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Autore: verolax    12/08/2009    2 recensioni
Cosa succederebbe se Grindelwald e Silente potessero tornare indietro ai giorni della loro gioventù....? La mia prima Grindelore, ma finchè si parla di Silente, va tutto bene... :)
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Albus Silente, Gellert Grindelwald
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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CARO ALBUS

DEAR ALBUS

 

 

 

Gellert Grindelwald si trascinava febbrilmente avanti e indietro per la sua lurida cella di Nurmengard. Era irrequieto e non riusciva a restare fermo, nonostante le gambe gli dolessero per la lunga inattività di quegli anni. Dopo l’ennesima lettera di Silente, finalmente egli aveva capito; aveva sbagliato, sbagliato tremendamente, terribilmente, e se ne pentiva. Se ne vergognava profondamente. Voleva chiedere scusa a Silente, al suo Albus, per tutto il dolore che gli aveva causato… prese con rabbia la pergamena e la piuma, intingendola nell’inchiostro appena un po’ troppo. La punta gocciolò copiosamente sul foglio e una macchia nera di forma irregolare si sparse sulla carta ingiallita.

 

Grindelwald prese un profondo sospiro e incominciò a scrivere.

 

 

Caro Albus,

 

questa mia lettera sarà diversa dalle altre.

 

Non ti scrivo, come mio solito, per chiedere notizie del mondo esterno, per un po’ di compagnia, ma ti scrivo per aprirti il mio cuore. Siamo tornati quasi amici in questi anni, perché tu hai voluto perdonarmi, e questa orrenda cella con tutta la sua solitudine ha ammorbidito il mio animo, ma tu lo sai bene, io non sono mai veramente cambiato. O meglio: Nurmengard mi ha cambiato, ma io sono sempre rimasto convinto delle mie scelte, e certo della giustezza dei miei ideali.

Ma dopo la tua ultima lettera, Albus, non è più così.

Ho sentito il mio credo vacillare fino a rovinare a terra frantumandosi in mille pezzi.

E solo ora mi accorgo che hai sempre avuto ragione.

Che i miei erano solo i vaneggi di un uomo all’apice della pazzia.

Che i miei non erano sogni, ma gli incubi di un mago egocentrico.

Non molto diverso da Voldemort, in effetti.

 

Mi faccio schifo, Albus, perché in tutti questi anni tu hai cercato di dirmelo, e io non ho ascoltato.

Mi faccio pena per averti odiato a lungo, e poi averti chiamato di nuovo amico senza veramente sapere più il significato di questa parola.

Ma più di ogni altra cosa, rimpiango di aver passato qui dentro tutta la mia vita, fino a diventare vecchio, senza aver mai capito di aver sbagliato.

 

E senza averti mai chiesto scusa. Io non ti ho mai chiesto scusa, Albus, per esser stato un pazzo ed averti quasi trascinato con me in questo baratro. Non ti ho mai chiesto scusa per averti rovinato la vita e la fanciullezza; per averti portato via l’innocenza e la spensieratezza.

 

Spero che dalle mie parole capirai che sono sinceramente pentito, anche se ormai è troppo tardi per redimermi. Vorrei solo vederti un’ultima volta per guardarti negli occhi e implorare il tuo perdono: mi concederai una visita, se pur breve? La bramo più di ogni altra cosa al mondo, più ancora della libertà, che ormai non cerco più.

 

Sinceramente tuo,

Gellert

 

  

 

Albus Silente sedeva in silenzio nel suo ufficio, a lume di candela. Era notte fonda e rileggeva per la terza volta la lettera di Grindelwald, soffermandosi su ogni parola. Era incredulo, ma nel suo cuore albergava una piccola scintilla tiepida che non sperava di poter più ritrovare.

Quando finì la lettera, per la prima volta in vita sua fece una cosa senza averne precedentemente soppesato le conseguenze. Si smaterializzò in un turbinio d’aria e in un attimo fu nella cella del vecchio amico.

Lo trovò immerso nella penombra, seduto sul letto ingrigito dal tempo e dagli scarsi lavaggi cui era stato sottoposto. L’uomo sobbalzò nel vedere il mago dai capelli bianchi; non lo aspettava, non credeva che sarebbe mai venuto. Aprì la bocca come per parlare, ma Albus fu più veloce.

 

Gellert.”  Era solo un nome, ma così carico di sentimento, di parole non dette, che ebbe il potere di scuotere l’uomo fin nelle viscere.

Albus,” rispose fissandolo intensamente, come per meglio metterlo a fuoco in quella stanza senza luce, “così sei venuto”.

Silente abbozzò un mezzo sorriso e disse semplicemente: “Si.

“Sei invecchiato,” notò Gellert con una punta di amarezza nella voce, “eppure sei sempre lo stesso, vecchio mio,” disse ammorbidendosi.

Anche io ti ricordavo un po’ diverso, sai”. Con un gesto Silente fece apparire una comoda poltrona e vi sprofondò dentro.

Gellert fece per alzarsi, ma si fermò a mezz’aria perché ebbe la sensazione che le gambe non lo avrebbero sorretto. Durante i lunghi anni della prigionia non si era curato di mantenersi almeno un po’ in forma, e ora che era più anziano faticava anche a fare i più piccoli movimenti. Il suo passo era diventato un lento trascinare i piedi a terra, e ora, sopraffatto dall’emozione di rivedere Albus, non pensava di riuscire nemmeno a stare in piedi.

Si vergognava molto del suo stato, ma non era più l’uomo orgoglioso di un tempo, e così sussurrò a Silente: “vieni tu qui da me, Albus… non credo di riuscire ad alzarmi…”

“Sciocchezze,” gli rispose il mago dai lunghi capelli bianchi. “Tu ti alzerai, eccome”. Così dicendo Silente si era avvicinato e gli tendeva invitante una mano lunga e ossuta.

Grindelwald esitò un attimo; in fondo gli rimaneva ancora un pizzico d’amor proprio. Ma Albus sorrideva incoraggiante, e infine Gellert decise di accettare il suo aiuto. Quando fu in piedi, Silente gli girò un braccio attorno alla schiena, appena sotto le spalle, per sorreggerlo un po’; lo portò vicino alla finestra per ammirare le stelle che brillavano più che mai in quella notte senza luna.

“Dimmi, Albus,” chiese Gellert con gli occhi fissi al suolo. “Potrai mai perdonarmi per tutto quello che ho fatto… per tutto quello che ti ho fatto, amico mio?”

Albus staccò gli occhi dal cielo stellato per puntarli in quelli grigi e un po’ spenti dell’amico.

“Oh, Gellert, tu sai essere un tale sciocco a volte. Io ti ho perdonato molto tempo fa…”

Ma solo adesso io mi rendo conto di… solo adesso ti chiedo scusa…”

“Lo capisco, e credimi, lo apprezzo più di quanto tu possa immaginare. Ma forse non è il mio perdono che tu cerchi ansiosamente: è il tuo…”. Silente si aggiustò gli occhialini a mezzaluna sul naso e aggiunse, con voce carezzevole: “Vedi, Gellert. Chi non ti ha perdonato, ti ha comunque dimenticato. Forse, se tu non riesci a perdonarti, potrai almeno dimenticare…”

Gellert si liberò dalla stretta dell’amico per appoggiarsi al muro. “Le tue parole sono molto sagge, Albus. Ma ti assicuro, non cerco il mio perdono: non lo voglio. Voglio odiarmi fino a quando non morirò. Io cerco proprio la tua assoluzione, perché è quella l’unica che mi sta a cuore.”

“Allora, Gellert, non parliamone più, perché come ti ho già detto, io ti ho perdonato molto tempo fa. Sapevo che un giorno ti saresti reso conto dei tuoi errori, anche se non potevo prevedere quando. Nelle mie lettere, silenziosamente, senza mai parlartene direttamente, ho sempre spinto perché i tuoi pensieri andassero in questa direzione. E ora che ti sei deciso, beh, sono orgoglioso di te…”

Ci fu una lunga pausa in cui entrambi rimasero ad osservare le stelle, pensierosi.

“Tu vedi sempre il lato buono delle persone, Albus. Anche di quelle che non ne hanno. E io ti ho sempre amato per questo…”

Mentre pronunciava una ad una, lentamente, le parole di questa frase Gellert si rese conto che i rapporti di forza ora si erano invertiti rispetto ai loro incontri giovanili: ora era Albus a detenere il potere, la forza di aver sempre agito nel giusto, per tutti questi anni.

E allora Gellert mise da parte anche l’ultima scintilla di orgoglio che possedeva e gettò le braccia al collo di Silente, con furia.

Albus ne rimase sorpreso e si irrigidì leggermente. Ma poi il grande affetto che nutriva per Grindelwald ebbe la meglio, e si lasciò andare un po’ di più, cingendolo con un braccio, ma senza sbilanciarsi troppo.

Gellert sollevò il volto e posò sulle labbra del vecchio mago un bacio leggero, innocente.

Silente sorrise imbarazzato: “Per la barba di Merlino, Gellert. Non siamo più ragazzini…”

Ma possiamo sempre tornare ad esserlo, anche se solo per un momento…”

 

Inizialmente Silente non capì ciò che Grindelwald voleva dire; tuttavia, un guizzo strano negli occhi del compagno accese nella mente del vecchio mago una lampadina. Gellert voleva usare un incantesimo perché entrambi tornassero giovani come nei loro primi incontri.

 

In fondo, l’idea non dispiaceva per nulla a Silente… del resto, aveva passato gli ultimi cinquant’anni immerso nei ricordi del loro amore, e al contempo nel rimpianto di non poter mai più vivere quei momenti.

 

Forse, dopotutto, per qualche minuto… era davvero possibile tornare indietro, dimenticare tutto…

 

Silente sospirò e con un colpo della sua bacchetta restituì a Gellert i suoi riccioli biondi e il suo fisico asciutto. L’altro lo guardò raggiante.

Con un secondo colpo di bacchetta Silente tornò un giovane dai lunghi capelli rossi. Con i polpastrelli si toccò il muscolo turgido dell’avambraccio, poi rivolse lo sguardo a Gellert.

 

L’amico lo osservava con espressione rapita: “Sei bellissimo, Al… ma manca ancora qualcosa,” gli comunicò con aria beffarda.

 

Silente sbuffò e con uno schiocco di dita la cella buia di Grindelwald svanì per diventare lo splendido prato di fronte a Hogwarts. Era una fresca mattina d’estate e il sole stava sorgendo dietro ai monti sulla sponda opposta del lago. Dietro di loro l’imponente castello giaceva addormentato. L’erba verdissima era ricoperta di minuscole goccioline di rugiada.

A quella vista Gellert esplose in tutta la sua gioia e si lanciò in una folle corsa verso il lago. Mentre correva si toglieva i vestiti; Albus lo seguiva camminando con passo veloce, ma senza levarsi nulla di dosso.

Quando lo raggiunse, Grindelwald era già in acqua. “Vieni,” lo invitò schizzandolo appena. L’acqua del lago era gelata, e Silente non aveva nessuna voglia di tuffarsi.

Ma no, è gelata! Non mi va proprio…” rispose all’angelo biondo che gli rideva beatamente innanzi.

“Sciocchezze”, lo canzonò Gellert usando le stesse parole che Silente aveva usato nella sua cella. “Tu verrai, eccome.”

Così dicendo balzò fuori dal lago completamente nudo, prese il mago vestito di tutto punto per una manica e lo trascinò con sé nelle acque scure.

 

Il contatto con l’acqua fece mancare il respiro a Silente, ma lo fece anche sentire bene. Quando tornò a galla, rideva di cuore…

I due si schizzarono e si inseguirono per qualche tempo, e Gellert era tornato a comandare i giochi. Silente si faceva trascinare dall’amico, ma rimaneva un po’ distaccato, come pensieroso.

Infine uscirono dall’acqua e si asciugarono al tepore del sole ormai sorto da un pezzo.

 

“Cos’hai, Al?”

Nulls, è solo che…”

“Coraggio, sai che a me puoi dirlo.”

“Vedi, io… sono tornato giovane fuori, ma dentro… mi sento ancora… vecchio…”

“Vai avanti, so che non mi hai detto tutto…”

Inadatto a queste cose…”

 

Gellert si portò accanto a Silente e gli accarezzò i capelli ramati con tale dolcezza che Albus fu costretto a socchiudere gli occhi per l’intenso piacere.

Anche adesso… con gli occhi chiusi… non riesci a non pensare? A far finta che il tempo non sia passato?”

Le mani di Grindelwald massaggiavano la testa di Silente in punti che nemmeno lui sapeva di possedere. Effettivamente, in quel momento, esistevano solo loro due… e le mani, meravigliose mani, di Gellert che gli procuravano un piacere infinito… e la dolcezza della sua voce…

 

Silente non rispose mai a parole alla domanda di Grindelwald, ma fu il suo corpo a farlo per lui. Lentamente si abbandonò con il capo sul petto del biondo, poi vi si rigirò trovandosi con il volto immerso nella sua carne. Gellert lo tirò a sé piano fino a che la testa del rosso non fu alla pari con la sua, e lo baciò con foga. Il cuore di Albus mancò un battito, e tutto si annullò in quel potente istante d’amore. Si annullarono i loro dissapori, si annullarono le cattive azioni di Gellert, si annullò anche il perdono che Silente gli aveva accordato, perché non ce n’era più bisogno. Si annullarono cinquant’anni di sofferenza, di attesa, di ricordi e di rimpianti.

 

I due amanti si rotolarono sull’erba per un tempo indefinibile. Potevano essere minuti oppure ore, ma era lo stesso in quel mondo incantato. Dopo aver fatto l’amore rimasero a lungo abbracciati, Gellert con la guancia sul petto di Silente, e la mano di quest’ultimo posata mollemente sul fianco del biondo.

 

Gellert, dobbiamo tornare”: la voce di Albus ruppe l’incanto, ma era necessario.

Perché?” chiese pigramente il giovane.

“Perché non possiamo restare sempre qui,” fu la semplice risposta di Silente.

E perché no?” chiese ancora Gellert, con fare da bambino.

“Su, Gellert, non fare il ragazzino. Lo sai, io… ho da fare…” Silente abbassò lo sguardo. “Il mio… destino si deve compiere…” disse in un sussurro appena udibile.

Ma torneremo ancora qui?”

Per un lungo istante Silente non rispose, poi sospirò e disse: “No”.

Gellert rimase ferito a quelle parole, ma non disse nulla.

“Non è come credi, mi piacerebbe, sai. È che… non sarà più possibile, tutto qui.

 

Gellert seppe in quel momento che non l’avrebbe più rivisto. E seppe anche che Silente stava andando a morire. Come fece a capirlo, non ci è dato sapere; ma a volte, sono strane le connessioni che si producono nelle menti di due persone che si amano a tal punto…

 

Albus, un’ultima cosa prima che tu te ne vada,” disse in tono di supplica Gellert una volta tornato anziano nella sua cella di Nurmengard. Il mago, già pronto a smaterializzarsi, si voltò verso l’amico.

“Dimmi.”

Albus, ti voglio ringraziare… tu mi ha ridato la libertà…”

“Non credo,ribattè Silente, quasi sentendosi in colpa. “Un attimo fugace di… finta realtà e ora tu sei di nuovo qui, nella tua cella buia…”

“Non è quella la libertà a cui mi riferivo. Tu mi hai ridato la libertà dell’anima, Albus, perché mi hai fatto comprendere i miei errori e sollevato dalle mie ossessioni. E mi hai dimostrato che so ancora amare. Che tu mi ami ancora. Questo è tutto quello che mi serve per finire i miei giorni in serenità, laddove fino ad oggi ho rischiato di impazzire. Grazie, Albus… e ti prego, qualunque sia il tuo destino, stai attento…”

“Stai tranquillo, Gellert. Sono sicuro che un giorno ci rivedremo,” disse con un sorriso, e svanì.

 

Appena in tempo perché l’amico non potesse vedere un’unica, bollente lacrima che gli bagnò la guancia segnata dalle rughe.

 

  

  
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