Capitolo terzo: Never give up
Oh yeah, I'm
haunted by the distant past
Called to the skies but she was she overcast
But I won't
never give up, no, never give up, no, no
No, I won't never give up, no, never give up, no, no
And I won't let
you get me down
I'll keep gettin' up when I hit the ground
Oh, never give up, no, never give up no, no, oh…
(“Never give up” – Sia)
Non poteva essere vero, doveva essere un
incubo, pensava Alfonso, travolto dal terrore, mentre si lasciava condurre da
Juan lungo le scale che portavano alle segrete. Non poteva finire così, non un’altra
volta! Ormai non vedeva nemmeno più bene, le lacrime gli offuscavano la vista,
e poteva solo affidarsi, suo malgrado, al giovane Borgia, nonostante lo stesse
portando verso l’orrore.
Era proprio come quella sera maledetta in cui
Re Carlo lo aveva fatto condurre nelle segrete dal Generale, per poi
consegnarlo ai soldati che avrebbero straziato il suo corpo senza pietà. Le immagini
e il terrore mortale di allora si confondevano con ciò che stava accadendo
adesso… solo che il Generale non c’era più e, questa volta, nessuno sarebbe
arrivato in suo soccorso, nessuno avrebbe interrotto le torture.
Juan Borgia che, evidentemente, non aveva la
più pallida idea di cosa stesse passando per la mente del Principe, continuava
a sostenerlo mentre entravano nella camera degli orrori e si guardava intorno
con sincera curiosità. Quella era una cosa che gli mancava, non aveva mai
visitato una stanza delle torture e pensava che Re Ferrante, nella sua follia,
avesse avuto comunque una buona idea perché minacciare qualcuno di trascorrere
anche solo un’ora tra quei tormenti era un deterrente molto convincente.
“Vostra Maestà, posso capire che non vi
faccia piacere tornare in questo luogo di dolore, specie dopo quello che mi
avete raccontato” disse ad un certo punto. “E’ stato morboso e crudele da parte
del Re francese farvi una cosa del genere, specialmente considerando che non
aveva motivo di farlo, non dovevate confessare niente, non costituivate una
minaccia per lui… una malvagità gratuita che, in tutta sincerità, non riesco a
comprendere. Però non c’è bisogno di reagire così, insomma! Adesso siete voi il
Re di Napoli e sarebbe opportuno che imparaste a gestire tutte le armi di cui
siete in possesso per spaventare i vostri nemici, così come faceva vostro
padre.”
Vedendo che Alfonso non aveva intenzione di
calmarsi, Juan lo fece sedere sui gradini all’ingresso della stanza e si mise a
osservare quegli strumenti spaventosi per conto suo, riflettendo su quanto
sarebbero stati utili per consolidare il suo
potere sul Regno di Napoli. Perché, a dirla tutta, non aveva nessuna intenzione
di fallire, questa volta, e non avrebbe lasciato che fossero Goffredo e Sancha
a prendersi tutta la gloria. Toccava a lui e non gli dispiaceva affatto
lasciare che, ufficialmente, fosse Alfonso a governare. In fondo, il giovane
Principe dava prova ogni giorno di più di essere debole, spaventato e del tutto
dipendente da chiunque si prendesse la briga di guidarlo. E, in particolare,
stava dimostrando di essere molto vulnerabile in sua presenza… Juan non avrebbe
mai pensato di finire per esercitare il suo fascino su un Principe aragonese
piuttosto che su una prostituta ma, tutto sommato, era pure meglio così! I
vantaggi che una prostituta poteva dargli erano immediati e di breve durata, ma
quanto avrebbe potuto ottenere come protettore
del giovane Re di Napoli?
Ma, per fare questo, doveva innanzitutto fare
in modo che tutti lo temessero, così come temevano Re Ferrante. Se si fosse
fatto un nome in quel senso, il padre avrebbe lasciato che fosse lui a
governare il Regno, tenendo Alfonso sotto tutela, e Goffredo e Sancha avrebbero
dovuto arrangiarsi.
E chissà quanto si sarebbe infuriato Cesare!
Sarebbe schiattato d’invidia, quel guastafeste…
Juan sorrise tra sé mentre si crogiolava in
quei pensieri di soddisfazione e trionfo, finché non si accorse che Alfonso non
aveva la minima intenzione di tranquillizzarsi e, anzi, continuava a
singhiozzare sempre più forte. Adesso aveva iniziato anche a supplicare, come
se qualcuno lo stesse realmente seviziando. Ma che accidenti gli prendeva?
Gli si avvicinò per cercare di calmarlo, ma
fu anche peggio.
“No, vi prego… vi prego, non fatemi del male…
Farò tutto quello che volete, Gonfaloniere, vi supplico, non portatemi là…”
piangeva Alfonso, le parole spezzate dai singhiozzi.
“Che vi prende, Vostra Maestà? Perché mai
dovrei farvi del male o, peggio, torturarvi? Ma non avete capito che… Oh, ma
che diamine!” Juan non era un uomo molto paziente e si stancò presto di quel
tono deferente. Si sedette accanto al ragazzo e lo strinse a sé. “Non sono qui
per farti del male, lo vuoi capire sì o no? Insomma, Alfonso, vuoi ascoltarmi
una buona volta?”
Il tono spazientito ma tutto sommato più
confidenziale del giovane Borgia riuscì finalmente a scuotere Alfonso che,
cercando di soffocare i singhiozzi e di fermare il pianto, parve uscire dall’incubo
nel quale era precipitato e ritornare alla realtà.
“Voi… Gonfaloniere, non mi avete portato qui
con l’inganno per torturarmi a morte?” domandò, con un filo di voce.
“Va bene che la mia fama mi precede, ma che
idea ti sei fatto di me, si può sapere?” esclamò Juan, esasperato ma al
contempo intenerito da quella reazione da ragazzino e decidendo di abbandonare
una volta per tutte la messinscena del Vostra
Maestà… “Non ho nessuna ragione di farti del male, anzi, ti ho già detto
mille volte che sono qui per proteggerti e per difendere questo Regno. E,
comunque, non sono certo così meschino da portarti qui con l’inganno per seviziarti,
se pure avessi qualche motivo per volerti eliminare. Dammi retta, se avessi
voluto davvero farti del male te ne saresti accorto. Questi non sono certo i
miei metodi: i miei avversari li pugnalo o taglio loro la gola, non ho bisogno
di assurde sceneggiate!”
E, per quanto la cosa fosse tranquillizzante
solo fino ad un certo punto, Alfonso si calmò davvero a quelle parole, si
asciugò le lacrime e riuscì anche a guardare Juan dritto in faccia.
“Ma io… credevo che mi aveste portato quaggiù
per…” mormorò, senza fare caso al fatto che Juan Borgia lo avesse chiamato per
nome e fosse passato disinvoltamente ad un più familiare tu, “come successe quella sera… Re Carlo mi chiese di mostrargli le
segrete di mio padre, ma poi mi consegnò ai suoi soldati e mi… ordinò che mi
torturassero per tutta la notte! E questa volta non ci sarebbe stato nessuno a
salvarmi, perché il Generale mi ha lasciato solo, mi ha abbandonato anche lui!
Io credevo che…”
“Credevi male, Alfonso” rispose Juan, disgustato
dalla codardia e dalla crudeltà mostrata da Re Carlo. Adesso capiva perché il
giovane fosse rimasto così sconvolto all’idea di tornare a visitare la stanza
delle torture. Non era, come aveva pensato lui, il ricordo dei passati tormenti
a straziarlo, ma la paura che quello che era accaduto allora stesse avvenendo
di nuovo, nello stesso identico modo.
Quanto devi aver sofferto, povero Principe abbandonato da
tutti, pensò, con uno slancio di tenerezza e di
empatia che non erano sicuramente sentimenti a lui familiari.
Ma Alfonso, a quanto pareva, gli aveva
toccato il cuore… o quello che aveva da quelle parti, più o meno. Juan Borgia
era abituato a seguire i suoi istinti, sempre e comunque, e in quel momento l’istinto
lo portò a stringere più forte il giovane Principe tra le braccia, ad
affondargli una
mano tra i capelli e a baciarlo profondamente, intensamente, incollandosi al
suo corpo, esplorandolo con la lingua avida e prepotente. Quel bacio così
intimo e inaspettato aveva accelerato i battiti del cuore del giovane Principe
e gli aveva incendiato il sangue nelle vene, Alfonso si era sentito fremere in
tutto il corpo come mai gli era avvenuto prima: anche il Generale l’aveva baciato
più e più volte e aveva fatto ben altro con lui ma… ma non era mai stato così.
Cosa gli stava succedendo? Per lunghissimi frammenti di tempo Alfonso desiderò
che quei baci profondi e appassionati non finissero mai e dimenticò perfino che
si trovava nella stanza che più lo terrorizzava, perduto tra le braccia del
giovane Borgia non aveva più paura e nient’altro sembrava esistere.
In
qualche modo, Juan riprese il controllo di sé, si staccò dal Principe e cercò
di recuperare un certo contegno, mentre Alfonso continuava a guardarlo come
incantato. Bene, il Principe si era tranquillizzato, poteva essere il momento
giusto per parlargli, si disse, mentre continuava a chiedersi che diavolo gli
fosse preso per afferrarlo e baciarlo in quel modo. Non si era mai interessato
al suo stesso sesso, prima di quel momento e, a onor del vero, anche il sesso
opposto gli interessava solo in base alla quantità e alla qualità del piacere
che poteva procurargli.
Ritenne che fosse giunta l’ora di passare a
discorsi più seri. Avrebbe pensato poi a ciò che lo aveva spinto a baciare
Alfonso con tanto ardore…
“Io sono venuto qui per ordine di mio padre,
è vero. Ed è vero anche che la protezione dei Borgia sul Regno di Napoli
significa al contempo una sorta di controllo su di esso” riprese Juan,
decidendo di essere completamente sincero con il Principe. Del resto, a quel
punto aveva raggiunto una certa intimità con lui e tanto valeva arrivare fino
in fondo. “Tuttavia ciò non vuol dire che voglia farti del male o che tu sia in
pericolo con me, al contrario: sono qui per proteggerti e la tua salvaguardia è
anche nel mio stesso interesse, per questo non hai alcun motivo di temermi.”
“Mi… mi dispiace, io… per me è stato come
rivivere quella sera…” fece Alfonso a voce bassissima, ancora fortemente scosso
dal modo in cui era stato stretto e baciato.
“E io non me ne sono accorto” replicò il
giovane Borgia, in tono più leggero. “Non sono famoso per essere un uomo
sensibile… Ma di una cosa puoi essere sicuro: io non ti farò mai del male e non
lascerò che nessun altro si azzardi anche solo a pensare di fartene. Tu credi
di essere solo e abbandonato a causa della morte del tuo Generale, ma non è
così, ci sono io a proteggerti e non ti lascerò solo, hai la mia parola.”
Alfonso continuava a fissare Juan come se non
potesse credere a ciò che gli stava dicendo. Era così abituato ad aspettarsi
sempre il peggio da tutti che quell’improvvisa gentilezza del giovane lo
coglieva alla sprovvista e lo turbava: era tutto così strano e surreale, Juan gli
parlava con pazienza e cordialità e poi lo aveva baciato in un modo che gli
faceva tremare le gambe e i polsi anche solo a ripensarci!
“Il Generale mi aveva promesso che non mi
avrebbe mai lasciato solo, ma poi anche lui mi ha abbandonato” obiettò il
Principe, chiaramente dicendo la prima cosa che gli era passata per la testa in
tanto sconvolgimento.
“Non per sua volontà” ribatté Juan. “Non ho
avuto modo di conoscerlo personalmente, ma da quello che mi hai raccontato ho
capito che ti era davvero molto affezionato e che sicuramente, quando si è
ammalato, la sua preoccupazione maggiore è stata che saresti rimasto solo.
Credo che sarebbe sollevato nel sapere che c’è qualcuno a prendersi cura di te
anche adesso.”
Ovviamente il Generale francese non sarebbe
stato per niente contento di sapere che il Principe si affidava alla protezione
di un Borgia e che avrebbe finito per dipendere da lui, ma questo non c’era motivo
di dirlo ad Alfonso, no?
Si alzò in piedi e aiutò il Principe a fare
altrettanto, notando con piacere che il ragazzo era rimasto veramente
scombussolato dal suo bacio e da quel modo di fare più affettuoso. Era
soddisfatto. In tutta la sua vita aveva sempre desiderato sentirsi importante
per qualcuno ed era sempre rimasto frustrato in questo suo desiderio: adesso
Alfonso pareva dipendere da lui per più di un motivo, proprio come voleva suo
padre, e il bello era che lui non aveva fatto nulla di speciale per ottenere la
sua fiducia.
“Credo di avere visto abbastanza di questa
camera delle torture” disse poi, prendendo Alfonso per un braccio e
conducendolo per le scale. “Non era mia intenzione turbarti, riportandoti
quaggiù. Certo immaginavo che per te sarebbe stata dura, ma non credevo così
tanto. In realtà vorrei farti capire che non devi più temere questo luogo,
perché saranno i tuoi avversari a doverlo temere, così com’era ai tempi di tuo
padre. Non avevo capito che stavi addirittura rivivendo quella notte.”
“Non è colpa vostra, nessuno avrebbe potuto
saperlo” replicò il giovane, rabbuiandosi. “Una cosa del genere è… inimmaginabile,
finché non ci si trova a viverla. E forse nemmeno allora. Quando scappai dal
castello, sapendo che i Francesi stavano arrivando, non so fino a che punto
sperassi di cavarmela. Ero a piedi, da solo, senza cibo né acqua… Il mio era un
tentativo disperato, ma ero certo che, se fossi rimasto al castello, sarei
morto comunque.”
“Sei scappato a piedi dal castello?” Juan era
incredulo. Che ingenuo ragazzino era, quel Principe? Era ovvio che lo avrebbero
catturato facilmente!
“Credo di non averci pensato più di tanto, ho
fatto quello che mi è venuto istintivo. Mi hanno ritrovato un paio di giorni
dopo, i soldati mi hanno mandato contro i cani” era come se il ragazzo stesse
raccontando le disavventure di un’altra persona. “In quel momento ho capito di
aver fatto una sciocchezza, ma era tardi. E le pensai tutte, ve l’assicuro:
immaginai che mi avrebbero fatto sbranare dai cani, che mi avrebbero catturato
per poi uccidermi o rinchiudermi in una cella per il resto della mia vita… ma
mai, nemmeno in mille anni, avrei potuto indovinare che cosa passava per la
testa di Re Carlo. Una cosa del genere…”
“Basta, adesso, non pensarci più” lo
interruppe Juan. Cominciava ad avercela a morte con quel maledetto Re francese.
Già lo odiava per averlo umiliato in battaglia nella sua prima missione come
Gonfaloniere dell’esercito papale, ma sentiva di detestarlo sempre di più ogni
qual volta ripensava a quanto quel tronfio bastardo avesse fatto soffrire
Alfonso senza alcun motivo. Era strano, non gli era mai capitato prima di
provare compassione per i patimenti di qualcuno. Evidentemente la meschinità e
la crudeltà immotivata di Re Carlo erano eccessive anche per lui… oppure c’era
qualche altra ragione? “D’ora in poi sarà tutto diverso. Ben presto tutti
sapranno che sei sotto la protezione dei Borgia e saranno loro a temerci.”
“Perché i Borgia avvelenano la gente?” la
domanda scappò di bocca al giovane prima che potesse rendersene conto, ma Juan
la prese bene. Scoppiò a ridere come non gli capitava da un pezzo (aveva avuto
anche lui i suoi guai, ultimamente…), la qual cosa contribuì ulteriormente a
turbare parecchio Alfonso, che rimase a fissarlo come incantato.
“E’ questo che si dice in giro? Beh, non è
del tutto falso, ma diciamo che è un po’ riduttivo”
replicò, in tono disinvolto. “Abbiamo molti modi per farci rispettare dai
nostri nemici… e per difendere i nostri amici.”
Alfonso sussultò.
“Ah, siamo… amici, adesso?” domandò, intimidito e affascinato al contempo da
quel giovane scanzonato e baldanzoso.
Juan gli circondò le spalle con un braccio e
lo attirò a sé, scherzoso.
“Direi proprio di sì, non ti pare, Principe
Alfonso?”
Sì, era decisamente riuscito a conquistarsi
la totale fiducia di quel ragazzo solo al mondo e spaurito.
Aveva fatto ciò che suo padre voleva da lui,
questa volta non lo aveva deluso.
Ma non era soltanto per questo che Juan
Borgia si sentiva così soddisfatto e sereno…
Fine capitolo terzo