Storie originali > Avventura
Segui la storia  |       
Autore: Paridoso1    06/06/2020    0 recensioni
Pensate originariamente come storia singola, le Cronache raccontano del vaggio attraverso le dieci Ere di Loren e i suoi compagni alla ricerca di dieci leggendari artefatti che sarebbero in grado di cambiare il passato.
Genere: Avventura, Mistero, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Richard o Requiem per un robot invecchiato decisamente male


L’intero centro di comando si produsse in un coro di incoraggiamento osservando la scena dalle decine di schermi che ricoprivano le pareti.

-Dagli, dagli!-

-Vai, Richard!-

-L’occhio! Mira all’occhio!-

Dalla cabina di pilotaggio del Demogorgon, Richard valutò la situazione. Era riuscito a bloccare l’abominio, ma le gambe dell’enorme unità da battaglia, ormai ridotte ad uno scheletro accartocciato, non accennavano a muoversi dalla loro posizione precaria. Le braccia erano entrambe impegnate nel tenere aperta quella gigantesca ed assurda mano e sicuramente non era il caso di muoverle: temeva che anche un semplice colpetto involontario ad una delle leve di comando le avrebbe sbloccate ed avrebbe vanificato ogni suo sforzo per raggiungere quella posizione, mandando irrimediabilmente in fumo l’intero piano e, con tutta probabilità, la missione. Dagli schermi traslucidi dell’abitacolo riusciva a vedere il palmo della mano di pietra, un’opera d’arte magistralmente cesellata nella roccia, con addirittura linee, pieghe ed un timido abbozzo di vene sporgenti. Probabilmente Bran, il pilota del Jubilex, sarebbe rimasto ore ad ammirarne i dettagli se solo non stesse cercando di ucciderli tutti. Proprio nel mezzo del palmo, dove la linea del Destino incontra la linea della Testa, una piccola pietra blu, delle dimensioni di un occhio umano, mandava riflessi inquietanti e spettrali, come se non provenissero dalla gemma ma da qualche altro posto, e la gemma li riproducesse soltanto. Accurati esami effettuati dai migliori tecnici avevano stabilito, sulla base del comportamento tenuto dalla mano misteriosa nei precedenti gironi, che quella aveva ottime probabilità di essere la sua fonte d’alimentazione. E comunque, dato che niente pareva scalfire quella pelle dura come la pietra, tanto valeva provare.

Richard valutò se fosse una buona idea puntellare, con un rapido movimento, il dito che al momento stava tenendo con la mano destra del Demogorgon con il gomito, per provare a raggiungere il palmo con la mano, ma appena provò a smuovere le leve si accorse con orrore che erano bloccate: non poteva muovere le braccia. Intanto, messaggi di incoraggiamento continuavano a giungergli alle orecchie dal campo base, e si chiese se non fosse troppo tardi per chiedere supporto armato. Probabilmente era stato troppo sicuro di sé nel farsi assegnare un vecchio mech semidistrutto, il quale era stato addirittura quasi tagliato in due in verticale – tale disavventura gli era valso il nome di Demogorgon – solo perché più semplice da pilotare dei modelli più moderni. Cercando di non perdere la calma, Richard passò in rassegna gli strumenti pensando se qualcuno di essi avrebbe potuto essergli utile. Quelli ancora funzionanti erano la radio, un piccolo cannone situato nella gamba sinistra, la lama eiettabile al momento irraggiungibile fissata sulla coscia destra, ed i comandi di apertura e chiusura dell’abitacolo. Meglio che niente, si disse, ma a parte saltare fuori da qui e correre su quella mano poteva fare ben poco. E lui non aveva assolutamente alcuna intenzione di compiere quella follia: dov’era, in un fumetto di cattivo gusto? Decise di richiedere assistenza, preparandosi alle sfuriate di Milena. Accedette al canale diretto con la base e cominciò a chiamare il tecnico.

-Che vuoi, Richard?-

-Milena, riesci a mandare Bran?-

-Cosa?-

-Te lo sto chiedendo per favore, Milena! Credo che il Demo si sia bloccato del tutto…-

Milena agganciò senza rispondere, e Richard si sentì perso. Riconosceva di aver fatto una cavolata, ma questo gli sembrava troppo come punizione. Inoltre, era la sua immaginazione o il mech aveva cominciato a scricchiolare?

Le leve di comando cominciarono a contorcersi: essendo meccanicamente collegate alle braccia del robot da perlustrazione erano molto precise e semplici da usare, ma se le braccia venivano mosse dall’esterno diventavano difficili da controllare, ed in quel caso era addirittura impossibile farle stare ferme: la gigantesca mano doveva aver ricominciato a dibattersi ed a cercare di schiacciare il Demogorgon. Facendo affidamento su tutte le sue forze, Richard cercò in tutti i modi di fermare quei movimenti guizzanti, cercando al contempo di capire cosa stesse effettivamente succedendo. Disattivò tutti i display della cabina di pilotaggio ed osservò le braccia del suo mezzo: il destro era ancora al suo posto, mentre il sinistro era piegato in maniera innaturale, e tratteneva ancora la mano per un puro colpo di fortuna. Disperato, Richard cercò di puntare il piccolo cannone il più in alto possibile, ottenendo come unico risultato quello di colpire, con decisamente poco effetto, il polso della mano con le poche munizioni rimaste.

Alla fine, il braccio sinistro si ruppe del tutto – era durato anche troppo, si disse il pilota – e il pollice della mano raggiunse la spalla del mech. Fortunatamente per Richard il suo veicolo era solido, e la sua corazza avrebbe tenuto ancora per un po’. Con un ultimo, immane sforzo bloccò la leva destra nella guida apposita e la lasciò, contando che bloccando così il braccio avrebbe guadagnato un po’ di tempo, ed aprì l’abitacolo. Prese con sé soltanto una giubba segnaletica, che infilò rapidamente nella cintura, e cominciò la scalata lunga dieci metri che lo avrebbe portato a terra. Dopodiché, avrebbe sperato per un miracolo.

Scendendo, ebbe modo di osservare più da vicino la mano: stendendo un braccio avrebbe potuto toccarla e sentire una consistenza più simile alla pelle umana che alla pietra, ma non lo fece. Arrivato alle ginocchia, rischiò di cadere per un forte scossone: guardando in alto, vide ciò che restava del braccio destro del suo adorato Demo cadere poco distante da lui, una massa informe ed accartocciata su sé stessa accompagnata da un’infinità di detriti che rischiarono di colpire anche Richard. Una serie di schianti gli fece intuire che doveva accelerare il passo se non voleva finire la sua scalata decisamente male e prima del previsto.

Arrivato a terra, cominciò a correre verso la base, senza curarsi del fatto che, probabilmente, venti chilometri a piedi erano troppo perfino per lui, ed infatti poco dopo fu costretto dalla fatica a fermarsi, giusto in tempo per ammirare la mano in tutto il suo misterioso splendore mentre sembrava impegnata a guardarsi intorno con quell’inquietante occhio scintillante, ormai del tutto disinteressata al Demogorgon che giaceva ai suoi piedi privo delle braccia. Sembrò puntare verso di lui, dopodiché successe qualcosa di totalmente inaspettato.

La mano si alzò.

Dove settimane prima era spuntata una mano con un mozzicone di polso, ora c’era un braccio intero con tanto di un abbozzo di spalla, come se un qualche strano e gigantesco essere grigio stesse stendendo le sue mani da sotto la terra per raggiungere qualcosa sulla superficie. La cosa straordinaria di quel braccio era che aveva più di un gomito, e ciò lo faceva solo sembrare ancora più mostruoso. Piegando l’innaturale arto fino a formare un arco più alto delle vicine montagne, la mano si avvicinò a Richard, con il palmo aperto e la gemma blu che mandava bagliori sempre più intensi e frequenti man mano che si avvicinava all’uomo, che aveva dovuto sedersi poiché le gambe gli si erano fatte deboli dalla paura. Ora che era arrivato a quel punto, non poteva fare altro che sperare in una morte indolore.

Chiuse gli occhi e si preparò a ricevere il dolceamaro abbraccio della terra.
 

 
Richard riaprì gli occhi: non stava venendo schiacciato. Anzi, la mano non si stava proprio più avvicinando a lui, poiché stava venendo bloccata da un mech simile al Demogorgon, ma un po’ più alto e dall’aspetto più massiccio: si trattava del Jubilex.
La voce di Bran risuonò da un altoparlante: -Ehilà, D.! Spero di non essere in ritardo!-
Richard non poté fare altro che osservare stupito: non avrebbe mai pensato che Milena sarebbe riuscita a preparare il Jubilex in così poco tempo, ma evidentemente tutte le chiacchiere su quanto fosse straordinaria quella donna non erano infondate. Carico di rinnovata speranza, si rizzò in piedi e ricominciò a correre verso la base nella speranza di essere raggiunto da qualcuno.
Non passò molto tempo che Richard fu intercettato da un altro mech: si trattava del suo Kostchtchie, più piccolo e agile, ma meno resistente del Jubilex o del Demogorgon. Un elicottero arrivò al seguito del robot, ed atterrò poco distante dal pilota. Ne scese Milena, che si fece subito strada verso Richard.

-Salta su, ti porto alla cabina.-

-D’accordo. Qual è il piano?-

-Lo stesso: colpisci l’occhio. Stavolta, però, c’è Bran che ti para il culo.-

Arrivarono all’abitacolo senza dirsi altro, e sempre in silenzio Richard salutò la donna saltando agilmente all’interno della cabina del Kostchtchie. Disinserì il pilota automatico e si preparò agli scossoni: avrebbe corso, ed anche parecchio. Si va in scena, pensò, meglio non deludere gli spettatori. Spinse con tutta la forza possibile sui pedali, e scattò in avanti ad una velocità pazzesca mentre estraeva la fedele lama d’ordinanza, compagna di decine di missioni. Con quella avrebbe cavato l’occhio al mostro.

Raggiunse Bran e notò con gioia che stava ancora trattenendo la mano dove l’aveva lasciata, opponendosi a questa mentre tentava di schiacciarlo.

-Ce la fai a tenermela così per qualche secondo?- chiese Richard.

-Anche per tutta la giornata, se serve.- rispose Bran. -Però sbrigati. Tutto ciò è piuttosto noioso.-

Il pilota del Kostchtchie benedì il senso dell’umorismo di Bran. Gli aveva detto che gli serviva per mantenere la testa a posto in mezzo a quelle situazioni surreali del campo di battaglia ed ora, dopo un paio d’anni passati a combattere contro le più strane bizzarrie dai quattro angoli dell’universo, Richard cominciava a rivalutare la sua cattiva opinione di quell’abitudine: se uno trovava la forza per fare battute anche in situazioni del genere, voleva dire che poteva ancora andare peggio. Inoltre, cosa c’è di meglio di una sana battuta di spirito per tenere alto il morale?

Determinato a ripagare la mano per averlo obbligato a chiamare Milena, afferrò la lama con entrambe le mani e puntò alla gemma. Questa risplendette sinistramente prima di essere colpita, ma la mano non fece in tempo ad evitare o deviare il colpo, ed a quanto pare le fece parecchio male, poiché si inalberò stendendo ogni singolo gomito e contorcendo la mano, tremando come un’altissima torre durante un terremoto. Quando sembrò essersi calmata, la mano tornò alla carica: un pugno dal diametro di venti metri piombò in mezzo ai due mech, che ebbero appena il tempo di evitarlo. L’impatto generò un piccolo terremoto che rischiò di far cadere i due robot, ma entrambi i piloti furono abbastanza abili da impedirlo. Ancora una volta, la mano si alzò e si aprì, mostrando una visione orrenda: in mezzo alla mano non vi era più solo una gemma, ma qualcosa di ben più grottesco: una bocca larga quanto il palmo mostrava orribili denti aguzzi tra i quali penzolava una lunga lingua, quasi fosse un sesto dito. all’interno della bocca, un gigantesco occhio scrutava i dintorni guizzando nervosamente, e la pietra azzurra era la sua pupilla.

-Che schifo,- fece Bran, -ho seriamente finito le battute. Tu cosa proponi?-

-Io direi di continuare così. Hai una lancia, no? Colpisci l’occhio.-

Unendo due parti cilindriche fissate dietro la schiena del Jubilex, Bran ottenne la sua fida lancia. La brandì mettendosi in posizione difensiva ed aspettò una mossa del compagno o della mano, ma anche Richard e la mostruosità parevano aver avuto l’idea di aspettare le azioni degli altri. Passarono alcuni interminabili, silenziosi momenti dove l’unico rumore ad accompagnare il vento fu l’untuoso schiocco che accompagnava i movimenti dell’occhio, dopodiché la mano fece la sua mossa, caricando il Kostchtchie. Pessima scelta, si disse Richard, ma attaccare per primo lo sarebbe stato in ogni caso: in quel modo, aveva garantito loro la vittoria. Mentre il Jubilex si portava dietro di lui, preparandosi a colpire con la lancia, Richard si preparò a levarsi di torno al momento giusto. Decise che, lasciandosi cadere a terra, avrebbe avuto la possibilità di colpire nel caso l’affondo di Bran fosse stato poco efficace, e così fece: quando fu sicuro che la mano fosse abbastanza vicina per essere colpita dalla lancia si abbassò mettendosi a sedere e lasciando campo libero a Bran. Con un colpo preciso, il massiccio mech assestò un colpo con tutte le forze possibili all’occhio. Le mostruose fauci cominciarono a vomitare fiotti di una rivoltante poltiglia verdastra che ricoprì totalmente il Kostchtchie, riducendolo ad una versione mostruosa e maleodorante di sé stesso. La mano tremò per alcuni istanti, dopodiché scomparse dissolvendosi in altra poltiglia.
 

 
Bloccato all’interno del mech, Richard cominciò a temere per la sua incolumità: cominciava a fare caldo, un caldo tremendo e tremendamente umido. Spense i monitor e cercò di aprire l’abitacolo, ma si rese conto che i vetri erano del tutto oscurati e che qualcosa impediva l’apertura della cabina di pilotaggio. Nessun suono gli arrivava più dall’esterno, né dalla radio. Provò a far rialzare il Kostchtchie, ma questo non rispondeva ai comandi. Di sicuro era a causa di quella schifezza che gli era caduta addosso. Probabilmente gli sarebbe bastato aspettare che lo tirassero fuori di lì. Si mise comodo più che poteva e cercò di sopportare il caldo e l’umidità. Poco dopo, tuttavia, arrivò la puzza: gli pareva di essere al cospetto di tutti i morti delle otto Ere, riesumati apposta perché lui potesse sentire il loro terribile fetore di terra e decomposizione. Il caldo era aumentato, insieme all’umidità, e Richard aveva cominciato a sudare copiosamente tanto per la temperatura quanto per lo stress. Mentre i minuti passavano, pregava via via più intensamente che i suoi compagni si stessero dando da fare per togliergli quella robaccia di dosso.
 

 
Giunse il momento in cui, in preda alla noia ed in cerca di qualcosa su cui fissarsi al di fuori del fetore, la mente del pilota cominciò a vagare e ad immaginare strane figure volteggianti in quelle che si immaginava essere piccole increspature nel liquido, segno che questo stava venendo mosso da qualcosa o da qualcuno. Totalmente affascinato dal susseguirsi di disegni creatisi sul vetro, cominciò a viaggiare con le strane creature che vi vedeva all’interno del loro mondo bidimensionale, e scoprì che non era affatto diverso dal suo, e che quelle creature vivevano similmente agli umani in quel mondo effimero. Tanto a lungo viaggiò la sua mente all’interno di quel mondo, e tanto era riuscito a vedere negli ineffabili mondi all’interno di quella poltiglia nera e maleodorante, che quando ne uscì per ritornare nel mondo dei mortali Richard si sentì invecchiato di millenni in pochi secondi, e stentava a riconoscere ciò che lo circondava, poiché ormai il suo mondo era quello delle figure sul vetro.

Negli ultimi momenti di lucidità prima di venire totalmente seppellito dal liquido verdastro che, attraverso crepe e falle, si era insinuato nell’abitacolo del Kostchtchie fino a riempirlo totalmente, Richard Philips credette di intravedere l’occhio azzurro della mano che lo guardava maligno. In un ultimo, disperato sforzo per aggrapparsi a qualcosa, il pilota afferrò il luminoso dado a venti facce.
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Avventura / Vai alla pagina dell'autore: Paridoso1