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Autore: Paridoso1    06/06/2020    0 recensioni
Pensate originariamente come storia singola, le Cronache raccontano del vaggio attraverso le dieci Ere di Loren e i suoi compagni alla ricerca di dieci leggendari artefatti che sarebbero in grado di cambiare il passato.
Genere: Avventura, Mistero, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nem o Una serie di confusi flashback
 

Nem guardò il foro nella parete, dopodiché si voltò brevemente verso Mikahil e finalmente tornò ad osservare il foro.

-Beh, io la mano lì dentro non ce la metto. - affermò infine.

Mikahil roteò gli occhi. Quella donna gli stava creando più problemi di quanto sperasse. Esasperato, si passò una mano tra i capelli ormai corti, accarezzando ciò che restava di ciò che fino a pochi giorni prima erano stati lunghi riccioli biondi. L’entrata delle rovine si sarebbe aperta soltanto grazie ad una serie di precisi movimenti di una maniglia posta in fondo ad un cunicolo appositamente sistemato per lasciar entrare solo un braccio. Ma non era questo che rendeva recalcitrante Nem, bensì la punizione che questa particolare serratura riservava ai trasgressori – ossia, a coloro che ignoravano la combinazione: come testimoniavano le numerose ossa sparse sullo spiazzo, quasi tutte appartenenti a mani, l’incauto visitatore si sarebbe trovato alleggerito di un’appendice.

Mikahil non capiva. Nem era uno Scampolo, un resto della Quarta Era che ancora si rifiutava di venire dimenticato. Gli Scampoli non invecchiavano e non morivano: per quanto i loro corpi venissero danneggiati, le loro membra tagliate, le loro interiora spappolate, la loro carne macerata, la loro coscienza si rifiutava comunque di svanire. Anche dopo anni, se non secoli, passati senza un corpo, le teste conservate nel ghiaccio di Scampoli volontari erano ancora vive e reattive. I loro cervelli schiacciati e strappati ancora davano segni di vita. Cosa importava ad uno scampolo di perdere un braccio? Avrebbe potuto sostituirlo con una protesi nel giro di sei anni, quando – come aveva potuto osservare Mikahil – i maestri biomeccanici avrebbero reso pubbliche le loro scoperte per la fusione di carne ed acciaio. E in ogni caso non avrebbe sofferto. Quindi perché esitare?

Nem rivolse all’uomo un’occhiata glaciale: aveva compreso che il suo committente vedeva il corpo umano – compreso il proprio – come qualcosa di transitorio e migliorabile. Bastava guardare l’abominio che celava sotto l’ampio cappotto: quel corpo non era umano, e lo Scampolo era abbastanza sicuro che non fosse neanche completamente organico. Al contrario, il corpo di Nem era per lei ben più di un tempio, a maggior ragione data la sua immortalità: se era condannata a vivere in eterno, tanto valeva rimanere tutta intera.

-Tu puoi sostituire le parti del tuo corpo, quelle braccia non sono tue. - disse infine.

Qualcosa sotto la giacca di Mikahil si contorse, confermando il disgusto di Nem. La donna era più sveglia di quanto sembrasse, osservò. Una ragione in più per volerle affidare la Reliquia di quest’epoca.

-Purtroppo, non posso più rimpiazzare i miei arti. - rispose infine Mikahil. -non ho più i mezzi da anni. -

A dirla tutta, i mezzi per aggiustare il suo corpo non erano ancora stati inventati, e non sarebbero esistiti fino all’Undicesima Era, il lontano futuro da cui proveniva. E proprio perché era il suo corpo a permettergli di viaggiare all’indietro nel tempo, non poteva permettersi di danneggiarlo.

-Abbiamo provato la combinazione per ore. Non sbaglierai. -

Nem sospirò. -Mi assicuri che quell’affare non mi taglierà lo stesso il braccio? -

-Assolutamente. -

-Molto bene. - concluse ferma la donna -Ma se questo buco si prenderà la mia mano, io mi prenderò la tua vita. -

Finalmente, Nem infilò la mano nella fessura e raggiunse la maniglia nascosta. Esitante, la afferrò ed iniziò a ruotarla, trattenendo il respiro. Un giro a destra. Due a sinistra. Uno a destra. Pausa. Un altro a destra. E infine…
 

 
-Nem? -

Una voce distante continuava a ripetere quella parola. Nem. Che cosa significava? Aveva almeno un senso?

-Nem? -

La sua vista cominciava a ritornare. Anche se era buio, si riusciva a distinguere qualcosa nei dintorni: un’ombra che doveva essere un tavolo, e un’altra che aveva tutto l’aspetto di essere una sedia. Intanto, la voce era più vicina.

-Nem, sei qui? -

Nem. Giusto. Nem era il suo nome. Probabilmente era il carceriere. Faticosamente, Nem cercò di rialzarsi dal letto, notando con sua grande sorpresa che vedere non era l’unica cosa che le riusciva piuttosto difficile quel giorno. Dopo alcuni minuti, era riuscita solo a sedersi sul letto. Si sentiva stranamente debole: aveva sempre goduto di ottima salute, eppure quel giorno le sembrava di dover vomitare da un momento all’altro.

Giorno? No, non era giorno. Era notte, notte fonda. Per quale motivo il carceriere avrebbe dovuto chiamarla a notte fonda?

-Nem, se ci sei, rispondi! -

La voce era più vicina, ora. Non sembrava affatto quella del carceriere: era quella di una donna. Ora che la sensazione di vomito iniziava a diminuire lentamente, Nem iniziò a rendersi conto di ciò che succedeva attorno a lei. Anche la sua vista annebbiata cominciava a migliorare, e la cosa la allarmò non poco: quasi non riconosceva la sua cella. Tutto era in sfacelo, il pavimento, il letto – persino Nem stessa! – erano coperti di polvere e calcinacci. La finestra era a pezzi e sul pavimento erano sparsi pezzi di vetro e legno. I lampadari avevano tutte le lampadine fulminate e la porta era stesa sul pavimento. Cosa diavolo era successo?

-Nem? -

La voce era ormai vicinissima mentre Nem si avviava faticosamente verso la finestra, per osservare l’esterno della prigione. Era una limpida notte di luna piena, ma per qualche motivo la ragazza faceva fatica a riconoscere le stelle. La luna stessa sembrava diversa, quasi più grande. Improvvisamente, la vista della luna la obbligò a porsi una domanda che l’avrebbe tormentata per oltre mille anni.

Perché non sono morta?
 

 
Claire si sentiva a disagio. Il cubicolo era angusto, polveroso e senza finestre, e la poca luce presente filtrava da dietro la porta socchiusa. L’unico arredamento del piccolo spazio, una poltrona, e il soffitto stranamente alto la facevano sentire al contempo claustrofobica e dispersa. Guardò ai suoi fianchi, e vide che anche Loren e Richard sembravano a disagio, anche se il primo decisamente molto meno - d’altronde, era ben abituato ad esplorare posti peggiori. Richard, invece, sembrava più preoccupato da ciò che occupava la poltrona.
Sulla poltrona c’era un uomo. Perlomeno, questo era quello che gli avevano detto: credere che al di sotto di quell’ammasso di stracci e coperte ci fosse davvero qualcuno risultava piuttosto difficile. Qualunque cosa ci fosse, non era più alta di mezzo metro, ed era troppo coperta per potersi accertare con chiarezza delle sue fattezze. Ma non era forse un occhio umano quello che si intravedeva tra le pieghe della stoffa?

-Perdonate il buio, amici miei - esordì l’essere -ma ne ho bisogno per i miei poveri occhi. – La sua voce era impastata e rantolava quasi ad ogni parola. Sembrava che parlare gli creasse non poca fatica.

-Non c’è nessun problema. - fece Loren -In ogni caso, ci terremmo a concludere la faccenda nel minor tempo possibile. -

-Anche io. - l’uomo non sembrava scocciato: l’impressione dei visitatori era piuttosto che provasse un gran fastidio nel fare qualsiasi cosa.

-Ci sono state raccontate meraviglie sul suo conto. Pare che lei sia stato, a suo tempo, un esploratore formidabile. - l’uomo sotto gli stracci emise un rantolo soddisfatto e Loren riprese. -Per un certo verso, siamo colleghi. -

-Appunto, - intervenne Richard -siamo archeologi. Speravamo che le sue testimonianze ci aiutassero a ritrovare un tempio risalente alla seconda Era. -

-Balle. -

I tre viaggiatori fissarono lo strano individuo, sconcertati.

-Quel ragazzo altissimo forse ha visto la sua dose di scavi, - mormorò -ma voi due… tu sei un soldato. E tu, una commerciante. - L’uomo sotto gli stracci tossì una risata, come a congratularsi con sé stesso delle sue abilità deduttive. -Probabilmente state davvero cercando quel tempio, - continuò -ma dubito che i vostri interessi siano puramente archeologici. O mi sbaglio? -
Allora non è così rimbambito come credevamo, si disse Richard. Beh, poco importava: in un modo o nell’altro, sarebbero arrivati alla Reliquia di quell’epoca. Riacquistando la sua calma, Claire riprese la parola.

-E anche se fosse? Ci negherebbe il suo aiuto? Posso offrirle qualsiasi cosa in cambio. –

L’uomo protestò. –Bugiarda, proprio come una mercante! Cosa puoi darmi che io non abbia già avuto? Denaro? Donne? Qualche bell’aggeggio di valore? - a questo punto, la sua voce era talmente incrinata da somigliare allo stridere di centinaia di unghie su una lavagna -Io ho avuto tutto. Ho visto tutto. Ho fatto tutto. E so abbastanza da immaginare che cosa state cercando. Andatevene, per favore. -
Incurante delle lamentele del suo interlocutore, Claire fissò il mucchio di stracci senza mutare espressione. Loren già rovistava nella sua sacca, mentre Richard ammirava intimorito la freddezza dell’amica. In certi casi gli ricordava quasi Milena, anche se lei sapeva terrorizzarlo come poche cose al mondo. Finalmente, Claire parlò.

-Posso darle il riposo. -
 

 
-Dimmi una cosa, crostaceo. -

Nem raddrizzò la schiena, sedendosi a gambe incrociate affianco al falò, e allungò le mani verso il fuoco. Le notti del deserto potevano essere gelide e, sebbene non potesse davvero morirne, era comunque piacevole avere qualcosa per scaldarsi.
Mikahil era intento a riscaldare la sua cena, tenendo alcuni pezzi di carne di serpente sollevati sul fuoco con uno spiedo e in un primo momento non si accorse del richiamo della donna. Ciononostante, questa continuò.

-Da quanto sei fatto così? -

La domanda gli arrivò tra capo e collo, e quasi gli fece cadere lo spiedo tra le fiamme. Non amava parlare di sé stesso, men che meno delle sue mutazioni. Cercò di cambiare discorso. -Come mai ti interessi a me tutto d’un tratto? -
-Ho i miei motivi. Principalmente, sto cercando di quantificare quanto sei ripugnante. Da quanto? - Nem era sempre stata aperta nella sua ostilità verso l’uomo-granchio, ed ammetteva di essersi lasciata coinvolgere in quella folle impresa solo per la ricompensa che la attendeva, anche se ciò significava passare del tempo con quel mostro senza un minimo di rispetto per il suo corpo.

-Così mi ferisci. - scherzò Mikahil -Comunque sia, ho questo corpo da quindici anni. E da altrettanto tempo cerco questi templi. -

-E perché? - chiese di nuovo Nem, insistente.

A Mikahil scappò una risata. Quella era la prima volta che i due parlavano per davvero in settimane -Non ti sembra di esagerare con le domande? -

-Come ti pare. - Nem tornò a sdraiarsi, mentre Mikahil mangiava silenziosamente la sua carne ormai troppo cotta. Fu lui a parlare, quando si sdraiò vicino al fuoco.

-Voglio salvare una persona che ha fatto un errore terribile. -

-Non ti capisco. - asserì Nem. -Nemmeno io. - le rispose. -Sei così attaccata alla vita che quasi mi viene il dubbio che tu non sia uno Scampolo. -

-Ti sei fatto l’idea sbagliata di noi Scampoli. - benché tentasse di nasconderlo, ora Nem era furiosa. -Essere immortali non vuol dire che la propria vita perde di significato. Tutt’altro, anzi: da quando mi sono risvegliata, ho cercato di valorizzare al meglio la mia esistenza, per ringraziare di avere questo corpo. -

Mikahil sbadigliò ostentatamente. -Io proprio non ti capisco. - ripeté.

-Non puoi. - tagliò corto Nem. Quella conversazione l’aveva lasciata con l’amaro in bocca.

Passò dall’altro tempo, finché Nem non prese finalmente la parola.

-Ti vanno a fuoco i capelli. -
 

 
Loren osservò la ripugnante approssimazione di un essere umano seduta sulla poltrona. La figura con cui avevano parlato finora non era più di un busto umano che si trascinava sulle braccia scheletriche, con la pelle marcata da bruciature e vistose cicatrici dove non era così sottile da far intravedere il costato. Il viso del vecchio era completamente scarno, come una tela tesa su un cranio consumato, e sovrastato da un capo totalmente calvo e coperto di croste. Ora che si era tolto la coperta di dosso, i tre viaggiatori si sentivano ancora più a disagio: tutti gli Scampoli erano ridotti così? Era stata la vecchiaia? O il vecchio faceva parte di coloro che avevano provato ad uccidersi? E in quanti modi?
La Guida non si lasciò intimorire ed estrasse dalla sacca il suo vecchio elmo ricavato dalla testa dell’esperide uccisa nella sua era: grazie ad esso, avrebbero potuto distorcere l’esistenza del vecchio Scampolo a tal punto da cancellare ogni singola traccia della sua maledizione. E nel malaugurato non avesse funzionato, beh, almeno avevano già ottenuto ciò che volevano. Con attenzione, adagiò l’elmo sul capo del vecchio e si apprestò ad impostare la transizione, ma Richard lo fermò.

-Aspetta un attimo, Lo. - disse -Volevo chiedere una cosa allo scampolo. Se me lo permette, ovviamente.

Il vecchio borbottò un impaziente “va bene” cercando di sistemarsi il copricapo.

-Immagino che le abbiano già fatto questa domanda un sacco di volte, ma… beh, vorrei sapere com’è finita la Quarta Era. -
 

 
Nem guardava fuori dalla finestra della sua cella con un misto di impazienza e rassegnazione. Stando a quanto le avevano detto, il mondo sarebbe finito quella sera, in una specie di apocalittica esplosione che si sarebbe portata via ogni segno di vita sul pianeta: un fantastico modo di finire una vita decisamente sprecata. Sebbene il momento della fine si stesse avvicinando, niente sembrava anticiparlo: il cielo era limpido come sempre, anche se libero dall’opprimente traffico degli ornitotteri commerciali, e sebbene il traffico fosse pressoché fermo, per le strade della città erano in molti ad aspettare la fine all’aria aperta, insieme ai propri cari o da soli.

Improvvisamente, un’apparizione oscurò il cielo, immediatamente seguita da un lampo di luce bianca. Infine, il silenzio. Anche migliaia di anni dopo, Nem non riusciva a dimenticare il volto di quel ragazzino piangente in cielo.
   
 
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