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Autore: Irene_Violet    02/06/2020    1 recensioni
[Magic Kaitō/Lupin III]
Fujiko Mine, la donna fatale ha per le mani un obiettivo prestigioso, per mettere le mani sul quale avrà bisogno di tutto l'aiuto possibile, da parte del talentuoso Kuroba Kaitō. Il furto sarà però solo la punta dall'iceberg di un gioco di rivalse, legato al gioiello in questione. Vi auguro buona lettura! -Irene_Violet.
Genere: Commedia, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kaito Kuroba/Kaito Kid, Shinichi Kudo/Conan Edogawa
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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#2 - Danni Collaterali

 

Dalla finestra la luce sarebbe stata visibile già da qualche ora, se non fosse stato per le tende in velluto scuro di cui quella suite era munita, in modo da non far filtrare nemmeno il minimo sprazzo luminoso all’interno; erano quasi le otto del mattino quindi, ma sembrava non si fosse fatto giorno. La cosa sarebbe stata anche positiva, se solo Jigen avesse potuto godere di un po’ di meritato riposo, però i piani del suo compare, erano ben diversi, per cui piuttosto infastidito dal continuo e penetrante rumore di un trapano-avvitatore elettrico e fiamma ossidrica, faceva del suo meglio per tenersi occupato, tra una sigaretta e l’altra, nel disperato tentativo di riuscire a scaricare il nervosismo. Lupin aveva mandato ormai da qualche giorno una nota di preavviso al MoMA – Museum of Modern Art – di New York, manifestando l’intenzione di voler rubare la “Hope II” dipinta da Gustav Klimt. L’obiettivo era cambiato in corso d’opera, a causa di un innalzamento del valore delle opere dell’artista, quindi il ladro franco-giapponese decise di approfittare di quel plus valore, gettandosi sul furto di quel dipinto, naturalmente con l’intenzione di guadagnarvi una discreta sommetta, rivendendolo a qualche spudorato collezionista. Era però più facile a dirsi che a farsi: i sistemi di sicurezza andavano da sensori di prossimità, ai laser, ad una speciale cornice incassata nel muro in una speciale lega di metallo, la quale avrebbe richiesto un po’ per venire rimossa, senza contare voci di corridoio su di un possibile allarme collegato alla suddetta cornice, provvisto di Gps, il quale era programmato per attivarsi, se la struttura fosse stata forzata in qualche modo, non rispettando la regolare procedura di estrazione del dipinto. Il tiratore aveva proposto la sua personale via per risolvere la questione: una serie di revolverate al muro, magari con l’aiuto di una piccola carica esplosiva per facilitare la fuoriuscita dell’opera dal muro. Se lo sarebbero portati via e solo dopo si sarebbero messi a riflettere su come liberare la tela dalla morsa in cui era stata inserita. Proposta fortemente rigettata dal “Principe dei Ladri”, e come al solito, preferiva mettere una buona dose del suo stile, in ogni suo colpo, anche a costo di voler mettersi a costruire una qualche diavoleria, con l’intento di fondere una parte della cornice, nonché l’annesso dispositivo di localizzazione, in modo da poter procedere al recupero in tutta calma. Quindi morale della favola, benché non capisse perché complicarsi la vita sino a quel punto era bloccato lì, al buio, a subirsi rumori e lamentele da parte del suo compagno del tipo:

 

«Accidenti a lui! Se solo Goemon fosse qui, non avremmo tutti questi problemi, ma no… quel bastardo doveva restare ad allearsi… Questa me la paga...»


Jigen in un modo o nell’altro si rassegnò a quella situazione; dopo aver pulito attentamente la sua .357 Magnum, fece un breve giro fino al reception, nel suo fido travestimento da uomo anziano e tornò con una copia di un quotidiano giapponese che si mise a leggere alla luce di una torcia elettrica. Durante la lettura, l’uomo barbuto incappò in un articolo anomalo che legge fino in fondo, prima di scoppiare in una risata divertita.

 

«Ehi Lupin, senti qui cosa dicono...»

 

«Ecco bravo amico, fa ridere anche me, ne ho tanto bisogno!» - sbottò Lupin alzando la mascherina da saldatore che aveva posto in viso, per evitare incidenti.

«”All’emittente Nichiuri è stato notificato un preavviso di furto ad opera del ricercato internazionale Lupin III, pervenutoci verso la mezzanotte. Il furto annunciato per la giornata di domani, riguarda la misteriosa pietra appartenente alla collezione privata di Erol Yazici, impresario appassionato di pietre preziose. La seconda divisione delle polizia metropolitana di Tōkyō sta predisponendo rigidi controlli ed una scorta nutrita, per evitare il furto durante il trasporto. La gemma sarà messa in custodia, dopo il suo arrivo alla banca Minato; questa pietra avvolta dal mistero, riuscirà a sfuggire anche al fantomatico ladro? Si spera anche in una collaborazione dell’ispettore Zenigata dell’Interpol, in modo da sventare il colpo a danni di un diamante, il “Fiorentino”, considerato perduto, già da troppo tempo.”… Tu cosa ne pensi?»

 

«Un diamante leggendario in uno studio televisivo? Una cosa del genere per il grande Lupin III non è nulla più che un giochetto, Jigen! In effetti fa ridere. Anche se impiegassero Tottsan e mi venisse dietro come al solito, non riuscirebbero a beccarmi, quindi non c’è da preoccuparsi!»

 

Con un sogghignò spigoloso il sicario lo lasciò pavoneggiarsi senza interromperlo, era talmente provato dalla notte passata a studiare piantine e mettere insieme oggetti, che non si sorprese neppure del fatto che ci mettesse più del solito ad accorgersi di quanto la cosa puzzasse, ma meglio per lui, almeno aveva modo di farsi qualche ulteriore risata alle sue spalle. Dopo quelli che parvero interminabili minuti d’attesa l’espressione di Lupin cambiò, divenne inebetito per poi sgranare gli occhi ed urlare:

 

«A...Aspetta un attimo...» - balbettò di colpo - «COME HAI DETTO?!?! Una nota di preavviso? Quale nota di preavviso? Io non ho inviato un bel niente!! Che diavolo scrivono questi giornalisti?!»

 

«Alla buon ora Lupin, pensavo non ci arrivassi più...» - rise Jigen che si vide letteralmente strappar via di mano il giornale, di modo che l’altro potesse leggerlo.

 

«Allora… vediamo...» - il ladro strinse gli occhi, fino a ridurli a due fessure nel tentativo di fendere l’oscurità, per arrivare a leggere di nuovo, per conto suo, l’articolo, ma dopotutto non era un gatto, ed anche volendo gli sarebbe stato impossibile, per tanto urlò - «Jigen! La torcia!»

 

«Ma quale torcia e torcia...» - borbottò Jigen, alzandosi un po’ controvoglia dalla poltrona che occupava per scostare le tende, facendo così entrare di prepotenza la luce solare dalle finestre - «Si è fatto giorno da un pezzo!»

 

Lupin rimase momentaneamente accecato, rivolgendo al suo amico un’occhiataccia infastidita, per poi tornare all’articolo, cominciando a borbottare ad alta voce - «All’emittente Nichiuri... polizia metropolitana di Tōkyō... diamante, il “Fiorentino”… Huh? Questo nome non mi è nuovo...»

 

«Non è quel diamante sparito negli anni Venti che Fujiko ti aveva chiesto di andare a cercare?» - ricordò Jigen, grattandosi l’orecchio con il mignolo della mano destra - «Un paio di furti fa...»


Il criminale dalle basette pronunciate, corrucciò la fronte inclinando le sopracciglia, tentando di ricordare. Aveva presente un discorso del genere, fatto a bordo piscina, in un lussuoso resort, Fujiko avvolta in un costume viola acceso, che quasi lo supplicava di svolgere un certo “lavoretto” per lei, in cambio di una lauta ricompensa. Tuttavia, lui aveva rifiutato, perché aveva in mente altri progetti e non c’erano né certezza sul fatto che si trattasse proprio di quel diamante, né tanto meno, indicazioni sulla possibile posizione. Insomma gli era stato chiesto ufficialmente di farsi un bel viaggio in Turchia, introdursi tra le fila dell’ipotetico proprietario del gioiello, conquistarsi la sua fiducia per poi soffiarglielo da sotto il naso. Nulla di inusuale per nessuno dei due, perciò era sospetto. Se le cose fossero state tanto facili Fujiko non avrebbe mandato avanti lui. Il suo sesto senso gli diceva di tirarsi indietro, oppure avrebbe rischiato di rimanere impigliato in chissà quale rete, a sua insaputa. Non sarebbe stata la prima volta, trattandosi di quella donna. Il suo rifiuto, generò una reazione stizzita nella ladra che dopo averlo spedito in piscina con una sonora sberla – giustificata dal tentativo di Lupin di sfilarle di dosso il costume –, se ne andò affermando:

 

«E va bene… se non vuoi farlo tu, vorrà dire che lo chiederò a Kiddo-sama!»

 

Anche il solo sentirsi rimbombare quelle parole nella testa, riportandole alla mente gli fece affluire il sangue alla testa, per il nervoso. Se li immaginava ridere entrambi alle sue spalle, senza contare che il farsi mettere i piedi in testa da un liceale al secondo anno, era un grave affronto per il proprio orgoglio di ladro.

 

«Quel… bastardo...» - borbottò tra i denti, appallottolando malamente il giornale, gettandolo su quello che era stato il suo piano da lavoro fino a qualche momento prima.

 

«E-Ehi. Lo stavo ancora leggendo quello!» - sbottò Jigen, seguendo con lo sguardo Lupin.

 

Quest’ultimo recuperò la propria giacca rossa, indossandola e strinse poi la cravatta al collo, prendendo il portatile con cui stava lavorando, riponendolo in una valigetta di pelle marrone. Poi prese una della sue maschere assumendo quindi l’identità fittizia con cui si era registrato in albergo.

 

«Potrai leggere tutto quello che vuoi non appena saremo in volo per il Giappone, Jigen. Muoviti non c’è un minuto da perdere!»

 

«Ma che ti salta in mente Lupin, e il colpo?» - domandò perplesso Daisuke, grattandosi sotto il cappello.

 

«Lo rimandiamo! Ci sono problemi ben più grossi da sistemare. Detesto chi usa il mio nome a sproposito, gliela faccio vedere io» - bofonchiò parlando tra sé ad alta voce, mentre metteva a posto le ultime cose, aspettando che anche l’altro facesse lo stesso con le proprie.

 

Per quanto contrariato, il sicari comprese che il compare faceva sul serio e dovette quindi riprendere il suo travestimento, sistemando alla meglio le sue cose; nel mentre borbottò, anche piuttosto seccato - «Comunque come pensi di lasciare il paese, hai speso tutti i nostri risparmi in preparativi e cianfrusaglie...»

 

«Jigen, Jigen, Jigen… tu mi sottovaluti!» - ridacchiò Lupin, tirando fuori dal taschino anteriore della giacca, una carta di credito - «Ricordi il nostro ultimo viaggetto a Nuova Delhi, quando Tottsan si è fatto quasi arrestare dai suoi colleghi indiani, grazie al mio simpatico scambio di persona? In quel frangente ho clonato la sua carta di credito lavorativa, tenendo traccia degli accrediti e delle spese. All’Interpol non se la passano male. Grazie a questa amico, possiamo partire, ed anche viaggiare in prima classe, se vogliamo.»

 

L’uomo barbuto si lasciò sfuggire una risatina, sistemandosi il cappello in testa, una volta calatosi nel suo ruolo di anziano - «Che potrei dire… Mi sa che ci tocca proprio ringraziarlo, un giorno di questi!»

 

Insomma si fece convincere, nonostante l’idea di partire non lo entusiasmasse particolarmente, soprattutto considerando ci fosse di mezzo quella donna. Non era un caso che dopo il rifiuto del suo amico, sbucasse fuori un finto preavviso di furto, mentre si trovava da tutt’altra parte; lo stava manovrando come un burattino come il suo solito. Con la scusa di dover“salvare il suo orgoglio di ladro”, era riuscita a mandare all’aria quasi tre settimane di preparativi. Quando si trattava di Fujiko, Lupin finiva sempre con lo sragionare pericolosamente. Ormai era anche inutile provare a farlo tornare con i piedi per terra, quindi tanto valeva accettare il lusso di un volo di prima classe, gentilmente offerto da un ignaro Ispettore Zenigata.

 

I due criminali si recarono quindi all’aeroporto, presero al volo due biglietti e saltarono sul primo aereo con destinazione Tōkyō, Lupin intanto predispose il suo portatile, ricontrollò le informazioni raccolte sul mago del chiaro di Luna, così da sapere esattamente dove recarsi come prima tappa e rispolverò le varie informazioni sui suoi conoscenti, in modo da essere pronto ad ogni evenienza. Uscì poi dalla directory in questione aprendone una seconda, contrassegnata dal nome della sua rivale-amante, che lo stava portando ad affrontare quel volo fuori programma. 峰 不二子, Mine Fujiko. Il cervello del ladro stava macchinando una piccola vendetta nei confronti della donna, ed il materiale utile a compierla, era proprio all’interno di quella cartella: una collezione nutrita di scatti piccanti, scattati in varie occasioni a sua insaputa, in compagnia di uomini potenti, oppure di insospettabili, molti forse erano i suoi cosiddetti “amici”, avrebbe potuto renderle la vita impossibile con pochi click, avrebbe dovuto pregarlo, prostrarsi ai suoi piedi, o anche peggio, per convincerlo a risparmiarle un simile supplizio!

 

Se non fosse che…

 

Troppo impegnato a fantasticare, il criminale dalla giacca rossa, notò qualcosa di anomalo. La cartella era vuota! O meglio, quasi. Si ritrovò infatti, difronte una cartella con all’interno un singolo documento in formato .txt, denominato: “Perdonami Lupin”, creato qualche tempo prima, a sua insaputa.

 

Parecchio confuso lo aprì, cominciando a leggerne il contenuto:

 

Caro Lupin,

se ti stai chiedendo che fine ha fatto la tua bella collezione di foto ritraenti la sottoscritta, sappi che le ho prese io, assieme a tutti gli altri resoconti e profili presenti su questa chiavetta. In futuro potrebbero tornarmi molto utili, quindi ti sono davvero grata. Ah, ti avverto, è inutile che tu cerchi in qualche modo di recuperarle, perché ho sovrascritto il punto di ripristino della cartella a dopo aver spostato i file, oltre ad averle eliminate dal tuo hard disc esterno e dalla fotocamera che ti porti dietro. Adesso esiste una sola copia di queste foto, ed è in mano mia. Mi dispiace, ma era necessario. So che troverai il modo di perdonarmi, mai abbassare la guardia cherì. Ci vediamo presto. -Fujiko.

 

Una volta terminata la lettura, il ladro ebbe un flash: mesi prima in effetti era stato invitato da Fujiko a cena, con la promessa di una notte insieme, ovviamente non realizzatasi, dopo mille peripezie, doveva essere successo allora. Realizzato l’affronto subito, non riuscì a far a meno di liberare un urlo di pura disperazione che fece saltare Jigen sulla poltrona per lo spavento. Il pistolero tentò di farsi dire cosa accidenti gli fosse preso, ma quello che uscì alla bocca del suo amico fu una serie confusa di frasi, ripetute come in loop e di difficile comprensione.


«Non ci sono più, sono andate, sparite, perdute per sempre! È una tragedia, una catastrofe, niente ha più senso ormai!»

 

«Ma cosa? Cosa è sparito? La pianti di dimenarti? Calmati Lup...»

 

Sii ritrovò di punto in bianco ad essere scosso con forza per le spalle, mentre gli occhi di Lupin parevano iniettati di sangue, sembrava dovesse cominciare a sbavare e ringhiare da un momento all’altro. Il compagno si resse il cappello sulla testa a stento, tanta era la foga con cui veniva sballottato avanti e indietro.


«Come potrei calmarmi me lo spieghi Jigen! Eh! Mi hanno derubato, è un disastro, una frode amico, sono rovinato!!»

 

«Qualunque cosa sia la risolveremo! Ma ora piantala, okay? Stai attirando l’attenzione di tutti!» - tentò di fargli notare Daisuke; infatti un paio di hostess gli stavano fissando, indecise sul come comportarsi davanti ad una scena tanto plateale, che pareva tanto un attacco isterico in piena regola.

 

«Ma cosa vuoi che me ne freghi! Non capisci che il lavoro di una vita è appena sfumato, andato, kaput! Tutta quella fatica sprecata! È un’ingiustizia, un’ingiustizia bella è buona ti dico!»

 

«Tsk… Okay, quando è troppo, è troppo.» - in qualche modo Jigen riuscì a divincolarsi, sporgendosi fuori dal sedile, mentre Lupin ancora era aggrappato alla sua giacca, tirandola per dare in qualche modo sfogo alla frustrazione - «Scusate, c’è un medico a bordo? Questo giovanotto sta avendo una crisi di panico, credo gli farebbe comodo un sedativo.»

 

Per sua fortuna, un altro passeggero nella stessa classe di volo che stava assistendo suo malgrado alla scena, rispose in maniera affermativa, era un dottore e decise di assecondare la richiesta del sicario. Dunque Jigen ed un altro paio di uomini si avvicinarono per tenere fermo Lupin sul sedile, mentre il medico tirò fuori una siringa da una custodia prima sigillata, la infilò all’interno di una boccettina tirando indietro lo stantuffo in modo che il tranquillante fluisse al suo interno ed una volta preparata, gli dette alcuni colpetti con l’indice, per poi orientarla verso l’uomo bloccato sul suo sedile, il quale scalpitava per liberarsi. Lupin in quel frangente non aveva smesso di esternare frasi in maniera frenetica, in apparenza senza una degna logica di fondo, ora se la stava prendendo verbalmente con quei perfetti sconosciuti, i quali stavano solo tentando di dargli una mano a calmarsi.

«Maledetti, me la pagherete cara! Non capite. Lasciatemi stare! Rivoglio solo indietro tutto il mio lavoro! Statemi alla larga con quella roba! Io sto benissimo, non voglio fare nessuna punt...»

 

Infine il medico riuscì a praticare l’iniezione, e gradualmente Lupin sentì il suo corpo e le sue palpebre farsi più pesanti, smise di fare resistenza – con un sospiro di sollievo da parte di tutti, compreso Jigen che gli sedeva accanto – e si accasciò sul proprio sedile, russando come un trombone. Non dormiva da un bel po’ e quello scoppio improvviso di agitazione e collera, doveva essere per forza in parte dovuta anche a quella mancanza di sonno. Nel suo perdersi nel mondo dei sogni, finalmente Jigen riuscì a farsi un’idea di cosa lo avesse fatto uscire di testa, poiché lo sentì borbottare:

 

«Le foto compromettenti di Fujiko»

 

Non si trattenne dal definirlo un’idiota, ma per lo meno era finalmente K.O., e lo sarebbe rimasto per diverse ore, in cui avrebbe potuto riposarsi anche lui. Quel repentino cambio di rotta, era riuscito a fargli venire un gran mal di testa.

 

 

【Nel frattempo…】

 

 

Zenigata Kōichi, aveva individuato con successo l’albergo in cui avrebbe dovuto alloggiare la sua nemesi Arsenio Lupin III accompagnato da suo fidato compagno di disavventure Jigen Daisuke. Era certo, di aver colpito nel segno, quando la signorina all’accettazione, aveva confermato che due uomini, un ragazzo piuttosto giovane ed aitante ed un distinto signore barbuto, avevano prenotato una camera privata per una settimana intera, rinnovando la propria permanenza alla scadenza del termine, tenendo però un comportamento estremamente discutibile, come si stessero in qualche modo nascondendo o tramando nell’ombra. Il giovanotto usciva dalla stanza poco e nulla, mentre il vecchio cacciava a suo di urli quasi animaleschi, le povere inservienti addette alla pulizia della camera, borbottando che non era necessario pulire ogni mattina e che non poteva essere costretto a farle entrare, data la somma sborsata per poter affittare quella stanza. Zenigata dedusse dunque, che i due si fossero barricati lì dentro per preparare il colpo al museo e facessero tutte quelle storie, per non venire importunati, poco importava il causare disagi ai lavoratori o risultare una coppia di pazzi scatenati. Con quella convinzione in testa, anche l’ispettore aveva preso una stanza nello stesso albergo, ed aveva cominciato sorvegliare la stanza, aspettando da loro un qualche passo falso, anche se non era ancora riuscito neppure ad incrociare i due di sfuggita. Non voleva però fare movimenti bruschi, preferiva comportarsi normalmente, piuttosto che cominciare anche lui a comportarsi in modo sospetto, pur di cogliere i due con le mani nel sacco. Per questa ragione, seduto al tavolo del bar dell’hotel era intento a consumare le sua colazione all’americana a base di uova strapazzate e bacon, sperando che una cosa naturale come i morsi della fame, attirasse prima o poi, anche i suoi due topolini fuori dalla tana.

 

Tre quarti del suo pasto, ormai erano stati spazzolati, ma nonostante ciò gli occhietti scuri dell’ispettore, schizzavano da un lato all’altro del bar, analizzando scrupolosamente le facce e gli atteggiamenti dei vari clienti che andavano e venivano. Nessuno di loro somigliava agli individui descritti dalla donna alla reception, dubitava avessero deciso di cambiare di colpo travestimento, anche perché l’usciere, che si era preso la briga di istruire all’insaputa di chiunque, aveva l’ordine di fermare “le facce mai viste”, di clienti cui avessero tentato di uscire con valige a seguito dall’albergo, senza prima essere passati al bancone principale a depositare le chiavi della propria stanza, con la scusa di eseguire un controllo sicurezza. Aveva raccomandato di avvisare subito, qualora avesse notato personaggi sospetti. Non essendo stato mai interpellato, fu costretto a concluderne che i due non avessero ancora provato a lasciare l’hotel. Zenigata finì le sue uova e la sua tazza di caffè, con una certa dose di fastidio, alzandosi per andare a pagare.

 

≤A balck coffe and a portion of scrambled eggs≥ - disse alla giovane alla cassa, passandole la propria carta di credito dell’Interpol.

 

≤Yes, sir.≥ - la giovane pose la carta sull’apposito schermino per completare la transazione, la ragazza parve perplessa, poiché la carta le dette un segnale d’errore.

Anche l’ispettore allora si accigliò non riuscendo a capire cosa stesse accadendo, per cui lo palesò domandando - ≤Ehm… is something wrong, miss?≥

 

≤Yes, I’m sorry sir. It seems that, the transaction could not be completed, for some reason…≥ - affermò la cassiera restituendo la card all’uomo.

 

≤Oh… I see. How much is it?≥

 

Senza batter ciglio, l’ispettore si riprese la tessera ed estrasse il portafoglio dalla tasca del giubbotto, pagando in contanti quanto ordinato, anche se doveva ammettere di trovare la cosa piuttosto strana, al saldo dell’ultimo prelievo fatto qualche giorno prima, risultava ben fornita di denaro. Dopo aver posto fine a quella situazione un tantino imbarazzante, decise di recarsi ad un ATM per controllare per quale motivo il pagamento telematico non avesse funzionato. Magari il terminale del bar si era guastato oppure il problema poteva essere della banca? L’unico modo per scoprirlo, era controllare di persona. Si fermò quindi al primo sportello automatico disponibile, inserendo la carta nell’apposito spazio, richiedendo come azione il saldo di quanto presente sulla carta al momento. Attese quindi l’uscita del fogliettino e sbiancò nel leggere l’ultima riga:

 

Saldo: ¥/$ 0,00

 

«Ma che diavolo...»

 

Perplesso da quanto letto, Kōichi estrasse il cellulare dal giubbotto, con l’intento di controllare le e-mail, aveva diversi messaggi non letti, provenienti dal servizio di tracciamento delle spese effettuate con la propria carta. I movimenti effettuati nelle ultime ventiquattro ore, comprendevano:

 

– Trapano-avvitatore meccanico: $ 30,00

– 30 viti da ferro, misura 4,8x22: $ 9,00

– Stanza matrimoniale, Hotel Pennsylvania: $ 2.142,00 ($102,00/per notte)

– Servizio in camera: $ 700,00

– American Airlines New York-Tōkyō Ticket x2: $ 1.566,00


 

La risposta alla domanda di chi fosse il responsabile di tutto ciò, giunse da un messaggio privato che notò subito dopo aver controllato le mail.


 

[SMS da Sconosciuto]

Se stai leggendo questo messaggio, probabilmente avrai scoperto il mio piccolo giochetto. Mi dispiace per il colpo annunciato al MoMA, temo che dovrò rimandarlo, siamo dovuti rincasare per via di un problemino. Ma non temere Tottsan, non ti abbiamo abbandonato lasciandoti completamente al verde! Ti restituiamo i 553 dollari che ci sono rimasti dalle spese di queste settimane. Usali responsabilmente mi raccomando! - Lupin III”

 

L’ispettore Zenigata si ritrovò a tremare sul posto per la rabbia, non solo aveva avuto Lupin ed il suo compare sotto il suo compare sotto il naso, ma questi erano riusciti a pagare le spese con i suoi soldi e ad lasciare il paese, senza che lui si accorgesse di nulla. Sentì il sangue ribollirgli nelle vene.

 

«Dannato...» - grugnì - «TI PRENDERÒ LUPIIIN!!»

 

Un brivido scosse il ladro in giacca rossa, pur nel sonno profondo in cui versava, come se l’ostilità della sua nemesi, in qualche modo l’avesse raggiunto.

 

 

Una telefonata risalente a circa ventuno ore prima, aveva portato Goemon Ishikawa XIII, davanti dell’aeroporto di Haneda, nella zona degli arrivi con la FIAT 500 Beige di proprietà di Lupin, su richiesta di quest’ultimo, prima dell’imbarco all’aeroporto newyorchese. Gli aveva dato un’ora precisa per la quale farsi trovare lì ed il samurai era arrivato in anticipo, seduto a gambe incrociate sul tetto della macchina, con in spalla la sua Zantetsu-ken, era intento ad attendere i suoi compari, con non poche domande in testa. Era convinto avessero un colpo da fare, non capiva proprio le ragioni improvvise del loro ritorno; per altro per venirli a prendere aveva dovuto interrompere il suo allenamento intensivo tra le montagne, quindi non era esattamente di buon umore. Infatti con a braccia conserte ed occhi chiusi, continuava con insistenza a picchiettare con l’indice della mano destra sul proprio braccio. Il suo stato di semi-raccoglimento s’interruppe quando avvertì dei passi avvicinarsi nella sua direzione, ed aprendo un occhio e notando la presenza in lontananza di due figure famigliari. La prima lo stava salutando con la mano nell’avvicinarsi, ed il secondo procedeva con andatura sciancata, con una mano in tasca ed una sigaretta tra le labbra. Lo spadaccino sospirò, scendendo dal tettuccio per aspettarli.

 

«Ehi Goemon! Grazie di essere venuto!» - disse non appena furono abbastanza vicino per battergli dei vigorosi colpi sulla spalla, in segno d’affetto fraterno.

 

«Lupin, Jigen, bentornati.» - affermò.

 

«Ti trovo in forma.» - lo salutò il sicario con un cenno.

 

«Anche voi sembrate stare piuttosto bene»

 

Nel mentre Lupin si avvicinò alla sua macchina, con un sorriso a trentadue denti - «Ah, quanto mi è mancata! Spero tu non l’abbia torturata troppo» - osservò la macchina da cima a fondo, non notando danni di sorta - «Sembra in perfetta forma, ed io che mi preoccupavo di cosa sarebbe potuto succederle in mano a qualcun altro… e invece pare tu se la sua cavata alla grande! Ah, meno male, meno male! La mia piccola, finalmente potrò tornare a portarti in giro dopo tanto tempo.»

 

«Che cos’ha Lupin?» - domandò Goemon vedendolo poi strusciarsi con la guancia sul cofano della propria auto, come un gatto che fa le fusa al proprio padrone, ma senza che la scena assumesse una dimensione sensata, almeno nella testa del samurai.

 

«Ah, quello?» - Jigen ridacchiò divertito tenendosi il cappello - «Niente, ha solo recuperato delle ore di sonno ed ora è un po’ esagitato.»

 

«Capisco...» - borbottò l’uomo in abiti tradizionali.

 

Prima che Goemon potesse dire qualsiasi cosa, il suono del clacson dell’auto, attirò l’attenzione di entrambi. Lupin si era messo alla guida, ovviamente dopo aver sottratto le chiavi dal suo complice, in modo talmente abile per cui non riuscì neppure a rendersene conto.

 

«Allora? Vi decidete o no a salire?» - si rivolse loro sporgendosi dal finestrino - «Se volete farvela a piedi fino al rifugio, per me fa lo stesso.»

 

I due rimasti si guardarono l’uno con l’altro per poi alzare le spalle, Jigen gettò a terra la cicca della sigaretta che aveva terminato di fumare, spegnendola con il piede, per poi salire sulla cinquecento occupando il posto del passeggero, mentre Goemon si posizionò sul sedile posteriore, inserendo le cinture di sicurezza. Non appena le portiere si chiusero, il ladro dalle basette pronunciate diede gas e cominciò a percorrere a velocità sostenuta le strade della capitale nipponica. Per un po’ all’interno dell’abitacolo regnò il silenzio, almeno finché il samurai non decise di rompere il silenzio, in modo da avere finalmente delle delucidazioni in merito al loro rimpatrio.


«Dunque? Come mai siete tornati così presto, è successo qualcosa per caso?»

 

Jigen si limitò a ridere, con l’espressione di chi cedeva il passo di un discorso che non voleva trattare.

 

«Giusto, non hai letto i giornali ultimamente, Goemon? Eri in ritiro dopotutto.» - ribadì l’ovvio, Lupin sistemando meglio lo specchietto retrovisore, con un leggero ghigno sulla faccia - «Pare che abbia inviato un preavviso di furto per stasera alla stazione televisiva Nichiuri, per rubare un gioiello che gli studi prenderanno in custodia.»

 

«Ma questo preavviso, non lo ha mandato davvero lui» - intervenne Jigen, in un borbottio.

 

«Un impostore quindi.»

 

«Nah, un marmocchio che si da arie da grand’uomo, travisando completamente il personaggio dei fumetti di Batman!» - digrignò i denti Lupin.

 

«Ma certo, è una questione d’onore.» - annuì il samurai, che se ne stava con le braccia incrociate a sorreggere la propria katana.

 

Goemon non faticava troppo a seguire il ragionamento del compare, essendo il gioco il suo buon nome, era logico intervenisse in prima persona per sistemarla; quella sua affermazione venne però troncata da una sonora risata di Jigen che s’infossò quasi nel sedile, talmente la cosa lo aveva divertito, scatenando da parte del guidatore una cupa occhiata ricca di disapprovazione.

 

«No no, non si tratta di qualcosa di tanto nobile Goemon!» - sghignazzò l’uomo in nero, per poi risistemarsi sul sedile, abbassare il finestrino, ed accendersi un’altra sigaretta e prendendo una bella boccata di fumo, prima di chiarire la sua affermazione al collega - «Lupin è andato fuori di testa quando ha letto l’articolo, perché c’è sicuramente di mezzo anche Fujiko. Lui si è rifiutato di rubare questo diamante, ed ora sta chiedendo a qualcun altro di farlo al suo posto. Quindi ha pensato bene di mandare all’aria settimane di lavoro, per inseguire quell’ingrata donna e le sue mire egoistiche. Tutto qui. Non c’è nessun tipo di onore nel fare una cosa del genere. Siamo alle solite, se si tratta di quella, Lupin non capisce più niente.»

 

«Quella donna è coinvolta, ecco perché è così fomentato.»

 

«Ah! Fomentato? Un medico a bordo, ha finito con l’anestetizzarlo, per farlo stare buono. Stava dando fuori di matto, avresti dovuto esserci, è stato uno spasso stargli seduto affianco mentre vaneggiava e si dimenava come un ossesso.»

 

L’immagine scatenò un sorrisetto sul volto pacato di Ishikawa XIII, mentre Jigen continuò a sfottere colui che gli sedeva accanto, rievocando alcune delle frasi da lui pronunciate, più nella speranza di coinvolgere l’austero combattente nel farsi una buona risata, che altro. Lupin intanto gli stava a sentire infastidito, pian piano cominciò a piegarsi sul volante con l’aria di chi avrebbe voluto esplodere in preda ad un ira funesta, da un momento all’altro. Era il primo a saper stare allo scherzo, insomma, era un buffone di prima categoria quando ci si metteva, ma in quell’occasione, ne aveva davvero le scatole piene. Sembrava che si divertissero tutti a trattarlo come un allocco. Non ne poteva davvero più. Inchiodò con un deciso affondo del piede sul pedale del freno, le gomme stridettero sull’asfalto in maniera quasi assordante e Jigen si ritrovò sbalzato in avanti, di colpo, perdendo la sigaretta di bocca che gli bruciò il pantalone e non finì sul tappetino dell’auto per via di una qualche miracolosa casualità. Anche Goemon venne sbalzato in avanti, ma non subì la frenata in modo tanto forte da finire con lo scomporsi.

 

«Ma dico Lupin sei impazzito?! Perché questa frenata brusca? Hai visto un daino in mezzo alla corsia o cosa? Tsk… Tu guarda, mi sono pure rovinato il completo buono.» - sbottò subito Jigen, tentando di limitare il danno, spazzando via i residui di cenere con la mano.

 

«Che succede Lupin? Qualcosa non va?» - domandò dunque perplesso il tradizionalista seduto sui sedili posteriori.

 

«Tutto, Goemon. Non ne sta andando bene una.» - fu il commento di un Lupin con la fronte a pochi centimetri dal volante, come se si sentisse affranto da quella situazione.

 

«Ed eccolo, il grande attore mancato. Ora che fai, ti metti a piangere recitando Shakespeare?» - chiese ironico Jigen, ricevendo come risposta, uno sguardo stralunato.

 

Che fosse un ottimo improvvisatore, era un dato di fatto, ma in questo caso non aveva intenzione di recitare. Era arrabbiato e non poco, nei confronti dei suoi compagni di colpi.

 

«No, diventerò Otello!; se voi due non volete accompagnarmi nel mio riscatto, allora potete SCENDERE anche subito dalla mia macchina. Me la sbrigo da solo!»

 

Enfatizzò l’azione che esortava loro a compiere, con sguardo truce specialmente nei confronti di Jigen, il quale a sua volta non perse tempo ad accigliarsi.

 

«Vuoi che c’è ne andiamo? Ci stai cacciando?» - rimarcò il sicario con un sorrisetto sarcastico in viso.

 

«Sì esatto. Non ho bisogno di voi, potete andarvene. Non vi trattengo mica.»

 

«Molto bene, non me lo faccio ripetere due volte.» - asserì Jigen aprendo la portiera della cinquecento, uscendone per chiudersela rumorosamente alle spalle - «Non sono sicuro di cosa Fujiko stia tramando alle tue spalle, ma non ci tengo proprio ad essere dei vostri. Buona fortuna, ti servirà. E non venire a piangere da me quando capirai di aver preso una delle tue cantonate!»

 

Arsenio produsse con la mano un gesto di stizza prima di tornare ad alzare lo sguardo verso lo specchietto retrovisore. L’occupante dei sedili posteriori, ancora non era intervenuto: con le mani nelle maniche del kimono e gli occhi chiusi, sembrava star meditando sul da farsi.

 

«Tu cosa decidi Goemon? Sei dentro o fuori?»

 

Lo sguardo pacato del samurai, si scontrò con lo sguardo inquisitorio dell’altro. In quel istante Lupin stava dando l’impressione che quella decisione valesse tutto, non solo la propria carriera, ma anche la collaborazione con i due. Lo sguardo fermo dello spadaccino si spostò da quello del guidatore verso Jigen posto ancora all’esterno dell’auto. La sua mano raggiunse la maniglia e la fece scattare, aprendo poi la portiera con lentezza metodica.

 

«Mi dispiace Lupin, anch’io credo non ne valga la pena. Non intendo accompagnarti.» - con quelle parole, Goemon e la sua katana lasciarono l’abitacolo della FIAT accostandosi a Jigen, il quale era impegnato a fumare con le mani in tasca.

Quando l’ultimo dei due, ebbe richiuso lo sportello, il proprietario della macchina dette un ultimo sguardo a coloro che aveva scaricato mormorando un: «Fate come vi pare.» - poi il rumore meccanico del finestrino che veniva alzato, ed il suono delle gomme stridenti sull’asfalto, furono gli ultimi suoni nitidi, prima che la vettura si allontanasse verso l’alba di un nuovo giorno.

 

«Tsk… che imbecille.» - fu il primo commento di Jigen non appena vide l’auto sparire all’orizzonte - «Tanto tornerà indietro con la coda tra le gambe a chiederci aiuto, come sempre.»

 

«Non saprei, sembrava parecchio determinato.» - ribatté Goemon, con aria pensosa

 

«Aah! È solo una facciata...» - rispose l’altro, tentando di riaccendere la metà di sigaretta ancora presente, che nel frattempo aveva finito con lo spegnersi da sola - «In realtà non sa ancora bene cosa fare. Non ha idea di dove Fujiko si nasconda, né di quali siano i suoi piani. Secondo me ha fatto tutte queste scene solo per liberasi di noi. Quando gli torneremo di nuovo utili, vedrai che ci richiamerà.»

 

«Potresti anche avere ragione» - annuì l’altro - «Piuttosto alla fine ci ha lasciato davvero in mezzo ad una strada» - constatò guardandosi intorno.

 

Non si vedevano per ora fanali di altre auto in avvicinamento. Quindi forse avrebbero dovuto raggiungere davvero la città a piedi, scherzi a parte.

 

«Sembra proprio di sì… Bé non ci resta che una cosa da fare...»

 

«Rubiamo un’auto?» - propose Goemon, scatenando in Jigen una risata divertita e qualche colpo di tosse a causa del fumo aspirato che gli invase di colpo la gola. Doveva ammettere di non aspettarsi una simile frase uscire dalla bocca del samurai.

 

«Questa era bella. Avanti andiamo, se siamo fortunati, riusciamo a fare l’autostop prima di arrivare a metà strada.» - asserì Daisuke - «Poi ci fermiamo in un bar a farci un goccetto, ne ho proprio bisogno.»

 

«Sono d’accordo.»

 

Lupin guidò senza fermarsi fino ad una casa abbandonata adibita da lui ed i suoi amici come rifugio provvisorio, così da fare scorta di maschere, proiettili e tutto ciò che potesse eventualmente servirgli per mettere su un piano d’azione. Era ancora troppo presto per poter telefonare alla Nichiuri Tv per poter chiedere informazioni e risalire così alle possibili mosse portate avanti da Fujiko, quindi nel frattempo si informò meglio nei riguardi del gioiello in questione e del suo proprietario, confrontando diverse fonti, scoprendo dettagli davvero molto interessanti. Tale Erol Yazici, era un archeologo che durante alcuni scavi, rinvenne il diamante perduto, o presunto tale, lo fece valutare da esperti e ne fece quindi la sua garanzia a livello lavorativo. Al di là di ciò, Yazici si è dimostrato abile nel stringere accordi con musei e strutture culturali, dove curava l’esposizione di reperti di grande valore. Le pietre preziose erano una passione nata solo di recente, dopo il ritrovamento del diamante. Sembrava essere un’appassionato di perle, poiché affascinato dal loro processo di produzione in natura.. Per il resto era un uomo discreto e le ricerche non fecero emergere nessun particolare collegamento con Fujiko, al di fuori del Fiorentino, in possesso dell’uno e bramato dall’altra. Alla fine, il modo migliore per avere i giusti spunti, era raggiungere la fonte. Mangiò qualcosa mentre si dirigeva alla volta degli studi televisivi con indosso uno dei suoi molteplici travestimenti, si sarebbe finto un neo-membro dello staff, per racimolare qualche dettaglio ulteriore sulla vicenda.

 

Dalle sei di quella mattina Kuroba Kaitō si era messo al lavoro per il furto previsto per cinque ore dopo. Si infiltrò tra i lavoranti del porto come novellino in quanto lavoratore occasionale, con la scusa di imparare il mestiere; in volto indossava la maschera di un giovane occhialuto pieno di lentiggini. Gli vennero fatte delle raccomandazioni da degli operai anziani, dandogli vari consigli su come utilizzare a meglio il muletto elettrico in caso gli altri operai fossero troppo impegnati per poterlo utilizzare in prima persona. Non si poteva definire altro se non un lavoro pesante, portare su e giù casse piene di chissà cosa, in diversi depositi avanti e indietro per tutta la mattina. Per altro per quanto forse ed energie non gli mancassero, doveva dire di sentirsi davvero esausto, dopo poche ore di quel continuo via vai; i suoi sforzi però sembravano venir apprezzati da omaccioni più ben piazzati di lui, che si trovava a dare una mano e lo incoraggiavano con battute e pacche sulla schiena che per poco non lo facevano cadere al suolo due volte su tre, tanto erano energiche. Un uomo abbastanza robusto con una tuta abbastanza rovinata gli passò al volo una bottiglia d’acqua, vedendolo stremato, dopo l’aver spostato un primo carico ittico, gli sorrise superandolo.

 

«Prendi questa giovanotto, te la stai cavando bene, non male per il primo tentativo.»

 

«G-Grazie mille.» - il liceale accettò quella bottiglietta con gioia e ne tracannò metà del contenuto sentendosi rinato, tamponò anche il sudore con il proprio fazzoletto di stoffa per poi riporlo nuovamente in tasca - “Doveva toccare proprio a me scaricare una partita di branzini europei… Fortuna, che erano imballati ben bene”

 

Quell’ultimo incarico l’aveva messo a dura prova. E dire che tra lui e quegli animalacci c’era un bello strato d’imballaggio, eppure la sola idea di doverli trasportare lo stava facendo andare nel pallone. Prego quasi di non dover mai ritrovarsi a fingersi apprendista su un peschereccio in attività, altrimenti poteva rischiare di impazzire sul serio, dovendo tirar su reti colme di quegli affari. Scosse ripetutamente la testa per scacciare quell’immagine inquietante e gettò subito un’occhiata all’orologio da polso che portava con sé. Mancava meno di mezz’ora all’arrivo della nave da carico di suo interesse. Portava all’interno della tuta da lavoro tutto ciò che gli sarebbe servito durante l’azione, per cui non gli restava altro che attendere il momento in cui sarebbe dovuto entrare in azione.

 

Il caricò arrivò in perfetto orario e Kaitō si propose subito di dare una mano a scaricare. Fujiko lo aveva avvisato quella mattina, quando si erano incontrati brevemente sul molo, lei nei panni della banchiera incaricata di prendere con sé il prezioso e lui abbigliato con il suo solito completo nero, munito di berretto con la visiera.

 

«Ascolta bene, la cassa contenente il gioiello ha una sbavatura di vernice rossa al livello dell’apertura superiore ed è dotata di un doppio fondo. Il gioiello è inserito al suo interno, potrebbe essere circondato da ghiaccio secco come per il carico all’interno, ma è più probabile sia stato inserito all’interno di una scatola per evitare contaminazioni. Fa molta attenzione...»

 

Tsk… qualcosa mi dice sarà proprio un gioco da ragazzi” - pensò tra sé Kaitō sistemandosi i guanti da lavoro.

 

Aveva individuato la sua cassa, mentre ne caricava altre su di un carrellino che sarebbe stato portato poi fuori da un altro ragazzo. Mise quella macchiata di vernice in cima ad una pila di altre cinque casse, al limite dell’altezza del carrello e decentrata rispetto alle altre, quando detta il via all’altro per poter portare fiori il tutto. Ed ecco che nel dare uno scossone al carrellino, la cassa in questione, scivolò di lato, e Kaitō si precipitò a prenderla per evitare che finendo a terra, si danneggiasse facendo fuoriuscire il contenuto.

 

«Oh cavoli mi spiace, è tutto a posto?» - domandò l’operaio che doveva essere anche lui alle prime armi, perché aveva fatto un salto per aria nell’assistere alla scena.

 

«Non preoccuparti, l’ho presa! Portale pure fuori, a queste ci penso io, tanto ne mancano poche.» - lo incoraggiò il mago, con un sorriso, così che l’altro giovane annuì, scusandosi nuovamente per l’accaduto.

 

Non appena Kaitō fu lasciato solo con la cassa, tirò un sospiro di sollievo, non si aspettava effettivamente che una cassa piena di molluschi e ghiaccio secco potesse essere così pesante, ma doveva tenere conto del peso specifico del gas allo stato solido e poi c’era da dire che ara caduta da abbastanza in alto e lui non era certo chissà quanto muscoloso.

 

«Bene, ed ora al lavoro!»

 

Appoggiata la cassa per terra, dal lato del fondo, estrasse dalla propria tuta da lavoro, un avvitatore con cui tolse le viti dall’interno del legno mettendole da parte, rimosse il doppio fondo ed il diamante fu subito di fronte a lui, contenuto in una scatolina nera. Lo estrasse dal suo contenitore alitandovi brevemente sopra e constatandone quindi l’autenticità, visto che non vi fu formazione di condensa al di sopra. Era proprio un giochetto da ragazzi! Rimesso a posto il diamante nella sua custodia e la ripose all’interno della tuta, per poi riposizionare il fondo e le viti. Si passò un braccio sulla fronte quando ebbe finito, giusto in tempo perché un collega lo raggiungesse, chiedendo se avesse bisogno di una mano. Fu quest’uomo a portar fuori la cassa macchiata, mentre lui si occupò di una delle ultime rimaste da scaricare. Nel tragitto dal container al magazzino di deposito merci, Kaitō ebbe modo di notare Fujiko ed altre persone, farsi strada sulla banchina. I due si scambiarono un’impercettibile segno di saluto, mentre il ragazzo si dileguò poi alla vista della donna.

 

Dopo aver sistemato l’ultima cassa in suo possesso, Kaitō stirò le braccia verso l’alto e si sgranchì la schiena inarcandola appena all’indietro. Il suo lavoro era finito, letteralmente visto che il turno terminava verso mezzogiorno, non essendo un vero è proprio lavorante, ma un semplice apprendista. Avrebbe solo dovuto liberarsi del travestimento ed incamminarsi per la sua strada. Uscì da quel perimetro del porto camminando tranquillamente, lungo la banchina.

 

«Molto bene, non mi resta che aspettare che spunti la luna e poi sono a cavallo! Piuttosto, è stato davvero un giochetto semplice… sarà merito di tutte le indicazioni date da Fujiko-san? Nah! Ma chi voglio prendere in giro! È stato così facile solo perché sono il grande Kaitō KID. Non poteva che essere uno scherzo per me kekeke.»

 

Un rumore, come di un motore, collocato pressapoco alle sue spalle, lo spinse a voltarsi indietro con aria perplessa. Il ragazzo sbiancò sotto la maschera, quando riuscì finalmente a capire quale fosse la fonte del suono. Un motorino elettrico – di quelli ad uso degli individui diversamente abili – era sparato alla massima velocità nella sua direzione ed alla guida vi era un uomo con indosso un cappotto ed un cappello marroni dall’aria palesemente corrucciata. Non gli era stato poi così difficile capire per quale motivo il ladro franco-giapponese avesse lasciato New York, leggendo i giornali del paese del Sol Levante, e qualche telefonata alle persona giuste, tra cui anche al proprio capo, aveva chiarito il mistero del diamante Fiorentino. Per Zenigata fu uno scherzo quindi, giungere al dove e come sarebbe stato trasportato il gioiello, questo grazie ad una chiacchierata con il dirigente della banca Minato, a conoscenza dell’arrivo della gemma. Come al solito quando si trattava di stare alle costole del suo vecchio nemico, il caro Zazà aveva il fiuto di un abilissimo cane da tartufo.

 

«Fermo dove sei! Luupiin!!»

 

«L’Is-l’Ispettore Zenigata?! Ma non doveva essere in America?!» - deglutì Kaitō, per poi riprendere il controllo di sé - «Non ho scelta… Visto che è Lupin-sansei quello che cerca, allora Lupin avrà!»

 

Il moro cominciò dunque a correre in linea retta seguendo appunto la direzione della banchina, sfilandosi di dosso il suo primo travestimento ed indossando i panni di Lupin III, mentre il poliziotto continuava a urlargli di fermarsi.

 

«Mi spiace Tottsan! Non ho tempo per giocare ad acchiapparello oggi! Ho delle cosa da fa-»

 

La frase venne interrotta bruscamente da un paio di colpi di pistola, sparati dal poliziotto, che per pura fortuna mancarono Kaitō che si guardò indietro perplesso.

 

«Non mi importa un’accidente dei tuoi impegni! Non credere di potermi scappare, Lupin!»

 

Ma veramente?! Questo non è per niente ai livelli dell’Ispettore Nakamori… meglio tagliare la corda ed alla svelta!”

 

«Questo lo vedremo!»


Aveva messo in conto che una cosa del genere potesse accadere ed aveva montato il proprio deltaplano, provvisto di motore, su quel travestimento, mentre correva dette gas al motore che cominciò a rombare, sempre nell’atto di correre, spiegò il deltaplano e l’elica posta sul fondo cominciò a girare vorticosamente, permettendogli dunque si staccarsi dal suolo e prendere quota al di sopra del pelo dell’acqua. Quando a Zenigata, non riuscì a frenare fino all’ultimo e finì con il motorino in acqua, urlando ed imprecando verso la sua nemesi che si era appena alzata in volo. Il ladro, si orientò verso il molo e fece un cenno al poliziotto, con un sorriso beffardo stampato sulle labbra.

 

«Ci sei andato vicino! Che peccato, sarà per la prossima volta!! Bye bye Tottsan!»

 

L’ispettore si dimenò in acqua urlandogli contro, ma ormai il giovane ladro, si era già allontanato abbastanza da non poter sentire una parola.

 

All’incirca dell’altra parte del molo, Fujiko Mine venne richiamata dal coordinatore ai lavori, il quale fermò l’operaio intento a trasportare anch’esso a deposito la cassa di interesse della donna ed un dirigente dell’emittente Nichuri.

 

«Grazie mille per il tuo lavoro, lascia che me ne occupi io.» - dichiarò l’uomo a capo dei vari operai impegnati nello scarico merci, battendo una mano sulla spalla al lavorante, cui si allontanò ringraziando - «È questo il carico di cui mi avete parlato.»

 

Fujiko annuì a quell’affermazione - «Esatto, come può vedere, le indicazioni dicono chiaramente che la cassa è questa. Anche il numero a lato corrisponde» - la donna passò all’uomo il proprio smartphone, così che lui stesso potesse controllare con i propri occhi che i dati corrispondevano.

 

«Sì, sembra sia proprio questa. Vi dispiace se l’apriamo per verificarne prima il contenuto? Infondo le ostriche presenti fanno parte di una partita.»

 

«Faccia pure» - asserì il dirigente della stazione televisiva - «Il contenuto è vostro, a noi interessa solo ciò che è stato inserito sul fondo di questo contenitore.»

 

L’uomo dunque, prese un piede di porco in modo da forzare il coperchio della cassa, tirando su quest’ultimo e spostandolo, l’operaio poté dare un’occhiata all’interno, Sulle facce dei tre presenti si dipinse una smorfia di terrore, quando nell’esporre alla luce il contenuto del carico, poterono osservare una mano sbucare al di fuori dell’agglomerato di molluschi e ghiaccio secco, il quale aveva assunto un anomalo colore rossastro.

«N-Non è possibile… quella è...» - balbettò Fujiko coprendosi la bocca con le mani.

 

«Oh santo cielo» - commentò terrorizzato il dirigente della stazione televisiva.

 

«Rovescio la cassa.»

 

Per quanto non fosse uno spettacolo piacevole, il capo cantiere ribaltò la cassa facendo fuoriuscire oltre che ghiaccio ed ostriche, anche il corpo di un uomo, a pancia in giù completamente rigido ed esangue. Quando l’operaio lo voltò, mostrò un volto, scarnificato, come fosse stato consumato dall’utilizzo di qualche sostanza chimica e pertanto irriconoscibile, oltre che un evidente foro di proiettile a livello del petto. La ladra si lasciò andare ad un plateale urlo di terrore, dopodiché venne chiamata la polizia ed i lavori vennero sospesi in tronco a causa del macabro ritrovamento. Oltre il suo ruolo di donna scioccata da quanto aveva appena visto, un dubbio cominciò ad insinuarsi nella mente di Fujiko. Pensò a quella macchia visibile sul coperchio del contenitore, ormai era chiaro non si trattasse di vernice, ma di sangue e quello era a tutti gli effetti un avvertimento nei suoi confronti. La musica era in qualche modo cambiata, ed avrebbe dovuto tenere gli occhi ben aperti: aveva un bersaglio affisso sulla propria schiena, restava solo da vedere quando sarebbe stata colpita.

   
 
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