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Autore: AleeraRedwoods    09/06/2020    2 recensioni
Dal testo:
“Tu sei nata per una ragione e il tuo cammino non può cambiare.
Ma un destino scritto è anche una maledizione.
Il tuo compito è salvare la Terra di Mezzo,
riunirai i Popoli Liberi e scenderai in battaglia.
Una prova ti attende e dovrai affrontarla per vincere il Male.
Perché la Stella dei Valar si è svegliata.
La Stella dei Valar porterà la pace.
A caro prezzo.”
(Revisionata e corretta)
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri, Aragorn, Nuovo personaggio, Thranduil
Note: Lime, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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-Alla Battaglia, Parte II-

    Legolas s’inginocchiò accanto al cadavere del piccolo e disgustoso orco e Gimli s’apprestò a coprirgli le spalle.
    Sì, l’orco era morto davvero, e con lui un centinaio di altri nemici, eppure la battaglia ancora infuriava attorno a loro.
    Che diamine era appena successo?
    -Muoviti orecchie a punta, si avvicinano.- Lo incalzò il nano, stringendo l’ascia in posizione di difesa e puntando gli occhi infuocati verso i non morti poco lontano. Legolas tastò velocemente la lurida cotta di maglia del cadavere, senza trovare alcunché di strano. Con ribrezzò, si ritrovò a voltare malamente l’orco e subito i suoi acuti occhi d’immortale individuarono un insolito dettaglio: -Forse ho trovato qualcosa.-
    -Ti conviene, elfo!- Legolas sollevò brevemente gli occhi al cielo, poi studiò il retro del collo dell’insulso orco: proprio alla base della nuca si apriva un buco, stretto e non molto profondo. Non sembrava una ferita recente e di simili Legolas non ne aveva mai viste: pareva ricoperta da una patina bluastra.
    Sopprimendo il desiderio di rimettere, l’elfo fece pressione su quel punto con le dita: c’era qualcosa sotto. Incise il collo dell’orco con la spada e un piccolo oggetto rotolò a terra, davanti alle sue ginocchia appuntite. Storcendo il naso, se lo rigirò tra le dita, studiandolo attentamente: era una scheggia di vetro scuro, traslucido e innaturalmente gelido.
    Aggrottò le sopracciglia, sorpreso, ma non ebbe il tempo per farsi domande. Gimli lo spinse con forza verso destra, parando il colpo di una pesante mazza chiodata che si stava velocemente abbattendo su di lui: -Spero tu abbia finito, qua c’è del lavoro da sbrigare!- Legolas infilò quel pezzetto di vetro nella casacca, pronto ad aiutare l’amico. -Gimli tieni gli occhi aperti! Dobbiamo raggiungere gli altri, per avvertirli della scoperta. Questo potrebbe non essere un caso isolato.- Il nano grugnì un assenso e i due ripresero a combattere con determinazione.
    Legolas non riusciva a levarsi dalla testa quel frammento traslucido: perché aveva la sensazione di averlo già visto?
    Ad ogni modo, doveva trovare Sillen e mostrarglielo, subito.
 
**

    La sfortunata aquila aveva smesso di gridare e dimenarsi da svariati minuti, oramai. Sarebbe stato straziante assistere alla sua morte ma Glorfindel aveva ripreso conoscenza solo allora, quando il silenzio era disceso nuovamente intorno a lui.
    Il corpo freddo e pesante del Maia lo schiacciava al suolo, intrappolandogli le gambe. -Sillen?- Mormorò lui, la voce arrochita dalla polvere e dal fumo che aveva respirato nell’esplosione.
    Si guardò attorno quanto la sua posizione gli permetteva ma della stella non c’era traccia. Tuttavia, ai suoi fianchi stavano silenziosamente marciando alcuni non morti, diretti verso il cuore della battaglia, più a Sud. Nessuno di loro parve notare il malcapitato, seminascosto dalle piume brune dell’aquila.
    Con un gemito dolorante, l’elfo dorato tentò di spostare l’animale quanto bastava per far scivolare fuori le gambe ma questo era pesante e lui era ancora stordito dalla violenta caduta. Sperò con tutto sé stesso di non avere niente di rotto, là sotto: sarebbe stato un problema sprecare tante energie per curare delle ossa frantumate.
    -Mi dispiace, mellon.- Sussurrò al Maia, affondando le dita affusolate tra le sue piume soffici.
    Un moto di rabbia lo invase: c’era sempre troppa morte, intorno a lui. Da millenni, nient’altro che morte. Detestava vederla allungare le membra fredde e indifferenti sui soldati, per affogare le loro anime nel buio e nella disperazione, tutte uguali, come se in vita non avessero mai avuto alcuna importanza.
    Eppure, lui era stato riportato in vita proprio per combattere ancora. E ancora e ancora. Era la sua natura.
    Dannati i Valar e dannato il suo misero destino.
    Gli avevano rubato tutto: i suoi desideri, la speranza, la libertà.
    Non avrebbe permesso loro di prendersi anche Sillen.
    Mosso da quel sentimento prorompente, il Vanyar premette con forza i palmi contro il corpo del Maia e una scarica di energia dorata e pulsante sbalzò quest’ultimo lontano.
    Glorfindel vide nero per un secondo ma si riprese in fretta, respirando profondamente per regolare il battito impazzito del suo cuore: erano secoli che sapeva come gestire la sua energia, al contrario della stella.
    -Sillen, dove sei maledizione!- Ringhiò, tirandosi lentamente in piedi. I non morti lo avevano già circondato e ora calavano senza sosta le loro pesanti armi su di lui. Esse, però, s’infrangevano contro una cupola invisibile attorno all’elfo, senza toccarlo.
    Lui si sentiva decisamente meglio e le gambe, contro ogni previsione, erano tutte intere e in grado di sostenere il suo peso. Ritto in piedi, sguainò la spada brillante e con un solo, rapido fendente, divise in due i corpi putridi dei non morti intorno a lui.
    Con la visuale libera, impiegò poco a localizzare la stella: una corrente innaturale danzava come una piccola tromba d’aria, qualche miglio più a Nord. -Perché hai scatenato il tuo potere, Stella dei Valar?- S’irrigidì, una morsa di preoccupazione a chiudergli lo stomaco.
    Prima che potesse fare un passo in quella direzione, le sagome di tre giganteschi e cadaverici troll oscurarono la luce del sole, come materializzandosi dal nulla.
    -Oh, fantastico.- Commentò Glorfindel, scostandosi i capelli dorati dal viso e stringendo l’elsa della spada elfica.
    Contro esseri del genere, nemmeno la sua barriera sarebbe stata efficace. Alla vecchia maniera, dunque.
    Piegò le gambe, le sopracciglia aggrottate dalla concentrazione.
    -Non ho tempo da perdere, dannati. Siete fastidiosi!- E balzò verso l’enorme creatura più vicina a lui.
 

 
**

    Il Maestro dei Veleni si schiantò a terra, a svariati piedi dalla stella. Si puntellò sui gomiti, pulendo il sangue che colava copiosamente dalla bocca, sporcando le bende bianche.
    La stella dei Valar doveva avergli rotto qualche costola, con quel colpo dell’elsa. Fu una cosa che costatò con noncuranza, senza darci troppo peso. Lui non avvertiva il dolore, non come gli altri: quello era niente in confronto a ciò cui era abituato.
    Sillen stava ritta in piedi, avvolta dalla corrente innaturale che scaturiva dal suo stesso corpo. Fissava l’elfo oscuro con occhi di pura luce bianca, il volto impassibile e la spada stretta tra le dita sporche di sangue.
    Questa volta, il Maestro dei Veleni non era stato in grado di colpirla e la cosa lo aveva irritato non poco, tanto da turbare l’immobilità di quell’orrido occhio nero.
    La stella avanzò verso di lui, i passi lunghi e decisi e Saedor si tirò in piedi con un colpo di reni. Tornò all’attacco per primo, velocissimo ma la stella era mossa da un potere che trascendeva i limiti fisici e lui si ritrovò di nuovo a rotolare a terra, incapace di mandare a segno un solo colpo.
    -Ti nascondi dietro i tuoi stupidi poteri.- La accusò, sibilando come un rettile. Sillen non rispose. Aveva sentito la voce dell’elfo ma non riusciva a rispondere, si sentiva incatenata dentro il suo stesso corpo, governato totalmente da quel temibile potere divino. Era successa la stessa cosa al Nido delle Aquile e sapeva che non era affatto un bene.
    Se si trovava in quella situazione, voleva dire che il potere attingeva dalla sua stessa forza vitale, non dalla collana.
    La paura aveva preso il sopravvento e l’energia dentro di lei era affiorata per combattere al posto suo, irruenta. Tuttavia, come le aveva detto Alatar -forse l’unica cosa vera che le avesse mai detto- il potere della Stella dei Valar doveva essere la sua ultima risorsa. E lei poteva batterlo da sé, quell’elfo inquietante e presuntuoso.
    Doveva riprendere il controllo del proprio corpo o sarebbe morta comunque, prosciugata dal suo stesso potere.
    Respirò a fondo, combattendo contro sé stessa: -Stai zitto, non hai il diritto di parlare in questo modo alla Stella dei Valar.- Riuscì a pronunciare e sentì di nuovo le membra rispondere ai suoi comandi. Espirò forte, più lucida e sicura, mentre sentiva la collana canalizzare il suo potere e lasciarle il controllo.
    Nonostante i suoi occhi brillassero e la corrente la circondasse ancora, l’elfo doveva aver intuito il cambiamento in lei e non perse l’occasione per tornare all’attacco. Sillen lo vide muoversi veloce, brandendo quella dannata frusta velenosa come se non fosse mai stato ferito: quel Saedor era tremendamente forte, nonostante il fisico secco. 
    Ma non doveva avere paura di lui.
    Sillen scartò di lato, le gambe che bruciavano dallo sforzo: ora che il potere era tornato al sicuro, dentro di lei, sentiva di nuovo ogni muscolo dolere oltre il sopportabile. Non aveva mai sostenuto uno scontro a quella velocità e stava decisamente rallentando il ritmo a causa della ferita sulla coscia, che sanguinava ancora.
    -Perderai, Stella. Lo sappiamo entrambi.- La provocò lui, cercando di colpirla ancora alle gambe. Lei saltò per evitare il colpo, poi avanzo con un affondo rapido, la collana che brillava intensamente sotto l’armatura in mithril.
    Il sorriso perverso dell’elfo le dava il voltastomaco, voleva solo cancellarglielo dalla faccia.
    Caricò con tutto il suo potere, tanto che la terra si incrinò sotto ai loro piedi a causa del peso tremendo che aveva inferto all’attacco. Inaspettatamente, sentì la lama incontrare la resistenza del corpo dell’elfo oscuro: lo aveva finalmente colpito.
    Spinse con tutte le sue forze e alzò il viso trionfante, per incontrare quello bendato dell’altro.
    Sapeva che sarebbe riuscita a batterlo, prima o dopo.
    Lei era nata per questo. I Valar l’aveva guidata sino a quel preciso istante perché lei potesse dimostrare il suo vero valore.
    Eppure, Saedor sorrideva ancora.
    Sillen, deglutendo a vuoto, abbassò nuovamente lo sguardo sulla lama e vide con orrore che essa era effettivamente penetrata nel costato dell’elfo, ma egli la teneva stretta dentro di sé, ignorando totalmente il sangue che sgorgava dalla ferita e dalla mano, laddove questa premeva sul ferro.
    La stella sussultò dallo sgomento e prese a strattonare la spada, per liberarla. Ma il Maestro dei Veleni aveva altri piani e le sferrò un pugno tanto forte da farle voltare la testa e perdere la presa sull’arma. Gli occhi di Sillen tornarono del colore delle ametiste mentre perdeva l’equilibrio.
    Lui le fu alle spalle e, con un colpo secco, la fece cadere in ginocchio. Prima ancora che lei potesse pensare di rialzarsi, la lunga frusta sfrigolante saettò nell’aria e si strinse con violenza attorno al suo collo dorato.
    Sillen boccheggiò, completamente stordita da quel dolore lancinante, soffrendo come mai aveva sofferto nella sua breve vita di stella caduta.
    Non l’aveva nemmeno visto arrivare.
    E dentro di sé ebbe la lucidità per darsi della stupida.
    Si era sopravvalutata, come sempre aveva fatto da quando aveva preteso di guidare una battaglia. Il potere che con tanta presunzione aveva tentato di governare, in realtà stava cercando di avvertirla, di proteggerla, perché sapeva che quello era un nemico troppo forte da combattere da sola.
    E lei non era stata in grado di comprenderlo.
    Sentiva chiaramente ogni centimetro di pelle a contatto con il cuoio bruciare e gridò dal dolore: il veleno sulla frusta le avrebbe corroso la carne nel giro di pochi minuti. -Non ho mai conosciuto nessuno di più stupido.- Le rinfacciò Saedor, sfilandosi la lama dal corpo e gettandola a terra senza battere ciglio, con quell’occhio nero come la notte fisso sul viso paonazzo di lei. L’aria non le arrivava più nei polmoni, il suo potere non rispondeva più: certo, era troppo debole oramai.
    Si dannò da sola ma ancor di più sentì il proprio orgoglio bruciarle nel petto, tanto quanto bruciavano le carni del suo collo sottile: Thranduil aveva ragione, lei nemmeno sapeva cosa fosse una guerra, figurarsi affrontarla.
    Vide il cielo sopra di lei farsi scuro, i suoni divenire ovattati.
    Saedor si godeva ogni singulto della stella, aspettando di vederla esalare l’ultimo respiro… o di vedere la sua testa staccarsi dalle spalle e rotolare nel fango. Era deliziato, persino eccitato da quella scena. Poi sentì una leggera brezza scompigliargli i lunghi capelli corvini e la sua espressione soddisfatta fu turbata da un lieve spasmo. Tentò di ignorare quella presenza il più a lungo possibile, perché sapeva bene di chi si trattasse.
    -Saedor.- Lo richiamò infine una voce flautata e lui, soffiando infastidito, si costrinse a voltarsi. Lhospen, o meglio, la figura sbiadita e tremolante di Lhospen era al suo fianco, lo sguardo cupo: -Devi tornare indietro, fratello. Ormai lui è in mano nostra. Lascia la stella. Pallando ha detto che non è ancora il momento. Inoltre, abbiamo già sprecato troppi cadaveri e abbiamo addirittura perso un frammento.- Saedor parve grandemente infastidito da quelle notizie, benché infondo se lo aspettasse.
    -Pallando sferrerà l’ultima offensiva tra un’ora esatta. Vieni via.- Concluse Lhospen. Saedor tornò a guardare la stella, digrignando i denti e sentì l’illusione del fratello svanire. Dopotutto, egli si fidava ciecamente di lui e sapeva che avrebbe eseguito gli ordini senza fiatare: infatti, la frusta di Saedor sferzò nuovamente l’aria, liberando il collo della stella.
    Sillen cadde carponi, tossendo. Sputò sangue sul terreno scuro e non osò portare le mani al collo gravemente ferito. Sentì i passi del Maestro dei Veleni sul terreno dissestato, poi la sua mano stringerle i capelli.
    Quello la sollevò per la coda e lei urlò dal dolore, portando le mani sul polso sottile dell’elfo: -Voglio ucciderti. Lo desidero.- Sussurrò lui, a un soffio dal suo viso.
    Il suo corpo emanava un fortissimo odore di oli e unguenti curativi ed era freddo come la morte.
    Sillen ringhiò in risposta, scalciando debolmente con le gambe a mezz’aria, ormai stremata.
    Saedor la lasciò cadere di nuovo a terra, respirando a fondo per ritrovare un contegno. Si voltò svelto e iniziò ad allontanarsi, riavvolgendo la micidiale frusta senza preoccuparsi di evitare le zone grondanti veleno: -Ci rivedremo, inutile essere.- La minacciò, con voce piatta, poi la mantellina color prugna sparì oltre la folla dei non morti, come se non fosse mai esistita.
    Sillen tremava a causa del dolore lancinante e dovette fare appello a tutte le sue ultime forze per curarsi quanto bastava per fermare l’emorragia. I suoi occhi brillarono per qualche secondo e lei tornò a respirare decentemente, nonostante fosse ancora piegata in due. Come se non bastasse, i non morti si stavano muovendo: pareva quasi che a trattenerli sino a quel momento fosse stata la presenza dell’elfo oscuro.
    La Stella dei Valar cercò di distanziarli, trascinandosi con la sola forza delle braccia, ma non andò molto lontano. Da quanto aveva capito, Pallando e i suoi la volevano viva ma Saedor l’aveva lasciata esattamente al centro di una legione di non morti.
    Da sola.
    Sentì le lacrime salate bruciare come il fuoco, a contatto con la ferita fresca del collo. Non ne poteva più, faceva troppo male.
    Avvertì un rombo familiare nel terreno, contro il corpo, segno che i Rohirrim non erano lontani, e si fece forza: doveva almeno riuscire ad avvertirli, uno dei due elfi aveva parlato di un’ultima offensiva. Si tirò in piedi e afferrò malamente la spada macchiata dal sangue dell’elfo oscuro, gemendo dal dolore.
    Si trascinò verso Nord, laddove sentiva l’eco del cozzare metallico delle armi. I non morti ormai le erano addosso.
    Il terreno tremava così forte che pensò fosse frutto della sua immaginazione. I Mangia Terra? Altri ancora? Come se in quelle condizioni avesse potuto fare qualcosa in merito.
    Si voltò per affrontare i non morti, sollevando a fatica la spada.
    -Allora avanti, che aspettate! Sono qui!- Gracchiò. L’odore del suo stesso sangue e della carne bruciata la nauseava.
    Nel cielo invece, ignaro di tutto, il sole brillava, compiendo la sua dolce e lenta discesa verso Ovest, alle spalle della Bianca Torre di Ecthelion. La stella sentì il tepore dei suoi raggi sulla pelle e si disse che, forse, quello era un buon giorno per morire.
    Si abbatté di nuovo in ginocchio, colta da un violento capogiro. Le si stava appannando persino la vista, aveva perso troppo sangue.
    No, non poteva, doveva avvertirli!
    Non volle chiudere gli occhi, fissi al cielo turchese, e cadde supina al suolo, il respiro mozzato. Era finita dunque.
    Quelli erano i suoi ultimi istanti sulla Terra di Mezzo.
     Devo proprio essere una gran delusione per tutti, non è così Valar?, si ritrovò a pensare. Le forze l’abbandonavano.
    Poi, una grande ombra calò inaspettatamente su di lei, coprendo la luce dorata del sole. Sillen vide solo i suoi contorni sfocati e udì chiamare il suo nome con un lontano grido denso di preoccupazione.
    Per un secondo solo, il suo cuore batté più forte: -T-Thranduil?-
    Non riuscì a combattere ancora contro il dolore e la stanchezza e sentì il buio sopraffarla inesorabilmente.
 
**

    -Aragorn!- La voce limpida di Legolas attirò l’attenzione del Re, che si voltò decapitando un avversario, in un unico fluido movimento. Premette istintivamente la mano sul taglio che gli attraversava la spalla, ma sapeva che non era grave: -Legolas, Gimli! Ma che ci fate voi due di nuovo qui?-
    I due amici lo raggiunsero, schivando i colpi dei non morti. Nel versante Sud dei Campi del Pelennor, la battaglia infuriava con meno ferocia e gli alleati iniziavano a temere che non fosse un buon segno. Il nemico stava tramando qualcosa.
    Intorno a loro, i soldati si riunivano per dirigersi a Nord, a dare man forte ai Rohirrim.
    -Aragorn, abbiamo trovato qualcosa che forse dovresti vedere.- Lo informò Legolas, serio in volto. Rapidamente, tirò fuori dalla casacca sporca il frammento nero, posandolo nel palmo aperto del Re degli Uomini.
    Elassar spalancò gli occhi, senza parole: com’era possibile una cosa del genere? Come poteva quel frammento essere lì?
    -Dove lo hai trovato?- Sussurrò all’elfo, che osservava la sua reazione con un cipiglio perplesso: -Nel corpo di un non morto, poco fa. Sai forse di che si tratta?-
    Certo che lo sapeva, come poteva dimenticare quell’angosciante sensazione, quel gelo: -Questo è un frammento del Palantir.-[1] Disse, con tono grave. A quelle parole, l’elfo rabbrividì, tornando a fissare quell’oggettino apparentemente insignificante.
    Ecco perché gli era parso così familiare.
    Anche Gimli si sporse per osservarlo, sospettoso: -Quella maledetta palla sarebbe ora ridotta in schegge? Che guaio. Se tutti quanti i pezzi non superassero queste dimensioni, potrebbero essere centinaia!-
    Improvvisamente, sotto gli occhi dei tre amici, il frammento prese a brillare leggermente, di una luce fioca e bluastra, che l’elfo e il nano avevano già visto.
    Legolas la indicò a Elessar, allarmato: -Questa luce! Io e Gimli l’abbiamo vista fuoriuscire dall’orco che portava il frammento, quando lo abbiamo ucciso.- L’altro mosse istintivamente la mano e notò che, voltandosi verso destra, la luce aumentava d’intensità. Lanciò uno sguardo d’intesa ai due compagni e i tre si fecero velocemente strada in quella precisa direzione.
    Più loro si addentravano tra le schiere nemiche, mettendo fuori gioco i non morti sul loro cammino, più la luce blu diveniva chiara e pulsante. Finché, poco dopo, intravidero quella stessa luce riecheggiare non molto lontano: un orco dall’elmo nero correva nella direzione opposta alla loro e, sul suo collo imputridito, si scorgeva chiaramente la stella luce bluastra che aveva catturato la loro attenzione.
    -Legolas, fermalo!- Urlò Elessar e il Principe degli Elfi scoccò rapidamente una freccia, che centrò con millimetrica precisione il retro del ginocchio destro dell’orco. Questo rotolò a terra per parecchi piedi e, subito, un gruppo di uruk non morti si schierò di fronte ai tre amici, schermando loro la visuale.
    -Dannazione. Teneteli occupati!- Ordinò il Re di Gondor, cominciando a correre in direzione degli uruk. Questi sollevarono le orrende armi, pronti a colpirlo, ma l’uomo si buttò a terra, scivolando sotto le loro gambe macilente. Prima che i nemici potessero voltarsi e caricarlo nuovamente, Legolas e Gimli attaccarono, distogliendo la loro attenzione dall’amico.
    Elessar corse a perdifiato verso l’orco dall’elmo nero, che strisciava sul suolo fangoso. Con il frammento luminoso stretto in un pugno e Andúril nell’altro, il Re balzò sull’orco e lo inchiodò a terra con il proprio peso. Questo prese a dimenarsi, il grugno premuto a terra, ma Elessar fu veloce: con il taglio della nobile spada, tranciò il retro del collo dell’orco, che si afflosciò definitivamente sotto di lui in un baluginare bluastro.
    Un secondo frammento balzò fuori dalla carne putrida dell’orco ed Elessar si affrettò a recuperarlo.
    Ora che i due frammenti erano vicini, brillavano intensamente, pulsando l’uno verso l’altro.
    -Aragorn?- Sentendo la voce dell’elfo, il Re degli Uomini si voltò, incredulo. -Era davvero un altro fram…- Ma non terminò la frase, le parole gli morirono in gola. Ai piedi dei suoi amici e tutto intorno a loro, i non morti si erano accasciati al suolo, immobili.
    Legolas li fissò con sgomento: era successo di nuovo.
    -Allora è davvero così. Non appena il frammento viene estratto, una parte della legione di non morti smette di muoversi!- Farfugliò l’elfo, incredulo.
    Elessar fece un passo verso di lui, gli occhi sgranati e il fiato corto: -Come, prego?!-
 

 
**

    Glorfindel affondò la spada nella testa glabra del troll senza un occhio, ansimando per la fatica. Ancora non era riuscito a sbarazzarsi di quei tre e aveva addirittura perso le tracce della stella. Provò nuovamente a mozzare via la mano del troll gobbo ma anche questa volta non riuscì a trapassarne l’osso.
    Anche se cadaveri, quei tre erano davvero giganteschi.
    Fu solo per caso che, nel pieno del combattimento, Glorfindel intravide una strana luce tra le grosse membra dei tre mostri. Sul secondo, anzi sul terzo troll, poco sotto l’ascella sinistra.
    Strano, non l’aveva notata sino a quel momento.
    Riusciva a vederla solo quando il bestione dalle zanne storte sollevava il braccio. Era una luce davvero flebile, eppure lui aveva l’inspiegabile impressione che fosse abbastanza importante.
    -Cosa nascondete lì, voi razza di idioti?- Esclamò l’elfo, con il fiato corto. Schivò il grosso piede di uno dei tre nemici, cercando di capire come arrivare a quell’insolito bagliore. Rotolò ancora di lato, per evitare la mano pesante del troll gobbo, e finì violentemente addosso a qualcosa di tozzo e duro come la roccia.
    -Glorfindel, accidenti!- Udì tuonare, sotto di sé.
    -Oh, mastro nano! Che sorpresa.- Salutò, spostando il regal deretano da sopra un furibondo e dolorante Gimli. -Legolas, Re Elessar, ci siete anche voi.- Sorrise poi il Vanyar, mimando un breve inchino ai due mentre trascinava via il nano, appena prima che una grossa mazza nodosa colpisse proprio quel punto.
    Legolas sollevò gli occhi al cielo: -Ti abbiamo cercato ovunque. E io che speravo fossi crepato sul serio, questa volta.-
    Glorfindel gli fece l’occhiolino, rimettendo in piedi il povero Gimli: -Non ti libererai di me così facilmente, Principino. Devo fare ancora un sacco di cose, sai?- E indicò il troll dalle zanne storte: -Per esempio, devo capire cos’è quella strana luce azzurrina sotto il suo grasso braccio.-
    Elessar si gettò a terra per evitare il taglio dell’abnorme ascia del troll senza un occhio: -Non sforzarti. Sappiamo cos’è e anche cosa fa! Probabilmente è apparsa solo quando ci siamo avvicinati noi. Non è forse vero?- E mostrò velocemente gli altri due frammenti a Glorfindel, che poté constatare con i suoi occhi quanto detto dall’uomo. Infatti, i due frammenti neri brillavano in risposta al terzo.
    L’elfo dorato assunse un’aria sorpresa, riconoscendoli: -Oh. Non me l’aspettavo. Pensavo che il Palantir fosse andato distrutto.-
    Gimli sbuffò, facendo ondeggiare le treccine della sua barba rossiccia: -Infatti non mi pare tutto intero.-
    L’altro si fece serio, dando voce alle preoccupazioni che gli soffocavano il petto: -Per caso, avete visto Sillen arrivando qua?-
    Legolas trafisse la fronte del troll gobbo con una freccia, non sortendo alcun effetto. Soffiò, scocciato ed estrasse la spada, scoccando uno sguardo teso a Glorfindel: -In realtà, pensavamo fosse con te. Per questo siamo qui.-
    L’elfo dorato scosse la testa: -L’ho persa poco meno di un’ora fa. Era a circa un miglio a Nord di qui e stavo per raggiungerla, quando questi tre mi hanno bloccato.-
    Elessar fu subito accanto a Legolas: -Sei il più veloce, vai tu a cercarla. Io, Gimli e Glorfindel ci occuperemo di questo frammento.- Legolas annuì, roteando la spada: -Ci rivedremo alla prima stella della sera, alle porte della città. Come stabilisce il piano.- E non poté fare a meno di scambiarsi uno sguardo con Gimli, già rivolto verso di lui.
 
**

    Sillen continuava a oscillare, come sospesa su un’amaca morbidissima, e si sentiva avvolta da un piacevole tepore.
    L’era parso di sentire la voce di Thranduil.
    No, anche se familiare, non sembrava più la sua voce, quella che continuava a chiamarla: -Sillen, svegliati. Avanti, cerca di riprenderti.- Lei aggrottò le sopracciglia, sussultando per le fitte che il collo continuava a mandarle: -Non… ce la faccio.- Mugolò, trattenendo a stento le lacrime.
    -Finalmente hai ripreso coscienza.-
    Una folata di ventò la colpì in pieno viso e, istintivamente, Sillen s’irrigidì, socchiudendo gli occhi. Intorno a lei c’era solo il cielo. -Cosa… Dove sono?- Sentì il vento scompigliarle i capelli corvini, sfuggiti alla coda ormai quasi completamente sfatta, e abbassò lo sguardo: -Landroval, sei tu?-
    Il Maia voltò appena la testa, squadrandola con il suo occhio rapace: -Sono io.- Poi la sua voce si fece più aspra: -Ti rendi conto del pericolo che hai appena corso? Stavi per morire.- La rimproverò, senza riuscire a celare totalmente la sua preoccupazione.
    Sillen deglutì: di Thranduil proprio non c’era traccia.
    Non si stupì di averlo immaginato.
    Dopotutto, nel momento del bisogno, chi altro avrebbe desiderato avere accanto se non lui?
    Si mosse lentamente, cercando di costatare quante forze avesse in corpo: -Quanto sono stata incosciente?- Chiese, concentrando le proprie energie sul collo, per medicarlo come meglio poteva.
    -Quasi un’ora. Non sono riuscito a portarti alle infermerie, i non morti hanno grosse balestre ai confini. Quegli strumenti infernali e gli esplosivi urticanti abbattono i miei come mosche.- Schioccò il becco minacciosamente, Landroval.
    La stella si tirò a sedere sul dorso dell’aquila, respirando a fondo. -Va bene così. Un’ora mi è bastata per recuperare le forze. Grazie per avermi tenuta lontana dalla battaglia per tutto questo tempo.-
    Accarezzò le piume brune del Maia con naturalezza: -Devi essere molto stanco.- L’altro non rispose ma la stella sentiva che il corpo dell’aquila tremava per lo sforzo. -Avrei dovuto darti ascolto, quella volta.- Aggiunse.
    Non disse altro ma il Maia capì a cosa lei si stesse realmente riferendo: -Sillen, basta così. Ti sei fidata di Alatar perché è nella tua natura, non c’è altro da dire.-
    Lei si morse il labbro inferiore: -Sono un’egoista. Volevo che lui fosse dalla mia parte solo perché ero io ad averne bisogno.-
    L’aquila scrollò appena la testa piumata, troppo pratico perché rimuginasse sul passato: -Hai imparato la lezione.-
    Per un poco, stettero in silenzio, poi la stella sobbalzò: -Un’ora! Aspetta, è passata un’ora?! Landroval, c’è una cosa che devi sapere!- Esclamò, ricordando l’accaduto: -Due elfi al servizio di Pallando erano qui! Uno di loro ha parlato di un’ultima offensiva, credo si riferisse a un assalto decisivo! Tra un’ora disse, quindi adesso! Dobbiamo avvertire gli altri.-
    Il Maia lanciò uno sguardo sotto di sé, acuendo quanto possibile la sua eccelsa vista: -Riesco a vedere Faramir da qui, si dirige verso Nord. Ecco, c’è anche Éomer con lui.-
Sillen strinse i pugni, decisa: -Allora portami su di loro. Cerca di scendere il più possibile, salterò.-
    -No, sei ferita e disarmata. Richiamerò un’altra aquila e andrò io a consegnare il messaggio.- La stella si sporse verso la sua testa scura, seria in viso. -Se atterri ti colpiranno di sicuro. Non ho intenzione di metterti in pericolo.- Cercò di apparire convincente: -Ce la faccio, Landroval. Devi fidarti di me.- Anche se, sentendo la sua voce gracchiante pronunciare quelle affermazioni, non era sicura di crederci nemmeno lei.
    L’aquila soppesò le sue parole poi prese a scendere di quota:
-Ti terrò d’occhio. Se sarai di nuovo in difficoltà, ti porterò via e questa volta ti terrò quassù finché non mi si seccheranno le piume, hai capito bene?- Sillen annuì, strappando rapidamente un pezzo della sua camicia e arrotolandolo attorno al collo, per impedire alla ferita di riaprirsi.
    Landroval si spinse il più possibile vicino a terra e Sillen si lasciò cadere, adocchiando rapidamente i due alleati che doveva raggiungere. Rotolò a terra, frenandosi poi contro il cadavere di un rohirrim. Si tirò su velocemente, stringendo i pugni e ignorando il groppo in gola: -Éomer! Faramir! Éomer!- Gridò, correndo nella loro direzione con il fiato corto.
    Aveva ripreso le forze, certo ma non aveva idea di quanto avrebbe retto senza una vera e propria medicazione.
    Si arrestò accanto a Faramir, sorpreso di vederla: -Sillen, cosa ci fai tu qui? Hai ucciso Pallando?-
    Lei scosse la testa: -Temo sia complicato da spiegare, rimanderemo questa conversazione a dopo.-
    Il Re del Mark si guardò attorno, sentendo la voce della stella e la intercettò. -Stella dei Valar!- Non smontò da cavallo ma anche da lì poté chiaramente scorgere le sue ferite. Corrugò la fronte, squadrandola con apprensione.
    Lei non gli diede il tempo di domandarle cosa fosse successo e si rivolse ai due, perentoria: -Dobbiamo ripiegare sulla città e anticipare la seconda parte del piano! A breve, i nemici sferreranno un attacco più potente e credetemi, saranno in molti! È il momento.-
    Il Signore di Rohan sgranò gli occhi e Faramir riservò alla stella uno sguardo perplesso, disarmando un uruk troppo vicino a loro: -Ma stanno diminuendo! Sei sicura di quello che dici?-
    Quella lo fulminò con lo sguardo: -Se ci attaccano adesso sarà la fine!- Tese un braccio, indicando i rohirrim a cavallo lì attorno:
-Éomer, manda i tuoi uomini più veloci e fai girare il messaggio, dobbiamo accendere le micce! Elessar e gli altri devono essere avvertiti o non si ritireranno in tempo.-
    Due orchi si avventarono su di lei ma Sillen fu più veloce.
    Sotto lo sguardo scosso dei due compagi, raccolse una lancia da terra e si voltò con un unico movimento secco, decapitando entrambi gli orchi. Si rivolse nuovamente a Éomer, fissando gli occhi implacabili nei suoi: -Avvertili!-
 

 
**

    Glorfindel, grazie al diversivo studiato da Elessar, riuscì finalmente ad arrampicarsi sulla schiena del troll dalle zanne ritorte: -Finalmente sei mio.- La sua spada dorata si conficcò con forza sotto il braccio sinistro del troll e, con un potente fendente, riuscì a lacerare la sua carne putrida.
    L’elfo dorato riluceva di un bagliore sovrannaturale mentre affondava il polso nella ferita, senza esitazione. Quando lo ritirò violentemente fuori, il corpo del grosso troll crollò al suolo come un sacco di pietre.
    -Ce l’ha fatta!- Esclamò Gimli. Subito, anche gli altri due troll si afflosciarono a terra, immobili.
    Elessar raggiunse in fretta l’elfo, sollevato: -Ha funzionato. Il frammento li animava tutti e tre.- Il Vanyar scosse la mano piena di melma maleodorante, porgendogli il pezzetto di vetro nero che aveva estratto dalla ferita: -Che schifo.-
    In quel momento, un rohirrim a cavallo li intercettò, sudato e visibilmente agitato. -Miei signori!- Tirò le redini di fronte a loro, ansimando per la folle cavalcata: -La Stella dei Valar comanda di ritirarsi verso le mura, per accendere le micce.-
    Elessar sgranò gli occhi: -Adesso? I nemici sono troppo pochi, non avrebbe senso! Sprecheremmo solo delle risorse preziose.-
    Il giovane soldato di Rohan si asciugò la fronte, scostando l’elmo bronzeo: -Io ho solo riferito, mio signore. Non so rispondere alle vostre domande.-
    Glorfindel avanzò di un passo, visibilmente sollevato: -Dunque hai visto la stella? Dov’è ora?-
    -Poco più a Nord di qui, verso i colli. Combatte al fianco del mio signore, si dirigeranno anche loro alle mura. Affrettatevi!- E voltò la sua cavalcatura, sparendo nella battaglia.
    Glorfindel avrebbe voluto correre immediatamente da Sillen ma si costrinse a voltarsi verso Elessar. Lei stava bene, solo questo gli importava. -Cosa proponi di fare, Re degli Uomini?-
    L’altro, turbato, scosse le spalle: -Faremo quello che Sillen ha ordinato. Non abbiamo altra scelta.-
    L’elfo annuì: -Verrò con te, allora. E teniamo un frammento a testa. Magari ne incontriamo qualcun altro sul cammino.-
    Gimli annuì stancamente, appoggiato all’ascia: -Per una volta sono d’accordo con l’elfo, dammi quel vetrino.-
    Elessar distribuì i tre frammenti e richiamò i soldati attorno a loro: -A tutti voi! Ripiegare alle mura della città, presto! Chi rimarrà qui morirà, muovetevi!- E i soldati presero a correre verso Minas Tirith, allertando i compagni.
    Nella ressa, i tre amici si separarono, cercando di guidare i soldati al luogo stabilito.
    Non senza fatica, Elessar raggiunse le mura esterne della città.
    Superò la retroguardia dei soldati di Gondor e trovò la scala di corda a destra delle grandi porte in mithril.
    Rinfoderò Andúril e si affaccendò contro la scala improvvisata: la salita fu lunga e faticosa, fino in cima.
    -Mio signore, siamo stati avvertiti. I barili sono pronti e attendiamo l’ordine.- Lo informò un soldato, una volta che Elessar fu sulle mura.
    -Sillen non è ancora arrivata?- Chiese lui, lanciando uno sguardo al mare di corpi sotto di loro. -No, ma ci hanno riferito che sta per avvenire un attacco più potente da parte dei nemici. La Stella dei Valar accenderà la grande miccia sul crinale, per dare il via alla controffensiva. Così facendo, riusciranno a vederla anche da Osgiliath.- Elessar annuì, lasciando che il vento lo rigenerasse dalla calura: -Molto bene, disponete i barili e state all’erta.-
    Si voltò per osservare i profili muti e rigidi della sua magnifica città e lo sguardo penetrante dei suoi occhi grigi catturò i bagliori vivaci del sole che tramontava.
 
**

    Un uruk particolarmente rapido affrontò la stella, ormai stanca e ansimante. Fu costretta a indietreggiare di colpo per evitare la pesante lancia insanguinata: -Maledizione! Fatemi passare!- Urlò, schivando un altro affondo.
    Doveva raggiungere il crinale prima che la temuta offensiva avesse luogo ma, di questo passo, non ci sarebbe mai riuscita.
    I suoi occhi s’illuminarono brevemente mentre parava il colpo della lancia, talmente violento da spostarla all’indietro, mentre i suoi piedi creavano solchi profondi nel terreno.
    Purtroppo, non fu più altrettanto rapida.
    L’attimo successivo, infatti, il grosso uruk la colpì con forza disumana, con un brutale calcio all’addome.
    Sillen fu sbalzata indietro per parecchi piedi e cadde violentemente sul terreno brullo, rotolando fino al frastagliato bordo dell’ennesimo crepaccio, dal quale fuoriuscivano i non morti e ancora si agitavano i Mangia Terra.
    La stella sentì tutte le ossa scricchiolare minacciosamente ma ignorò le fitte prepotenti che mandavano e, con un grosso sforzo, cominciò a strisciare il più lontano possibile da lì. Digrignò i denti e si mise carponi, cercando con lo sguardo l’enorme uruk con la lancia: questo, poco lontano, avanzava verso di lei con passi pesanti e cadenzati, il grugno putrefatto coperto dall’elmo nero.
    Sillen ringhiò, terrorizzata, cercando tentoni la propria spada, quando un fragore improvviso scosse la terra.
    Altre voragini volevano dire altri non morti.
    Attorno a lei, sempre più soldati cadevano per mano degli inarrestabili e silenziosi orchi: essi stavano aumentando, l’assalto finale era appena iniziato.
    Sillen cercò di erigere una barriera tra lei e l’uruk ma non riuscì a controllare il proprio potere, reso instabile dalle sue pietose condizioni fisiche.
    Imprecò, il torace che doleva ad ogni respiro.
    Dannazione, cosa poteva fare?
    L’uruk si arrestò davanti a lei e sollevò la lancia, preparandosi a trafiggerla con la sua forza bestiale.
    La stella arrancò indietro, furente, urlando la sua rabbia in direzione del non morto. Questo, silenzioso come una statua, alzò fino allo spasimo l’enorme braccio e Sillen si preparò a incassare il colpo, sperando che l’armatura in mithril fosse abbastanza spessa da resistere ad una tale forza.
    L’uruk abbassò di colpo il braccio ma la stella non fu mai colpita: una freccia si conficcò con forza nella fessura dell’elmo nero del non morto, dritta in mezzo alla fronte.
    Subito, un’altra freccia si piantò nei legamenti del suo braccio armato, che perse forza e si afflosciò lungo il corpo.
    Una figura alta e veloce superò la stella agilmente e le si parò davanti, l’arco teso tra le mani: dardeggiò l’uruk più volte, colpendo con letale precisione tutte le sue giunture.
    Come previsto, il non morto cadde a terra come un sacco vuoto, incapace di muovere gli arti.
    Fu in quel momento che, da Nord, un corno dal suono acuto fendette il clangore della battaglia e tutti gli alleati si guardarono tra loro, sconcertati.
    Non era il corno dei Rohirrim, né quello dei soldati di Gondor.
Sillen non aveva mai sentito il suono di quel preciso corno ma, in qualche modo, capì all’istante a chi apparteneva.
    Il suo cuore perse un battito, mentre la sua mente processava a fatica l’informazione. Fissò la schiena della figura davanti a lei, solo un’ombra che si stagliava nel tramonto, in controluce: la sagoma di un’armatura elegante, un elmo bronzeo affusolato, lunghi capelli mossi dal vento.
    La sua voce si bloccò in gola e, istintivamente, allungò una mano tremante verso quella figura. Questa si voltò nella sua direzione e le andò in contro, svelta: le afferrò la mano con forza e la attirò a sé, stringendole la vita con un braccio, per sostenerla.
    Sillen sentì il cuore battere più forte, lo stomaco contorcersi: sollevò il viso accaldato e, con le labbra ancora tremanti, alzò lo sguardo per incontrare gli agognati e magnifici occhi di-
    -Galion?!- Urlò, quando si trovò faccia a faccia con l’elfo castano. -Che razza di fastidiosa situazione.- Si lamentò lui, trascinandola con sé lontano dall’uruk riverso a terra.
    Sillen si aggrappò alla sua spalla, sconvolta.
    Era confusa, felice, arrabbiata, stanca, felice. No, non riusciva proprio a dare un senso a quel subbuglio interiore.
    Se Galion era lì, anche Thranduil doveva essere arrivato.
    Aveva preso parte alla battaglia? Perché?
    -Sei ferita?- Chiese il silvano, anche se dal tono pareva non gli importasse poi granché.
    La stella volse lo sguardo dietro di sé e vide l’esercito degli elfi di Bosco Atro sopraggiungere dai crinali a Nord, compatto e ordinato, le lance che sfavillavano verso il cielo rosso.
    -Sto bene, devo solo recuperare le forze.- Disse, quando l’elfo la fece sedere dietro i corpi immobili di tre enormi troll.
    -Sanguini dal fianco destro, dalla coscia e dal collo.- Le fece notare lui, scocciato. Sillen premette forte la mano sulla nuova ferita al fianco e sibilò tra i denti, reprimendo un lamento: -Lo so. Il collo e la coscia le ho già guarite il più possibile e questa non è una ferita profonda. Si rimarginerà completamente nel giro di poche ore.- Galion, con una smorfia, estrasse un sacchetto da dietro il mantello rossastro e tirò fuori una manciata di erbacce dalle lunghe foglie scure. Le masticò metodicamente mentre allentava i lacci del corpetto in mithril della stella, per scoprirle la ferita sul fianco. -Athelas.[2]- Disse solamente, mentre la medicava. Sillen sentì all’istante la freschezza della pianta alleviare quell’intenso bruciore, che s’irradiava lungo tutto il ventre e nelle gambe. L’elfo fece altrettanto con le restanti due ferite, infine le fasciò con delle bende pulite. Dovevano sbrigarsi prima che qualche non morto riuscisse a trovarli.
    -Hannon le, Galion. (grazie)- Sussurrò lei, guardando il viso familiare dell’elfo. Lui premette forse un po’ troppo forte sulla ferita alla coscia e lei sobbalzò dal dolore: -Non ringraziarmi, Sillen la Stella. Se fosse dipeso da me, ti avrei più che volentieri lasciata in balia dell’uruk.-
    Nonostante il bruciore intenso, lei sorrise, mesta.
    Come biasimarlo.
    In quel momento Legolas, che per tutto quel tempo aveva cercato la stella, riapparve dal tumulto della battaglia. Si trovò di nuovo davanti ai tre troll abbattuti da Glorfindel, Gimli ed Elessar ma di loro non vi era più traccia.
    Dovevano essersi spostati alla ricerca di nuovi frammenti.
    Poi, contro ogni aspettativa, individuò la stella, a pochi passi di distanza: -Sillen! Eccoti finalmente, ti ho cercata ovunque.- Corse verso di lei, colpendo alle ginocchia gli orchi che intralciavano la sua strada.
    Galion si scostò rispettosamente quando lo vide arrivare e Legolas tastò preoccupato le bende che coprivano le ferite della stella: -Stai bene?- Lei annuì e quello parve accorgersi solo in quel momento dell’altro elfo, ancora accucciato al loro fianco.
    -Galion! Dov’è mio padre?- L’altro chinò rispettosamente la testa, difronte al Principe: -Guida l’avanguardia dell’esercito, mio signore.- Udendo quelle parole, a Sillen si mozzò il respiro: l’idea di Thranduil in uno scontro frontale la mandava nel panico e dovette fare appello a tutta la sua buona volontà per non andare in iperventilazione seduta stante.
    -I capi della guardia sono schierati a Sud-Est e a Nord-Est.- Continuò Galion, diligente. Legolas sorrise, tornando a guardare la stella: -Saranno più di quindicimila soldati e circondano gli orchi. La situazione sta girando a nostro favore, finalmente.-
    Sillen gli strinse un braccio: -Aspetta! Dobbiamo fermarli, ho anticipato la seconda parte del piano. Qui sarà un inferno tra poco!- L’elfo spalancò gli occhi: -Per questo i non morti hanno aperto nuove gallerie.- Lei annuì: -Si riverseranno qui a breve, devo raggiungere il crinale. Tu avverti tuo padre, deve tenere i suoi vicino alla città.- Strinse con decisione i lacci del corpetto, mettendosi in piedi.
    L’elfo biondo si fece avanti per aiutarla ma lei alzò le mani: -Ce la faccio! L’athelas ha funzionato, posso combattere. Vai, ti prego!- Legolas annuì, lanciando uno sguardo serio all’elfo castano, e si precipitò verso l’esercito della sua gente.
    Galion si alzò a sua volta, libero di esprimersi di nuovo a suo piacimento: -Magari questa volta ci resti secca.-
    Sillen stese il braccio destro con una smorfia di dolore, accertandosi che non ci fosse nulla di rotto: -Non devi preoccuparti per me Galion.- Lo informò. Galion scrollò le spalle, onestamente disinteressato: -Lungi da me preoccuparmi. Fai come vuoi.-
    Sillen nemmeno sapeva quantificare la gioia che provava nel vedere quell’elfo dispotico e la forza era tornata a scorrere vigorosa nelle sue membra: voleva porre fine a quella battaglia il più velocemente possibile, poi avrebbe potuto incontrare lui.
    La stella si avvicinò pericolosamente a Galion, con lo sguardo serio e penetrante fisso nel suo e, improvvisamente, lo abbracciò con slancio.
    Quello, preso in contropiede, barcollò un attimo, sgranando gli occhi: -S-Sillen, ma che-
    La stella si staccò subito dopo e, allontanandosi con un sorriso, sfilò abilmente le due spade dai foderi sulla schiena dell’elfo, appropriandosene: -Raggiungi i tuoi, ci vediamo a fine battaglia. E Galion: non morire, d’accordo?- Con quel sorriso raggiante, prese a correre verso il crinale.
    L’elfo castano la guardò allontanarsi, gli occhi ridotti a due fessure e la mascella dolorosamente contratta: -Amin delotha lle. (quanto ti odio.)-



 
[1] Palantìri: (o Pietre Veggenti) Sono gemme sferiche, create dagli Elfi con l’aiuto di Melkor (Morgoth), in Aman. Il loro nome elfico significa letteralmente “coloro che sorvegliano da lontano” ed esse possiedono la straordinaria capacità di comunicare tra loro, mostrando visioni e mettendo in contatto chi le possiede. Sette furono i Palantìri portati nella Terra di Mezzo e finirono per la maggior parte distrutti, perduti o semplicemente custoditi in luoghi sicuri. In passato (per esempio, durante la Guerra dell’Anello) essi vennero usati persino da Saruman e da Sauron stesso, rispettivamente alla Torre di Orthanc e alla fortezza di Barad-dûr. Quest’ultimo Palantir, infatti, si perse nel crollo della fortezza di Mordor, andando distrutto. O almeno, così credevano tutti.
 
[2] Athelas: (anche detta Foglia di Re) è una pianta curativa molto antica, portata sulla Terra di Mezzo dagli uomini di Numenor (i Dunedain). Se utilizzata da mani abili e capaci, l’athelas è in grado di curare la maggior parte delle ferite e quasi tutte le malattie conosciute. Ha foglie verdi e allungate ed è ornata da fiorellini bianchi.


 



N.D.A

Ciao a tutti!

Wow, ben ritrovati amici, dopo ben due settimane! Spero che il capitolo risulti scorrevole, nonostante la lunghezza e la quantità di cose che accadono XD Cooooomunque, cosa ne pensate? Fatemi sapere cari e care, sono sempre pronta alle critiche ;) Grazie a tutti quelli che sono arrivati sino a qui nonostante la mia vergognosa lentezza eheh T-T"

Un Bacio!
la vostra Aleera. 



 
   
 
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