Capitolo quarto: Hunter’s Moon
Will I endure?
If not with you
The midnight sun
The hunter's moon
No days and nights
Of solitude
I'll walk with the reaper
You peril of desire
Now, you sweetest misery
Oh you, you are on my mind
Now time again, time again…
(“Hunter’s Moon” – Delain)
I Baroni di Napoli,
che da tanti anni non tolleravano il dominio aragonese e che erano stati ostili
già a Re Ferrante, al momento attuale erano ancora più infuriati. Quando il Re
era morto e i Francesi avevano invaso Napoli non avevano offerto alcun aiuto al
povero Principe Alfonso, anzi sarebbero stati ben felici se Re Carlo lo avesse
ucciso. Ovviamente non volevano essere soggetti nemmeno al dominio francese,
tuttavia erano convinti che questo non sarebbe durato in eterno, bene o male
prima o poi Re Carlo sarebbe dovuto tornare in Francia e, a quel punto,
speravano di essere loro a gestire il governo del Regno.
In realtà, poi, Re
Carlo aveva posto il suo Generale come reggente del Regno di Napoli, tutelando
e proteggendo il legittimo erede Alfonso. I nobili, tuttavia, non si
preoccupavano più di tanto del Generale francese e tanto meno di Alfonso e, nei
loro feudi, avevano continuato a fare il bello e il cattivo tempo, come era
sempre piaciuto loro fare… e come Re Ferrante non permetteva assolutamente, per
i successivi tre anni!
Quando il Generale
era morto i nobili Baroni avevano esultato, pensando che a quel punto il
Principe Alfonso avrebbe avuto la stessa importanza del due di briscola… ma
poi, inaspettatamente, il Papa Borgia aveva mandato a Napoli suo figlio Juan
come protettore del Principe e tutto
era andato in malora.
La mossa del Borgia
era chiara: il Regno di Napoli sarebbe diventato un nuovo dominio dello Stato
Pontificio e di certo un tipo come Juan Borgia non avrebbe lasciato ai Baroni
le libertà che avevano quando il reggente era il Generale.
Questo non doveva accadere.
La cosa peggiore, per
quei nobili, fu vedere che, a differenza di ciò che si aspettavano, Juan e
Alfonso stavano instaurando un rapporto sempre più confidenziale. Il giovane
Borgia aveva chiaramente incantato e affascinato il Principe e quell’inetto di
Alfonso faceva tutto quello che voleva Juan, era chiaramente un burattino nelle
sue mani. Alcuni dei Baroni o i loro servitori li avevano visti cavalcare o
passeggiare insieme per le tenute attorno a Napoli e per le campagne
circostanti ed erano sembrati particolarmente affiatati. Addirittura quello
stolto di Alfonso pareva aver ritrovato l’allegria e il sorriso perduti dopo la
morte di quel Generale con cui andava perfino a letto… Certo, di sicuro adesso
quella sciagura di Principe andava a letto pure con il giovane Borgia! Si era prostituito prima a i Francesi e adesso
ai Borgia e, di fatto, era dunque il Papa, attraverso Juan, a governare il
Regno di Napoli.
I nobili Baroni non
potevano assolutamente accettarlo.
Fu così che
iniziarono a inviare spie in tutta l’Italia centrale e, in particolare, a Roma
e a Forlì, per scoprire il più possibile sulle depravazioni e i loschi scopi di
Juan Borgia. Avevano udito delle voci secondo le quali, durante l’assedio di
Forlì contro Caterina Sforza, Juan aveva fallito su tutta la linea, dando il
peggio di sé, torturando un ragazzo innocente e finendo per scappare come un
vigliacco non appena l’esercito papale era stato attaccato dalle truppe di Ludovico
Sforza. I Baroni dovevano fare in modo che quelle voci divenissero informazioni
vere e proprie, parlare con chi era stato davvero presente, magari addirittura
far spiare il Papa stesso che, forse, aveva spedito il figlio a Napoli proprio
per allontanarlo dal suo ennesimo fallimento. Una volta ottenute tutte le
informazioni necessarie e provate senza ombra di dubbio, alcuni dei più nobili
signori del Regno, in particolare il Conte di Tricarico Sanseverino, il
Principe di Melfi Caracciolo, il Marchese di Caggiano Gesualdo e il Duca di Bari
Caldora, avrebbero chiesto di essere ricevuti dal Principe Alfonso e gli
avrebbero aperto gli occhi sulle reali mire del suo caro amico Juan.
Ovviamente i Sanseverino,
i Caldora, i Gesualdo e i Caracciolo erano i discendenti di coloro che, anni
prima, avevano partecipato alla Congiura dei Baroni contro Re Ferrante e il
loro vero intento non era certo mettere in guardia Alfonso dal pericolo che
potevano rappresentare i Borgia: era una chiara vendetta per ciò che suo padre
aveva fatto ai loro (la famosa Sala da pranzo con i nobili mummificati e
disposti come per l’Ultima Cena…) e una giusta (secondo loro!) rivendicazione
dei privilegi e benefici che spettavano di diritto alle famiglie più antiche
del Regno. Avrebbero fatto in modo che Alfonso si staccasse dall’influenza del
giovane Borgia e poi sarebbero stati loro a manovrarlo e a governare al suo
posto… ma questo non avevano sicuramente intenzione di dirlo al Principe!
E così, mentre i
nobili del Regno di Napoli inviavano spie e ordivano trame per riprendersi i
poteri che ritenevano appartenere a loro, Alfonso e Juan continuavano a familiarizzare
sempre di più. Il giovane Borgia si trovava a Napoli ormai da più di due
settimane e, se l’inizio era stato piuttosto difficoltoso per via della diffidenza
di Alfonso contro la sua famiglia, dopo l’episodio nella sala delle torture e l’opportuno
chiarimento le cose erano proseguite sempre meglio.
Juan aveva capito che
il Principe era solo e spaventato, che la morte del Generale lo aveva privato
di tutto ciò che gli rimaneva al mondo e che aspettava solo qualcuno di cui
potersi fidare. Gli era bastata un po’ di gentilezza per farsi accettare da lui
e, cosa che non guastava affatto, Alfonso sembrava subire il suo fascino in
modo particolare, sebbene non se ne fosse nemmeno accorto!
Era la prima volta in
tutta la sua vita che Juan Borgia si sentiva veramente soddisfatto di sé. E non
soltanto perché era finalmente riuscito ad accontentare suo padre, che aveva
continuato a offrirgli opportunità anche quando era chiaro che non sarebbe
stato il caso… no, in realtà si sentiva così bene perché Alfonso contava
davvero su di lui, lo considerava una guida, un modello, ed era una cosa che a
Juan non era mai capitata. Sì, suo padre gli aveva dato molte possibilità, ma
aveva anche preteso sempre tanto da lui, per non parlare di quell’invidioso di
Cesare che si sentiva defraudato del suo diritto di primogenito e lo detestava.
Nessuno lo aveva mai fatto sentire importante, aveva sempre avuto qualcosa da dimostrare. Con Alfonso non era così,
non doveva dimostrargli niente, soltanto essere se stesso e quel ragazzo lo
seguiva e lo ammirava senza riserve.
Per la prima volta
nella sua vita non si sentiva giudicato e messo sotto esame, bensì rispettato e
ammirato… e forse anche qualcosa di più.
Era una bella
sensazione per lui, una sorta di rivincita, ma non solo. Juan era davvero più
sereno e contento in quella situazione e stava cominciando a trovare veramente
simpatico Alfonso, adesso che la sua ironia pungente si era smussata e,
soprattutto, non era più rivolta contro di lui!
Inoltre, il Regno di
Napoli, con la sua tranquilla bellezza e i piaceri che offriva, era il luogo
perfetto per uno come Juan Borgia. Sembrava proprio che, a ventitré anni, il
giovane avesse finalmente trovato il suo posto nel mondo e la sua
realizzazione.
Quel pomeriggio erano
andati a fare una lunga gita a cavallo nelle campagne, raggiungendo quasi il
Vesuvio, e Alfonso era parso finalmente più tranquillo e rilassato. Aveva
scherzato con lui, mostrandosi felice di stare in sua compagnia e di fidarsi
ormai totalmente, senza quella reticenza iniziale che, comunque, era anche
comprensibile, considerando ciò che aveva subito a causa di quel perverso e
sadico Re francese…
Tutto pareva procedere
splendidamente, dunque.
Quella sera, però,
rientrati dalla cavalcata, Alfonso aveva notato che Juan sembrava trascinare la
gamba destra, come se sentisse dolore nel camminare normalmente.
“Gonfaloniere, vi
sentite bene?” gli domandò.
Juan si voltò a
guardarlo stupito.
“Io? Sì, certo che mi
sento bene, perché me lo chiedi?”
Era davvero sorpreso. La ferita alla gamba
destra, la famosa ferita ricevuta durante l’assedio di Forlì per una freccia
scoccata da un arciere della stramaledetta Caterina Sforza, lo aveva fatto
soffrire per un bel po’ a Roma. Da un paio di mesi stava meglio, però gli
capitava ancora di provare dolore nell’appoggiare il piede a terra e a volte
zoppicava se si affaticava troppo, ma ormai ci si era abituato. Forse quella
cavalcata era stata troppo lunga…
“Perché mi sembrava di vedervi zoppicare
leggermente” rispose Alfonso. “Vi siete fatto male durante la cavalcata?”
Diamine, ma Alfonso si stava davvero preoccupando per lui? A nessuno fregava
un bel niente della sua gamba, nessuno gli aveva mai chiesto come si sentisse,
se fosse guarito dalla ferita, era una situazione del tutto nuova per Juan.
“No, è solo la ferita alla gamba che ogni
tanto si fa sentire” rispose il giovane, ancora perplesso. Non era proprio
abituato a ricevere simili attenzioni. “Sono stato colpito da una freccia
durante l’assedio di Forlì e… beh, è stata una lunga storia, il dottore mi
aveva detto addirittura che potevo perdere la gamba. Per fortuna pian piano la
ferita si è rimarginata, ma a volte si infiamma e mi fa male se sforzo la
gamba.”
“Oh, mi dispiace, allora è stata colpa della
cavalcata, vi siete sforzato troppo?” insisté Alfonso.
Juan si avvicinò al Principe con una strana
sensazione di tenerezza che non aveva mai provato prima.
Quel ragazzo era veramente preoccupato per
lui e voleva aiutarlo.
“Alfonso, stai tranquillo, non è niente, non
rischio più di perdere la gamba” gli rispose, scompigliandogli affettuosamente
i capelli. Era buffo, a volte il Principe gli sembrava un fratellino minore,
altre volte invece sentiva qualcosa di più intenso, un calore nel cuore che non
sapeva riconoscere, non avendolo mai sperimentato in precedenza.
“Sentite, facciamo così e staremo tutti più
tranquilli” disse Alfonso, con un’aria decisa. “Dopo cena chiamerò il mio
dottore e lui vi esaminerà la ferita, così avrete anche il suo parere e il suo
consiglio.”
Juan era stranamente imbarazzato e tentò di
schermirsi.
“Ma non ce n’è bisogno, davvero, ormai la
ferita è guarita, è solo quando carico eccessivamente la gamba che…”
Alfonso gli prese un braccio, una stretta
affettuosa ma decisa, e lo fissò negli occhi, questa volta senza sentirsi a
disagio. Era troppo preoccupato per le condizioni di salute di Juan per pensare
al proprio turbamento.
“Niente ma, ormai ho deciso. Prendetela come
un fatto personale: se non siete in perfetta salute non potrete nemmeno
proteggermi adeguatamente, non credete?” insisté. “Vi assicuro che il mio
dottore è veramente molto bravo, mi ha saputo curare dopo… dopo quello che mi
avevano fatto… e quelle ferite erano sicuramente molto più gravi e in punti più
delicati… ma lui mi ha guarito perfettamente. Pensate che Re Carlo voleva
portarlo in Francia con sé perché nemmeno là ne aveva di così preparati.
Fidatevi e vedrete che non ve ne pentirete.”
Cosa poteva rispondere Juan? Colpito e
affondato dalla premura di Alfonso, così insolita per lui, accettò. Quella
sera, subito dopo cena, il medico di corte si recò nella stanza del giovane
Borgia per esaminare la sua ferita, accompagnato dal Principe che voleva sapere
tutto sulle condizioni di salute del suo nuovo amico.
Il dottore controllò accuratamente la lesione
sulla gamba di Juan, osservò il gonfiore, l’arrossamento e si accorse che, pur
premendo delicatamente sulle parti circostanti, il giovane sussultava per il
dolore.
“Scusate se mi permetto, mio signore, ma in
che modo avete curato questa piaga?” domandò poi il dottore a Juan.
Il giovane fece una smorfia sprezzante.
“Il mio medico, a Roma, ha detto che sperava che la ferita non andasse in
cancrena, altrimenti sarebbe stato costretto ad amputarmi la gamba e, dopo
avermi così sollevato il morale, mi ha suggerito di usare l’oppio per curarmi”
rispose. *
Il medico si scandalizzò.
“Ma che razza di ciarlatano avete consultato,
mio signore? Perdonatemi l’ardire, ma siete stato davvero fortunato a salvare
la gamba. Oppio? Quello poteva
servire, al massimo, a lenire il dolore, ma certo non combatteva l’infezione”
esclamò. “Purtroppo la ferita è guarita solo apparentemente, ma all’interno c’è
ancora un’infezione in corso ed è per questo che vi tormenta ancora quando la
sforzate. Dovrò effettuare un piccolo intervento, se mi date il vostro
consenso.”
Juan Borgia non sembrava affatto contento, ma
l’alternativa era peggiore. Si guardò intorno con un’aria un po’ sperduta (non
era poi così impavido di fronte al dolore…).
“Che altra scelta ho?” replicò, poco
convinto. “Fai quello che ritieni opportuno, dottore.”
“Allora inciderò la ferita per far uscire
tutto il pus e l’infezione, dopo di che la ripulirò con cura e la curerò con
delle erbe medicamentose molto efficaci, che hanno guarito anche le terribili
lacerazioni subite dal Principe” spiegò il medico. “Alla fine vi spalmerò un
unguento disinfettante e la benderò e per i prossimi dieci giorni cambierò la
medicazione e la fasciatura mattina e sera fino alla completa cicatrizzazione.”
Che gran bella differenza rispetto al dottore
che lo aveva curato (si fa per dire) a Roma! Il giovane Borgia, seppure
vagamente intimorito dalla frase inciderò
la ferita, comprese subito di essere in ottime mani. Però c’era ancora una
cosa che voleva chiedere…
“Resteresti qui con me, Alfonso?” fece.
Oddio, non gli piaceva fare la figura del codardo, ma era effettivamente spaventato, si vedeva chiaramente dai suoi occhi e
dall’espressione del viso, e magari un po’ di sincerità non avrebbe fatto che
rafforzare il legame con il Principe.
Il ragazzo era combattuto: da un lato voleva
restare, anche per rassicurarsi sul fatto che Juan non corresse alcun pericolo;
dall’altro, però, una cosa del genere gli ricordava troppo da vicino quello che
aveva dovuto subire durante le sevizie… Tuttavia si fece forza, si avvicinò al
letto dove il giovane Borgia era sdraiato e gli prese la mano.
“Sono qui, non me ne vado. Solo… credo di non
farcela a guardare…” mormorò.
“Non importa che tu guardi, nemmeno io ho
intenzione di guardare niente” replicò Juan. “Quello che conta è che sia il
dottore a osservare bene quello che fa!”
Il medico sorrise. Era molto affezionato ad
Alfonso e aveva sofferto moltissimo nel vederlo straziato dalle torture e
adesso gli faceva piacere vederlo di nuovo sereno e in buoni rapporti con il figlio
del Papa. Aveva sentito parlare malissimo dei Borgia, come tutti, ma, ora che
lo conosceva di persona, il giovane Juan pareva solo un ragazzo, poco più
grande del suo Principe e anche piuttosto divertente. Era contento di poter
fare qualcosa per lui.
Fine capitolo quarto
* Nella serie TV avviene proprio così, anche se poi Juan sembra
tormentato maggiormente dalle conseguenze della sifilide che dalla ferita alla
gamba. Tuttavia in questo caso preferisco rifarmi alla verità storica secondo
la quale Juan Borgia non aveva affatto la sifilide, di cui era invece affetto
Cesare. Così basterà curare la ferita alla gamba per riavere il nostro Borgia
in perfette condizioni!