci era andato solamente qualche giorno prima.
Marta invece non ci andava mai, lasciando a lui il compito di occuparsi della faccenda.
Rimaneva una sola persona che avrebbe potuto farlo, ma Cristiano si rifiutava di crederci.
Scosse la testa e afferrò brutalmente il vaso, intenzionato a non pensarci oltre; al suo fianco Zosimo si era allontanato per non fare domande indiscrete, avendo capito che l’amico non voleva parlare di quella rosa dalla sua espressione.
Ne aveva comunque approfittato per riempire un secchio d’acqua pulita e cambiare quella del vaso che, per la gioia di Cristiano, puzzava esattamente di fiori appassiti dal caldo. A testimonianza del suo disappunto, Cristiano allontanò velocemente il vaso per vuotarlo nel canaletto di scolo e lo fece con il naso tappato e il braccio proteso eccessivamente in avanti. Zosimo sorrise a quella scena, ma lo fece di sottecchi, perché conosceva abbastanza bene il suo migliore amico da sapere che se la sarebbe presa se l’avesse notato, oppure l’avrebbe semplicemente colpito da qualche parte senza troppi complimenti né alcuna delicatezza.
Mentre Cristiano sistemava con cura le solite margherite bianche nell’oggetto del suo odio giornaliero, anche se ormai non più puzzolente, Zosimo gettò la secchiata sul marmo come aveva fatto precedentemente anche alla tomba di sua madre, osservando l’acqua colare dai bordi sul terreno particolarmente bisognoso a causa dell’arsura di quel periodo. Si accorse, una volta finita l’operazione, che Cristiano era rimasto con quella rosa tra le dita, se la rigirava a destra e sinistra, pensieroso. Sobbalzò imprecando quando una spina gli si conficcò senza troppi complimenti nel pollice, facendo zampillare subito il sangue.
<< Cazzo! >> Brontolò mentre si portava il dito ferito alle labbra, per succhiare sulla ferita.
Zosimo si accorse che l’amico ebbe l’impulso di gettare con foga la rosa per terra, magari calpestarla nel processo, ma trattenersi all’ultimo secondo, evidentemente combattuto. Alla fine, la ripose nuovamente nel vaso, lasciando che spiccasse in mezzo al bianco delle margherite. Cristiano si era ricordato solamente in quel momento che le rose rosse erano i fiori preferiti di sua madre, solamente una persona poteva conoscere quel dettaglio oltre lui.
<< Vaffanculo >> Mormorò nuovamente, contro chi non era ben chiaro.
Zosimo ridacchiò divertito e allo stesso tempo intenerito dall’espressione imbronciata e dalla reazione del suo migliore amico, questa volta senza riuscire ad evitarsi un’occhiataccia. Infilò una mano nel tascone della salopette che stava indossando e tirò fuori un cerotto malandato e sporco di grasso d’auto nella parte anteriore, lo porse a Cristiano.
<< Vuoi farmi morire con un infezione? Cos’è quello schifo? >>.
Lo rimbeccò immediatamente l’altro, fissando con fare astioso il povero cerotto incriminato.
Zosimo continuò a sorridere sventolando l’oggetto sotto il naso di Cristiano.
<< In officina mi faccio spesso male alle mani, ne porto sempre un po’ dietro con me >>.
Gli spiegò con pazienza, continuando a sventolare il cerotto; stizzito da tutto quel movimento insensato, Cristiano bloccò senza complimenti il polso ossuto dell’altro e gli strappò il tanto decantato “schifoso” oggetto dalle mani. Zosimo ghignò, mettendo in mostra la fila di denti perfettamente bianchi e dritti.
<< Togliti quel ghigno dalla faccia, idiota! >> Lo rimbeccò immediatamente Cristiano.
Nonostante avesse lo sguardo basso, impegnato a dividere le due alette di plastica bianca, un’operazione che richiedeva particolare attenzione dato che se i due lembi di cerotto si fossero attaccati tra di loro sarebbe finito con il dover buttare tutto, Cristiano riuscì ugualmente a percepire che l’altro stava ridendo di lui.
Una volta avvolto il cerotto attorno al pollice, sollevò lo sguardo e fissò Zosimo di sottecchi.
L’amico indossava la salopette che utilizzava a lavoro, era anche quella sporca di grasso.
Aveva appena terminato il suo turno quando Cristiano era passato a prenderlo per andare al cimitero, non gli aveva dato nemmeno il tempo di andare a casa a farsi una doccia. Ma Zosimo era fatto in quel modo, l’aveva accompagnato senza lamentarsi o fare domande.
Guardandolo, Cristiano si rese conto che gli sarebbe mancato tantissimo dove sarebbe andato a stare da solo con Sonia e Marta, a partire da Settembre.
<< Sta andando bene questo apprendistato all’officina? >>.
Si ritrovò allora a domandargli, perché da quando l’amico aveva cominciato una settimana prima quella sorta di “addestramento” pagato appena due pidocchi, Cristiano non gliel’aveva mai chiesto, nemmeno una sola volta. Sapeva che Zosimo voleva aprirsi un’officina in futuro, diventare un meccanico.
Stava già cominciando a realizzare i suoi sogni, l’aveva fatto senza nemmeno preoccuparsi di non dover spendere quella giornata a lavorare, ma piuttosto a studiare dato che l’indomani aveva un esame da affrontare, il primo in assoluto, la meno temuta prova d’italiano.
<< Benissimo! >> Rispose l’amico entusiasta << Il signor Franco è severo, ma sto imparando tantissime cose. Per esempio, un giorno … >>.
Zosimo cominciò a raccontare, ma Cristiano si distrasse ad osservarlo.
L’amico aveva le mani tutte incerottate, poteva facilmente immaginarsi il suo capo che lo strigliava per bene, magari rimproverandolo anche aspramente con qualche scappellotto oltre che con l’invettiva verbale, poteva anche immaginare Zosimo continuare a sorridere in rimando. Inoltre, stava parlando a propulsione come se non avesse aspettato altro che farlo.
Cristiano si sentì in colpa per quello e fece una cosa non da lui.
<< Mi mancherai Zosimo >> Lo interruppe, senza preoccuparsi delle conseguenze.
Cristiano aveva abbassato lo sguardo nel dire quelle tre semplici parole, osservava con disinteresse un ciuffo d’erba spuntato tra il cemento e la lapide di marmo, a riprova del fatto che anche un fiore potesse nascere e crescere rigoglioso dal cemento, caparbio. Lui stesso di sentiva un germoglio del cemento.
Forse quella fu la prima volta che Cristiano vide dipinta la sorpresa sul viso del suo migliore amico, anche se la sua espressione era come al solito incredibilmente apatica, un pizzico del suo cuore guizzò felice alla prospettiva di aver strappato via il sorriso dal volto sempre allegro.
Cristiano era felice che fosse successo soprattutto per una cosa positiva.
<< Cris … >> Commentò Zosimo grattandosi la nuca << Ma ci sentiremo tutti i giorni, no? E poi potrò venire a trovarti qualche volta se vorrai >>.
Cristiano ghignò, mettendo in risalto i canini più appuntiti del normale, ferini quasi.
<< Qualche volta? Tornerò almeno una volta a settimana per starti attaccato al culo idiota! >>.
Fu la sua replica burbera, Zosimo scoppiò a ridere ed entrambi presero a spintonarsi giocosamente sulle spalle.
Ovviamente, sapevano entrambi che una cosa del genere non sarebbe mai stata possibile, ma quello era il modo un po’ strano di Cristiano di far sapere a Zosimo che nonostante le loro vite si fossero intrecciate solamente da poco, nonostante avrebbero presto intrapreso strade diverse, non aveva intenzione che l’altro uscisse dalla sua vita. Non aveva molte persone che la riempivano, ma quelle poche erano preziose per lui.
Quanto meno, quello era il dono che gli aveva fatto sua madre, l’aveva messo al mondo, il minimo che doveva fare era vivere meglio che poteva, con il meglio che gli veniva concesso.
<< Passerai anche da mia madre quando non ci sarò? >>. Domandò Cristiano fissando la lapide pulita, con i fiori adesso ancora profumati.
<< Se non lo faccio io non lo farà nessuno. Forse - >> Si interruppe, come per ripensare a quello che stava dicendo << Mamma si sentirà sola senza di me … penso >>.
Lui non parlava con la foto di sua madre come il suo migliore amico, ma aveva cominciato a pensare che non fosse male, provava un profondo conforto in quegli appuntamenti settimanali, un conforto che avrebbe perso tra qualche mese. Ne aveva anche paura.
Zosimo tuttavia annuì immediatamente, lo fece con assoluta solennità.
<< Stai tranquillo, Margherita non si sentirà mai sola finché ci sarò io >>. Cristiano si concesse un sorriso molto simile ad un ghigno.
Entrambi si voltarono verso la lapide, ora toccava a lui pregare in silenzio, con le mani giunte.
Grazie mamma per avermi messo al mondo.
Erano ormai quelle le sue parole, la sua preghiera da un po’ di tempo a quella parte.
Quando disgiunse le mani sospirò pesantemente guardando la rossa rossa che non era riuscito a gettare via, nonostante ormai avesse compreso chi era stato a portarla.
<< Andiamo a mangiare qualcosa Zosimo, offro io il pranzo oggi >>.Dichiarò tirandosi in piedi con energia, nonostante le ginocchia ancora doloranti.
Zosimo saltò in pieni ancora più energicamente, come se non avesse lavorato tutta la mattina e non si fosse rannicchiato come una rana di fronte a ben due tombe diverse.
<< Voglio mangiare sushi! >> Lo informò, ridacchiando divertito.
Cristiano tentò di colpirlo con un calcio, ma Zosimo, da bravo folletto, schizzò via di lato.
<< Sei un bastardo >> Commentò il primo << Andiamo all’ all you can eat >>. Aggiunse ugualmente, incrociando le braccia al petto, Zosimo rise vittorioso.
Dopotutto sapeva bene che a Cristiano piaceva, in un modo quasi perverso, sperperare i soldi di suo padre quando poteva, anche se non era un ragazzo vanesio né attaccato alla moda.I due si allontanarono lentamente dalla lapide di Margherita Serra, incamminandosi sul vialetto che li avrebbe condotti verso il cancello, le loro voci erano forse troppo alte per il luogo in cui si trovavano, dove era richiesto rispetto e silenzio per i morti.
<< Lasciami fare prima una doccia >>.
Stava commentando Zosimo, braccia incrociate dietro la nuca con aria rilassata.
<< Ovvio. Non vado in giro con un puzzone! >>. Arrivò immediata la replica piccante di Cristiano.
Le voci dei due si persero lungo il viale, aumentando d’intensità quando si avvicinavano maggiormente alla strada caotica al di fuori di quelle mura quasi sacre.
Non avrei incontrato Zosimo se non mi avessi messa al mondo.
L’ultimo stralcio della preghiera che aleggiava ancora nell’aria.

 

Cristiano rientrò a casa ormai che era sera, anche se il sole in cielo era ancora alto.
I gyoza che aveva mangiato gli ballavano ancora nello stomaco, sembravano non volerne sapere di essere digeriti, o forse lui e Zosimo avevano esagerato in un eccesso di euforia. Di fatto, avevano sbagliato ad ordinare ed erano arrivate porzioni per dieci persone.
Finito di pranzare erano andati a casa del folletto per studicchiare qualcosa.
Quanto meno, avevano fatto un excursus di tutti i poeti e autori italiani del primo novecento, terrorizzati all’eventualità che potesse uscire uno di loro nella traccia dell’analisi del testo, come era capitato appunto l’anno precedente. Non che Cristiano avesse intenzione di fare quella traccia comunque, troppo problematica.
Rientrato a casa fu immediatamente investito da un intenso profumo di cucinato, si massaggiò lo stomaco e cominciò immediatamente a pensare, ancora immerso nel corridoio buio, che scusa avrebbe potuto utilizzare con Marta per non mangiare nulla quella sera.
Stava pensando a come fare per non offenderla, aveva decisamente esagerato con Zosimo.
Lasciò cadere le chiavi di casa nella ciotola di ceramica sul mobile dell’ingresso, sfilò le scarpe dai piedi accanto alla porta infilando le ciabatte e buttò anche il portafoglio, svuotato, sul ripiano in mogano impeccabile. Camminò lentamente verso la cucina, ancora pensieroso su cosa dire.
Quando mise piede nella stanza, tuttavia, non si trovò davanti la scena che si aspettava di vedere. I fornelli erano stati appena spenti a giudicare dal vapore che ancora usciva dai coperchi, mentre Marta se ne stava seduta al tavolo, fissando un foglio di carta stropicciato e ripiegato più volte con aria totalmente assente, talmente assente da non essersi nemmeno accorta di Cristiano, fermo sulla soglia a fissarla accigliato.
<< Marta? >> La richiamò il ragazzo e la donna sussultò, spaventata.
Si riebbe immediatamente dalla sua reazione e sorrise gentile e amorevole come sempre.
<< Sei tornato? Scusami se non ti sentito rientrare >> Disse con la sua voce delicata.
Cristiano fece un segno di diniego e senza preamboli si avvicinò al tavolo scostando una sedia, mettendosi seduto proprio davanti a lei, non aveva rimosso il cipiglio nervoso dal suo volto.
<< Stai bene? É successo qualcosa? >> Volle immediatamente sapere, piuttosto.
La donna sorrise teneramente e scosse la testa, allungò anche una mano per accarezzargli una guancia, era un gesto con cui aveva ormai preso confidenza e Cristiano glielo lasciva fare. Gli piacevano quelle carezze, ne aveva ricevute poche nella vita, anche se non amava ammetterlo e infatti non lo faceva mai. Le subiva, contento, nel silenzio assoluto.
<< Non è successo nulla di grave. Piuttosto, ti sei divertito con Zosimo? >>.
Cristiano continuò a guardarla con sospetto, con la sua espressione solita di indifferenza, ma parve arrendersi al fatto che qualsiasi cosa avesse turbato la donna avrebbe dovuto aspettare per saperlo. Era arrivato il momento delle domande e non poteva mai sottrarvisi.
<< Come al solito >> Rispose semplicemente, facendo spallucce.
Marta ormai aveva preso in simpatia il migliore amico del suo signorino, erano state tante le volte in cui negli ultimi tempi Zosimo aveva cenato da Cristiano, riempiendo la casa di gioia. Perfino una sera quando, inaspettatamente, Emanuele Serra si era unito a loro per la cena.
Cristiano era sicuro che a suo padre piacesse Zosimo, anche se non ne avrebbero mai parlato.
<< A proposito … >> Aggiunse poi, questa volta abbassando lo sguardo << Oggi abbiamo pranzato al ristorante giapponese e - >>.
<< Non hai fame adesso, vero? >> Lo interruppe Marta, sorridendo.
Cristiano le rivolse uno sguardo colpevole al cento per cento, facendo ridere la donna minuta.Forse un po’ di inappetenza era data anche dall’ansia dovuta agli esami del giorno successivo, ma la donna non volle indagare sulla faccenda, conoscendo l’orgoglio del ragazzo.
<< Vorrà dire che stasera nessuno mangerà. Nemmeno tuo padre ha voluto cenare >>. Cristiano inarcò un sopracciglio, sorpreso di sentire quelle parole.
<< E tu? >> Le domandò, non voleva che Marta non mangiasse per colpa sua.
Ma la donna fece spallucce, facendogli capire che anche lei soffriva di inappetenza quella sera.
A quel punto, Marta afferrò entrambe le mani di Cristiano, mollemente abbandonate sul tavolo fino ad un istante prima, e lo guardò negli occhi risoluta.
<< Oggi, facendo delle pulizie nella stanza di tuo padre, ho trovato due lettere >>.
Quella comunicazione non provocò nessuno cambiamento sull’espressione facciale del ragazzo, che in quel modo composto stava cercando di aiutarla a continuare.
<< Una era per il Signor Serra. Questa - >> E con una mano indirizzò il foglio spiegazzato e ripiegato verso Cristiano, che ancora non lo prese << questa invece è indirizzato a te >>. Osservando il foglio il ragazzo si accorse che era macchiato in alcuni punti.
<< Non so come ho fatto a non notarlo prima. Scusami Cristiano >>.
A quelle parole lui capì immediatamente chi fosse il mittente di quella lettera.
Osservò il foglio per alcuni secondi, forse non voleva averlo, non voleva leggerlo dopotutto, o forse invece voleva farlo, anzi, aveva una strana sensazione alla bocca dello stomaco. Era ansia, ora la riconosceva, ma era a tratti spiacevole e a tratti no invece.
Marta gli strinse la mano con maggior vigore, sorridendogli.
Ora Cristiano comprendeva perché l’avesse trovata combattuta quando era rientrato.
<< Leggila con calma, quando vuoi. E vai a dormire presto stanotte, domani hai un esame >>.
La donna si alzò lentamente e gli diede un bacio sulla fronte, profumava di borotalco e cibo.
<< Grazie >> Mormorò Cristiano, prima di essere lasciato da solo con quel foglio di carta.
Ci mise qualche minuto per trovare il coraggio di prenderlo tra le dita tremanti.
Ci mise qualche altro minuto anche per trovare il coraggio di alzarsi da quella sedia. Alla fine, quando raggiunse la sua camera buia e silenziosa, con l’unico rumore delle macchine che sfrecciavano nella strada affollata sotto la finestra chiusa, era passato un quarto d’ora da quando aveva parlato con Marta.
Si mise seduto sul bordo del letto, accese la piccola abat jour sul suo comodino e aprì il foglio spiegazzato con le mani ormai completamente tremanti.
Lo accolse una scrittura elegante e raffinata, morbida, senza ombra di sbavatura. Cristiano comprese immediatamente che sua madre doveva essere stata sobria quando aveva buttato su carta quelle parole per suo figlio, non vi erano date o altro. Solo parole.
Le ultime parole di sua madre, quelle che aveva creduto di non poter mai sentire pronunciare.

 

Caro Cristiano,
anzi no, mi piacerebbe chiamarti amore mio ancora una volta se me lo consenti.
Quando eri bambino lo facevo spesso, ma sei cresciuto velocemente e come ogni bambino hai cominciato a fuggire da queste mie manifestazioni d’affetto maternoanche se forse sono stata io a smettere prima del tempo di dimostrartele.
Dimmi, amore mio, sei ancora capace di ricordare una mia carezza?
Sei ancora capace di pensare a me come tua madre?
Me lo domando spesso negli ultimi tempi … ma a volte, ho paura della risposta che potresti darmi.

Cristiano prese un respiro profondo, il foglio si accartocciò tra le sue dita.

Vorrei approfittare di questo sprazzo di lucidità per dirti tante cose, ma so che ne dimenticherò sicuramente qualcuna nella fretta di poterti dire tutto quanto.
Temo che non riuscirò mai ad uscire da questo inferno, mi dispiace amore mio.
Permettimi però di farti da madre almeno ancora una sola volta nella vita.
Vorrei avere la capacità per tornare indietro nel tempo.
Vorrei avere il coraggio di dirti queste parole a voce, come qualsiasi altra madre e vederti ignorarle come qualsiasi figlio.
Ma tua madre è un disastro Cristiano, ed è immensamente dispiaciuta per questo.
Io ti ho amato e ti ho voluto con ogni mio respiro.
Ho perso quattro bambini prima di poterti stringere tra le mie braccia, non ti ho dato nessun fratello su cui poter contare se fossi rimasto da solo.
Ma a volte ho pensato che se non avessi avuto tutti quegli aborti, alla fine non avrei avuto te, così come sei, tra le braccia. Saresti stato diverso, sarebbe stata un’altra persona e non tu.
Tu, che sei il motivo per cui io sono venuta al mondo, la ragione per cui esisto.
Sei testardo, amore mio, volevi vivere a tutti i costi. E l’hai fatto.
Sarai arrabbiato con tuo padre a causa mia, immagino, ma sappi che per quanto le cose nel tempo non abbiano funzionato tra di noi, non smetterò mai di ringraziare Emanuele per non essersi arreso con me a quei tempi, per avermi dato te nonostante tutto. Vedi amore mio, sarebbe stato facile per tuo padre abbandonare tutto e lasciarmi andare … ma ti ha voluto e sono sicura che anche per lui tu sei il motivo massimo della sua esistenza.
Avrebbe potuto avere altri figli con un’altra donna, avrebbe potuto averne più di uno, con qualcuno con cui non avrebbe dovuto soffrire tutte quelle perdite, ma no … lui ha voluto te. Come io ho voluto te, te e nessun altro.
Tuo padre ti ama Cristiano, ha pianto come un bambino il giorno in cui sei nato.
Non credo di avertelo mai detto prima. Forse adesso sarà tardi.
Arrivo sempre troppo tardi amore mio e mi dispiace immensamente.
Emanuele è un uomo freddo, ma non smetterà mai di essere la tua famiglia o di rimanerti accanto, questo tienilo presente Cristiano.
Non è incapace di amare, ma solo di dimostrare amore.
Voglio dirti che la vita non è semplice bambino mio.
Ci saranno momenti in cui vorrai mollare tutto, esattamente come ha fatto tua madre … hai il mio sangue nelle vene, lo so, ma non essere come me Cristiano.
Vivi tutto pienamente, ama pienamente, piangi, arrabbiati, urla, ridi felice, disperati, soffri, prova dolore, cadi, rialzati … fai tutto senza avere paura di sbagliare.
Non devi avere dei rimpianti nella vita amore mio, al massimo solamente dei rimorsi.
Non fare il prepotente e non comportarti male con gli altri. Trovati una donna che sappia amare anche la parte peggiore di te, una donna che sappia mettersi al tuo fianco e non al centro. Fatti un amico sincero, ne basta solamente uno, ma che sia per sempre lì con te.
Tua madre è una donna egoista Cristiano, non è vero?
L’ultima volta ti ho spaccato il labbro con una bottiglia e mi dispiace immensamente per questo. Non avrei mai voluto che tu vedessi tante cose.
Volevo che tu restassi un bambino felice per sempre, scusami se non ci sono riuscita.
Se avrai dei figli in futuro, fai con loro esattamente l’opposto di quello che io ho fatto con te, perché allora saprai di starli crescendo nel modo migliore.
Di stargli dando l’amore che meritano.
Non so che cosa ne sarà di me, amore mio.
Ma qualsiasi cosa succeda, in qualsiasi posto me ne andrò, in qualsiasi posto te ne andrai, qualsiasi strada prenderai, tu sarai sempre la luce dei miei occhi.
La ragione della mia vita.
Ti amo. Ti amo immensamente.

Mamma.

 

Calde gocce precipitarono sul foglio di carta, bagnandolo e sbavando l’inchiostro di alcune parole. Cristiano allora si affrettò velocemente ad asciugare il volto, strofinandosi rudemente le guance senza il minimo tatto. Era sgomento, sgomento per quello che stava provando.
No, non era dolore, nemmeno rimpianto o tanto meno nostalgia.
Era felice, si sentiva come se un peso enorme gli fosse stato tolto finalmente dal petto.
Sua madre lo amava e lo aveva voluto. Sua madre e suo padre si amavano quando l’avevano concepito, cercato, desiderato.
Cristiano, che fino a quel momento si era domandato perché fosse venuto in quel mondo, che senso avesse la sua vita, sebbene avesse cominciato a scorgerne un significato nell’esistenza di Sonia, Marta e Zosimo, fu pienamente consapevole di non essere capitato lì per caso.
Ancora una volta, ringraziò il suo migliore amico per le parole di quella volta.
Cosa credi … che tua madre voglia questo per te? Che voglia vederti sotterrato lì con lei? Può averti lasciato solo, può non essere stata la persona migliore del mondo … ma anche lei a modo suo ti ha amato. Ti ha dato alla luce perché tu vivessi, come non è importante, ma sono sicuro che lei vorrebbe soltanto questo … che tu vivessi.
Cristiano se ne era convinto con il tempo, ma adesso ne aveva pienamente avuto la conferma.
Era contento, dunque, di aver trovato alla fine un senso nella sua esistenza.
Lasciò il foglio sul letto, lo avrebbe riposto successivamente in un luogo sicuro, come fosse stato uno dei tesori più preziosi del mondo e così era per lui.
Quando passò per il corridoio, intenzionato a raggiungere il bagno per sciacquarsi il viso e farsi una doccia fresca prima di andarsene a dormire, si accorse di qualcosa di particolare che catturò immediatamente la sua attenzione. Un dettaglio diverso dal solito.
La porta della camera da letto di suo padre era aperta, l’uomo era seduto sul bordo del letto, aveva un foglio mollemente abbandonato tra le mani, ma lo sguardo rivolto altrove. Sembrava stanco e vecchio, le maniche della camicia azzurra erano arrotolate fino al gomito, il colletto spiegazzato e i capelli laccati spettinati, come se ci avesse ripetutamente passato le mani attraverso.
In controluce, Cristiano si accorse che la pelle del viso era umida, ma se fosse sudore o altro non poteva dirlo. Certamente non a quella distanza comunque.
Non seppe quale fu esattamente il motivo, forse le parole di sua madre l’avevano scosso in qualche modo, inconsciamente, Cristiano fermò i passi nella direzione che stava prendendo e fece dietro front, entrando nella camera da letto dei suoi genitori senza annunciarsi. Era da secoli che non metteva piede lì dentro.
Si rese conto immediatamente che mancava qualcosa, la donna con cui suo padre aveva frequentemente tradito sua madre non viveva più da loro da qualche giorno ormai, tutte le sue cose erano sparite. Era rimasto solamente un arredamento minimalista e vuoto.
Cristiano entrò senza fare piano, voleva che suo padre lo sentisse.
Emanuele Serra non sollevò lo sguardo dalla lettera, ma percepì distintamente il peso di un altro corpo che si accomodava accanto a lui sul materasso, facendolo scricchiolare. Cristiano rivolse solamente uno sguardo fugace al foglio, su cui lesse:

Caro Emanuele,
ti ricordi della prima volta che abbiamo sentito battere il cuore di Cristiano?

Distolse lo sguardo, era una lettera intima che non doveva interessargli.
<< Papà >> Lo chiamò semplicemente, infrangendo il silenzio della stanza.
Emanuele non rispose, ma dal modo in cui tese le spalle Cristiano seppe che lo stava ascoltando attentamente, che aveva percepito bene la sua voce.
<< Mi parli un po’ della mamma? >>.
Cristiano lo domandò senza avere paura, fu anche la prima volta che lo fece.
A quel punto Emanuele sollevò il viso, era così simile a quello del figlio, lo guardò e annuì silenziosamente, dando un consenso che in un’altra occasione forse non avrebbe dato. Ma complice Margherita, con le sue parole, i due parlarono a lungo, senza toccarsi, senza cambiare espressioni o senza spostarsi dalle loro posizioni.
Sentirono solamente per un momento, un singolo momento, di essere nuovamente in tre.
Cristiano non sognò nulla quella notte, non ebbe incubi, dormì profondamente.
Era forse la prima volta da anni che dormiva davvero così bene.
Fu con il cuore sereno che raggiunse i suoi compagni di classe, la mattina successiva, per affrontare insieme a loro i tanto attesi esami di maturità.

____________________________________

Effe_95 

Questo è il penultimo capitolo. 
Nel progetto originale, ovvero quello precedente ai due anni di stop, dovevano esserci altri tre capitoli sugli esami dopo questo. 
Ho dovuto rivalutare tutto in questo tempo di riflessione, e alla fine sono giunta alla conclusione che non ci saranno. 
Spero che questo capitolo sia di vostro gradimento, che vi piaccia. Doveva concludere giusto quelle ultime cose che mi ero lasciata alla spalle. 
Il prossimo capitolo, ovvero l'ultimo, avrà un time skip di circa un mese e sarà leggermente diverso da come siete abituati. 
Riprenderà a specchio il primo capitolo, con una sola scena molto lunga. 
Sono preoccupata che la conclusione non sarà soddisfacente, come temo sempre che i miei ragazzi siano diventati un po' cupi come me. 
Ma sono comunque arrivata fin qui alla fine. 
Grazie infinite a chi, nonostante il tempo, ha speso qualche minuto per scrivermi nello scorso capitolo. 
Forse posso sembrare una persona fredda, ma in realtà non avete idea del bene che mi avete fatto e di quanto vi sia grata. 
Sto tornando a scrivere come un tempo, con lo stesso ardore, lo farò sempre credo a modo mio. 
Alla prossima, per l'ultima volta.  

 

 

 

 

  
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