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Autore: hilaris    03/06/2020    1 recensioni
Dal capitolo 1: Spense una delle candele con i polpastrelli delle dita, vedendo quella minuscola fiammella cessare di esistere esattamente come aveva fatto il proprio matrimonio.
Non si sarebbe mai aspettato di dover entrare in quel tempio così presto, non si sarebbe mai aspettato di dover posare quel crisantemo accanto a quella bara fredda e lucida proprio in quel periodo, in cui tutto sembrava esser tornato alla normalità, in cui la vita sembrava aver preso una piega giusta.
Goku è solo, senza alcuna forza e con un figlio da mantenere, mentre la storia si sposta lentamente sui pensieri di un principe dei saiyan ancora fortemente attaccato alle proprie origini e alle proprie convinzioni, ancora lungi dal raggiungere quello stato di development del personaggio che tutti abbiamo apprezzato guardando e leggendo l’opera originale. Ma ci sarà qualcosa, nella vita di entrambi, che cambierà radicalmente il loro modo di essere; entrambi i saiyan affronteranno una dura realtà che è lontana dall’essere quella quotidianità fatta di lotte e combattimenti, ed impareranno a lottare contro qualcosa di ancora più grande, seppur incorporeo.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Gohan, Goku, Vegeta | Coppie: Goku/Vegeta
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Quella era ufficialmente stata la giornata più strana che avesse mai avuto il dispiacere di passare da quando aveva deciso di stabilirsi a tempo indeterminato su quel pianeta; non si sarebbe mai aspettato di scoprire quanto una semplicissima terrestre, con la passione e la buona volontà, avesse potuto raggiungere un livello di combattimento così sopra la media. Certo, c’era la squadra di Kaharoth, ma loro erano un’altra cosa ancora, avevano seguito degli allenamenti speciali, mentre quella vecchia dai capelli ossigenati... lei l’aveva veramente colpito, e nonostante il principe dei saiyan non l’avrebbe mai ammesso neanche sotto tortura, non era stata proprio una giornata da buttare. 

Anche l’allenamento era stato piuttosto interessante: il suo rivale si stava pian piano sciogliendo ogni giorno di più, e probabilmente stava superando la batosta che gli aveva causato la perdita di sua moglie-anche se, per quale assurdo motivo si fosse ridotto in quel modo per la morte di una donna verso la quale non aveva mai provato alcun tipo di emozione o attaccamento particolare, questo proprio non riusciva a capirlo-, e nonostante questo gli facesse venire la nausea, l’importante era che si impegnasse nella lotta e la smettesse di comportarsi come una stupida mammoletta. Erano saiyan, per la miseria, non certo protagonisti di una maledettissima telenovela! 

Se soltanto il teletrasporto non fosse stata una tecnica utilizzata da quel mentecatto poi, Vegeta non ci avrebbe pensato due volte prima di imparare ad usarla: in fondo, ricorrere a quell’espediente durante un combattimento serio non sarebbe stata affatto una cattiva idea, di questo doveva rendere atto all’idiota, anche se l’aveva accusato di essere sleale. 

Ma era fuori discussione che lui, il grande Vegeta, il principe di tutti i saiyan, potesse abbassarsi a farsi insegnare una tecnica da un suo sottoposto, per di più se si trattava di Kaharoth. Piuttosto la morte.

Quest’ultimo poi, in preda a uno dei suoi soliti attacchi di insopportabile euforia, aveva avuto persino la faccia tosta di chiedergli di scendere a mangiare insieme a lui e al moccioso, ma ovviamente aveva passato, chiudendosi a chiave nella stanza degli ospiti di quella casa fin troppo piccola per poter ospitare più di tre o quattro persone. Di certo non era la Capsule Corporation, non c’era che dire, ma era come se in un certo senso, il principe si sentisse leggermente meno pressato, e la cosa non poteva che dargli un immenso sollievo.

Tuttavia, dal giorno successivo, si sarebbe messo a cercare una sistemazione che avrebbe fatto per lui: okay il tetto sopra la testa, ma sopportare di dividerlo col suo più acerrimo nemico era un po’ troppo, e quella sarebbe stata soltanto una questione di pochi giorni... o almeno così sperava.

Non aveva mangiato, non se l’era proprio sentita di scendere e fare ciò che avrebbero fatto le “persone normali” su quel dannato pianeta, non era da lui, non poteva esporsi in quel modo. Così, si era semplicemente fatto una doccia, infilato quella solita tuta grigia e logora che ormai utilizzava come pigiama e si era messo a letto, tuttavia senza accenno di sonno alcuno, soltanto con lo stomaco che brontolava rumorosamente, ricordandogli che, dopo aver fatto così tanto movimento, il corpo necessitava di nutrirsi.

Ma dal piano di sotto si potevano ancora udire le voci stridule dell’idiota e di suo figlio. Così Vegeta, a malincuore per il proprio appetito, decise che avrebbe aspettato che tutti andassero a dormire, e poi sarebbe sceso a cercare qualcosa di commestibile in cucina. 

 

*

 

«Papà, mi spieghi per quale motivo Vegeta è venuto a vivere da noi?»

 

Se l’era tenuta dentro per tutta la giornata quella domanda, il piccolo Gohan, ed arrivato all’ora di cena, non aveva saputo resistere dal chiedere: in fondo, in quella casa ci viveva anche lui, e suo padre prima di invitare un sanguinario mercenario saiyan a vivere sotto il loro stesso tetto, avrebbe dovuto in teoria confrontarsi anche con lui, no? 

Ma in fondo, la presenza del principe dei saiyan non gli dava fastidio. Era semplicemente curioso, come ogni bambino di sette anni che esistesse al mondo, e necessitava per lo meno di una spiegazione.

 

Ma Goku, dal canto suo, non se l’era affatto sentita di rivelare proprio tutta la verità a suo figlio: certo, si fidava di lui e gli voleva bene, ma era soltanto un bambino anche se molto intelligente, e lui dubitava fortemente che avrebbe potuto capire il reale motivo per il quale Vegeta avesse deciso di lasciare la casa della sua migliore amica. E poi, aveva come l’impressione che se il suo ospite fosse venuto a sapere che lui conosceva il motivo per il quale aveva litigato con Bulma, probabilmente avrebbe fatto saltare via la testa sia a lui che a lei, così aveva preso la saggia decisione di tacere sulla faccenda e sorridere sornione al proprio bambino, mettendogli sotto il naso una buona porzione di spaghetti, che si era dilettato nel cucinare. 

 

«Ha avuto dei problemi di poco conto.» aveva risposto «Così, dato che non ha nessun posto dove andare e di certo non ha i soldi per pagarsi un albergo, ho deciso di invitarlo a stare da noi. Ti dispiace, figliolo? Spero di no!»

«Oh, ma no!» esclamò il bambino, che nel frattempo si era già spazzolato via metà del piatto che suo padre gli aveva riempito: non sapeva come, ma quella sera il suo papà aveva cucinato veramente dei fantastici spaghetti! «Era solo per sapere, sai... e come mai non scende a mangiare?»

Goku sorrise «Dagli tempo, Gohan... non credo sia ancora pronto ad affrontare un passo del genere nella sua vita!» e, detto questo, scoppiò in una fragorosa risata «D’altronde, te lo immagini Vegeta a cenare con noialtri comuni mortali?»

A quelle parole, il piccolo mezzosangue rischiò di strozzarsi con la sua cena, scoppiando a ridere insieme al padre e pensando che effettivamente sì, sarebbe stato piuttosto strano vedere il principe mangiare con loro al tavolo come se fosse uno di famiglia. Ci mancava soltanto vederlo alle prese con le faccende di casa! 

«Hai ragione, non me lo immagino per niente!»

 

*

 

Aveva aspettato di sentire le aure di quei due ficcanaso a riposo, prima di alzarsi dal letto. Il suo povero stomaco reclamava qualcosa che potesse riempirlo, e lo reclamava al più presto, o probabilmente avrebbe rischiato seriamente di svenire dalla fame... d’altronde, i saiyan erano conosciuti in tutto l’universo per il loro insaziabile appetito.

Quando aprì la porta della camera però, il principe si sorprese di vedere, poggiato proprio ai suoi piedi, un vassoio con sopra una generosa porzione di spaghetti al pomodoro affiancati da un grosso bicchiere colmo d’acqua fresca... probabilmente Kaharoth l’aveva capito bene che preferiva non essere disturbato e, invece di andargli a rompere le uova nel paniere, aveva pensato di lasciargli la cena fuori dalla stanza.

Un’ottima mossa, doveva ammetterlo: non lo aveva né stressato né pregato, gli aveva semplicemente ed in modo silenzioso portato la cena. A suo modo era stato... gentile.

Vegeta arrossì copiosamente a quella constatazione: ma cosa diavolo andava a pensare? Aveva davvero appena pensato che quel mentecatto potesse essere stato gentile?! A lui non interessava proprio un fico secco della gentilezza altrui, e non aveva neanche il benché minimo desiderio di riceverne! 

Maledetta Terra e maledetto Kaharoth! Per colpa sua, stava addirittura iniziando a pensare cose che non gli appartenevano affatto! 

Scosse la testa e, ringraziando le galassie per non essere stato visto da nessuno mentre arrossiva come una dodicenne in fase prepuberale, raccolse da terra il vassoio con tutta l’intenzione di chiudersi in camera e scofanarsi tutto quel ben di Dio. Perché di questo si trattava, o per lo meno dall’aspetto invitante che aveva, non sembrava affatto quello che si sarebbe potuto definire un pasto sgradevole. Eppure, a casa di Bulma, tutti dicevano in continuazione che quell’idiota non sapesse cucinarsi da solo neanche un uovo al tegamino. 

Una volta finita la sua cena di mezzanotte, l’unico suo pensiero era quello di buttarsi a letto e dormire della grossa ma, prima ancora che potesse soddisfare i propri desideri, il giovane principe venne distratto da un suono che non gli era particolarmente familiare, ma che avrebbe potuto riconoscere tra mille: quello del pianto silenzioso di un bambino. 

 

*

 

Suo padre non se ne accorgeva mai, e questo era stato sempre il suo intento fin dall’inizio.

Gohan, fin dal giorno del funerale di sua madre, si era ripromesso che si sarebbe comportato da vero guerriero, da vero saiyan, si era ripromesso che avrebbe portato avanti l’onore e l’orgoglio della sua razza d’origine, e soprattutto si era ripromesso che non avrebbe fatto pesare ulteriormente al suo adorato papà quella situazione. 

Era per quel motivo che, nonostante la tristezza lo logorasse ogni giorno di più, di fronte agli altri si limitava ad ostentare una facciata allegra, forte, la facciata di un bambino che stava superando con molta maturità ciò che aveva colpito duramente la sua famiglia negli ultimi tempi; ma quando arrivava la notte, quando si ritrovava da solo nel proprio lettino, non poteva far altro che piangere. Piangere silenziosamente, cercando di non farsi sentire... piangere perché, nonostante ormai fosse passato un mese, non riusciva ancora ad accettare che la sua adorata mamma, la donna più importante della sua vita, l’avesse lasciato così presto; era un saiyan, certo, ma era pur sempre un bambino di sette anni, e non avrebbe mai potuto non provare nemmeno un minimo accenno di tristezza a quella grande batosta. 

Il piccolo mezzosangue era completamente distrutto: gli mancava sua madre in tutte le sue sfaccettature; gli mancavano i suoi sorrisi, i suoi abbracci, i suoi sospiri rassegnati, i deliziosi manicaretti che gli preparava, le favole della buonanotte che gli leggeva ogni volta che non riusciva a prendere sonno, gli mancavano persino le sue bufolate, quelle che gli faceva tutte le volte che si arrabbiava... gli mancava tutto di lei, ed avrebbe donato l’anima al diavolo pur di poterla riavere con sé.

Ma sapeva benissimo che non sarebbe mai successo, sapeva benissimo che nessuna sfera del drago avrebbe potuto riportare in vita Chichi, perché le sfere del drago non potevano resuscitare una persona morta per cause naturali, e questo non sarebbe mai potuto cambiare.

Non era mai riuscito neppure ad andarla a trovare al cimitero, a lasciarle un fiore, a raccontare le sue giornate ad una foto che, col tempo, avrebbe cominciato ad ingiallirsi e rovinarsi. Perché nonostante per la sua mamma il tempo si fosse fermato, sulla Terra continuava comunque a scorrere... lui sarebbe cresciuto, sarebbe diventato un ragazzo, poi un uomo, avrebbe coronato i suoi sogni, e lei non ci sarebbe stata, lei non avrebbe mai potuto piangere di commozione al suo diploma, non avrebbe potuto abbracciarlo con fierezza nel vederlo diventare uno scienziato, non avrebbe potuto arrabbiarsi nel vederlo continuare ad allenarsi nonostante tutto.

Chichi non ci sarebbe stata, perché Chichi non c’era più, la sua mamma non sarebbe mai più tornata, e l’unica cosa che poteva fare Gohan era piangere tra le mura della sua cameretta. Piangere finché non avrebbe avuto più lacrime. 

 

«Mamma...» mormorò, tra una lacrima e l’altra, mentre si inginocchiava a terra in segno di preghiera, gli occhi rivolti al cielo stellato fuori dalla finestra circolare della sua camera «Mammina, mi manchi così tanto... se potessi... se potessi trovare anche soltanto un modo di farti tornare qui con me...»

 

*

 

Non era stato affatto corretto e si era sentito un vero e proprio idiota, ma non aveva potuto fare altrimenti: aveva origliato tutto dal corridoio, osservando le gesta di quel marmocchio mentre pregava il cielo e chiedeva a sua madre di tornare in vita, e nonostante a lui di quell’arpia non interessasse un fico secco, nonostante a lui queste cose non facessero né caldo né freddo, nonostante lui fosse il cinico e burbero principe dei saiyan, non aveva potuto non trattenersi dal deglutire rumorosamente più volte, mentre assisteva a quella scena.

Perché era una scena che aveva già visto, anni prima, in prima persona: non troppo tempo prima, era lui quel bambino che piangeva silenziosamente nella sua minuscola stanzetta condivisa con Nappa, non troppo tempo prima era lui quel bambino che si inginocchiava, che pregava gli dei perché sua madre potesse tornare da lui anche soltanto per pochi istanti... e non troppo tempo prima era sempre lui quel bambino che si rendeva pian piano conto che le sue preghiere sarebbero state soltanto vane, e che sua madre non sarebbe mai tornata. 

Vegeta, nonostante tutto, nonostante non fosse una persona che ostentava le proprie emozioni, non aveva potuto non comprendere, in un certo senso, quel piccolo saiyan che faceva di tutto per non farsi beccare mentre singhiozzava con la testa premuta contro il cuscino; lo comprendeva, lo capiva, perché lui c’era passato, perché lui conosceva a 360 gradi quel dolore che caratterizzava la perdita di una madre... e questo era un dolore che non sarebbe mai cambiato: terrestre o meno, saiyan o meno, perdere la propria madre ad una così tenera età avrebbe segnato a vita chiunque. 

Ma non era intervenuto, il principe. Non era intervenuto anche perché, se l’avesse fatto, che cosa avrebbe dovuto dire a quel moccioso? Avrebbe forse dovuto ordinargli di non frignare, di non disturbare il suo sonno con quegli inutili piagnistei? Avrebbe dovuto arrabbiarsi con lui, urlandogli in faccia che era un saiyan e che si sarebbe dovuto comportare da tale? No, niente di tutto ciò... quel bambino si comportava da saiyan per tutto il dannato giorno, ed almeno durante la notte, meritava di starsene da solo con le proprie emozioni, esattamente come capitava più volte a lui. 

Sarebbe stato un ipocrita, se fosse entrato in quella stanza e gli avesse ordinato di non piangere... sarebbe stato un vero ipocrita.

Così, sospirando, se n’era tornato nella propria camera, decidendo che fosse ufficialmente arrivato il momento di andarsene a dormire; l’indomani, lo aspettava un lungo ed intenso allenamento mentale, e chissà che non sarebbe davvero riuscito a fare ciò che lui e Kaharoth si erano proposti di fare soltanto pochissimo tempo addietro. 

 

*

 

Ormai era da più di un’ora che si era alzato, aveva consumato la sua colazione a base di caffè-tra l’altro era quasi finito, forse avrebbe dovuto comunicare a Kaharoth che sarebbe dovuto andare di corsa a comprarlo se non voleva morire-, era uscito di casa e si era messo a praticare un bel po’ di riscaldamento: non sapeva perché, ma quel giorno si era  svegliato più determinato del solito, e l’unico suo obbiettivo era quello di allenarsi duramente, rafforzarsi, e cercare in tutti i modi di allenare la propria concentrazione per fare ciò che lui ed il suo rivale si erano prefissati di fare. Qualsiasi cosa fosse ciò che avveniva tra di loro, voleva andare a fondo a quella storia e capirci qualcosa in più, anche soltanto una piccola parte sarebbe bastata... non aveva intenzione di continuare a vivere nell’ignoranza come faceva quella dannata terza classe.

Terza classe che, tra l’altro, era in un ritardo abissale: ormai erano le sette passate, e quel mentecatto ancora non si decideva ad uscire di casa.

 

«Ma che diavolo sta facendo, quel buono a nulla?!» borbottò il saiyan dai capelli a fiamma, entrando in casa con tutta l’intenzione di prenderlo per le orecchie «Giuro che se sei ancora in pigiama, Kaharoth, ti stacco la testa dal collo!»

 

Ma, contro ogni sua più rosea aspettativa, quando si ritrovò a piombare nella camera del decerebrato, lo trovò ancora a ronfare, beatamente rannicchiato sul letto, con la bava alla bocca ed i capelli completamente in disordine.

A quella visuale, la vena sulla fronte del principe dei saiyan iniziò a pulsare pericolosamente, mentre la rabbia iniziava a montare in modo spaventoso: se soltanto non avesse lentamente imparato a controllare i propri istinti più primordiali, con molta probabilità a quel punto si sarebbe avvicinato a quel letto e lo avrebbe incenerito con un Galic Gun, ovviamente con incluso l’imbecille che ci dormiva sopra. Ma, dato che uno degli step più importanti per diventare super saiyan era proprio il controllo, Vegeta si limitò ad avvicinarsi al letto, finendo proprio di fianco al mentecatto, pronto a svegliarlo nel peggior modo possibile. 

Lo osservò per qualche istante dall’alto in basso, con sguardo severo ed arrabbiato e poi, decidendo che svegliarlo chiamandolo ed insultandolo sarebbe stato fin troppo dolce e gentile da parte di uno come lui, decise di scendere in cucina a prendere un paio di coperchi per pentole, per poi salire di nuovo al piano di sopra, posizionarsi a pochissimi millimetri dall’orecchio scoperto di quel deficiente e cominciare a sbattere ripetutamente e con una forza immane i due cerchi tra di loro. 

 

«AAAAAAAAAAH!»

 

Era seduto ad una tavola imbandita di dolci, tacchino, polpo e frutta secca quando, improvvisamente, un brutto omone non aveva iniziato a sbattere violentemente le mani contro il tavolo, facendo cadere violentemente a terra tutto ciò che di buono c’era su quel bel tavolino di legno. O almeno, questo era quello che aveva appena visto nel sogno che stava facendo. 

In realtà, una volta uscito da quella realtà fittizia, si rese ben presto conto che non c’era nessuna tavola imbandita e nessun omone, ma soltanto qualcuno che, direttamente nel suo povero orecchio, stava facendo risuonare il rumore di due coperchi che si colpivano tra di loro, costringendolo ad urlare dallo spavento, senza tuttavia aprire gli occhi.

 

«MA INSOMMA, BRUTTO RINCITRULLITO, ALZATI DA QUESTO DANNATISSIMO LETTO!» urlò il principe dei saiyan spazientito, colpendo il proprio rivale al viso con uno dei due coperchi che, inaspettatamente, prese la forma dei suoi capelli a palma.

Ma Goku, determinato a continuare a dormire ancora un po’, con un gesto meccanico, come se quello che stava tentando in tutti i modi di svegliarlo non fosse il principe, lo prese per entrambi i fianchi, sollevandolo di peso e facendogli cadere dalle mani i due coperchi di metallo che, a contatto con il pavimento, causarono un rumore ancor più stridulo.

Vegeta si ritrovò a gelarsi improvvisamente sul posto quando, con un movimento così naturale da far quasi paura, quella maledetta terza classe lo buttò sull’altro lato del letto, per poi bloccarlo violentemente sotto il proprio peso, con una mano saldamente ancorata alla sua spalla e il ginocchio spinto contro il suo fianco. I suoi capelli a palma erano completamente scompigliati ed i suoi occhi contornati da grandi occhiaie scure lo stavano squadrando con aria di sufficienza, e il principe dei saiyan non sapeva se sputargli in faccia o rimanere lì imbambolato a fissarlo, senza sapere né cosa fare né come comportarsi: come diavolo si era permesso, quel mentecatto, di buttarlo sul SUO letto? Sul letto che aveva condiviso con Chichi? Sul letto sul quale probabilmente era stato concepito Gohan? Probabilmente dalla parte in cui una volta quella svitata di sua moglie dormiva?!

A quei pensieri, le guance di Vegeta si tinsero di un colore scarlatto mentre, completamente bloccato sul posto, tentava in tutti i modi di distogliere lo sguardo dal proprio rivale, che lo teneva ben ancorato sotto di sé, senza ancora dargli la possibilità di muoversi. 

«To-togliti immediatamente da-»

«Avresti potuto svegliarmi in maniera più dolce, sai?» lo interruppe il Son, con la voce roca ancora impastata dal sonno «Stanotte non ho dormito, sei veramente scortese.»

«Smettila di guardarmi così, stupido re-»

«Reietto di terza classe? Vegeta, oggi non ne ho voglia, vatti a fare un giro.»

Era strano. Era dannatamente strano il modo in cui si stava comportando quella mattina; conoscendolo, solitamente si sarebbe fatto una delle sue classiche ed insopportabili risate, oppure si sarebbe lamentato come un moccioso al quale erano state tolte le caramelle. Ma così... così no. Si stava comportando in maniera troppo strana.

Come se si fosse appena svegliato da uno stato di trance, il principe dei saiyan poggiò entrambe le mani sul petto del proprio rivale, ribaltando le posizioni e finendo a cavalcioni su di lui.

«Adesso comando io.» gli ringhiò in faccia, ancora rosso in viso «Come sarebbe a dire che non ne hai voglia?! Non esiste una scusa del genere, adesso tu ti alzi e andiamo ad allenar-»

«UN MESE FA!» lo interruppe ancora Goku «Un mese fa ho scoperto che Chichi aveva il cancro al seno! Un mese fa, Vegeta! Ed era da quando sono partito per Namecc che lei lo sapeva! Ti rendi conto che... che per così tanto tempo non le sono stato vicino?! Che ho preferito combattere ed allenarmi, piuttosto che stare insieme a lei?! Sono una brutta persona, Vegeta, una brutta persona!»

«Sei un saiyan.» fu la secca risposta del ragazzo sopra di lui, che tuttavia non riusciva a trovare una singola parola che potesse anche soltanto esprimere quanto non riuscisse a capire quel senso di colpa che lo attanagliava così tanto «Ti sei solo lasciato guidare dai tuoi istinti, tutto qua.»

E, detto questo, gli si tolse di dosso, scendendo dal letto e cercando di dimenticare il fatto che fosse appena stato a cavalcioni sopra a quel decerebrato con tanta naturalezza; okay, gli succedeva spesso mentre si allenavano ma quella... quella era una situazione differente.

«Lo so...» fu la risposta del povero Goku che, sconsolato, si alzò a sedere, abbassando la testa «Lo so che sono un saiyan, e la cosa mi fa veramente paura. Ho paura, Vegeta... ho paura di ferire anche Gohan, di non essere un padre giusto per lui. La notte lo sento piangere, e non ho... non ho il coraggio di entrare in camera sua e consolarlo. Non ho il coraggio di farlo perché non saprei come fare... perché io non sento affatto la mancanza di Chichi, e questo mi spaventa ancora di più.»

«Perché l’hai sposata?» 

Gli era uscita spontanea, naturale, come se non ci avesse affatto pensato. Ed era una domanda lecita, perché d’altronde, se non sentiva nemmeno la mancanza della sua stessa consorte, allora veniva da pensare che non avesse mai provato nulla per lei, esattamente come aveva detto Bulma più volte... ma allora, perché diamine l’aveva sposata? Forse era stato costretto come erano stati costretti i suoi stessi genitori? 

Ma gli sembrava parecchio strano che lì sulla Terra ci fosse ancora quell’usanza, soprattutto perché Kaharoth, in teoria, era orfano.

«Perché... perché da bambino gliel’avevo promesso...» mormorò lui, con aria colpevole «Non sapevo cosa fosse il matrimonio, e così le ho detto semplicemente che l’avrei sposata. Ma lei... lei l’ha presa seriamente, e...»

«Uno stupido come te, non poteva avere motivo più stupido per sposarsi.» lo interruppe Vegeta che, tuttavia, si avviò lentamente verso la porta della camera, con l’intenzione di uscire «Io sono qua fuori. Se vuoi, raggiungimi.»

E quel gesto, per Goku, era valso più di mille parole.

Perché Vegeta, nonostante il suo essere cinico, nonostante il suo essere dannatamente arrogante e burbero, aveva capito, e lo aveva lasciato in pace; perché Vegeta non era poi così cattivo come voleva far pensare, e in fondo, conoscendolo meglio, stava imparando ad apprezzare quei piccoli gesti che faceva per lui, quelle piccole accortezze, quegli sguardi, quella voglia innata di combattere per migliorarsi ma anche per migliorarlo... perché grazie al principe dei saiyan, Goku si scordava per qualche ora di essere inutile. E per questo, non l’avrebbe mai ringraziato abbastanza.

«Ah, Kaharoth!» lo chiamò di nuovo, facendo capolino dalla porta «Non cucini così male come dicono tutti!»

E Goku non seppe come, non seppe perché, ma quelle parole, quella frase probabilmente detta tanto per, quel primo ed unico-nella sua vita probabilmente- complimento fattogli dal principe dei saiyan, lo rese improvvisamente meno triste.

Era come se Vegeta, o senza rendersene nemmeno conto oppure facendolo apposta, si fosse accorto che l’unica cosa di cui lui avesse bisogno era qualcuno che lo apprezzasse; qualcuno che apprezzasse i suoi piccoli gesti, che apprezzasse l’impegno che ci metteva anche soltanto nel fare una semplice faccenda di casa, che apprezzasse la sua presenza-perché gli stava chiedendo di allenarsi insieme, quindi era come se la apprezzasse, in fondo. E la consapevolezza che quel qualcuno fosse proprio il cinico principe dei saiyan lo confondeva, sì, ma gli scaldava il cuore: quel ragazzo viveva circondato da mura di marmo, apparentemente impossibili sia da buttare giù che da valicare, ma il saiyan dai capelli a palma era sicuro che, in qualche modo, lui riuscisse a scorgere oltre quelle mura dietro le quali il proprio rivale si nascondeva, e ciò che vedeva non era affatto un sanguinario assassino alieno, ciò che vedeva lui non era affatto quel bastardo che aveva attaccato la Terra soltanto poco tempo prima. No, ciò che Goku riusciva a vedere oltre quella corazza era una persona con un vissuto tremendo, una persona piena di ferite che non si erano ancora totalmente marginate, una persona orgogliosa, sì, ma a suo modo... a suo modo buona. 

E fu proprio per questo che, a discapito di ciò che gli aveva appena sputato in faccia, il saiyan dai capelli a palma prese a corrergli dietro, con tutta l’intenzione di fargli capire che aveva appena cambiato idea.

«Aspettami, Vegeta!» esclamò, tornando a sorridere sornione «Forza, andiamo ad allenarci! Però stavolta non voglio esclusione di colpi!»

 

Il principe dei saiyan ghignò soddisfatto: certo, essere l’artefice della felicità di quel mentecatto non gli faceva certo così piacere, ma il fatto che questa sua suddetta felicità lo spingesse a voler fare sempre di più a botte lo rendeva assai eccitato. 

Ora che si era occupato di Kaharoth, si prefissò che soltanto in un secondo momento si sarebbe invece occupato di un’altra faccenda. Una faccenda che rispondeva al nome di Son Gohan. 

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Angolo autrice:
Salve a tutti e scusate l'attesa! Non sono una che ama prendersi delle pause così lunghe ma, che vogliamo farci, la nostra ministra dell'istruzione sta cambiando le carte in tavola praticamente ogni giorno, ed io vorrei soltanto addormentarmi e svegliarmi quando tutto questo incubo sarà finito! xD 
Ma arriviamo al capitolo... non è nulla di che, lo so, dobbiamo ancora entrare nel VERO vivo della trama, e giuro che ci entreremo molto presto, non fucilatemi; nel frattempo, spero che anche questi capitoletti di pura e semplice slice of life non vi dispiacciano ^^ 
Ringrazio chiunque si sia preso il tempo di recensire(in fondo la vostra opinione è la cosa più importante!), ma anche i miei lettori silenziosi... non avrei mai pensato che questa mia prima storiella potesse avere così tante visite, sul serio!
Alla prossima <3 

-hilaris

 

   
 
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