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Autore: _Eclipse    05/06/2020    1 recensioni
Dal capitolo 8:
-Ci sono venti di tempesta che si avvicinano, ormai salpo molto più di frequente, le esercitazioni sono più durature e in maggior numero. Questo addestramento vuol dire solo una cosa, il conflitto si estenderà, dove non lo so, ma ci sarà qualcuno di potente- Hiroto sospirò.
-Se vi è tempesta, all’orizzonte, non importa quanto forte soffierà il vento, quanta pioggia cadrà a terra, quanta sofferenza e distruzione causerà. Alla fine tornerà a splendere il sole e sarà allora il momento di ricostruire ciò che è caduto e preservare ciò che è rimasto. Imparare dai nostri errori e prevenire un nuovo disastro- rispose Shirou.
****
-Possiamo agire come una piovra e allungare i nostri tentacoli sul continente e sulle isole del Pacifico. Per i primi sei o dodici mesi di guerra potremo conseguire una vittoria dopo l'altra, ma se il conflitto dovesse prolungarsi, non ho fiducia nel successo- parole dure, pronunciate davanti al governo, ai generali, ammiragli e all'imperatore in persona, come se fosse un ultimo tentativo per rigettare un conflitto.
-Allora sarà vostro compito assicurarvi la vittoria assoluta il prima possibile- replicò il primo ministro.
Genere: Guerra, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Hayden Frost/Atsuya Fubuki, Jordan/Ryuuji, Shawn/Shirou, Xavier/Hiroto
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 11: Per l’imperatore

 

Tokyo,

8 dicembre 1941

 

Le strade di Tokyo erano state letteralmente invase dalla folla.

Sia nel centro della città che nei quartieri di periferia, uomini di ritorno dal lavoro e donne vestite nei lunghi kimono di seta, ma anche bambini e anziani, si erano recati all’esterno per ascoltare il grande discorso del primo ministro Hideki Tojo.

I più fortunati potevano sentirlo direttamente a casa grazie alla radio, ma i meno abbienti dovettero far ricorso a dei grandi altoparlanti dislocati in punti strategici della città, o agli apparecchi messi a disposizione dai locali pubblici.

Shirou, non si trovava nella sua dimora, era uscito per delle commissioni.

Nel ritorno, in men che non si dica, si ritrovò inghiottito nella calca. Aveva abbandonato gli abiti da taikomochi in favore di un più semplice completo all’occidentale con tanto di cappello a falda larga e pareva uno dei tanti esponenti della borghesia della capitale.

Il discorso era stato molto propagandato e in molti avevano già capito di cosa si sarebbe parlato. 

Per tutto il tempo precedente all’intervento del capo del governo, venne trasmessa musica marziale; dall’inno del paese alla marcia della marina militare fino al secondo inno non ufficiale “Umi Yukaba”: una canzone che parlava del sacrificio, e se necessario della morte, nel nome dell’imperatore e del Giappone.

Dopo aver trasmesso un’ultima volta l’inno nazionale ufficiale, il primo ministro Hideki Tojo prese parola. 

Shirou si fermò nel mezzo della folla per ascoltare. In cuor suo aveva timore di quel discorso. Si ricordava bene le parole di Hiroto, l’ultima volta che l’aveva visto un paio di settimane prima, lui aveva timore e prevedeva qualcosa di più grosso e ora era scomparso in modo repentino.

 

“Noi, per grazia del cielo, imperatore del Giappone, e seduti sul trono di una linea ininterrotta da secoli eterni, invochiamo voi, nostri fedeli e coraggiosi sudditi”

 

Il capo del governo stava leggendo, come era ovvio per chi ascoltava, un discorso dell’imperatore, ma era risaputo il figlio della dea Amaterasu non si esprimeva mai in pubblico.

 

“Con la presente dichiariamo guerra agli Stati Uniti d'America e all'Impero britannico”

 

La dichiarazione di guerra fu un colpo al cuore per Shirou. Fino ad allora aveva pensato che ci sarebbe stata un’estensione delle operazioni in Cina, ora invece il suo paese aveva dichiarato guerra agli Stati Uniti e all’Impero Britannico.

Così facendo il Giappone era ufficialmente entrato nel conflitto al fianco dei suoi alleati dell’Asse: Germania, Italia e altre piccole nazioni dell’Europa centrale come la Bulgaria, l’Ungheria e la Romania, ma la cosa più importante era Atsuya. 

Ora lui era solo, in un paese nemico.

Seguì una lenta digressione in accuse ai paesi nemici, questi erano considerati colpevoli di voler destabilizzare l’Asia orientale con le loro basi e protettorati, ma allo stesso tempo di voler complottare contro Tokyo.

 

Il nostro impero, per la sua esistenza e autodifesa, non ha altro ricorso se non quello di fare appello alle armi e schiacciare ogni ostacolo sul suo cammino”

 

La voce del ministro era seria e autoritaria, il tono era duro, come duri dovevano essere i provvedimenti contro il nemico e le sue trame.

Shirou si abbassò il capello verso il volto e riprese a camminare velocemente verso casa. Ne aveva abbastanza di queste guerre, i suoi clienti non parlavano di altro ed era a conoscenza di tutto ciò che accadeva al fronte. Prima il tentato colpo di Stato degli ufficiali della fazione Kodoha(1) soffocato nel sangue, poi le battaglie e gli eccidi in Cina, successivamente una serie di fallimentari scontri di confine con l’Unione Sovietica ed ora entrare in guerra al fianco con  la Germania e allo stesso tempo la dichiarazione agli Stati Uniti.

Più che l’Impero britannico o l’America, sembrava fosse proprio il Giappone a destabilizzare l’estremo oriente: nel giro di vent’anni, a partire dal crollo dell’Impero zarista e dell’Impero Qing, aveva trasformato l’Asia in una polveriera.

Un po’ a spintoni e un po’ con le braccia si fece strada nel mare di persone.

I grandi altoparlanti continuavano a trasmettere, sentiva chiaramente la voce di Tojo anche se non voleva. Questi concluse in modo quasi melodrammatico richiamando il ricordo degli avi dell’imperatore e del popolo:

 

“Gli spiriti dei nostri antenati imperiali ci proteggono dall'alto e contiamo sulla lealtà e sul coraggio dei nostri sudditi e nella nostra fiduciosa aspettativa che il compito, lasciato in eredità dai nostri antenati, sarà portato avanti e che la fonte del male sarà rapidamente sradicata e una pace duratura sarà stabilita  nell'Asia orientale, preservando così la gloria del nostro impero.”

 

Con queste parole si concluse il discorso.

Shirou era preoccupato, per la guerra e le conseguenze che avrebbe portato ma soprattutto per suo fratello in terra nemica. 

Forse non l'avrebbe più visto, forse sarebbe morto là in America, o al contrario lui sarebbe morto in Giappone. Forse si sarebbero potuti rivedere, ma non si poteva sapere quando sarebbe finita la guerra.

La folla esplose nel delirio, alzando urla di gioia ed esultazioni. 

Le persone si prostravano in avanti per poi rialzarsi con le braccia verso il cielo gridando "banzai(2)", lunga vita all'imperatore.

Tutti erano orgogliosi di combattere i nuovi nemici, quei paesi che negli ultimi anni avevano solo oltraggiato e ostacolato il Giappone con i loro dazi ed embarghi per arginare la sua espansione sul continente.

Dopo aver rischiato di inciampare più volte, e allo stesso modo far cadere le persone della folla, Shirou riuscì a tornare a casa.

Aprì la porta scorrevole e si fiondò all'interno. Gettò il cappello e il cappotto sull'attaccapanni in modo sgraziato, senza neanche togliersi le scarpe prima di entrare, come la tradizione richiedeva.

Venne raggiunto da Yukimura, vestito di un solo yukata blu che arrivava al ginocchio e scalzo, probabilmente stava sonnecchiando fino a poco fa.

-Shiro! Mi hai fatto prendere uno spavento… hai sentito il discorso?-

-Ho sentito, ma avrei preferito scomparire e non ascoltare una singola parola pronunciata da Tojo-

-E' il primo ministro…-

-E ci ha trascinato in un'altra guerra contro altre nazioni più forti di noi e poi Atsuya è là, negli Stati Uniti!- L'argenteo si sedette sul tatami si bambù, lasciandosi cadere di peso con le lacrime agli occhi.

-Forse è riuscito a prendere una nave e tornare indietro- Yukimura si piegò inginocchiandosi affianco all'altro.

-Mi avrebbe avvertito del suo ritorno in qualche lettera-

-Potrebbe non essere ancora arrivata-

Shirou alzò la testa e incrociò i suoi occhi grigi con quelli azzurri di Yukimura:

-Apprezzo il fatto che tu voglia consolarmi, vorrei che fosse così. Sono stanco, ho bisogno di distendermi…- l'argenteo si rialzò con non poca fatica per dirigersi verso la propria stanza.

-Aspetta Shirou! Ora che faremo?-

L'altro si voltò e con un sorriso amaro rispose:

-Questi nemici non sono la Cina, se solo volessero potrebbero arrivare qui a Tokyo. Dovremo essere stoici, sopportare e tener viva la speranza che un giorno tutto finirà, nel bene e nel male- con quelle parole Shirou se ne andò.

Yukimura non aveva mai visto il suo amico e "fratello" così sconsolato e triste. Anche lui stava male, per Atsuya.

Nella sua mente risuonarono a lungo le parole dell'altro: "tener viva la speranza", speranza che un giorno tutto finirà e Atsuya potrà tornare a casa.

 

****

 

Penisola di Kau Lung,

Hong Kong

10 dicembre 1941

 

Hong Kong, una fiorente città della Cina meridionale, forse tra le più grandi.

Per quanto fosse importante, non era dominio cinese, bensì britannico da quasi un secolo; da quando dei trattati ineguali imposti all'Impero Qing in seguito alla sconfitta nelle Guerre dell'Oppio, sancirono il passaggio della città all'Impero britannico.

Non era l'unica città cinese in mani straniere, lo stesso era per la vicinissima Macao, dominio portoghese, Tsingtao che era stata tedesca fino alla Grande guerra o la frammenta Tientsin, a nord che era divisa tra Gran Bretagna, Italia, Giappone e altri.

Dopo l'attacco a Pearl Harbour i Giapponesi avevano immediatamente lanciato a sorpresa un assalto alla città, a partire dal continente, entrando quindi in guerra con il più grande impero coloniale del mondo.

Il minuscolo dominio sorgeva su alcune isole ed era difeso da una linea di fortificazioni, la "Gin drinkers line": formata trincee e bunker, ben armati, ma privi di guarnigioni.

Le brigate a difesa della colonia erano un eterogeneo insieme di inglesi, canadesi, indiani e volontari locali che attendevano i rinforzi della Cina nazionalista.

Poco addestrati e ancor meno equipaggiati, cercavano di mantenere le posizioni difensive contro un nemico ben superiore.

Verso la costa si stava organizzando l'evacuazione di Kau Lung verso l'isola di Hong Kong.

Su questa il generale Maltby aveva stabilito il suo comando in modo da condurre una difesa ad oltranza del piccolo possedimento, fino all'arrivo delle forze di Chiang Kai-Shek.

In quello stesso comando, gli ufficiali discutevano sulla tattica da adottare e biasimavano i loro pari della marina.

Uno di essi, era piuttosto giovane, ma aveva già fatto carriera in modo rapido e impressionante.

Aveva dei lunghi capelli azzurri e occhi dello stesso colore. Indossava un'uniforme, pantaloni e camicia bianca a maniche corte. Informale ma necessaria a causa del clima caldo che caratterizzava la zona.

Era lord Edgard Valtinas, figlio primogenito del dodicesimo conte Valtinas del Dorsetshire.

Era entrato nella Royal Navy più per tradizione che per vocazione. Suo padre, suo nonno e i suoi avi erano tutti marinai e capitani, gente di mare che non si faceva intimidire facilmente.

Nonostante un'iniziale riluttanza, dimostrò doti di comando e strategia non indifferenti per un ragazzo della sua età. Passò gli ultimi dieci anni a navigare per i mari delle colonie, dal Mar Rosso all'Oceano Pacifico.

I numerosi viaggi gli avevano donato un aspetto certamente più "selvaggio" e i suoi capelli erano tutt'altro che degni di un conte e al suo ritorno in patria, il padre l'avrebbe costretto a tagliarseli, ma al momento erano la sua ultima preoccupazione. I giapponesi avrebbero a breve sfondato la linea difensiva se non si fosse trovata una strategia.

Nel quartier generale stavano seduti a dei tavoli disposti ad anello i comandanti. 

La discussione era animata e caotica.

-Sir Valtinas, non posso permettervi di lasciare la baia di Kau Lung. La Gin Drinkers Line è sul punto di collassare, abbiamo bisogno della potenza di fuoco della marina- esordì un ufficiale dell'esercito.

-Potremmo sfruttare lo sbarramento di artiglieria e ricacciare i nipponici- continuò un'altro più giovane.

-Temo non sia possibile. Ho ordini precisi da Londra- rispose il capitano in modo pacato.

-E volete abbandonarci qui? Ora che ne abbiamo bisogno? La nostra forza aerea è inesistente, se voi ve ne andate avremo solo la buona volontà e il coraggio dei nostri uomini a difenderci!-

-La cosa mi rattrista, ma non posso far nulla, gli ordini sono ordini-

-E da dove provengono?- domandò il più giovane dei due ufficiali.

-Da Churchill e dal Primo Lord del Mare Dudley Pound. Ogni nave ad Hong Kong deve prendere il largo e fare rotta verso la più sicura base di Singapore. L'ammiragliato vuole raggruppare quante navi possibili, insieme alle due corazzate appena giunte dall'Europa, per poter tener in scacco l'impero nipponico. Io e i miei colleghi ci siamo già consultati. Non possiamo rischiare che le nostre navi affondino o cadano in mano nemica. Mi dispiace dirlo, ma Hong Kong non si può difendere-

-Abbiamo anche noi ordini da Churchill, ovvero non arrenderci-

-Lo comprendo, ma sono ordini diversi. A voi i vostri, a noi i nostri-

Con un violento tonfo, la porta venne aperta ed entrò un giovane marinaio vestito di bianco, dal volto paonazzo e sudato. Ansimava e stava appoggiato alla maniglia per non cadere.

-Che ci fate voi qui?- domandò uno dei comandanti.

-Notizie dall'ammiragliato!- il nuovo arrivato cercò di riacquistare un pizzico di dignità risollevandosi e passando una mano sui capelli biondi per sistemarli.

-I giapponesi… hanno attaccato le nostre navi- continuò.

-Quali?- domandò Valtinas.

-Le due corazzate arrivate dalla Home Fleet, la HMS Prince of Wales e Repulse…-

-Vada avanti-

-Delle squadre di bombardieri, hanno colpito più volte le navi al largo della Malesia...-

-Giovanotto, arrivi al dunque-

-Sono affondate! Alcuni nostri cacciatorpedinieri stanno raggiungendo il luogo per salvare i superstiti-

Il capitano Edgard Valtinas si alzò di scatto. Non poteva credere alle parole di quel mozzo. 

La Prince of Wales era una delle unità migliori della Royal Navy. 

Per prima aveva fronteggiato la temibilissima corazzata tedesca, la Bismarck, in quella lingua di mare tra Islanda e Groenlandia; lo Stretto di Danimarca. Ne uscì gravemente danneggiata ma solo per una grande dose di fortuna dei germanici: la Bismarck distrusse con un singolo colpo da quindici pollici l'orgoglio della marina britannica, l'HMS Hood dopodichè, sia la corazzata tedesca che la sua scorta, l'incrociatore Prinz Eugen, poterono bersagliare con tutte le artiglierie la Prince of Wales che si trovava in inferiorità numerica.

La Bismarck venne affondata dopo alcuni giorni di caccia che sarebbero diventati leggenda, ma ora anche la nave britannica giaceva sul fondale, azzerando la forza marina inglese nell'estremo oriente.

I vecchi comandanti guardarono negli occhi il giovane capitano.

-Ebbene, lord Valtinas… alla vista di queste funeste notizie, dobbiamo a malincuore farla salpare. Singapore ha bisogno di tutta la forza navale necessaria per respingere una possibile invasione… senza corazzate rimangono solo le navi più piccole come la vostra-

-La ringrazio per la comprensione. Spero che i vostri uomini riescano a resistere e difendere la città- rispose il capitano indossando il proprio cappello bianco.

-I nostri sono pronti a dare la vita, per il Re e la Patria-

-Per il Re e la Patria- rispose il blu, per poi eseguire un perfetto saluto militare ricambiato da tutti i presenti, voltarsi e raggiungere la propria nave nella baia di Kau Lung.

Il molo non era molto distante. 

Ancorata alla fonda vi erano due cacciatorpedinieri, di cui uno residuo del precedente conflitto mondiale.

Valtinas poteva vantare la nave più moderna tra le due e appartenente ad una delle classi meglio armate, la Tribal.

In origina la nave doveva essere consegnata alla Royal Australian Navy, ma a causa delle crescenti tensioni rimase in mano britannica.

Il capitano salì a bordo seguito dal mozzo e si presentò sul ponte di comando.

Guardò fuori da uno degli oblò, la città pareva ancora intatta e gli alti edifici e complessi costruiti "all'occidentale" non avevano subito danni, ma in lontananza si vedeva del fumo scuro salire e si potevano udire dei sordi botti, appena percettibili.

-Comandi, signore?- chiese il secondo in capo.

-Stabilire una rotta per Singapore, ci riuniamo con le forze restanti a difendere la fortezza. Levate l'ancora, macchine a tutto vapore-

-Levare l'ancora, macchine a tutto vapore!- ripetè il secondo in comando parlando nell'estremità a campana di due grossi tubi d'acciaio.

Tali tubi erano l'unico modo per comunicare rapidamente a bordo, parlando dal ponte di comando, la voce poteva arrivare alla sala macchina o alle artiglierie.

In men che non si dica, la nave si mosse verso l'uscita del porto, seguita dalla seconda.

Sbuffi grigi di fumo si alzavano dal fumaiolo e l'imbarcazione prese il largo.

-Macchine a due terzi. Voglio salutare il nostro nemico- ordinò il capitano.

Come prima, il secondo ripeté il messaggio.

-Nostromo, mi dica, siamo in linea di tiro per le alture della Gin Drinkers Line?-

L'uomo osservò una cartina della città e tracciò alcuni segni con la matita.

-Sì, siamo al limite dell'alzo, ma se spariamo vi è il rischio di colpire i nostri uomini-

-Quella linea è sguarnita, se colpiremo qualcosa è più probabile che sia il nemico, ai puntatori: calcolare traiettoria di tiro e fare fuoco con tutte le armi, usare munizioni ad alto esplosivo-

Per la terza volta il secondo in comando ripeté l'ordine.

La nave rallentò, i puntatori e le vedette calcolarono una traiettoria di tiro e la comunicarono agli artiglieri.

Gli otto cannoni da 4.7 pollici, raccolti in quattro torrette, si alzarono verso l'alto.

-Signore, armi cariche e pronte- annuncio il secondo.

Il capitano avanzò fino al vetro che dava sulla prua per vedere i cannoni.

-Voglio uno sbarramento d'artiglieria su quel settore per quanto improvvisato. Fuoco a volontà-

Un'altra volta il secondo ripeté l'ordine:

-Fuoco a volontà!-

Pochi secondi dopo, i cannoni tuonarono uno alla volta. Ogni colpo era accompagnato da una fiamma rossa che si disperdeva nell'aria.

Non appena l'ottavo cannone aveva sparato, il primo ricominciò e sparò un secondo colpo.

I proiettili volarono alti nel cielo.

Edgard sapeva in cuor suo che la città non poteva resistere in quelle condizioni, ma forse così facendo, avrebbe fatto guadagnare del tempo prezioso.

 

****

 

Alture di Hong Kong, 

10 dicembre 1941

 

Dall'altra parte della fragile Gin Drinkers Line, le armate nipponiche stavano in agguato, nascosto nelle foreste, sulle colline.

Alcuni flebili fischi si potevano sentire nell'aria, qualcosa era in arrivo. Sempre più forti e vicini. 

Erano i colpi di cannone del piccolo cacciatorpediniere che stava lasciando la baia di Kau Lung.

Ogni proiettile esplose sollevando una gran quantità di polvere e terra, lasciando un grosso cratere come traccia.

I danni furono piuttosto limitati, i colpi avevano seguito una traiettoria parabolica molto elevata, era facile prevedere dove sarebbero caduti, inoltre erano sparati da lontano e quindi imprecisi.

Dopo alcune salve provenienti dal mare, l'esercito si riorganizzò.

Era composto per buona parte da giovani uomini, alcuni coscritti, altri volontari. 

Ben motivati dalle ambizioni dell'impero e disciplinati, anche se quest'ultima dote venne inculcata con severità e violenza, violenza che veniva poi riversata dai soldati sui civili cinesi.

Nagumo Haruya si poteva considerare un veterano del fronte cinese nonostante la giovane età e si era distinto per coraggio e spirito di iniziativa, tanto da aver ottenuto il comando di una compagnia, ma allo stesso tempo era noto anche per la sua ferocia contro il nemico… sia armato che civile.

Vestiva un'uniforme color kaki, a maniche corte e fasce mollettiere bianche fino a poco sotto il ginocchio.

I suoi capelli rossi stavano sotto un pesante elmetto marrone a forma di campana.

Odiava gli elmetti, preferiva di gran lunga il ben più comodo cappello d'ordinanza di panno, leggero e rinfrescante, ma era in zona di guerra, lo sapeva bene e non era sua intenzione beccarsi una pallottola o uno shrapnel(3) in fronte.

Stava disteso a terra, circondato da cespugli e alti alberi ancora verdi nonostante l'inverno fosse alle porte. Scrutava la linea difensiva con un binocolo a debita distanza.

Affianco a lui stava Suzuno, con la medesima uniforme e con la fascia da kempeitai al braccio.

-Vedi qualcosa?- domandò il grigio.

-Le prime trincee sono quasi vuote, forse una decina di uomini in totale-

-Pensavo peggio… hai sentito i fischi e le esplosioni?- 

-Artiglieria pesante? Dove la tengono?- il rosso continuò a guardare la linea nemica muovendo rapidamente la testa alla ricerca della fantomatica "artiglieria pesante", ma quello che vedeva erano solo buche nel terreno, trincee, cespugli e sterpaglie.

-Non credo, è la prima volta che sparano dopo due giorni di assedio. Allora andiamo?- chiese Suzuno mentre con la mano destra innestava la baionetta sul fucile.

-Ci sono dei bunker che non mi convincono, potrebbero esserci dei nemici nascosti, al sicuro dai nostri mortai, pronti a falciarci con le mitragliatrici-

-Possiamo usare quello- rispose l'altro indicando un carro armato alle loro spalle, in mezzo alla vegetazione.

Un "Chi ha", un corazzato medio ed apice dell'industria nipponica. 

Peccato fosse un mezzo discreto, corazza frontale spessa non più due centimetri e mezzo, un cannone da 57 millimetri piuttosto mediocre e un peso totale di solo sedici tonnellate. 

Sarà anche stata la punta di diamante, ma non avrebbe avuto speranza in uno scontro con un qualsiasi carro britannico o americano in circolazione.

Haruya non era un carrista, ma era a conoscenza dei punti deboli del carro, ma si considerava fortunato che ce ne fosse almeno uno.

Ad altre divisioni era andato nettamente peggio, nelle Filippine veniva usato invece l'obsoleto "Yi go", buono ormai solo per dare supporto alla fanteria.

-Possiamo provare, ma questi alberi sono d'intralcio, dovremo avvicinarci- commentò il rosso.

-Allora andiamo più vicino- Suzuno si alzò tenendo il fucile in mano e dirigendosi verso il mezzo corazzato.

Il rosso lo seguì per poi arrampicarsi sul retro del carro e salire fino alla torretta.

Sul tettuccio della cupola del comandante, vi era uno sportello circolare e bussò più volte.

Lo sportello si aprì e ne uscì un uomo con il volto sporco di polvere e le mani di olio.

-Hai bussato?-domandò con un pizzico di ironia.

-Abbiamo bisogno di supporto per l'avanzata-

-Difficile, ci sono molti alberi su queste colline, non è semplice muoversi-

-Siete dentro ad un dannato carro armato, travolgeteli se necessario! Dobbiamo sfondare la linea in questo settore e ci sono due bunker per voi!-

-Possiami provarci ma sarà difficile… non abbiamo un cannone campale o di grosso calibro…-

Il capocarro sembrava tutto meno che ben disposto ad aiutare nell'offensiva.

Non aveva tutti i torti, conosceva i limiti del suo mezzo, ma anche come poterlo usare al meglio e andare all'assalto di una linea fortificata non era certamente una cosa che poteva fare.

Con uno scatto, Suzuno raggiunse l'amico, si assicurò che la fascia sul braccio fosse in bella mostra, poi rivolse uno sguardo severo al carrista.

I suoi occhi potevano far gelare il sangue a chiunque.

-Questa è insubordinazione- esordì.

-Non ho ricevuto ordini di attaccare- si giustificò il capocarro. Aveva visto la fascia da kempeitai, sapeva che non c'era molto margine per trattare con loro.

-L'ordine è sfondare in questo settore. Se non muovi il carro verso quei bunker vuol dire che non stai obbedendo agli ordini- la voce di Suzuno era fredda e tagliente come un rasoio, non ammetteva alcuna scusa.

-Questo non è un semovente d'artiglieria, non è in grado di distruggere una fortificazione…-

-E' l'arma più pesante che abbiamo. Vuoi forse impedire il successo dell'operazione?-

-No, non sto dicendo questo…-

-Allora hai timore di morire-

-No, state travisando le…-

-Il tuo è comportamento ignobile, stai andando contro la patria e l'imperatore. Potresti essere considerato un traditore!- Suzuno ci stava andando pesante.

-Nossignore, non sono un traditore!-

-Allora dimostralo, attaccherai con noi! O le pallottole inglesi o le nostre. Puoi scegliere tra morire onorevolmente battendoti contro il nemico, o perire nella vergogna lanciando disonore sulla tua famiglia per le prossime generazioni!- le ultime parole vennero gridate con una tale forza che gli altri uomini della compagnia si alzarono da terra con le armi in mano.

-Pronto a dar la vita per il mio paese signore!-

-Allora metti in moto!-

-Sissignore!- 

Il capocarro, aveva capito che non poteva sottrarsi ai suoi doveri. Rientrò chiudendo lo sportello, si sentì l'eco di qualche ordine e poi il rombo del motore da centosettanta cavalli. Dallo scarico iniziò a uscire un fumo denso grigio scuro.

-Mi complimento per le tue doti persuasive- sorrise Haruya-

-Non è difficile quando sei un kempeitai, basta solo usare le parole giuste, il resto lo fa la paura di essere processati come traditore antipatriottico-

-Preparate le baionette!- ordinò Haruya ai suoi uomini, una ventina in tutto. Tutti vestiti con la medesima uniforme e armati di fucile. Alcuni di essi tenevano legata sotto la canna una bandiera della loro patria decorata da numerose scritte, nomi di amici e famigliari ed auguri per la guerra.

-Per l'imperatore, banzai!- gridò Suzuno in piedi sul "Chi Ha".

L'urlo di battaglia venne ripetuto per tre volte, alzando le braccia verso il cielo. 

Haruya, ancora sul retro del carro, busso sulla torretta urlando:

-Avanti! Carica!-

Il corazzato ingranò e prese a muoversi cercando di schivare gli alberi, seguito a ruota dalla compagnia.

Il rosso stava seduto sul dorso del mezzo.

Dovevano avvicinarsi di qualche centinaio di metri.

Il "Chi Ha" faceva un rumore assordante, il motore scoppiettava in modo fragoroso, i cingoli rotolavano sul terreno con un acuto cigolio, alle volte alcuni alberi sottili e cespugli venivano travolti e sradicati.

Giunti a tiro delle due casematte di cemento, il carro si fermò.

Era ben mimetizzato nella vegetazione, le parti mobili e la corazza erano tinte con una fantasiosa livrea a macchie marroni, verde e giallo scuro.

Certamente gli inglesi avevano sentito il suo arrivo, alcuni uomini fecero capolino dalle trincee, armati di fucile e una mitragliatrice leggera, ben riconoscibili per il piatto elmetto “brodie” risalente alla guerra in Francia.

Il capocarro uscì dalla torretta e si rivolse verso il rosso.

-Siamo a tiro, ai vostri ordini-

-Mirate alle feritoie. Fuoco-

L'uomo tornò all'interno.

Un carro non è l'ambiente più confortevole in battaglia, ma forse è uno dei posti relativamente più sicuri.

Oltre al capocarro vi erano altre tre persone, dell'equipaggio: mitragliere, guidatore e cannoniere, stretti come delle sardine in una scatola di latta.

-Caricare!-

Il cannoniere prese un proiettile del peso di quasi tre chili, lo caricò nel cannone, poi passò al puntamento, prese la mira in una delle feritoie dei bunker e sparò.

Il colpo venne scagliato con un piccolo botto, schiantandosi poco sopra il bersaglio.

Il cemento armato faceva il suo dovere e resistette all'urto con danni leggeri.

Pochi secondi dopo venne sparato un altro colpo e poi un terzo ed un quarto.

La guarnigione di difesa prese a sparare con una mitragliatrice. Individuarono il corazzato grazie alla vampa degli spari.

Haruya scese a terra per ripararsi.

I proiettili di piccolo calibro rimbalzavano sulla corazza, lasciando solo delle piccole ammaccature.

Il mitragliere del carro rispose prontamente mirando i fanti nelle trincee.

-All'attacco! Ora! I bunker concentrano il fuoco sul carro, avanziamo senza farci vedere!- ordinò il rosso.

Sia lui che gli uomini della compagnia si abbassarono cercando di andare avanti riparandosi tra i cespugli.

La guarnigione di difesa era occupata a respingere il carro.

Una granata di un piccolo cannoncino lo colpì al cingolo, spezzandolo.

Di contro il "Chi Ha" riuscì dopo alcuni tentativi a colpire la feritoia del primo bunker eliminando la squadra di mitragliatrici.

Concentrò poi il fuoco sulla trincea.

Haruya e i suoi uomini continuarono l'avanzata di soppiatto, poi ripetendo nuovamente l'urlo di battaglia si alzarono di scatto caricando a grande velocità.

Sparavano e urlavano contro la guarnigione terrorizzata a tal punto da non riuscire a sparare.

Una volta nella trincea le baionette fecero il resto andando a lacerare le carni dei soldati con colpi mortali.

Una volta presa la linea, in pochi istanti vennero neutralizzate anche le restanti casematte.

Un assalto di pochi minuti, la Gin Drinkers Line si era dimostrata ancora più fragile di quanto si pensava.

-Comunicate al comando, il settore è caduto- ordinò Suzuno.

In poche ore, l'intera Gin Drinkers Line cadde. Era stata progettata per tenere a bada un nemico per almeno sei mesi, invece venne spezzata dopo solo due giorni.

Senza la prima linea, i giapponesi poterono avanzare fino al cuore di Hong Kong.

I combattimenti continuarono per giorni. L’armata britannica dovette infine ritirarsi sull’isola di Honk Kong dove affrontarono gli assalitori con grande coraggio.

La battaglia proseguì per altri quindici giorni, fino al giorno di Natale, quando le truppe di difesa, ormai isolate senza cibo né acqua, si arrese alle forze giapponesi.

I nipponici non si fecero scrupoli, razziarono la città e massacrarono a migliaia gli abitanti.

Anche sulle macerie di quella città, svettavano ora i sedici raggi del grande sole rosso, dell’impero nipponico

 

****


1) Kodoha: fazione dell’esercito che causò l’incidente del 26 febbraio del 1936 di cui ho già parlato nei capitoli scorsi

 

2) Banzai: espressione che venne usata sia come grido di battaglia che per acclamare l’imperatore (in alcune circostanze viene usata tutt’ora). Nel complesso, il significato letterale è “diecimila anni per l’imperatore”, in italiano si può rendere come “lunga vita all’imperatore”.

 

3) Shrapnel: parola di origine tedesca che può avere due significati molto simili: il primo un tipo di proiettile per cannone riempito di pallini di piombo. Una volta sparato, il proiettile esplode prima di toccare terra scagliando i pallini interni sui soldati nemici. Il secondo significato è un’estesione e può indicare una qualsiasi scheggia (di metallo o altro materiale) che viene prodotta in seguito ad una esplosione.


Piccolo angolo d’autore…

No, non mi sono dimenticato di voi poche anime

dedite a seguire questa fic pregna di storia e no, se ve lo

chiedete non sono scomparso per un mese su una sperduta isola

del Pacifico a trovare informazioni di prima mano su cosa

successe in quegli anni, semplicemente ho avuto molto da 

fare e ho dovuto spostare in secondo piano la scrittura.

In questo capitolo ritorna un po’ di gente,

Shirou e Yukimura che hanno assistito alla pubblica dichiarazione di guerra,

fino anche al ritorno di Haruya e Suzuno che non si facevano sentire da

qualche capitolo.

Una nuova aggiunta Edgard Valtinas, non credo che lo renderò 

un personaggio importante, ma non escludo la sua comparsa in futuro.

Nuovo avvenimento storico del capitolo la battaglia di Hong Kong.

Fu uno scontro minore nell’ottica dell’intero fronte, comunque simbolico

in quanto primo possedimento britannico in Asia a cadere in mano nipponica

(e poi Haruya e Suzuno sono in servizio in Cina…).

Spero di riuscire a liberarmi quanto prima e poter aggiornare,

detto questo,

un saluto

 

_Eclipse




 
   
 
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