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Autore: Ghen    06/06/2020    3 recensioni
Dopo anni dal divorzio, finalmente Eliza Danvers ha accanto a sé una persona che la rende felice e inizia a conviverci. Sorprese e disorientate, Alex e Kara tornano a casa per conoscere le persone coinvolte. Tutto si è svolto molto in fretta e si sforzano perché la cosa possa funzionare, ma Kara Danvers non aveva i fatti i conti con Lena Luthor, la sua nuova... sorella.
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Non solo quello che sembra! AU (no poteri/alieni) con il susseguirsi di personaggi rielaborati e crossover, 'Our home' è commedia, romanticismo e investigazione seguendo l'ombra lasciata da un passato complicato e travagliato, che porterà le due protagoniste di fronte a verità omesse e persone pericolose.
'Our home' è di nuovo in pausa. Lo so, la scrittura di questa fan fiction è molto altalenante. Ci tengo molto a questa storia e ultimamente non mi sembra di riuscire a scriverla al meglio, quindi piuttosto che scrivere capitoli compitino, voglio prendermi il tempo per riuscire a metterci di nuovo un'anima. Alla prossima!
Genere: Azione, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Altri, Kara Danvers, Lena Luthor
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ours'
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63. Lemuri al buio


Villa Luthor-Danvers, mattina. Lillian aveva sorpreso Kara uscire dalla camera di Lena, e poi era scappata di corsa. Dopo che quella notte Indigo, conosciuta da lei come Linda, le aveva fatto capire di essere impegnata in una relazione a tre con Kara e Lena, la donna aveva interrogato la figlia per farsi dire la verità. Lena aveva riso, certo, seppure qualcosa, da quella situazione, le aveva dato da pensare più del dovuto. Per quel motivo, una volta che Kara era tornata, aveva deciso di mettere in chiaro con lei la situazione.
«Indigo doveva mantenere la sua copertura, non è grave. Adesso dovresti pensare ad altro», le aveva morso un orecchio, ben sapendo che Kara le sarebbe caduta ai piedi. Dovevano avere privacy.
«E-Ehi, pensavo… pensavo andassimo a fare colazione, ma sto cambiando idea».
Era sua. «Cambiala. Ho voglia di prendere un altro tipo di discorso, con te». L'aveva baciata e colto quell'occasione per passarle le mani sui fianchi e fino al sedere, tastando con sicurezza. Perfetto. Allora l'aveva trascinata in bagno. «Parlo io, tu potrai farlo dopo». Appena chiusa la porta, le aveva lasciato la mano e cambiato espressione di colpo. «Va bene, devo parlarti. È importante». Avrebbe riso nel vedere la sua faccia totalmente presa alla sprovvista, confusa e forse dispiaciuta poiché le aveva dato un'idea diversa di ciò che avrebbero fatto in bagno, ma doveva buttare fuori ciò che aveva per la testa e subito. «Indigo», aveva emesso con un filo di fiato, «Ho dovuto controllare che non avessi con te il telefono, nei pantaloni: potrebbe spiarci da lì».
Kara aveva scrollato le sopracciglia, appoggiandosi al muro e sbuffando. «Adesso lo pensi? Te lo avevo detto-».
«Lo so, Kara», aveva alzato l'indice destro, seria, «Ma ti prego, fammi finire: Indigo lavora per lui. Per il garante». L'aveva vista sospirare e scuotere la testa appena, eppure era quasi certa che le avrebbe fatto piacere sentirla darle ragione. «Ne sono sicura, stavolta. È l'unica cosa sensata che spiegherebbe alcuni dei suoi comportamenti. Torna tutto. Ha manipolato mia madre per farle credere ciò che voleva e… potrebbe averlo fatto anche con me», l'aveva guardata attentamente, «Sto parlando dei… dei dati sulla chiavetta usb che ci ha inviato tuo cugino». Si era passata una mano sulla fronte e, esasperata, le aveva spiegato così come avrebbe voluto cancellare quei dati per proteggere Lillian e i Luthor, come lei e Indigo ci avevano lavorato tanto e ne avevano parlato. Si stava facendo davvero tante e troppe domande sui Luthor e Indigo ne era sempre molto interessata. Forse aveva un motivo specifico per esserlo; dopotutto era così che si erano conosciute, poiché il garante sapeva cos'era successo a suo padre. «Dobbiamo farglieli cancellare. O meglio, farle credere di farlo», aveva deglutito. «Se è parte del suo piano, facciamolo».
«Ma tu vuoi davvero cancellarli?», aveva indagato assottigliando gli occhi, scrutandola.
«Non… Non pensiamo a questo, adesso», sapeva già cosa le avrebbe detto, se ne avessero parlato seriamente. E non voleva.
«Vuoi farlo».
«Non lo so più, in questo momento. Concentriamoci sulla finta cancellazione».
«Beh… Alex sta aspettando quei dati», aveva scrollato le spalle, mettendo le braccia a conserte.
«Dobbiamo includerla». Si era avvicinata a lei. «La cosa porterebbe conseguenze, giusto? Non sarebbe felice di sapere che li abbiamo cancellati. Dunque potrebbe essere proprio questo che dobbiamo fare», aveva fissato lo sguardo in un punto vuoto, allontanandosi di nuovo, «Fargli credere che abbiamo incassato il colpo, che ha creato una crepa. Improvvisiamo un po'».
«Gli?», Kara aveva sorriso.
«Non è Indigo di cui dobbiamo preoccuparci, Kara. È lui. È sempre stato lui. Sono stata cieca a non vedere come Indigo possa manipolare le persone, e tu lo sei stata nel pensare che possa essere lei il nemico, qui. Ma non lo è. Stavamo sbagliando tutto… sbagliando gioco». Kara era incerta, ma la stava a sentire. «Lei si sta aprendo con noi, non è la stessa Indigo che ho trovato davanti al cancello la prima volta. Le vuoi dare una possibilità? Se gliela vuoi dare facciamolo, altrimenti…».
«O-Okay», aveva stretto gli occhi un momento, alzando le braccia e prendendo fiato, «Quindi manipoliamo Indigo che pensa di manipolare noi? E dopo? E se se è così brava nel manipolare le persone, non può averlo fatto anche nel farci credere di essere… cambiata?», le aveva domandato, scrollando le spalle.
«La teniamo in prova. Ci sono cose che non si possono fingere, Kara. Tu stessa hai ammesso di volerle bene… quindi cosa ti ha colpito? Cosa ti ha fatto cambiare idea?».
Kara aveva sospirato. «Mettiamo che hai ragione… Qual è il piano? Dobbiamo scoprire chi è lui?».
«Dobbiamo portarla dalla nostra parte».
«Ed essere certe che lo sia», aveva puntualizzato lei, allungandole un'occhiata. «Mi fido del tuo giudizio. Facciamolo, ma voglio che siamo prudenti. Copierò i dati della chiavetta e li invierò ad Alex», si era rimessa dritta con la schiena. «Userò un servizio cloud online, devi darmi qualche minuto. Prenderò il cellulare di Eliza».
Lei aveva annuito. «A Maggie».
«Maggie?».
«Indigo ha passato del tempo con Alex e…», si era fermata quando l'altra aveva gonfiato le guance, annuendo a sua volta. «Io distrarrò Indigo. È importante che, qualunque cosa diciamo da adesso in avanti, saremo consapevoli di farlo sapendo che lei potrebbe ascoltarci».
«Potrebbe leggere i nostri messaggi e vederci dalle videocamere».
«Dobbiamo essere assolutamente certe, se vogliamo parlare tra noi, che non possa vedere né sentire».
Kara si era morsa un labbro, soprappensiero. «Ci scoprirà».
«Sì», aveva detto decisa, «Sì, lo farà. Senz'altro. Proprio per questo non abbiamo molto tempo, Kara. Adesso che lo sappiamo dovremo recitare delle parti quando abbiamo i telefoni con noi, stanche e nella ricerca di privacy potremo comportarci in modo diverso, o lasciarli indietro senza rendercene conto. Ma lei lo farà», si erano scambiate uno sguardo, «È una persona attenta e analizzerà ogni nostro comportamento», aveva aggiunto, fissandola. «Ascoltami: per quel che ne sappiamo, potrebbero essere controllati il mio, il tuo e il cellulare di Alex. Io avrei fatto così. Non ci scoprirà subito e quello sarà il passo importante: includiamola, facciamola sentire a suo agio, diamole ciò che le è mancato… affetto. La destabilizzerà. Quando è morto suo fratello si è chiusa, non ha nessun altro; noi siamo tutto ciò che le resta. O deve pensare che è così».
«Pensi che possa sentirsi in colpa? E se anche lui è importante per lei? Il garante?».
«Scopriamolo. La prima cosa che farà, cercando di proteggersi, sarà ammetterlo. Da una parte avrà lui, dall'altra noi. La forzeremo a una scelta! E intanto dovremo raccogliere tutto ciò che sapremo su di lui».
«Dopo? Quando avrà confessato cosa facciamo?».
«Cercheremo di capire la sua scelta», aveva deglutito. «Una volta che avrà scelto noi, sarà più facile».
«E se non avrà scelto noi?», aveva scrollato le sopracciglia. Non potevano scartare quell'ipotesi e Lena lo sapeva, eppure ci aveva messo un po' a rispondere:
«In quel caso, troveremo comunque il modo di usarla per arrivare a lui», aveva preso fiato, come se le fosse costato dire quelle parole. «Mettiamola così: siamo in stallo, o lasciamo perdere, oppure-».
«Contrattacchiamo. Mi piace», le aveva lanciato uno sguardo orgoglioso e Lena aveva annuito. Si era avvicinata a lei e, dopo aver sorriso, si erano scambiate un bacio.
«L'adrenalina. Ti mette eccitazione?».
Kara era arrossita, alzando gli occhi al soffitto. «Beh, in verità e-ero… già… già prima», aveva ridacchiato nervosa e Lena l'aveva spinta delicatamente di nuovo contro il muro, rubandole un bacio intanto che lei le infilava le mani sui capelli. «Mi avevi tratto in inganno», aveva biascicato e allora era stata Lena a ridacchiare.
«L'ho fatto… Come portarti in bagno senza domande e non destare sospetti?», le aveva baciato dietro l'orecchio sinistro e così, velocemente, aveva pensato di leccarglielo all'interno, facendola lamentare mentre le salivano i brividi. «Ma adesso è ora di colazione», aveva chiosato allontanandosi e facendole la linguaccia, vicino alla porta. Aveva preso un elastico e Kara l'aveva fermata in tempo, a poco dalla maniglia della porta:
«Senti, lo so che… che è sciocco, ma… Ma Indigo non ci avrà mica… beh», era arrossita, aprendo un poco la bocca, «beh, sì, insomma», stretto gli occhi un attimo, «Tu pensi che lei… ci abbia… ci abbia sentito-».
Aveva ingigantito gli occhi e si era lasciata andare a un verso di disappunto, contraendo lo sguardo. «No! Cielo, spero di no! Perché dovrebbe…? No», aveva scosso la testa e si erano scambiate uno sguardo. «Resetta questa idea o ci farai scoprire subito. No», l'aveva indicata e scosso la testa di nuovo, disgustata. «No», aveva ribadito per sé.
«E comunque questa me la paghi», si era pulita l'interno dell'orecchio e Lena le aveva sorriso, così un pensiero veloce le aveva solleticato la mente: doveva chiederglielo. «Ah, Lena?». Lei si era fermata e Kara aveva deglutito. No, era meglio lasciarla andare. «Niente», aveva detto, vedendola uscire.
«Allora sistemati. Ti aspetto di sotto».
Le aveva lanciato un'occhiata e Kara, sospirando, si era appoggiata allo stipite. Suo cugino e Lois se la sarebbero presa, ma non avrebbe potuto avvertirli. Non subito. Ciò che avrebbero fatto era rischioso: se Indigo invece di stare dalla loro avrebbe avvertito il garante… non sapevano ancora nulla di lui, e cosa avrebbe potuto fare. Era qualcuno che le conosceva? Era nell'organizzazione? Dovevano fidarsi di Indigo nonostante tutto e questo era decisamente rischioso. Si giocavano tutto. Ora avrebbe dovuto prendere la chiavetta e copiare i dati prima di colazione. Lo spettacolo poteva cominciare.

Gli occhi rossi e accesi di quel lemure sembravano seguirla con lo sguardo: da qualunque angolo si mettesse a osservarlo, gli occhi la fissavano. Indigo si era preparata lo zaino e l'aveva appoggiato contro un angolo del letto, sul tappeto. Quando era arrivata lì in villa Luthor-Danvers non aveva che il temperino, qualche ricambio intimo, cartacce e quelle foto di Lena che le faceva avere Noah. Ora aveva delle t-shirt nuove, dei pantaloni corti e lunghi, in jeans e di stoffa, il maglione blu elettrico, qualche camicia e tante paia di calze lunghe e corte. Aveva dei portachiavi e il piccolo peluche che aveva vinto al parco divertimenti. Un paio di rossetti scelti con Lena in un negozio, insieme a una boccetta di un profumo speziato e deciso che diceva fosse perfetto per lei. Una penna che cambiava colore che le aveva regalato Winslow a lavoro. Un blocchetto di post-it colorati a forma di mela per prendere appunti. L'enorme tigre bianca distesa sul suo letto con cui dormiva a fianco, che le aveva preso Lex Luthor. E infine quel lemure, da Kara Danvers. Una volta ci avrebbe messo molto meno per prepararsi, ora aveva dovuto scegliere cosa portare con sé e lo trovava un fatto curioso poiché non si era resa conto di quanto le cose di sua proprietà fossero aumentate, fino a quel momento. E se avesse dovuto scappare velocemente, un giorno? Quelle cose la inchiodavano lì.
«Sei pronta?». Lena si affacciò alla camera dalla porta aperta e la osservò: si era lasciata le scarpe da ginnastica, abbinandole a un jeans stretto alle ginocchia e a una lunga maglietta celeste. «Vuoi che ti sistemi i capelli?», entrò e Indigo si affacciò allo specchio, infilando una mano tra le ciocche disordinate per sollevarne una parte.
Si sarebbe fatta una treccia, ma doveva evitare e acconsentì. Almeno si sarebbe potuta beare di Lena che le massaggiava la testa.
«Porta questo», afferrò il lemure, per poi lanciarglielo con poco slancio contro al petto. «La tigre è troppo ingombrante per il treno, ma con la mascotte non avremo problemi». Le sorrise e, verso l'uscita, le ricordò che l'avrebbe trovata nel suo bagno personale per mettere mano ai capelli.
Indigo guardò con distrazione il lemure e il suo sguardo s'imbrunì, chiamandola per nome per fermarla. «La moglie di tua madre, Eliza… Mi ha invitato a stare con voi perché si è sentita costretta?». Lena si appoggiò alla porta aperta con una mano, voltandosi. «È un modo come un altro per tenermi d'occhio e capire cosa faccio sul serio qui; sono un'estranea, dopotutto».
Lei scrollò le spalle, pacata. «Mia madre avrà accettato per questa ragione, sono pronta a metterci la mano sul fuoco. Ma Eliza… Eliza no», scosse la testa, con il sorriso sulle labbra. «Ti avrebbe invitato in qualunque caso. Lei è molto diversa da mia madre… Dalle un'occasione. Ad ogni modo, saremmo state Kara ed io che non ti avremo lasciata sola per niente al mondo», concluse. «Ti aspetto in bagno».
La vide andarsene e tirò in avanti il lemure, osservando di nuovo i suoi occhi rossi e quasi ipnotici, riflettendo.
«Sei sicura che posso andare?». Nel frattempo, Kara teneva in braccio Nana che cercava di baciarle il mento, tra i due letti della camera in dormitorio al campus. Si era preparata il trolley e lo aveva lasciato a fianco di una sedia. Megan sarebbe rimasta come al solito, anche se avevano finito le partite, gli allenamenti e le lezioni erano sospese. Pensava se ne sarebbe andata via qualche giorno con John ma, non solo non si era presentato alla partita, era scomparso di nuovo. E stavolta sembrava una cosa piuttosto seria poiché anche Alex non riusciva a rintracciarlo; disse loro di non andare nel panico, che si sarebbe fatto risentire presto, ma Megan era di tutt'altro avviso e Kara si dispiaceva a lasciarla sola.
«Sì», confermò l'amica, sistemando in ordine la pila dei libri nel suo armadio. «Hai bisogno di prendere aria e divertirti, ragazza… e magari di fare anche altro, se capisci cosa intendo», fece spallucce e lei arrossì indisposta, rilasciando la cagnolina sul pavimento. «Avrò Nana a farmi compagnia e se so qualcosa di John, ti faccio uno squillo», posò lo sguardo di nuovo sui libri. Sentiva la sua presenza e, dopo qualche attimo di silenzio, pensò di scattare: «Vai! Dico seriamente, bella, stai facendo le radici piantata lì».
Kara sentiva davvero di aver bisogno di quei giorni con Lena a casa Danvers-Luthor: a parte la cena con sua zia Astra, si sarebbero prese il sole in giardino, avrebbero dormito nello stesso lettino schiacciate e sudaticce, fatto colazione insieme in una cucina più piccola e accogliente di quella in villa, magari le avrebbe chiesto di fare una passeggiata nel cuore della notte quando in giro non c'era anima viva; avrebbero avuto del tempo insieme in un luogo che non suggeriva loro neanche un pensiero negativo. Voleva essere semplicemente spensierata.
Salì sul treno e la trovò appena alzò la testa: indossava un vestito a fiori, i capelli lisci da un lato su una spalla e il volto nell'ombra, coperto da un cappello di paglia ed enormi occhiali da sole. Kara si guardò: i pantaloncini corti fino quasi al sedere, la t-shirt a righe orizzontali bianche e nere infilata nel pantalone sotto una camicia a quadri blu, aperta; scarpe da ginnastica e si passò una mano sui capelli legati all'indietro in una coda di cavallo. Sarebbero sempre state così diverse. Lena le sorrise nel vederla osservarsi e le fece cenno di avvicinarsi piegando un dito.
«Tutto a posto con Megan?».
«Beh, sì… no, non proprio», si sedette al suo fianco, stringendo i denti. «Speriamo solo che John si faccia sentire pre- cos'hai da guardare?», si sistemò gli occhiali, sorridendo imbarazzata. Si voltò velocemente per annotarsi gli sguardi degli altri passeggeri, mentre il treno prendeva velocità. «C'è gente… ricordi?», borbottò a labbra strette.
«Sì. Certo. Infatti non sto facendo niente», scrollò le sopracciglia. «È solo che non ti ho dato un ba-».
«Niente ba-».
Lena premette le labbra rosse su una guancia e Kara si sentì avvampare, riguardandosi intorno. «Solo uno piccolo, no?», le sussurrò con un soffio caldo su un orecchio e, prima che l'altra potesse prevederlo, ci passò la lingua.
Kara scattò e si portò una mano contro l'orecchio colpito, sentendo i brividi pervaderle il corpo, mentre notava con quanta soddisfazione si fosse messa a sedere composta.
«Oh, okay… Se volete vado a sedermi da un'altra parte», Indigo uscì dalla porta a scorrimento e si portò un pollice alle spalle. Se sapeva a cosa andava incontro, probabilmente sarebbe rimasta in bagno un po' più a lungo. Ma Lena la invitò a sedere davanti a loro, lanciandole il lemure. Glielo rilanciò di rimando e colpì Kara, che si mise a ridere quando la vide abbassarsi dalla paura che le tornasse indietro con forza.
L'inizio non era male, rifletté Kara. Poteva davvero essere spensierata come aveva sognato per quella piccola vacanza… Però c'era Lillian. Appena i loro sguardi si incrociarono, arrivate a casa, capì quanto sarebbe potuta essere grande la portata del suo sbaglio. Accidenti, come aveva fatto a essersi dimenticata, anche solo per un momento, che la donna sapeva di loro e non accettava minimamente la cosa? In fondo, da quando le loro madri erano tornate dal viaggio di nozze non avevano avuto molto tempo per metabolizzare la novità. Se proprio di novità si parlava.
Se da una parte Eliza non faceva che guardare una e l'altra e sorridere, una e l'altra e sorridere ancora neanche avesse potuto immortalare quella scena per i posteri, Lillian le guardava con la coda dell'occhio appena, lontano come un animale selvatico, come cercando un modo per approcciarsi. Se non altro, la loro relazione non era l'unica cosa a indispettirla: di tanto in tanto la si poteva vedere che squadrava Indigo, o meglio Linda, da testa a piedi. Se c'era una cosa che poteva irritarla più di una relazione tra le loro figlie, quella era che qualcuno riuscisse a prenderla in giro giocando col suo punto debole. A neanche mezzora dal loro arrivo, temevano che si sarebbe vendicata di lei bruciandola col solo sguardo. Si consolavano sapendo che non avesse il potere per farlo. In conclusione, avevano già trovato l'aspetto positivo della faccenda: Lillian infastidita, zero foto per Instagram.
«Ragazze, sorridetemi», la voce di Eliza alle loro spalle. «Potete tenervi per mano per le foto di famiglia?».
Certo, dovevano aspettarsi quel colpo di scena.
Indigo si sistemò nella piccola camera di Alex, e Kara e Lena rientrarono in quella con i due lettini che trasmise loro una magnifica sensazione di casa e tranquillità, con un pizzico di nostalgia. Ma non solo. Si baciarono, abbracciandosi. Poggiarono il trolley e la valigetta sul primo lettino e si avvinghiarono come si fossero mancate, per poi sorridersi. Kara si morse un labbro e Lena si passò la lingua. Si ritrovarono lentamente che-
«La porta è aperta», la voce di Lillian le ghiacciò, passando in corridoio.
«Se potreste, per favore, non muovervi». Il flash della fotocamera le accecò ed Eliza si assicurò di chiudere per loro, ringraziandole.
Le due si guardarono imbarazzate e si separarono per ordinare le loro cose. Va bene, era stato un inizio che aveva messo tutte, o almeno la maggior parte di loro, un po' a disagio, ma erano certe di potersi comunque rilassare, si parlava solo di qualche giorno.
Eliza decise di pranzare in cortile, c'era un bel sole e il vento muoveva appena le foglie. Aiutarono tutte ad apparecchiare la tavola e, nel tentativo di sistemare i bicchieri, le loro mani si sfiorarono. Lena accolse l'iniziativa di accarezzargliela in modo ammiccante e Kara le lanciò uno sguardo preoccupato: Eliza era di spalle e Indigo stava contando le tovagliette, allora forse poteva lasciar correre, le piaceva e- Lillian! La vide passare dietro la sua ragazza e sfilò la mano così velocemente che la picchiò contro un boccale di vetro che picchiò a sua volta l'insalatiera e la tavola si riempì d'acqua e lattuga e pomodori. Rossa dall'impaccio com'era rossa la sua mano, finì che Lena gliela massaggiò per tutta la durata del pranzo. Lillian seduta davanti a loro.
Si scambiarono un bacio fugace dopo essersi lavate i denti e- Lillian!
«La porta è aperta». Gliela chiuse lei, con uno scatto.
Quel pomeriggio lo avevano passato gran parte del loro tempo là fuori, a parlare del progetto sponsorizzato dalla Luthor Corp sull'immigrazione. Lena ne era entusiasta: ora che aveva più tempo a disposizione non vedeva l'ora di selezionare e ascoltare le storie che sarebbero state raccontate con le foto proposte. Rientrarono, abbracciate e sorridenti, e- Lillian! Se la ritrovarono davanti che portava fuori il bidone vuoto della spazzatura.
Più tardi decisero di vedersi un film tutte insieme, appena prima di cena. Lena sentì una conversazione tra Eliza e Indigo dove la prima invitò la seconda a scegliere il film per tutte. La donna non lo sapeva, ma involontariamente avrebbe potuto aiutarle a conquistare la ragazza. Tra una sparatoria nello spazio profondo e l'altra, Eliza alla fine si addormentò su una spalla di Lillian e a ogni sussulto pensò di commentare la scena di turno fingendo di aver seguito fino a lì, ma sua moglie parve piuttosto attenta, in realtà, e con la coda dell'occhio, ma di sicuro non al film. Corrugò lo sguardo: quelle due non stavano affatto passando la serata film come lo scorso anno a tirarsi cuscini, preferivano bisbigliarsi all'orecchio e ridere a bassa voce, vicine, tanto da sfiorarsi con le labbra a ogni respiro. Stavano ancora ridacchiando. Kara controllò il suo telefono e Lena parve perdere interesse, finché non le bisbigliò qualcos'altro. Si incantarono a fissarsi e mancò un cuscino dalle loro schiene, voltandosi- Lillian! Fecero finta di niente, chiedendo il titolo del film. A un'ora e quarantaquattro minuti. Indigo sembrò offendersi.
Era incredibile come continuassero a incrociarsi con la donna ogni qual volta che si ritrovavano in atteggiamenti intimi. O neanche, in realtà. Non che lo facessero di proposito a trovarsela intorno. Kara non riusciva ad avvicinarsi a Lena quando la chiamava se c'era anche lei nella stessa stanza con loro, poiché si sentiva osservata e le veniva il fiatone dall'ansia. Si scattarono perfino una foto insieme sotto il pesco in cortile e notarono solo dopo, con lo zoom, che sullo sfondo vicino al tavolo c'era Lillian. Con occhi rossi. Stava diventando inquietante: perché non l'avevano notata prima di scattare?
Durante la cena, Kara si sentiva fiera di sé: non aveva rovesciato niente, non si era fatta di nuovo male alla mano che ancora era rossa, non aveva sfiorato Lena neanche per errore e- cos'era quello? Quello che sentiv- oh. Rossa fino alle orecchie, spalancò gli occhi e ingurgitò sonoramente il boccone.
«Ancora mi sembra così strano», sospirò Eliza, sorridendo a entrambe. «Siete bellissime. Sono contenta che tra voi stia andando tutto bene».
Lena ricambiò con un grande sorriso a sua volta, adocchiando Kara che, alla sua sinistra, la sentiva farsi rigida. Sentiva, chiaro. Le accarezzava la coscia destra coperta da un pantaloncino corto da un po', dopodiché la lasciò per gettarsi un goccio di vino.
«E tu cosa fai nella vita, Linda?», Lillian la puntò, dando forse a loro un po' di tregua.
Indigo si tirò i capelli sciolti dietro le orecchie, finendo di bere. Le due la fissarono, ma non aveva bisogno di aiuto, sapeva bene cosa dire. «Attualmente sto studiando». Non poteva fregarsi e la donna annuì, seguendola con lo sguardo intanto che prendeva una forchettata. «Conto di entrare nel mondo dell'ingegneria informatica», aggiunse.
«Oh, interessante», si appoggiò allo schienale della sedia. «Quale università hai detto di frequentare?».
«Non mi è parso di averlo detto, veramente». Notò Lena che stava per prendere parola, ma l'anticipò: «So dove vuole arrivare ma devo deluderla. Non frequento nessuna delle università delle vostre figlie. Ha ragione se ho intuito ciò che sta pensando, ci aiutiamo nello studio a vicenda, ma ci siamo conosciute in altre circostanze, in effetti: in fila, pensi, a prendere un caffè da Bitter and Music. Lo conosce?», le scoccò un'occhiata. Non poteva non conoscerlo, era uno dei locali in centro molto vicino alla Luthor Corp, non lo aveva scelto a caso. «Le consiglio il cappuccino con una spruzzata di cacao magro e panna». Lena e Kara si scambiarono uno sguardo, mentre Indigo sorrideva sfrontata.
«Mia madre ha mollato l'osso», borbottò Lena, una volta chiuse in camera per cambiarsi per uscire: volevano farsi una passeggiata come desiderava Kara e ne avrebbero approfittato per mangiarsi un gelato.
«Tu dici?». Si sfilò la t-shirt da casa e notò lo sguardo di Lena, occhi grandi, posarsi su di lei.
«Oh, sì», si accostò, intenta a infilarsi una maglietta marrone con una vertiginosa scollatura su una zip obliqua aperta. «Indigo se l'è cavata, ma lei non ha insistito. Non è un buon segno».
Kara lanciò uno sguardo ai cellulari lasciati sul suo letto e le si imporporarono le gote, chiudendo la zip della maglietta di Lena, sul seno. «Questa non vedrò l'ora di togliertela», si stupì lei stessa di averlo detto.
Lena le infilò una mano sui capelli sotto la nuca e si avvicinò per baciarle il collo, lentamente, facendo sì che alzasse il mento. Scese pian piano, facendola sospirare. «Scusa. Per prima».
«Non sei… sincera, Lena».
Lei rise un poco. «È vero», la riguardò negli occhi. «So che non avrei dovuto e non ho scuse. Dev'essere fastidioso e-».
«Mi è piaciuto», arricciò il naso, «Un pochino».
Lena la guardò negli occhi, staccandosi il tanto per lasciarle lo spazio di infilarsi una t-shirt con un cono gelato sorridente stampato sopra. Sollevò un sopracciglio e Kara rise, guardando altrove mentre le si imporporavano le gote.
«Questo non ti autorizza a farmelo quando siamo a tavola con le nostre madri».
«Me lo appunto». La baciò una volta, due, spingendosi verso di lei sollevandosi sulla punta dei piedi. La baciò una terza volta e lo fece su una guancia, lo fece sotto un orecchio e, svelta, glielo leccò all'interno, scattando indietro con passo felino prima che potesse afferrarla. Le fece la linguaccia quando era ormai vicino alla porta, mostrandole i sandali che avrebbe indossato fuori per non incorrere alle sue ire.
Kara si pulì l'orecchio e fece una smorfia, aprendo la bocca per mimarle un «Ti prenderò».
La luna era calante ma le vie del paesino venivano illuminate dalle luminarie pronte per la festa del patrono che si sarebbe tenuta l'indomani. C'erano i festoni colorati già appesi da balconi a finestre ed erano pronti già alcuni stand ora chiusi; non poteva mancare il palco nella piazza principale, dove avrebbero suonato le musiche popolari. Non c'era molta gente in giro se non davanti a un bar, dove sui tavolini all'esterno degli uomini giocavano a scacchi e ridevano. Si presero un gelato e Kara fece fare a Lena e a Indigo il giro turistico ma, invece di mostrare loro le architetture simbolo e i pezzi storici, le riempì di aneddoti sugli abitanti che conosceva e quelli capitati a lei e ad Alex quando erano più piccole. Confessò di ricevuto il primo bacio davanti a una cabina telefonica: ora non c'era più, l'avevano tolta solo pochi anni fa e al suo posto spiccava un lampione.
«Era vecchia e inutilizzata o… almeno lo era per telefonare», rise e passò oltre, incuriosendo Lena.
Indigo fissò il lemure che si era portata dietro, mandando giù la punta del suo cono. «Perché mi avete chiesto di venire?», domandò a un certo punto, fermandole. «Non era quello che avreste voluto: passeggiare da sole, al chiaro di luna o cose del genere? Non è quello che fanno le coppie?», sorrise sfrontata.
Non sapevano se fosse l'influenza di Lillian e l'aver cambiato ambiente, ma Indigo si comportava ancora più stranamente del suo solito. Era cupa e allo stesso tempo lasciva. Non che non se ne preoccupassero, ma ci tennero a ricordarle che non l'avrebbero lasciata sola, che avrebbero avuto altri momenti solo per loro. Ne parlarono anche una volta tornate a casa, chiudendosi in camera. Citarono il suo garante, guardandosi attentamente negli occhi per ponderare bene le parole da usare, sapendo che le avrebbe potute ascoltare. Speravano che parlare bene di lei, anche con l'intenzione di proteggerla da lui, l'avrebbe smossa, in qualche modo. Volevano colpirla proprio laddove Indigo diceva di aver sempre avuto difficoltà: nei sentimenti. Se non ci fossero riuscite, allora Lena avrebbe compreso di aver sempre sbagliato con lei.
«Non importa chi sia, lei non è come lui»: la voce di Lena attraverso il cellulare di Indigo era determinata. Kara le diede ragione e Indigo, sdraiata sul letto, si massaggiò la fronte, per poi sbuffare e decidere che ne aveva abbastanza: prese il telefono lasciato sul comodino e chiuse, connettendosi a un altro apparecchio. Così lo rimise a posto, ascoltando i rumori dall'altra parte senza grande interesse, veramente. Non si aspettava nulla e non capiva neppure perché avesse sentito il desiderio di spiarlo. In quella registrazione era ancora giorno e lo sentì fare qualche telefonata di lavoro, incontrare dei dipendenti, parlare con quella Lucy Lane, dare ordini a chi lavorava per lui e spostarsi, infilare il telefono in tasca, toglierlo, appoggiarlo, riprenderlo. Indigo si stava addormentando in quel modo, sentendo i suoi respiri non troppo lontani dal microfono.
«Indigo».
Spalancò gli occhi e si portò a sedere di soprassalto.
«Lo so che mi hackerato il cellulare e mi stai ascoltando. Te l'ho lasciato fare».
Lei deglutì ancora, impaurita, affondando le unghie sul copriletto. La registrazione era di qualche ora fa.
«Lo avrai sentito, o forse no e non importa, ma ci tenevo a lasciarti i miei ringraziamenti: la mia ex ha deciso di incontrarmi. A quanto sembra», Lex aveva preso una pausa, divertito, «non riusciva più a connettersi a internet e le appariva un messaggio che le diceva di chiamare me. Ma sono convinto sia stato l'ammutinamento di Alexa a persuaderla definitivamente. Hai un grande dono, Indigo. Non che te lo debba dire io, è chiaro».
Stupido Lex Luthor, pensò. Stupido Lex Luthor.
«Lo prenderemo», decise Kara e Lena le scoccò un'occhiata.
«Cambiando argomento… Il tuo primo bacio. Davanti a una cabina telefonica», contrasse le sopracciglia e le puntò contro un dito, «Wow, così spavaldo».
«Uh, qualcuna è curiosa», si avvicinò, squadrandole la maglietta marrone e la sua scollatura coperta dalla chiusura, arrossendo. Così la affrontò di nuovo negli occhi, capendo di essere stata sorpresa. «Beh, lui a-aveva quattordici anni, quindi… E Alex ci aveva beccato e», digrignò i denti intanto che l'altra rideva, «aveva fatto la spia a Eliza e Jeremiah, dunque… imbarazzante», decretò.
«Tanto?», le prese le mani con le sue, scortandole fino alla zip.
«Taaanto», emise un verso con la gola e i suoi occhi planarono tremolanti sui loro telefoni. Non voleva certo che Indigo sentisse, voleva spegnerli, ma Lena le fece aprire la chiusura e sentì l'impulso di baciarla, non spostando le mani dal suo seno caldo. Appena udì il telefono vibrare, però, capì che era il suo momento e si slanciò per acchiapparlo prima che Lena le tendesse un'altra trappola: lo sapeva che si divertiva nel vederla vergognarsi e trattenersi. Era davvero certa che Indigo non le sentisse comunque? Beh, lei no.
Lena prese il suo per spegnerlo e la notò sorridere, per sé, leggendo qualcosa. Stralunò subito lo sguardo.
«Era Lucy», le fece sapere e, sentendo di nuovo la vibrazione, continuò a leggere, digitando subito una risposta. La guardò con la coda dell'occhio e sorrise. «Dice di aver convinto Lex, questo pomeriggio. Non glielo ha detto specificatamente, ma ne è sicura».
«Okay». Si andò a sedere sul suo lettino, senza degnarla di sguardo e togliendosi i sandali.
«Mi ha dato la buonanotte e… sto spegnendo».
«Va bene».
«Cosa?», alzò gli occhi e le spalle, «È solo la buonanotte».
«Ti ho sentita». Mise via i saldali, continuando senza guardarla.
Kara la fissò, lasciando il cellulare sul suo lettino e avvicinandosi a lei. «Oookay, cos'hai?».
«Niente».
«Già», le si sedette accanto, «Lo ved- ehi!». Si dimenticò cosa stava per dire, interrotta. Non se lo aspettava per niente: Lena le andò addosso e la spinse sul materasso, sedendo su di lei impedendole di muoversi, bloccandole anche le braccia con le sue. «Stavi fingendo?», spalancò la bocca e gli occhi dall'incredulità, seconda solo alla sua pressione che, in pochi secondi, schizzò alle stelle, sentendosi la pelle diventare bollente. Ritrovò la lucidità poco dopo, ancora incredula: «Tu lo sai che-».
Lena le baciò sotto il mento e le fece mancare le parole. Si assicurò di strusciare il seno che, poderoso, sgusciava quasi dalla zip aperta, inchinandosi e alitandole addosso prima di baciarla e morderla piano. «Cosa devo sapere?», esortò, leccandole l'incavo del collo. La sentì deglutire forte come una scossa di terremoto.
«Che posso- C-Che posso… Che posso, sì, liberarmi», strinse gli occhi chiusi, prendendo fiato.
«Oh, lo so», le rubò un bacio, abbassandosi fino al suo orecchio sinistro. «E la domanda è: lo vuoi?».
Kara sentì Lena spostarsi e infilare un ginocchio tra le sue cosce, bloccandole una gamba con l'altra. Il suo seno continuava a comprimere sul proprio ventre, intenta ad abbassarsi e a sollevarle la t-shirt con il cono gelato, arrotolandola fin su le ascelle; le spostò il reggiseno solo per baciarla intorno. Non voleva. Certo che Kara non voleva, non adesso. Le avrebbe lasciato fare ciò che voleva perché anche lei lo sentiva, sentiva di volerlo. La gola le si seccò e faticò a deglutire, ma non avrebbe chiesto di bere per niente al mondo, in quel momento, se poteva resistere. Cercò di controllare il suo respiro fin quando il suo petto non si sollevò, senza volerlo, per prendere una grande riserva d'aria. Era in ansa? Che sciocchezze. O forse un po'. Non era ansia, ma attesa. La desiderava, accidenti. La desiderava da giorni e non avevano avuto un momento; la desiderava da quando l'aveva vista con indosso quel cappello di paglia in treno e la desiderava da quando si era infilata quella maglietta marrone con la chiusura sul seno. La desiderava oggi come forse non l'aveva desiderata da mesi. Sarà stata la lontananza, Lillian che le sorprendeva come una sentinella o l'aria accogliente di quella camera che aveva visto il loro rapporto evolversi, ma si era acceso un fuoco improvviso che lei, tenendola ferma in quel modo, non faceva che alimentare.
Lena le slacciò il reggiseno e glielo sfilò da sotto la maglietta, aprendo la bocca per accogliere il suo seno destro e sentirla gemere, mordendosi il labbro inferiore. «Kara», la chiamò, sollevandosi di nuovo e lasciando che il suo ginocchio destro la spingesse in mezzo alle cosce. La baciò e la sua lingua solleticò la propria. Si guardarono e si baciarono di nuovo, a lungo, sentendo le sue dita insinuarsi sulla sua schiena e lasciando che le sfilasse quella maglietta marrone che, lo ammise a se stessa, sapeva le sarebbe piaciuta. Le loro labbra umide si scontrarono ancora. Non ricordava nemmeno più cosa volesse dirle, sentendo la tentazione crescere, e il calore, che aveva iniziato a pervaderle su per le cosce, continuando a spingere con il ginocchio. La amava da sempre, ma in quel momento di più. Amarla di nuovo, come non l'avesse amata mai in quel modo. E l'indomani l'avrebbe amata ancora e con un amore diverso, perché era così che funzionavano le relazioni vere, lo aveva capito: diverso ogni notte e ogni giorno, ogni secondo e a ogni respiro. La sentì con la lingua e col palato, con i suoi polpastrelli che le accarezzavano e tastavano il seno, spostato il reggiseno sopra le sue dita. Lasciò che le baciasse il collo e si abbassò per fare lo stesso che-
«Non…», oh, si era dovuta fermare, accorta di non avere aria. «Non leccarmi… dentro l'orecchio. Ti prego». Avvertì e rise quasi senza fato quando sentì Lena farlo, accarezzandole una guancia a mano aperta.
«No, adesso non-», anche lei era affannata e si inumidì le labbra, «non lo faccio. Te lo prometto». Si inchinò per baciarla di nuovo e Kara si sporse per non lasciar andare le sue labbra. Ma doveva lasciargliele, pensò Lena. Doveva perché sentiva il bisogno di spostarsi. E lo fece piano, le spinse ancora il ginocchio e la sentì mugugnare, ricercando contatto. Le slacciò i pantaloncini velocemente e glieli abbassò, baciandole l'ombelico intanto che le infilava una mano sotto gli slip. E, con l'altra mano, si aiutò ad abbassare anche quelli. Kara non si tirò indietro e Lena riprese col donarle brevi baci lungo il tragitto che la divideva dalla sua meta, già umida, premendo la lingua e poi le labbra calde. Sentì il corpo dell'altra rabbrividire e le sue dita piegarsi, ferme sulla propria testa, poi chiamarla, a bassa voce. «Vuoi che mi fermi?». Il volto di Kara per poco non illuminava la penombra, palesemente rossa. La vide aprire la bocca e scuotere la testa piano, non riuscendo a emettere una parola. «Lo prendo per un no», sussurrò.
Non riusciva a trattenersi. Kara ci provava, ma era colta da una tale eccitazione che nemmeno il pensiero di trovarsi sul lettino che prima apparteneva ad Alex sarebbe riuscita a fermarla. Magari ad Alex non glielo avrebbe detto, ecco. Era più forte a ogni centesimo di secondo che passava, a ogni fiato che bloccava e che invece, subito dopo, si lasciava scappare, a ogni muscolo che tendeva. Aprì la bocca e tirò indietro la testa, reggendo quella di Lena più forte. Cresceva, sentiva che scorreva dentro di lei come un'onda bollente che mai avrebbe voluto fermare. Ma il suo corpo alla fine si irrigidì e dovette lasciarsi andare, accorgendosi solo dopo del verso strozzato sfuggito alla gola. Si tappò, ma era tardi. Decisamente tardi. Sperava tanto che nessuno oltre quelle mura l'avesse sentita, giacché udì Lena sghignazzare. Le chiese scusa, ma intanto era lei quella a vergognarsi come una ladra.
«Scusami. Scusami, non volevo prenderti in giro», mormorò, portandosi una mano in bocca per coprire il sorriso. Rammaricata, si portò al suo fianco e cercò di accarezzarle il volto, che lei girava prontamente. Sembrava proprio che non gliel'avrebbe data vinta. «È una cosa normale, Kara… Non darti pena. E l'ho sentito solo io», le baciò una spalla e continuò a riempirla di baci, sentendola ridere. «Nel caso, potremo sempre dire a Indigo che c'era un gatto». Kara le lanciò un'occhiataccia e Lena arrossì. «Scherzavo. Ti trovo piuttosto dolce, a dirla tutta».
«Non puoi uscirtene sempre così e pensare», tentò con ogni sua forza di tornare seria, recuperando fiato, «di cavartela».
«D'accordo, vorrà dire che mi farò perdonare», emise piano, sentendola prendere fiato. «Farò qualsiasi cosa tu voglia per rimediare al fatto di aver riso», suggellò la promessa con un bacio sulla sua spalla destra, spostando la t-shirt per il colletto.
«Qualsiasi cosa?».
«Qualsiasi».
Finalmente Kara si voltò, scrutando i suoi occhi luminosi. «Ci sto, Lena Luthor. Quando voglio?».
Lei arcuò un sopracciglio. «Sento che finirò per pentirmene, ma sì… quando vuoi».
Kara ne sembrò soddisfatta ma alla fine si tirò a sedere, coprendosi il volto di nuovo, e Lena la seguì.
Non era sua intenzione essere indelicata, la conosceva, perché di nuovo…? «Kara-».
«Emh… è che- e-ero piuttosto presa».
«Meno male. Mi sarei stupita del contrario. Lo ero anch'io».
«… E lo sei ancora?».
Lena si portò i capelli ormai un poco mossi da un lato, sorridendo imbarazzata. «... oh... sì», confessò.
«Anch'io». La voce di Kara si fece più sicura di colpo, gettandosi addosso a lei così forte che per poco non caddero dal letto, troppo vicine al bordo. Aiutò a spostarla più al centro, intanto che la guardava esterrefatta.
«Ah… Questa dovevo aspettarmela», disse con un filo di voce e Kara le sorrise con una ritrovata arroganza, abbassandosi il tanto per catturarle le labbra con le proprie.
La amava. In quella notte anche più di prima. La sentì con la lingua, col palato. La sentì col profumo della sua pelle, mordendogliela senza premere nel contempo che le sfilava il reggiseno. La sentiva quando la stringeva forte a sé, quasi avesse paura le sfuggisse via. Dovevano portare pazienza, sarebbero andate a vivere insieme e allora lo avrebbe compreso anche il corpo di Lena, che ricercava contatto come un disperato, che non se ne sarebbe andata. «Lena», la chiamò, ingurgitando per non far seccare la gola di nuovo, «Ti-».
«Sì».
Si baciarono e Lena la strinse per le spalle, tastò energicamente le sue braccia in tensione mentre si sorreggeva e allungò le dita verso la t-shirt con il cono gelato non più arrotolata, gettando le mani sotto di essa per esplorare meglio la sua pelle tonica e stuzzicarle i capezzoli, attirandola poi verso di sé sulla schiena. «È un bel… cono gelato».
«Cosa?», si guardò la t-shirt quando Lena gliela indicò e toccò con un dito la protuberanza lasciata dai seni turgidi. Le prese il dito con una mano e se lo portò in bocca, baciandolo prima, e dopo affondandolo, incontro alla propria lingua. Lena la guardò con occhi pieni di un verde innaturale, sospirando, così glielo lasciò solo perché non poteva trattenersi dal baciarla ancora. Quelle labbra l'avrebbero sempre tentata, era una delle certezze che aveva. Si separarono e si ritrovarono; fiato affannato su fiato ancor più affannato, lingua calda su lingua bollente. Lena le morse un labbro, piano, e Kara le prese i polsi per aiutarla a distendere le braccia lungo il materasso, intrattenendosi in un altro intenso bacio. Dopo le inspirò sulla pelle accaldata, intenta a baciarle l'incavo del collo, e le accarezzò lungo il viso, dietro le orecchie. Non parlò. Non più una parola, nel buio. La gola pulsava, il calore partì di nuovo dal basso ventre ed esplodeva chissà dove fuori e dentro di lei; provava impazienza. Si sentiva un tutt'uno con Lena che, dopo respiri corti e acuti, iniziò a baciarle lungo i seni, sollevando la t-shirt il tanto giusto, aggrappandosi ai fianchi nudi. Non un tentennamento, non una domanda che servisse a smorzare la tensione adesso, non serviva. Si sorrisero, respirandosi addosso e ricercando contatto ancora e ancora, pelle contro pelle. Kara si appoggiò meglio su un fianco e lasciò che la mano destra andasse ad accarezzarle intorno all'ombelico, a massaggiarle sopra gli slip sotto la gonna, a vezzeggiarle l'interno coscia. Si scontrò con una mano di Lena a un certo punto e si guardarono negli occhi.
Lena si allungò appena per arrivare alle sue labbra con le proprie, mentre l'aiutava a slacciarle la gonna e, sollevando il bacino, a insinuarsi sotto gli slip.
Gli occhi azzurri sui verdi. La mano di Lena si adagiò sul suo braccio destro, sentendo il muscolo mettere forza; lo percorse fino alla spalla, le colse il viso e, guardandosi, gli occhi di Lena si fecero più grandi di colpo, nel frattempo che le si strozzava il respiro. La bocca si spalancò un poco; si spalancava un poco di più a ogni sussulto del suo corpo, a ogni gemito sommesso.
Kara si accostò per baciarla e la sentì inspirare prepotentemente con il naso. Le lasciò la bocca quando spinse dentro di lei con più energia, mantenendo un ritmo, e allora prese a baciarle sotto la mascella. La percepì inghiottire saliva e le passò la lingua dal basso all'alto, chiudendo con le labbra, non aspettandosi quel brivido da parte sua, seguito da un gemito.
La mano sinistra di Lena le segnò una coscia premendo a tratti, facendo salire la sua eccitazione. Si aggrappò a una natica e lei si lasciò andare a un lieve sospiro.
Kara infilò la coscia destra in mezzo alle sue sul materasso in modo da sdraiarsi sul suo corpo e darsi più spinta, intanto che Lena divaricava le gambe come la gonna le permetteva, piegando il ginocchio sinistro. La sentiva, la sentiva con ogni parte di sé e rialzò gli occhi per vedere i suoi: grandi, di un verde quasi acqua stavolta, caldi. Suoi. Per lei.
Lena si sforzò per non chiuderli anche quando capì che stava per cedere, continuando a osservare quell'azzurro più del cielo che era di Kara e che era anche un po' suo. Spinse la testa all'indietro poiché non poté farne a meno, arcuò il bacino e si lasciò andare, spalancando la bocca; il calore invadeva il suo corpo e quella scossa le entrava nel cervello.
Kara la guardò ed ebbe un sussulto, tremandole un labbro. Una volta le disse che, durante l'orgasmo, il cervello avrebbe rilasciato quello che chiamano l'ormone della felicità e ora lo vide passare attraverso i suoi occhi, chiaro e potente. Lena si lasciò guardare. Le attraversò il corpo e lo sentirono in due, in modi differenti. E Kara, che dopo un breve massaggio le cinse il viso, la baciò. Senza fiato entrambe, ma con impudente passione.

«Vivere insieme? E dove vi piacerebbe stare? Avete già un'idea?». La voce di Eliza Danvers-Luthor appariva amorevole anche alle sue orecchie distanti qualche metro dalla cucina.
Indigo era andata con l'intenzione di fare colazione, ma ci ripensò: non aveva una grande voglia di ascoltare quella conversazione. In fondo parlavano di un futuro che non l'avrebbe inclusa, e come poteva essere altrimenti? Erano una coppia e ambivano a esserlo per tanto tempo, lei era di troppo. Come quando erano uscite la scorsa notte, pensò: se l'erano portata dietro per un altro motivo, che coincideva con il non farla stare sola per caso. Si girò per tornare sui suoi passi e per poco non sbatté addosso a Lillian Luthor, o Luthor-Danvers, immobile come il bronzo. A giudicare dai suoi occhi spiritati, anche lei doveva aver sentito.
Lillian si costrinse a deglutire e, prendendo fiato, decise di degnarle un'occhiata. «Incredibile, non è vero?», le domandò, proseguendo in fretta: «Anche due persone come noi riescono a trovare qualcosa in comune». Stava per aprire bocca di nuovo che, andando verso i fornelli, Eliza le notò e le invitò a entrare, baciando sua moglie che raggiungeva la macchina del caffè.
Lena si alzò, rimettendo la sedia al suo posto. Aveva un treno da prendere, non voleva far tardi: informò loro di dover fare una capatina alla Luthor Corp per quel progetto, che non ci avrebbe messo molto. «Tornerò molto prima che inizi la festa del patrono, promesso», avvisò Kara. Si guardarono negli occhi per salutarsi e pensò di inchinarsi verso di lei, ma lo sguardo dell'altra che inquadrò Lillian la fermò.
«Baciatevi pure», esordì Eliza, stringendo le mani sul grembo. «Siate voi stesse, non pensate a noi».
Le due si sorrisero e Lena si abbassò svelta, lasciandole un veloce bacio a stampo prima di allontanarsi e sentire Eliza applaudire. Le ragazze sorrisero di nuovo, in imbarazzo, e Kara si alzò di fretta per seguirla fino alla porta. Una volta lì davanti la fermò avvolgendola dalla schiena e, facendola voltare verso di lei, senza un pubblico, le fu più facile affondare la bocca nella sua, tenendola stretta a sé.
«Siete così belle», esclamò Eliza, vedendola tornare quasi camminasse sui talloni dalla felicità.

Il viaggio in treno fu più rapido di quanto lo fosse stato all'andata, passandolo per metà a leggere un libro e per l'altra metà a guardare il paesaggio che cambiava al di là del finestrino. Aveva detto una piccola bugia, anche se di certo Indigo, attraverso il telefono hackerato, doveva sapere che lo era: a lavorare a quel progetto ci avrebbe pensato una volta conclusa la vacanza, ma doveva assolutamente essere a National City per un appuntamento concordato quella mattina, appena sveglia. Aveva dormito benissimo accanto a Kara, le era mancata e, forse non così assurdo, le era mancata quella cameretta dai colori pastello dove si era innamorata di lei. Si era svegliata molto presto e il suo cervello aveva cominciato a macinare un pensiero dopo l'altro, accovacciando la testa sui suoi capelli dorati, beandosi del suo odore. Non voleva compromettere il buonumore di Kara, ma sarà stata l'aria assonnata e il suo profumo a confonderla, a farla alzare dal lettino e, dopo averle lasciato un bacio sulla base del collo, prendere il cellulare e fare quella telefonata. Solo una volta in stazione pensò che doveva essere stata un'idea sciocca. Ma oramai si trovava lì e perché no provarci? Attese qualche minuto e la vide scendere dalle scale davanti a Fort Rozz. Non aveva spento il telefono, ma lo aveva sepolto abbastanza in fondo alla borsa e in mezzo ad altre cose che sperò in un po' di privacy in più.
«Puntuale come gli svizzeri, signorina Luthor», esclamò Astra Inze, fermandosi al suo fianco. «Togliamoci subito un impiccio: del lei o del tu?».
«Indifferente».
«Oh, bene», sorrise, invitandola a seguirla con uno sguardo, riprendendo a camminare. «Posso offrirti qualcosa? Ho saltato la colazione e sto letteralmente morendo di fame». Si avvicinarono in un locale intanto che la donna, che sembrava avere una grande voglia di parlare, le raccontava delle condizioni di suo marito Non ancora in prigione. Il processo andava per le lunghe, ma era questione di poco e lo avrebbe riavuto al suo fianco. «È sempre stato un po' schizzinoso, sai, ma dopo l'esperienza prigione penso che gli potrà far piacere anche una bella zuppa, che guardava sempre con quel sospetto… Scusami», si fermò per prendere un enorme morso al suo grosso panino a tre strati, tappandosi la bocca con una mano per masticare e ingoiare, «ma da quando sono fuori ho sempre fame». Chiuse gli occhi dopo un altro morso e masticò piano, con espressione appagata. «Dovevi prendere qualcosa anche tu. La carne è cotta a puntino», incalzò e si rimisero in cammino, tra i suoni dei clacson insistenti sulle strade e le voci dei passanti a fianco: era metà mattina e c'era molto traffico. «Non mi aspettavo la tua telefonata», la cercò con la coda dell'occhio.
«E io che avresti accettato».
«È successo qualcosa a Kara?».
«No. Sta bene. Ma volevo proprio di parlare di lei».
Astra parve sospirare e dopo cercare attentamente, aprendo in due il panino, se era rimasto ancora del formaggio. «Mi faresti compagnia? Ho trovato casa, non è lontano da qui e possiamo camminare, così apro un po' per arieggiare». Attraversarono, ascoltando il chiacchiericcio di due automobilisti lontani.
A Lena non stupì affatto che avesse già trovato un'abitazione, così come non le stupì affatto che avesse cambiato argomento. La seguì all'interno di un palazzo e si misero da una parte sulle scale dell'ingresso per lasciar passare due ragazzini che correvano, sgridati da quella che sembrava la madre, prima che chiudesse la porta. Scelta insolita, si incuriosì la ragazza: sicuramente essere vicino a Fort Rozz le permetteva di andare a trovare il marito quando voleva, ma era certa che l'organizzazione si sarebbe potuta permettere un luogo più tranquillo invece di un appartamento in una palazzina per famiglie.
«Già ammobiliata, meno stress», spiegò, entrando in ascensore. «Mi hanno consigliato di ridurre lo stress dopo l'esperienza che ho vissuto. Tu lo credi possibile?», Astra sospirò, scrollando le spalle, «No… Ho troppe cose da fare, e da pensare, di cui occuparmi adesso che sono… beh, libera».
Lena le lanciò un'occhiata. «Per l'organizzazione?», domandò con coraggio, a bassa voce.
Astra non parve sorprendersi e rispose con sufficienza: «Tra le altre cose. Ho un ruolo diverso, altre responsabilità… Ma non parliamo di lavoro».
Le porte dell'ascensore si aprirono e Lena seguì la donna verso una porta, intenta a ricercare le chiavi. Sarebbe entrata in casa sua? Erano da sole. In realtà non temeva che l'avrebbe aggredita, ma si ricordò solo in quel momento, dopo tempo, di non avere con sé la pistola. Kara le aveva insegnato qualche trucchetto se Astra Inze le avesse dato un segnale ostile di qualunque tipo, ma non era quello a preoccuparla, quanto più scoprirsi ancora oggi assuefatta dall'arma.
L'appartamento era spazioso e luminoso. C'era un salottino che portava alla sala da pranzo divise da un'arcata e un breve corridoio verso le porte delle camere. Astra aprì le finestre e la invitò in sala da pranzo, chiedendole se volesse bere qualcosa. «Mi trasferisco a giorni, ti piace?». Portò la bottiglia di vino rosso sul tavolo accompagnata da due bicchieri e la aprì davanti a lei, forse per assicurarle che non nascondesse niente. «Sai, devo porgerti le mie scuse». Prese la sua completa attenzione e versò da bere a entrambe, sedendo accanto. «Quando tu e Kara siete venute a trovarmi, non mi fidavo affatto a parlare di cose… più private davanti a te. Non sono mai stata grande fan dei Luthor e tua madre, per cominciare, non mi ha mai dato motivo di pensare che mi sbagliassi».
Lena arcuò un sopracciglio, bevendo un sorso. «Ne ho una vaga idea».
«Tuo padre», ingoiò, «è banale dire che era diverso, ma per certi versi lo era davvero».
«Non sono qui per parlare di mio padre».
«No?», sorrise, finendo di bere e guardandosi attorno. «Allora, a te piace? Pensi che Kara verrebbe a stare qui? Magari nei week-end», borbottò con un sorriso. «Mi è parso di vedervi molto affiatate e io non sto con lei da molto tempo. Com'è? So qualcosa, ma… è cresciuta. Ha qualche hobby in particolare? Cosa le piace fare? Ha un ragazzo?», si fece curiosa e Lena ingigantì gli occhi, prolungando la sua bevuta. «Mi sono persa tante di quelle cose», abbassò lo sguardo un momento e si portò le braccia sul grembo. «Dunque non mi hai chiesto di vederci per parlare di tuo padre, non per farmi riavvicinare a Kara…», la guardò negli occhi, piegando le labbra con cruccio, «Mi hai chiesto di vederci per dirmi di starle lontano. Alex Danvers ti ha-».
«Alex Danvers non c'entra niente». Lena poggiò il bicchiere vuoto sul tavolo, alzando il mento. Non sapeva da dove iniziare. «Non avrei usato queste parole», giocò ad accarezzare lo stelo del bicchiere, assorta. «È vero quando dici di esserti persa tante cose di lei. Con l'arresto di Rhea Gand è riuscita a perdere un peso non indifferente che si portava dietro da anni», la vide stringere le labbra, ben sapendo dove volesse andare a concludere, «rivedere te la riporterebbe un passo indietro, a quando ha perso i suoi genitori».
«E cosa vuoi saperne tu di quel giorno?». Astra si alzò, mettendo le braccia a conserte e cominciando a camminare, nervosa. «Non voglio mancarti di rispetto, Lena, ma non sai proprio niente di ciò che stai parlando».
«So quanto mi ha detto Kara».
«Che era una bambina», ribatté, portandosi una mano sul volto. «Ho fatto di tutto per salvarli da quel giorno! Rhea Gand non ha portato via solo a Kara la sua famiglia, l'ha portata via anche a me», strinse i denti. «Restiamo solo io e lei».
«Se le vuoi bene dovresti sapere-».
«Cosa? Pensi che non le voglia bene?».
«Dovresti starle lontana per non far riaprire vecchie ferite», sostenne, accigliandosi. «Comprendo il tuo punto di vista, ma penso per prima cosa al benessere di Kara».
«Beh, è chiaro che anche tu le voglia molto bene», forzò un sorriso, riprendo a camminare in cerchio. «Sono contenta che abbiate questo tipo di legame, sarà stata sola per chissà quanto… Ma mi costringi a essere antipatica: io sono la sua famiglia, Lena Luthor. Voi siete… un surrogato. È mio il compito di pensare al suo benessere. Sei la sua sorellastra da quanto tempo? Dei mesi? E pensi di avere più voce in capitolo di me, che ero lì alla sua nascita? Che ero lì quando ha mosso i primi passi? No», piegò la testa da un lato senza perdere il sorriso. «Il sangue che scorre nelle sue vene la lega a me. Non ai Danvers e men che meno a voi Luthor. E questa cosa tra», agitò una mano, provando una risata che spense a breve, «Danvers e Luthor è già abbastanza… ridicola senza mettere di mezzo Kara», fermò i suoi passi, sospirando. «Come il diavolo e l'acqua santa, qualcosa che… no, qualcosa che funziona solo per miracolo, probabilmente. Ma ciò che voglio dire, Lena, è che non puoi chiedermi questo», strinse un pugno pian piano e così gli occhi, riaprendoli di scatto e alzando la voce, «Non puoi chiedermi di rinunciare a tutto ciò che mi resta».
Lena allora si alzò, rimettendo a posto la sedia. «Anteponi la tua felicità alla sua».
«Oh no, non metterla su questo piano! Pensi che non mi accetterebbe? Mi crede davvero responsabile?».
«No, credo che ti accetterebbe… è questo che mi preoccupa. Non voglio rivederla triste».
«Allora abbiamo una cosa in comune».
Lena chiuse delicatamente gli occhi, prendendo fiato, per poi allontanarsi. Era stato un viaggio a vuoto? Ci aveva provato, era suo dovere farlo per lei; ora il suo compito sarebbe stato quello di stare al suo fianco e accettare le sue decisioni, così come lei aveva accettato le sue e le era andata incontro su Indigo.
«Noi ci eravamo già conosciute. Lo sapevi?».
Fermò i suoi passi e si voltò, aggrottando la fronte.
«So che non vuoi parlare di tuo padre, ma… Avevi due anni, due anni e mezzo. Non te lo ricorderai. Eri con lui, in braccio. Mi aveva chiesto di vederci in un hotel e io», si appoggiò al tavolo, fissandola, «stavo cercando di entrare nell'organizzazione, non potevo lasciarmi scappare l'occasione, e accettai. Voleva un mio consiglio perché nella polizia mi ero occupata di vari casi in cui c'erano di mezzo dei minori».
«Un consiglio di che tipo?», restò a bocca aperta, interessata.
«Voleva riconoscerti».
Lena spalancò gli occhi e scattò mezzo passo indietro. Riconoscerla? Accettarla come sua figlia biologica? Astra Inze lo sapeva?
«Sì, so che sei davvero sua figlia biologica, Lena. Non lo dirò a nessuno, me lo aveva fatto promettere», guardò in basso un istante. «Era molto preoccupato per la situazione all'interno della vostra famiglia… Quella volta non era sceso in dettagli, ma qualcuno si era opposto e temeva le conseguenze».
«Chi?».
Astra sorrise. «Te l'ho detto, non sono mai stata grande fan dei Luthor e tua madre non era l'unica stronza, da quelle parti. C'è sempre un capofamiglia, Lena. Tuo padre era preoccupato perché il capofamiglia ti voleva nei Luthor, ma non voleva che si sapesse che eri sua nipote di sangue… La tua è una famiglia potente, sarebbe stato uno scandalo. Neanche tua madre, chiaramente», aggiunse, svelta, «Lei non voleva neppure sapere che esistessi». Si guardarono e Lena irrigidì le labbra, pensando che era arrivato il momento di andarsene. «Ti voleva bene», la fermò dal voltarsi e lasciò il tavolo, raggiungendola. «E lo troverò, Lena. Lo prometto a te come l'ho promesso a Lionel davanti alla sua tomba», deglutì, «Il suo assassino. E la pagherà».
Lena raggiunse la porta. «Non venire a quella cena», ribadì con chiarezza e chiuse dietro di lei.
Il suo assassino. Astra Inze voleva…. Lena si portò una mano in fronte, sedendo composta sul sedile del treno. Era quello di cui si stava occupando nell'organizzazione ora che era fuori? Vendicare l'assassinio di suo padre? Allora non era stata l'organizzazione e lo stavano cercando. Chissà che lei avrebbe avuto più fortuna. Appoggiò meglio la testa, chiudendo appena gli occhi. Aveva dormito poco e si era svegliata troppo presto. Voleva essere lei a trovare chi lo aveva ucciso, accidenti, non poteva lasciare che Astra Inze e l'organizzazione lo facessero sparire. Voleva guardarlo negli occhi e chiedergli il perché. Voleva… per fortuna non aveva con sé la pistola. Lui voleva riconoscerla? Aveva circa due anni e mezzo, la teneva in braccio. La sua madre biologica e suo padre avevano continuato a vedersi…? Quante domande le si erano accese in testa, quante gliene avrebbe voluto fare, se fosse stato ancora in vita. Sulla sua madre naturale, la sua malattia, su come si erano conosciuti e perché erano stati insieme anche se lui era sposato. Chissà se gli sarebbe piaciuta Kara. Oh, sorrise, era sicura di sì: piaceva a tutti e non avrebbe fatto eccezione. Cosa avrebbe pensato della loro relazione e del loro desiderare di andare a vivere insieme? Cosa le avrebbe detto, quali esatte parole avrebbe usato? Lo trovò, chiudendo gli occhi, delineato con le forme dai colori accesi che si trovavano al di là, nella sua immaginazione, con la barba e i capelli pettinati da un lato. Lo vide parlare e, anche se non sentì la sua voce, si lasciò cullare, addormentandosi per qualche minuto.
Sto tornando. Tu e Indigo andate d'accordo?
Kara sorrise leggendo quel messaggio. Ancora non aveva sentito l'impulso di soffocarla, quindi poteva dire che stavano andando d'accordo. Si voltò per puntare Eliza che, in salotto, mostrava un vecchio album di foto a Indigo. La ragazza fingeva disinteresse, giocando a picchiettare quel lemure, ma ci buttava l'occhio e si metteva a commentare.
«In famiglia siamo andati al mare, una volta. Mio fratello era piccolo come una palla», scherzò e Kara mosse l'angolo destro delle labbra rosa, commuovendosi.
«Hai un fratello?», le domandò Eliza e l'altra annuì, senza scendere in dettagli. «Guarda questa. Kara e Alex erano appena tornate da una gara di nuoto e lo vedi il ragazzino dietro di loro?», rise, indicando un punto sulla foto. «Jeremiah aveva cercato- Scusa, il mio ex marito. Aveva cercato di farlo rientrare nella foto perché la sua espressione era troppo divertente. C'era rimasto così male…».
«Oh, sì», sogghignò lei. «Questa è Kara?», ci poggiò poi un dito, «Ci credo che ha vinto: era piatta come una tavola, sarà andata lisci- Ahi-», si fregò la testa e s'imbrunì quando le arrivò contro una penna. «Fa male».
Eliza la sgridò e Kara mise su il broncio.
«L'ho lanciata piano…».
Quando tornò a casa Danvers-Luthor, Lena capì perché le parole di Astra Inze su Kara non l'avevano minimamente ferita. Eliza era intenta a innaffiare le piante con Lillian che la teneva abbracciata intorno ai fianchi; parlava con la moglie ma intanto guardava di straforo quella che per lei era Linda che, sul divano, annuiva cercando di memorizzare le regole del gioco di carte che le stava spiegando Kara, il tutto mentre il lemure, a fianco, assisteva alla scena con impietosa normalità. Kara alzò lo sguardo, sorridendole. Loro erano quanto di più lontano di un surrogato, erano l'unica vera famiglia di Kara. Quelle di Astra Inze erano parole pregne di tristezza e solitudine, bisognosa di attaccarsi a qualcuno per non sentirsi persa. Capiva perché Eliza l'avesse invitata a cena: non era solo un modo per permettere a Kara di non perdere i contatti con una parte della sua famiglia di nascita, ma anche perché Astra comprendesse che la nipote una famiglia l'aveva e che, se lo desiderava, poteva farne parte anche lei. Non doveva contenderla se le avesse dato modo di non sentirsi un'esclusa.
A. Danvers: Quindi tuo padre voleva riconoscerti? Non so cosa pensare. Comunque quando avremo un momento dobbiamo parlare. Ah, e con Astra?
Sdraiata sul lettino di Kara in camera, Lena digitò cercando di non emettere rumori sospetti.
A. Danvers: Sì, verrà comunque anche secondo me! Fatemi sapere. Intanto ho preso spunto: ho invitato quel Charlie qualcosa a cena. Studiamo il nemico.
Kara entrò in camera in quel momento e si coricò defilata al suo fianco, stampandole un bacio sulla fronte. «Sono riuscita a staccarmi da Eliza solo adesso. Com'è andata da mia zia? Perché sei voluta andare?».
Lena sorrise e, dopo aver colto le sue labbra, le sussurrò contro un «Dopo», finendo per morderle un labbro.
Si baciarono a lungo, socchiudendo gli occhi. «Non ci credo che ci stiamo baciando e non stia apparendo Lillian da nessun angolo della stanza».
Lei rise. «Dovremo approfittarne».
Si ritrovarono, mettendo via il vecchio telefono. «Ci vuole una foto che immortali la novità».
Sorrisero e scattarono. Una boccaccia e scattarono. Gli occhi a palla e la bocca tirata e scattarono, finendo per ridere, una con la testa a fianco dell'altra.
«Controlliamo che non appaia Lillian alle nostre spalle», rise Kara, prendendo il cellulare per sé.
Lena si portò una mano sul viso, ridendo anche lei. «Se riesce a farlo qui, prometto di chiederle se vuole partecipare alla foto, la prossima volta».
Kara trattenne un'altra risata, passandole il cellulare. «Oh, oh! Preparati a chiederglielo».
Lena rise ad alta voce: la faccia imbronciata di Lillian era stata tagliata e incollata senza cura in mezzo alle loro teste vicine, sopra i capelli distesi sul materasso. «Glielo chiederai tu», continuò a ridere, non notando lei che si incantò a osservarla, voltandosi di fianco.
«Era da un po' che non ti vedevo ridere così».
«Non è vero… Così come?». Lena la guardò a sua volta. «Sono felice. Ho dato gli esami, prenderò la mia terza laurea; non potrei sentirmi più libera». L'altra si paralizzò e Lena arcuò un sopracciglio. «Cosa?».
«Terza?», si portò seduta di scatto e Lena la seguì, appoggiandosi con i gomiti.
«Beh… sì».
«Quando hai trovato il tempo?».
«Ti sorprenderà, ma… prima non avevo tutta questa vita sociale». Si guardarono e iniziò a ridere da sola, contagiando l'altra.
«Oh, mi sorprende», ridacchiò, «davvero tanto». Si riparò con un braccio quando Lena le schiaffeggiò una coscia. «Non lo avrei mai detto».
«Stai esagerando, Kara Danvers», si mise dritta, accostandosi con sguardo contrariato.
«Come? Ti ho solo dato ragione, mi sembra», sorrise con contentezza, alzando le spalle.
«Stai decisamente esagerando», riprese, arcuando di nuovo un sopracciglio. «Non ti conviene oltrepassare la linea-».
«Quale linea?», sussurrò a poco dal suo viso.
«Quella del concesso… Poi dovrei mostrarti chi comanda».
«Oh… e chi comanda? Sono curiosa», la tenne d'occhio mentre si avvicinava ancora e le avvolgeva il volto con una mano. Lasciò che le baciasse un angolo delle labbra e dopo il collo, sentendo il suo alito salire. Percepì il suo fiato sull'orecchio e, dopo… no, la lingua no! Le passò la lingua all'interno dell'orecchio e Kara sentì un brivido lungo la schiena, ma non fece in tempo ad acchiapparla che Lena la spinse indietro, alzandosi in fretta per scappare. «Eh no, adesso no». Kara scattò e si gettò giù dal letto con un piede, scivolò sul tappeto e per poco non baciò il letto di Alex, bloccando anche l'altra per un attimo, che si fermò per ridere. Lena riuscì ad aprire la porta e Kara le avvolse le braccia intorno alla vita, placcandola in corridoio e sollevandola. «Ti ho presa».
«No, no, no, Kara, mettimi giù», si aggrappò sulle sue braccia, «Questo non vale, non vale». Non poteva fare a meno di ridere, anche se essere sollevata non le piaceva per niente.
«Ah, non vale?».
«Te ne pentirai! Dammi retta: mettimi giù. Adesso», calciò con i piedi e Kara rise, almeno fino a quando non sentirono uno schiarirsi di gola ed entrambe smisero di muoversi, intanto che Lena scivolava a terra, una volta allentata la presa: Lillian era lì, passava proprio in quel momento.
«E non è la parte peggiore». Indigo era a pochi passi da loro, davanti alla porta aperta della camera di Alex, cellulare in mano: «Quelle due fanno sesso».
La donna scrollò gli occhi, riprendendo a camminare.

La musica che partiva dalla festa al centro del paese si sentiva già quando aprirono la porta di casa. Indossarono qualcosa di comodo e carino e si portarono dietro delle giacchette per quando avrebbe fatto più fresco, muovendosi a piedi verso la piazza. I vicini le salutarono ma restavano sempre un po' straniti, nonostante il tempo trascorso, quando vedevano Lillian. Specie se anche lei cercava di approcciarsi come chiunque altro, con il volto tirato e finto di chi avrebbe voluto farne a meno. Scrollò gli occhi quando scorse Kara parlare a un orecchio di sua figlia; si sfioravano ma non osavano tenersi per mano, c'era troppa gente. Quella Linda restava a un passo da loro, fino a che non le vide cercarla e tirarla al loro fianco.
Un turbinio di colori in perenne movimento veniva proiettato sulle mura delle case intorno alla piazza dove un altro proiettore, sul punto in cui gli abitanti amavano destreggiarsi in qualunque tipo di ballo, scagliava l'immagine di stelle piccole e grandi che si formavano e riformavano. Occuparono due tavolini esterni di un locale e si presero da bere, notando solo in un secondo momento di intravedere facce conosciute tra quelle impegnate a ballare; allora non mancò molto prima di sentire un sonoro «Zia Kara» in loro direzione. Jamie le raggiunse con una corsa, impantanandosi sulle gambe di un signore, costringendo poi Kara a ballare insieme a lei.
Eliza scoccò ad Alex un'occhiata quando lei e Maggie si avvicinarono, fintamente offesa. «Potevate avvertire».
«È stata una decisione dell'ultimo minuto», rispose vagamente scocciata e Maggie le diede un colpetto a un braccio con un gomito, spronandola a comportarsi bene.
«Abbiamo portato Jamie al parco e siamo venute direttamente», spiegò Maggie, «Così possiamo stare insieme». Si voltò verso la pista e inquadrò la figlia che saltellava tenuta stretta alle mani di Kara.
Indigo restò col bicchiere in mano, appoggiato sul tavolino. Esaminava Kara e la sua pazienza con la coda dell'occhio e le persone intorno far festa: c'era chi gridava dal ridere, sovrastando la musica; le coppiette che si tenevano per mano e quelle che si baciavano davanti a tutti; gli anziani che, scacchi in mano, guardavano chiunque e dovunque, soprattutto le Luthor, commentando tra loro; Lena guardava Kara, chissà cosa stava pensando; Eliza discuteva e Lillian- oh, stava guardando lei. Indurì il viso, voltandosi. Lei non ci faceva niente in quel posto, lo sapeva. Tutto ciò stava diventando ridicolo: non poteva arrivare al punto di ciò che il suo angelo custode aveva in mente e andarsene? Stava già passando con loro troppo tempo, erano trascorsi dei mesi. Voleva andarsene. Adesso voleva farlo, aveva cambiato idea, le bastava arrivare alla fine di quello stupido incarico e sparire dalle loro vite. Lui sarebbe stato felice e l'avrebbe lasciata vivere la sua vita in pace, e loro… La sua vita in pace… e loro… Indigo abbassò gli occhi. No, no, doveva concludere quella storia alla svelta perché quello era un attacco bello e buono, non era mica un'ingenua: le tante cose in suo possesso, l'invito a stare lì, quel gioco di carte, sapevano dei cellulari. Avevano qualcosa in mente e si erano schierate: Lena era dalla parte di Kara, ora, e lei si stava spazientendo. Inquadrò di nuovo la pista da ballo e a quel punto vide lui, e gli occhi le si dilatarono. Cosa faceva lì Lex Luthor?
Il giovane avanzò dritto verso di lei, porgendole una mano. «Vieni a ballare con me?», le domandò e Indigo mise su una smorfia: non sapeva ballare e non avrebbe imparato oggi. E di certo non lo avrebbe fatto solo perché glielo chiedeva lui. «Allora, vieni a ballare sì oppure no?», insisté, prendendole un braccio e tirando.
«Non sei costretta, ma almeno sii chiara o te lo romperà», Alex Danvers rise e Indigo ebbe come un sussulto, scoprendo che le mani che le tiravano il braccio erano molto più piccole.
La mocciosa Sawyer…?! Era stata la sua immaginazione? Che scherzo era quello? Stava imparando a dormire da sveglia? Si alzò e si lasciò tirare da Jamie fino alla pista, trovando Kara e Lena che ballavano a fianco. E adesso cosa non andava nel suo cervello?

Non tornarono a casa troppo tardi. Kara continuò a canticchiare un motivetto suonato dal palco quella sera e si infilarono il pigiama. Era passata circa mezzora quando Lillian si ritrovò a camminare per il corridoio buio. Lentamente, strisciava le ciabatte pelose. Aveva un giramento di stomaco in corso e le bruciava la gola, ma non poteva tornare da Eliza fino a quando non lo avrebbe fatto: l'obiettivo era affrontare i suoi demoni entro la giornata, anche se era piuttosto tardi. Aveva deciso. Prese un bel respiro e si affrettò di colpo, fermando i passi solo quando sentì le loro voci attraverso la porta chiusa della camera.
«Ah! Ti regalo un bel Quattro più», Kara rise con finta moderazione, «Pesca».
Quella Linda brontolò. «Lo sospettavo già questo pomeriggio: è un gioco stupido».
«Diventa un gioco stupido quando sai che stai perdendo miseramente», replicò.
A quel punto Lena alzò la voce, ma si capiva come trattenesse le risa: «Non picchiarla, aspetta! Tanto non vincerà comunque».
«Perché, pensi di vincere anche adesso?». Lillian se la immaginava, con la fronte imbronciata e gli occhi innamorati. Oh, innamorati, cielo. «È un gioco sulla fortuna, non puoi vincere ancora tu». Poi, a voce tanto bassa che Lillian dovette avvicinarsi un po' di più, la sentì dire: «Oltrepasso la linea del concesso se dico che non giocherò mai più a niente contro di te?».
«Non ti piace perdere».
«Mi basterà vincere contro Indigo».
«Posso picchiarla, adesso?».
La donna le sentì ridere e deglutì. Indigo. Non poteva disturbarle adesso, non era il caso. E forse era perfino sollevata di non doverlo fare. Ma Indigo. Aveva un vago ricordo, aveva già sentito quel nome.
«L'hai vista? Era un sorriso o me lo sono immaginata?», chiedeva Kara con voce stridula.
«Non stavo sorridendo», rispose… Indigo; la sua voce era piatta come suo solito, ferma.
«No. Era uno spasmo dovuto al muscolo stanco», le venne in soccorso Lena e udì darle ragione.
Lillian tornò indietro di mezzo passo e infine si voltò, facendo il percorso inverso fino alla sua camera con Eliza, chiudendo la porta alle spalle. Tirò un sospiro di sollievo una volta lì, al riparo. Eliza la guardò di straforo, alzando gli occhi dal libro che stava leggendo già sotto le lenzuola.
«Non ci sei riuscita, non è vero?».
Si mosse fino al letto con pesantezza; le gambe le stavano cedendo per via dell'ansia raccolta.
«Non capisco, tesoro», appoggiò il libro sulle gambe coperte, mantenendo il segno e abbassando gli occhiali da lettura dal naso. «Sembrava ti fossi decisa a dirle che accetti la loro relazione, ma continui a boicottarti da sola», trattenne un sorriso, scuotendo brevemente la testa. «Le faresti contente, lo sai».
«Quella ragazza, tale Linda… non mi piace». Si sfilò le ciabatte e la raggiunse sotto le lenzuola.
«Oh, amore…», allungò un braccio verso di lei, stringendole una mano, «Non offenderti, ma non ti piace mai nessuno». Rise e Lillian serrò la bocca, fissando lo sguardo in avanti con un misto di rassegnazione sul volto. «Le vedo gli occhi e trovo una bambina smarrita».
«Non è più bambina da un pezzo, mia cara».
«Ah, ma lo è stata. E non lo è ancora, da qualche parte?».
Lillian le sorrise sprezzante, mettendosi di lato e sistemando il cuscino. «Non offenderti, amore, ma tu vedi del buono in tutti, non fai testo. C'è del marcio in quella ragazza, te lo dico io».
Eliza sistemò un segnalibro tra le pagine e lasciò il libro sul comodino di lato, spegnendo la luce. Si fermò a osservare il suo sguardo sicuro nella penombra, dopo aver anche lei sistemato il cuscino sotto i capelli. «Hai cambiato argomento», la scorse sospirare. «Perché ti è così difficile, Lillian? Non sei obbligata a dirglielo, né ad accettarle, ma sarebbe più facile, per te… Ne abbiamo discusso».
«Lo so».
«Sicuramente siamo una famiglia fuori dagli schemi».
«Lo so».
«E ho capito che per ciò che è successo con l'organizzazione ti sentivi in debito verso Kara-».
«Lo so».
«E vederla in coppia con una Luthor ti fa sentire strana e-».
«Lo so».
«Ma non c'è nulla di meglio dell'amore che provano per unire le due famiglie».
«Lo so».
«E quando si sposeranno dovrai trovare il tuo sorriso migliore».
«Lo so».
«Vorranno avere dei bambini e dovrai prepararti a fare da nonna. Stavano pensando che cinque potrebbero bastare».
«Lo- Cosa?».
Eliza sghignazzò nel vederla con occhi sgranati. «Mi avevi persa qualche battuta fa», le passò una mano sul viso. «Prenditi il tempo che ti occorre. Buonanotte, Lillian». Si voltò, chiudendo gli occhi.
Ma l'altra non si addormentò subito. Indigo. Un nome così particolare era difficile da dimenticare. «Cara?». Le rispose con un sussulto e un verso. «Quelle due parlano di matrimonio e figli?».
«Buona-mh-notte, tesoro».

Indigo odiava doversi comportare da persona, che richiedeva sempre aspettative. Da ragazzina ci aveva provato disperatamente sperando che Cyan, suo fratello, facesse lo stesso, finendo per essere stato lui a insegnare a lei che non era necessario. Provare qualcosa verso qualcuno non era sbagliato, ma pericoloso. Sua madre si era ammalata perché teneva a Cyan e aveva dimenticato come si faceva a vivere. Lui era morto in pace, non aveva avuto di quei problemi. E ora Lena Luthor e Kara Danvers volevano addomesticarla? Allora non avevano capito niente di lei. Uscita dalla loro camera in comune non tornò in quella di Alex per dormire, ma si andò a sedere sul tappeto in salotto, al buio, con la schiena poggiata sul divano, perché voleva pensare. Aveva quel lemure peluche con sé che la fissava con i suoi luminosi occhi rossi. Non sapeva neppure perché se lo era portato dietro, le dava fastidio e lo lanciò in avanti. In quel momento sentì una porta aprirsi. Avrebbe inviato un messaggio al suo angelo custode sperando avesse un'idea per velocizzare i tempi e decise di attendere. Deglutì quando le due pensarono di sedersi con lei, Kara a destra e Lena a sinistra, recuperando il peluche:
«Sapevi che i lemuri hanno un comportamento sociale molto più complicato di quanto comunemente si immagina?», raccontò Lena, appiattendogli i peli morbidi intorno al muso. «Costruiscono rapporti duraturi, si scelgono. Le cerchie sociali incidono anche sulla loro sopravvivenza».
«So che lo sapete», la voce fredda di Indigo spezzò il successivo silenzio.
«Sappiamo cosa?», tentò Kara e la videro sorridere di gusto.
«Oh, basta così. Riponiamo le armi, ragazze, possiamo smetterla», fissò un punto vuoto e buio davanti a lei. «Sono stanca di questa situazione, avete vinto: lavoro per lui come già sapete, non ho mai smesso, ho hackerato i vostri cellulari, gli riporto informazioni quando so qualcosa, non vi dirò nient'altro perché non so nient'altro», mentì, annuendo con un sorriso sprezzante. «E no, non vi ho sentito: non ci tengo a sentirvi fare sesso», lanciò un'occhiata a Kara e lei si sentì colta sul vivo, arrossendo e aggrottando lo sguardo. «Potete smetterla di essere gentili con me, di includermi, di invitarmi, di regalarmi qualcosa, di fare qualunque altra cosa insieme a me. Di giocare con le carte… Non siete obbligate. Non mi interessa! Non sorrido. E non mi piace venire alle feste di paese con voi a mangiare un gelato. Ne ho abbastanza».
Lena e Kara si guardarono: l'avevano portata al limite prima di quanto si immaginassero, erano riuscite nel loro intento. O quasi.
«Mi avete beccata: vi prendo in giro da quando mi conoscete! Non sono un lemure e non ho stretto con voi alcun legame sociale o familiare come pensate, non me ne frega niente», continuò con voce dura. «Ho smesso di cercare di capire i sentimenti delle persone; anche quelli che provo per te, Lena Luthor», guardò lei di straforo, questa volta. «Voglio solo finire il lavoro e andarmene. Solo questo».
Forse si aspettava una qualche reazione più scomposta, ma le due non fecero niente del genere. E ora cosa fare? Come continuava il piano?
«Non ti credo».
Indigo si voltò, squadrando Kara Danvers. «A cosa… non credi? Sono sincera».
«Lo sei», aggiunse Lena, facendola voltare dall'altro lato. «Sei sincera quando sorridi, sei sincera quando perdi e ti si tirano i muscoli facciali. Sei sinceramente felice quando ti diverti. Sei sincera quando capisci che stai bene con noi e non vuoi andartene», proseguì, intanto che lei la fissava con le narici spalancate e le labbra rigide, non riuscendo a muoversi. «Ti piace sinceramente giocare ai videogiochi e parlare con Winslow dei trofei vinti. Ti piace sinceramente guardarmi, a volte… lo so, me ne accorgo».
«Cos-», Kara trattenne un verso indispettito.
«Ti piace sinceramente stuzzicare Kara e farla innervosire».
«E quando io faccio innervosire te», aggiunse lei e Indigo brontolò con un deciso no.
«Ti piace sinceramente essere inclusa, fare parte di una famiglia, se così possiamo chiamarla…», Lena abbozzò un sorriso, arrossendo. «Sei sinceramente combattuta, Indigo, perché hai paura».
«Non ho paura».
«Vedi?», Kara attirò di nuovo la sua attenzione, abbassando la testa da un lato e aggiungendo un sorriso: «A questo non credo».
Indigo strinse i pugni e fissò un punto vuoto. Perché il suo corpo stava reagendo in quella maniera? Perché la tachicardia, il freddo improvviso, il prurito alle gambe dalla voglia di scattare e scappare? E perché il principio di vomitare? Lo stomaco quale scherzo le stava giocando, adesso? Lo sapeva, avrebbe dovuto aspettarselo: era il loro attacco finale, il colpo decisivo… per quello faceva tanto male. Ma loro non la conoscevano, non sapevano niente di lei, non sarebbero riuscite ad addomesticarla. Dov'era la musica di Cyan quando le serviva? Basta, era ora di finirla! Spinse i piedi per darsi lo slancio e… no, si mosse appena, restando ancorata a quel tappeto. Si accorse di stare piangendo quando la vista le si offuscò. Cosa… Lei non sapeva… Lena la abbracciò e Kara fece altrettanto, sussurrandole che ormai si era abituata ad averla intorno. Indigo non sapeva cosa fare, l'avevano fregata… Quella situazione la metteva a disagio ma non riusciva a muoversi. Forse… Forse non voleva. Era per quello che non riusciva. Restarono così, nel buio.


***


Aveva smesso di cercare di capire i sentimenti, si ripeté. Era così. Aveva ufficialmente smesso. Aveva smesso perché erano punti deboli e trovò l'immediata conferma nello sguardo di Astra Inze non appena, giunta per quella cena, ritrovò di nuovo sua nipote. E trovò una conseguente conferma, poco più tardi, in quello preoccupato di Kara Danvers nell'apprendere che il suo ex coach era in ospedale in bilico tra la vita e la morte. Cose che succedevano, pensò Indigo. Le persone erano così fragili, corrotte, problematiche. E ancora imprevedibili, inaffidabili, i sentimenti così sopravvalutati. Erano un bug del sistema. Aveva smesso di cercare di capire i sentimenti, ma li provava. Li provava anche lei.

































***

Questo è senza il benché minimo dubbio uno dei capitoli più lunghi, e che più mi piacciono, che abbia mai scritto. Che non ho il dono della sintesi lo avrete già capito, ma veramente, non sono riuscita a tagliare via niente, doveva essere così, in bene… o in male.
E anche in questo capitolo c'è una una scena che non sono sicura di aver scritto bene, sapete di che parlo XD Ancora una volta, a voi la sentenza!

All'inizio del capitolo abbiamo la scena mancante del capitolo 59 che apre, e che questo capitolo a suo modo chiude, l'“attacco” di Kara e Lena e il percorso di Indigo riguardo ai sentimenti. E chi avrà vinto, alla fine? Di certo Lena e Kara si sono impegnate, lei se n'è accorta. La metafora coi lemuri è venuta fuori “a naso”, volevo qualcosa e avevo un lemure (sì, non era stata pensata nel capitolo scorso quando ho introdotto il peluche), avevo letto qualcosa su di loro in passato quindi ho cercato ciò che mi serviva e bam. E nulla, i lemuri sono carini, pur coi loro occhi spiritati.
Ah! Una scena importante che mi piace tanto è quella tra Lena e zia Astra! Entrambe vogliono bene a Kara, in modo differente, e hanno una loro visione di come la seconda dovrebbe approcciarsi con lei, che sono diametralmente opposte: Lena pensa che dovrebbe lasciarla stare perché Kara si è appena chiusa la storia di Rhea Gand alle spalle, l'altra che è suo diritto stare con Kara perché sono una famiglia e, nel suo immaginario, l'unica famiglia. Da che parte state? Ma non è tutto: da tenere in considerazione, io lo dico, ciò che Astra ha riferito a Lena su suo padre e sul volerla riconoscere, cosa che poi sappiamo non è successa.
Abbiamo una Lillian “scatenata” che si ritrova sempre in mezzo e ora sappiamo che cercava un modo per parlare con loro e… oh, dirle che accetta la loro relazione. Come proposito non ha avuto grande successo, diciamolo, sarà che non sembra accettarle per davvero come forse, emh, dovrebbe XD Apprezziamo lo sforzo?

Essendo anche un capitolo corposo, vi farò attendere un pochino per il prossimo: segnatevi il 27 giugno, Our home torna col capitolo 64 che, oh sì, sarà anche questo mooolto corposo, ricco di informazioni, da leggere con calma, c'è davvero tanta, tanta roba, e si intitola Angel Children's Memorial. Lo avete già sentito questo nome, oh sì…


   
 
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