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Autore: MaxT    10/06/2020    6 recensioni
Questo racconto è basato su Somewhere only we know di marianna1317, rielaborato e completato da MaxT con l'aiuto dell'autrice originale.
Anni dopo essere morto nel mondo da incubo all'interno di un libro magico, Cedric redivivo si presenta alla porta della donna che ancora lo ama, la guerriera Orube.
Al rifiuto di dare spiegazioni sulla sua resurrezione si creano sospetti e incomprensioni, mentre le storie dei due personaggi si intrecciano con le realtà dei loro mondi natii, e con esuli che vivono in incognito nella città di Heatherfield.
Combattuti tra l'affetto per Orube e il loro dovere, le Guardiane e i saggi di Kandrakar cercano risposta a una domanda: c'è ancora una minaccia nascosta nel Libro degli Elementi?
Genere: Fantasy, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Cedric, Orube
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Riassunto dei capitoli precedenti

 

Tre anni dopo essere morto all'interno del mondo nel magico Libro degli Elementi Cedric, ferito ed esausto, si ripresenta a Villa Rudolph.

Qui abita Orube, ancora innamorata di lui e tornata sulla Terra per riaprire la sua vecchia libreria.

La Saggia Yan Lin, informata, la incarica di chiedergli come ha potuto risorgere e uscire dal Libro degli Elementi, che Orube aveva riportato nello scantinato del Ye Olde Bookshop.

Il portale di Kandrakar viene spostato dallo scantinato al negozio di animali gestito da Matt Olsen.

Per un certo periodo Cedric e Orube convivono in modo apparentemente sereno gestendo la libreria e facendo vita ritirata, ma lui non risponde ad alcuna domanda sul suo ritorno.

Infine però si fa accompagnare nel seminterrato dove c'è ancora il Libro degli Elementi, ma davanti a questo ha una reazione che allarma Orube.

All'ennesimo rifiuto di Cedric di dare spiegazioni, lei lo lascia, ma decide di non raccontare a Kandrakar l'episodio per non peggiorare la situazione del suo ex.

Nel libro c'è tuttora lo spirito del defunto tiranno Phobos, che aveva assorbito energia magica dal portale di Kandrakar al quale era stato imprudentemente lasciato vicino da Orube.

Phobos aveva resuscitato Cedric per farsi aiutare a ricreare il suo corpo. Alla ritrosia di Cedric, lo spirito lo costrinse minacciandolo di nuocere a Orube, e facendogli indossare una magica veste nera. La prima missione di Cedric fu recuperare un'ampolla contenente lacrime di Phobos custodite in una cripta nel Metamondo; la seconda fu di procurarsi trecento bulbi di un particolare fiore, il kollatas, per trasformarli in altrettanti nuovi mormoranti.

Nel frattempo, i contatti tra le Guardiane e Kandrakar sono resi difficoltosi dalla collocazione del portale nel negozio di animali, e loro decidono di chiedere a Orube di spostarlo a casa sua, non più frequentata da Cedric. Le W.I.T.C.H. cominciano anche a mettere in dubbio il racconto di Orube sulla rottura.

A Kandrakar il Saggio Endarno, di ritorno da una convalescenza, mette in questione con gli altri Saggi la condotta di Orube e sollecita a indagare attivamente su possibili minacce ancora contenute nel Libro degli Elementi. Su incarico di Kandrakar, Will entra di nascosto nella libreria di Cedric e vi nasconde cinque segnalibri rivelatori di attività magica.

Il giorno dopo, Orube deve ammettere con Will che ha mentito. Con lei va alla ricerca di una palestra di arti marziali dove lavorare come istruttrice, finché incontra, sotto le mentite spoglie del maestro Stan Luther, il capo guerriero Yarr che aveva conosciuto anni prima a Basiliade.

 

 

 

Capitolo 11

Il potere dei Guerrieri


 

“Si può?”. Senza attendere risposta, Orube spinge la porta della palestra Due Soli, appena accostata.

Sull’altro lato dello stanzone sotterraneo un’altra porta è aperta e illuminata. Nel riquadro si sporge con un gesto di saluto la sagoma possente di Yarr. “Orube? Benvenuta! Da questa parte!”.

Mentre lei attraversa lo stanzone debolmente illuminato, il Maestro la attende nella stanza in fondo.

 

“Entra pure nel mio modesto alloggio”. Con un gesto indica quello che potrebbe essere definito alternativamente come un monolocale, o un cucinino-salotto-camera da letto, o una topaia senza topi, almeno sperabilmente.

“Modesto sul serio”, ribadisce Yarr interpretando lo sguardo di Orube, “Ma un Guerriero si sa adattare senza lamentarsi”.

“Mi piace la tua filosofia”, ammette lei, “Almeno su questo”. Poi osserva quanto c’è sui fornelli. “Stai cucinando… ma sono pietanze di Basiliade?”.

“Le hai riconosciute a colpo! Purtroppo non sono fatte con gli ingredienti originali, ma con quello che ho trovato di più simile”.

Mentre lei si avvicina alle pentole sui fornelli, lui spiega: “E’ fatto con stomaco e polmone di bovini terrestri. Purtroppo da queste parti non esistono i kamucc, ma è discreto lo stesso. A quanto pare, i terrestri mangiano solo i fasci muscolari dei bovini, e i macellai quasi ti tirano indietro queste buone cose. Non sanno cosa perdono!”. Le scosta la sedia. “Ma siediti, è pronto”.

“L’ho notato”, conviene Orube sedendo alla tavola poveramente imbandita. “Trovo veramente immorale uccidere un animale per poi buttare via come scarto la maggior parte del suo corpo, come fanno qui”.

“Ben detto”. Le versa da bere da una caraffa. “Ti piace un po’ di zucchero nell’acqua e aceto, o...”.

“No, grazie. Lo volevo da bambina, ora non più. Lo zucchero annulla l’effetto benefico dell’aceto”.

“Ah, vedo che sei rimasta fedele ai buoni usi del nostro mondo”, si compiace lui sedendosi finalmente a tavola. Fa un gesto rituale davanti al viso. “Ringraziamo gli Dei per questo cibo, e per essere qui a mangiarlo”.

Orube ripete il gesto e la formula, vergognandosi un po’ per il complimento immeritato.

Mangiano quasi in silenzio, come vuole la tradizione. Poi Orube, come da uso, dimostra il suo apprezzamento per il cibo con un sonoro rutto.

Dopo che anche il suo ospite ha espletato il rituale di chiusura, arriva il momento di parlare.

“Allora, Orube, come hai fatto a trovarmi? E’ stato il nome della palestra ad attirare la tua attenzione?”.

Mentre lei ripiega accuratamente il tovagliolo di carta usato, risponde: “Più che altro, mi hanno parlato di te alla palestra “Full Combat”, e mi hanno dato il tuo indirizzo”.

“La Full Combat! Il mio secondo tentativo di fare l’istruttore di arti marziali a Heatherfield”. Yarr scuote il viso. “Non è durato neanche due mesi. Però ho imparato qualcosa dai miei errori”.

“E il primo tentativo?” chiede Orube.

“E’ stato alla New Martial Art. E sai quanto è durato?”.

“Tre minuti?”.

“Proprio così”, conferma un po’ stupito.

“Proprio come me oggi”, ammette Orube.

Yarr sorride condiscendente. “Fammi indovinare: sei arrivata lì sicura, hai guardato cinque minuti e ti sei detta ’questi sono un miglio sotto il mio livello’ , quindi hai chiesto di provare senza neanche sapere che disciplina facevano, hai atterrato l’istruttore in un secondo e ti hanno mandato via come una provocatrice ignorante”.

Orube abbassa il viso arrossendo. “Assolutamente esatto”.

“Oh, beh, si può imparare dagli errori. Nella terza palestra sono durato tre mesi. Avevo corretto qualcosa, ma pretendevo ancora troppo e gli facevo scappare gli allievi. Poi mi sono messo in proprio”.

“E gli allievi scappano ancora?”, chiede lei con un cenno della testa verso la palestra.

“Si, ma non tanto come prima. Ora metto ben in chiaro le regole fin dall’inizio. Chi si adegua vede i risultati, e come!”. Indica una piccola pila di libri e riviste dai nomi evocativi. “Sono riuscito anche a capire un po’ come funziona la federazione, i campionati, le diverse discipline… Insomma, le cose cominciano a ingranare un poco”.

Orube annuisce, cercando di leggere a distanza alcuni nomi esotici sulle coste dei libri. “Quindi è stato difficile adattarsi”.

“Sì, ma è necessario. Avevo sempre creduto, a Basiliade, che fossero gli allievi ad avere bisogno del loro Maestro. Poi ho scoperto che è anche il Maestro ad avere bisogno di loro, e forse di più”.

Orube tace, colpita da questa idea. La sua maestra Luba aveva bisogno di lei? In che modo? Forse un giorno riuscirà a dare significato a quest’idea. Poi decide che è arrivato il momento di affrontare il discorso più importante.

 

“Maestro Yarr, tu mi hai accennato anche altre cose. Del tuo esilio, e di mio fratello Ipitlos. Puoi parlarmi di lui?”.

“Siamo qui per questo. Comincerò dal giorno in cui le mie credenze cominciarono a essere scosse. Fu in quel giorno, circa tre anni e mezzo fa, in cui stavamo per promuovere Himerish a sommo Guerriero. Tu interrompesti la cerimonia per rivendicarlo come Oracolo di Kandrakar, e lui accettò ricordandosi di chi era stato”.

Orube annuisce: ricorda benissimo quell'evento.

Lui prosegue: “Bene, da quel giorno cominciai a chiedermi per quali meriti Himerish fosse stato scelto come Oracolo, che per qualche motivo doveva essere stato un Onore più importante di Sommo Guerriero”.

Fa una breve pausa, guardando Orube con attenzione. Per qualche secondo, il ticchettio dell'orologio a muro si prende la sua rivincita.

Yarr riprende: “La prima conclusione cui arrivai è che forse questo incarico non era tanto un premio, quanto un dovere a cui l’Onore non gli aveva permesso di sottrarsi”.

Orube annuisce attentissima, mentre il Maestro continua: “Il secondo punto è stato chiedersi per quali meriti e quali qualità fosse stato scelto. La mia conclusione fece crollare tutto il sistema di valori che aveva retto la mia vita fin a quel punto: l’Oracolo non era stato scelto per la sua suprema abilità di Guerriero. Doveva esistere qualcosa di più importante, un qualche tipo di saggezza, dal quale il nostro sistema di valori era lontanissimo. Ripensai a poco tempo prima, quando lo avevamo trovato vagante: uno sconosciuto disorientato che non ricordava neanche il suo nome. Lo riconobbi come il mio vecchio Maestro non dal suo aspetto, che appariva giovanile, né dalle sue parole confuse, ma dall’abilità nella lotta. Non convinto, per avere conferma della sua identità gli imposi una prova pericolosissima, che avrebbe potuto essergli fatale. Ora, la mia condotta era stata del tutto conforme alla mentalità di un Capo Guerriero di Basiliade, ma a quel punto mi appariva con occhi nuovi. Mi vergognai di avere sempre visto nell’abilità bellica il metro di tutto: ora intuivo che dovesse esistere una saggezza che sfuggiva a tutta la gerarchia del nostro mondo. Cercai di vedere la nostra società con gli occhi di un ipotetico saggio esterno. E ciò che vidi non mi piacque molto”.

“Perché?”, chiese Orube, sulla difensiva.

“Perché la guerra e la lotta sono alla base della gerarchia”.

“Ma i Guerrieri proteggono gli umili cittadini e i contadini dalla guerra”, protesta lei.

“Si, ma sono essi stessi che la fanno, la guerra! Se la guerra non esistesse, i cittadini non avrebbero più di tanto bisogno di protezione. Quindi la Casta dei Guerrieri, il cuore di tutte le nazioni di Basiliade, crea continuamente delle guerre pretestuose per riaffermare il proprio potere non tanto sui nemici esterni, quanto sulle classi subordinate!”.

“Ma… aspetta, Maestro. Non ci sono solo le guerre! I Guerrieri difendono gli inermi da altre minacce, come i predoni! Mio Padre è morto combattendo contro dei predoni perché il suo Onore gli imponeva di difendere i contadini, ma nessun contadino è mai morto per difendere mio Padre!”.

Yarr annuisce, e riprende con calma: “L’Onore di tuo Padre, come quello di ogni singolo Guerriero, non è in discussione. Dovranno comunque esistere uomini dall’Onore ineccepibile che difendano gli inermi dai predoni. Però la minaccia dei predoni non è così frequente da giustificare il fatto che la guerra e la lotta, e chi le pratica, siano diventate il cuore stesso di tutta la società”.

Orube tamburella nervosamente le dita sul tavolo, non convinta. “E mio fratello Ipitlos era d’accordo con queste tesi?”.

“Sì. Quando arrivai alle mie conclusioni, non confidai a nessuno il mio turbamento, ma decisi di sondare l’ambiente con prudenza cercando qualcuno pronto a condividerle.

Chiesi ad alcuni miei subordinati in cosa pensavano che Himerish eccellesse, per essere stato nominato Oracolo di Kandrakar. Alcuni proposero che dovesse essere un premio supremo per la sua forza e il suo Onore; altri, piuttosto, per la sua saggezza. Facendo domande mirate, li portai a concludere che doveva essere un uomo molto saggio, che aveva ricevuto un incarico importantissimo ai limiti della loro comprensione, e ciò non aveva niente a che fare con la sua abilità nelle arti marziali. Inoltre, che l'incarico di Oracolo non era un premio, ma un impegno gravoso per un bene supremo incomprensibile. Poco a poco li portai a dire che saggezza e abilità marziali potevano non essere sempre associate”.

Lei annuisce di malumore. “Su questo non posso che essere d’accordo. Ma davvero a Basiliade è così faticoso far ammettere una verità così ovvia?”.

Yarr le rivolge un sorriso triste. “Da quanto tempo manchi da lì, Orube?”, poi riprende il racconto: “Il passo successivo era molto più difficile da far passare: la responsabilità della casta dei Guerrieri nelle guerre. Qui dovetti essere ancora più prudente, e limitarmi a domande dalle quali non si potessero trarre direttamente delle conclusioni troppo sconvolgenti. Questa fase di discreta esplorazione durò molti mesi”.

“E Ipitlos? Era tuo allievo?”.

“Esatto. Tuo fratello è un ragazzo molto precoce. Alle mie prime domande, anticipò le mie stesse conclusioni, ma andò oltre. Mi disse anche, con non poco coraggio, che non apprezzava il sistema delle caste, in cui la nascita decide l’inquadramento futuro di chiunque. E mi raccontò qualcosa di ancora più personale”.

“Cosa?”.

“Mi raccontò di come avesse trovato cambiati, freddi e spersonalizzati, tutti i suoi amici e i parenti quando li rincontrava dopo educati nei Giardini”. Yarr tace, distogliendo lo sguardo.

Orube si sente gelare: sa benissimo a cosa si riferiva Ipitlos. Ricorda il gelido imbarazzo tra loro quando, dopo quasi tre anni di addestramento, lei tornò brevemente a casa per il funerale di loro Padre. Ricorda anche, quando era ancora bambina, la delusione bruciante data dal contegno gelido di suo fratello maggiore Entikos, al suo primo ritorno a casa dal Giardino.

“Continua, Maestro Yarr”, dice con fatica.

“A diversi allievi, portati a condividere i miei dubbi, domandai come si sarebbero potute migliorare le cose. La risposta più radicale fu proprio quella di Ipitlos: disse che si poteva fondare una società più giusta ritirandosi in campagna, lontano dalla capitale Ashasvir. Obiettai che, come Guerrieri, saremmo stati richiamati all’obbedienza, e rifiutandoci saremmo stati perseguiti come Senza Onore”.

“E tu invece cosa proponevi, Maestro?” chiede Orube turbata.

Yarr riprende, parlando lentamente: “La mia idea era di cambiare quella società dall’interno, continuando a risvegliare le coscienze con il metodo delle domande. La nostra richiesta sarebbe stata quella di coinvolgere tutte le altre categorie sociali in un governo condiviso, e un ampliamento dei valori di base della società includendovi la cultura: la conoscenza e le arti. Il problema era che ciò era in palese contrasto con il desiderio di potere dei governanti”.

“E quindi?”.

“L’unica speranza era che un Guerriero arrivasse al vertice per le vie tradizionali, per poi iniziare un cambiamento imponendolo dall’alto”.

“E Ipitlos...”

“Ipitlos invece pensava che fosse necessario un contatto con i ceti inferiori, che prendessero coscienza dello stato di cose per fare pressione sui Guerrieri, ma stando attenti a non violare nessuna legge. Dopotutto, il codice d'Onore dei Guerrieri impone che questi non possano usare il loro potere per intimidire le persone oneste”.

“Senza violare nessuna legge...”, riflette lei ad alta voce.

“Proprio così, Orube. Però il problema della sua teoria è che, se il potere identifica una nuova minaccia, può facilmente cambiare le leggi”.

“Come?”, si stupisce Orube, “Pensavo che le leggi fossero immutabili!”.

Lui la guarda con condiscendenza. “Non è così, Orube. Infatti dopo qualche mese qualcuno ci tradì. Venni arrestato in base a una legge mai sentita, promulgata quasi in segreto pochi giorni prima. E non solo io”.

Orube tenta, senza successo, di nascondere l'ansia per suo fratello. “E...”.

“Ipitlos e altri, per puro caso, quella notte erano al di fuori dei loro alloggi e sfuggirono all’arresto”.

Orube chiude gli occhi un attimo, in un breve ringraziamento agli Dei. “E poi...”.

“Mi portarono davanti al Tribunale dell'Onore” riprende il Maestro con tono grave. “Venni riconosciuto colpevole di cospirazione e condannato a scegliere tra un onorevole suicidio e una disonorevole decapitazione. Scelsi il suicidio, ovviamente, ma prima che potessi metterlo in pratica, vennero a dirmi che ero stato condannato all'esilio a vita perché l'Oracolo di Kandrakar aveva interceduto per me. Partii, scortato da due Guerrieri di Kandrakar dalla pesante armatura laccata di bianco, in un istante venni avvolto in una luce e subito ci trovammo alla Fortezza”.

“L’Oracolo aveva interceduto?”, si stupisce Orube, “A Kandrakar non se ne seppe niente… io, almeno, non ne seppi niente”.

Lui annuisce. “Penso che la cosa fosse molto imbarazzante. Parlai brevemente con l'Oracolo, che mi aveva salvato per la nostra vecchia amicizia. Disse però che non aveva potuto fare niente per i miei compagni, perché quella sua intercessione era già una violazione al principio di non ingerenza di Kandrakar”.

Yarr tace brevemente, forse pensando a coloro che si era lasciato indietro, poi riprende: “Per magia, la Fortezza mi fornì in un istante la conoscenza della lingua e degli usi di Heatherfield. Mi fornì anche una certa quantità di denaro e documenti, spiegandomene l'uso. L'Oracolo mi avvertì che non avrei potuto contare su ulteriori aiuti”.

Detto questo, Yarr tace. Lo sgocciolio del lavello tenta di riempire il silenzio caduto nella stanza.

Orube, scossa, fatica a parlare. “Maestro Yarr, difficilmente avresti potuto dire parole che mi turbassero di più. L’Onore della nostra Casta ne esce orribilmente sminuito”.

“Vorrei fare qualcosa per ristabilirlo, Orube. E quando sono sfiduciato, penso a Himerish, l’Oracolo. No, non per aiuto: ha già chiarito che non ne riceverò altro da Kandrakar. Mi piace ricordare che anche lui fu rovesciato e privato del suo rango da una cospirazione, ma risorse e con lui la giustizia tornò a Kandrakar. E così, se la Dea della Giustizia veglia ancora su Basiliade, io spero che un giorno potrò tornare lì a testa alta, e che le mie istanze verranno ascoltate per il bene di tutte le genti del nostro mondo”.

 

 

Attraversando nella tarda serata le vie malfamate per tornare a casa, Orube continua a ripensare, sconvolta. La sua casta che opprime il popolo… suo fratello che le si oppone… possibile?

E’ vero, non se ne è mai resa conto pienamente prima d’ora, ma ha sempre usato la parola ‘Guerriero’ come il massimo elogio per una persona stimata.

L’Oracolo viene dai Guerrieri, ma non è nella sua posizione per fare alcuna guerra. E’ ancora un Guerriero?

E Will? Più di una volta, quando ha voluto esprimerle stima, l’ha definita una Guerriera. Ma lei si sarà sentita così dentro di sé?

 

 

 

 

Note sul cap.11

 

L'abbozzo originale di questo capitolo è di Marianna1317, mentre il suo adattamento a molti aspetti della saga e la sua stesura finale è mia.

Devo dire che la Basiliade descritta nei pochi frammenti di W.I.T.C.H. in cui appare, soprattutto nei n.42 e 43, non mi ha affatto dato l'idea di un luogo di saggezza; poter mettere questa critica in bocca a Yarr (che nel fumetto mi era sembrato il più fanatico di tutti) mi ha dato soddisfazione, permettendomi di riabilitare il personaggio e al tempo stesso di esplicitare alcune delle cose che pensai ai tempi in cui lessi il fumetto.

Ho fatto del mio meglio per conciliare questa visione irrazionale nel fumetto con la Basiliade che ho descritto in La figlia del Guerriero, tutta incentrata sui concetti di Onore e Dovere, soffocante ma anche calma e razionale.

 

 

La cronologia di W.I.T.C.H. Parte 11

 

Un mio contributo alla cronologia della saga di W.I.T.C.H. che purtroppo ha visto la luce solo in minima parte è stata una mia long fiction dedicata alle Gocce Astrali, le sosia delle Guardiane create con la magia e ribellatesi alle loro creatrici.

La storia sarebbe iniziata immediatamente dopo la loro liberazione nel finale del n.36 (marzo 2002) e sarebbe durata poco più di un anno fino a confluire, attorno a giugno 2003, nel loro coinvolgimento nella mia long fiction Profezie da parte di Elyon e di Vera.

Non tutto il lavoro fatto è stato perso: in parte è stato riassunto in Profezie nei racconti delle Gocce, e mi ha permesso di dare molta profondità a questi personaggi.

Inoltre una parte del testo originale è stato estrapolato e pubblicato nella mia fanfiction Sogni di goccia, all'epoca preparata per un concorso.

Questa storia, della durata di pochi giorni, racconta dell'ultimo tragico tentativo fatto dalla goccia di Will, Wanda, per contattare Matt Olsen.

Estratta dal contesto della long fiction, la storia continua oltre la conclusione dell'episodio dell'incontro, quello che sarebbe il suo finale naturale, ma avevo ancora degli altri

prompt da rispettare.

L'episodio dell'incontro tra Wanda e Matt avviene circa un mese dopo la liberazione delle gocce, quindi nell'aprile 2002, più o meno nel periodo dell'inizio della saga di Endarno.

  
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