Anime & Manga > Saint Seiya
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Autore: SHUN DI ANDROMEDA    11/06/2020    1 recensioni
[Angst/HurtComfort/FamilyFluff][PostHades]
Versione riveduta e corretta, divisa opportunamente in capitoli, della mia fic con lo stesso nome.
Quando non si sa se le cose miglioreranno o meno, quando un certo numero di segreti sono talmente dolorosi da rischiare di distruggere una famiglia ancora prima che questa possa muovere i primi passi...
Quando la Guerra Santa porta ferite molto più profonde di quelle fisiche.
Genere: Drammatico, Fluff, Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Pegasus Seiya
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
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- Questa storia fa parte della serie 'Nei Giardini Che Nessuno Sa'
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CAPITOLO 17

UNA FAMIGLIA CHE PRENDE FORMA

 

Ikki non sapeva cosa l'avesse svegliato dal sonno poco ristoratore in cui era precipitato, con la testa a ciondoloni sul petto mentre sedeva sulla scomoda sedia di plastica che aveva trovato nella stanza; con un movimento doloroso, il ragazzo si mise dritto, e strizzò più volte gli occhi nel tentativo di distinguere qualcosa nella semi-oscurità che lo circondava, mentre il dolore ai muscoli si faceva più intenso ad ogni nuovo movimento, o tentativo di farlo.

Con cautela, mosse il collo: questo piccolo movimento gli strappò un lamento di dolore, segno che le botte che aveva preso dovevano aver lasciato qualche conseguenza.

Sentendosi stranamente più lucido del solito, il Saint di Phoenix strinse il pugno e, con fatica, si mise in piedi, riuscendo finalmente a distinguere la sagoma del fratello che giaceva sul letto di fronte a lui, debolmente illuminata da una fioca luce che proveniva dalla strada.

Seiya.

Il pensiero del fratello lo colpì come un pugno nello stomaco e si rese conto finalmente di cosa l'aveva svegliato.

Piangeva.

Poteva sentirlo singhiozzare e avrebbe riconosciuto quei bassi ansimi misti a lamenti ovunque, troppe erano state le notti in cui si era ritrovato a dividere la stanza con Seiya quando erano bambini; in quelle notti, quando lui sembrava addormentato e senza alcuna preoccupazione al mondo, aveva invece trascorso le lunghe ore di buio in bianco, con l'orecchio teso a udire i fievoli lamenti che provenivano dal letto di Shiryu, presso cui Seiya aveva imparato presto a cercare conforto alla malinconia e al dolore ancora troppo fresco di non poter più vedere la sorella.

Aveva imparato a riconoscerli come aveva imparato fin dalla più tenera età a riconoscere quelli di Shun quando si aggrappava a lui alla ricerca di calore e conforto, di cure e cibo.

E, forse, già da allora nel suo cuore si era radicato un seme di affetto, di amore fraterno…

No.

Con una fitta di dolore che gli squassò il petto, Ikki si piegò in avanti e trattenne a stento un lamento.

Non poteva lasciarsi vincere da quel sentimento che aveva così a lungo tentato di reprimere.

Poteva ancora sconfiggerlo.

Poteva ancora proteggerli da sé stesso e dargli la vita che meritavano, non una vita macchiata dalla presenza di una persona che non aveva cercato di fare altro che di ucciderli, di una persona che aveva alzato le mani sul sangue del proprio sangue, che aveva odiato tutti loro e aveva desiderato la loro morte in maniera dolorosa.

Seiya era al sicuro, si disse, ricordando quanto accaduto nelle ultime ore.

Era riuscito a portarlo in salvo.

Poteva andarsene, aveva già perso troppo tempo e più i minuti passavano e più Seiya era esposto al male che sentiva di emanare da ogni poro.

Ikki doveva andarsene.

In quel momento, dalle labbra del ragazzo più giovane eruppe un lamento, l'ennesimo, e un'invocazione.

"Mamma…"

Ikki, titubante, si avvicinò di un passo e, illuminate dalla luce di alcuni fari di una macchina che passava in quel momento, vide le lacrime.

Le vide scorrere come fiumi in piena lungo le guance scarne e pallide di Seiya, le vide morire tra le sue labbra e sul lenzuolo che lo copriva fino al collo, le vide picchettare il cuscino e inumidirne il tessuto.

Non avevano alcun freno.

Qualunque cosa stesse sognando Seiya in preda alla febbre, non doveva essere piacevole.

Il suo primo istinto fu quello di sfiorargli le guance pallide con la punta delle dita.

Le sentì gelide, pelle di ghiaccio contro pelle così bollente che neppure il freddo più intenso riusciva a spegnerne il fuoco che emanava; ne delineò i lineamenti con delicatezza, come il tocco di un fantasma che si prepara ad abbandonare per sempre il mondo terreno ma desiderando ricordare almeno un po' il volto di una persona amata.

Seiya si lamentò ancora, singhiozzò nel sonno e altre lacrime, unite a invocazioni accorate, sgorgarono dai suoi occhi chiusi.

"Niisan… Io… Io…"

Ikki si paralizzò sul posto mentre le orecchie rimbombavano del battito del proprio cuore che sembrava essere diventato quasi assordante.

Seiya lo stava chiamando.

Seiya lo stava cercando.

Anche senza che il fratello avesse pronunciato il suo nome, Ikki sapeva che lo stava cercando.

Lo sentiva nella pronuncia accorata di quelle quattro sillabe, nella supplica che si celava nella sua voce rotta dal pianto.

Ikki sapeva che Seiya lo stava cercando e che l'aveva sempre cercato, che si era spinto in un mondo buio e freddo soltanto per poterlo rivedere, anche per un attimo.

Fu quella consapevolezza, improvvisa come il temporale d'estate, a spingerlo ad agire: con infinita attenzione, la stessa cura che aveva riservato in passato soltanto a Shun e che ora sentiva fosse qualcosa che doveva anche a Seiya, lo prese tra le braccia e gli fece poggiare il capo sul proprio petto; come aveva fatto soltanto per Shun in passato, lo cullò tra le braccia mentre le prime lacrime dopo anni di deserto emotivo gli caddero dagli occhi, andandosi a mischiare con quelle che ancora uscivano a stille da quelli gonfi di Seiya.

Non si accorse subito del risveglio del ragazzo più giovane, ma fu la mano di lui, tremante e fredda che sfiorava il bicipite nudo, a riscuoterlo; i loro occhi si incontrarono nella semi-oscurità, castano nel blu, e il sorriso sghembo che il tredicenne gli rivolse sembrò illuminare la stanza di nuova luce, pulsante di vita.

"Niisan…" sussurrò Seiya con voce roca, di pianto e malattia.

Con la gola serrata e incapace di dire alcunchè, Ikki si limitò ad annuire prima di muoversi con l'intento di farlo nuovamente sdraiare, ma Seiya lo bloccò con una mano alzata e tremante, che gli sfiorò la guancia: "Dove sei stato, niisan?" mormorò Seiya, "Mi sei mancato…" confessò con un filo di voce.

Con la voce nella sua testa che gli urlava di andarsene, di scappare lontano, di non infettare altri con il male che trasudava, Ikki si lasciò sfuggire un lamento di dolore, mentre il cuore nel petto sembrava sul punto di esplodere, tanto gli faceva male; combattuto, diviso tra la volontà di andarsene via e il bruciante desiderio di restare, Ikki si piegò in avanti e artigliò con una mano il lembo della maglietta all'altezza del cuore mentre altre lacrime continuavano a scorrere dai suoi occhi.

Il ragazzo più anziano strinse i denti mentre nuove ondate di dolore lo lambivano, i singhiozzi si affollavano nella sua gola, impedendogli di respirare a meno di non lasciarli uscire, e Ikki non voleva affatto lasciar loro campo libero: non poteva lasciarglielo, oppure avrebbe perso quell'ultima stilla di controllo che ancora aveva.

Controllo che tuttavia perse un attimo dopo, quando le braccia sottili di Seiya andarono a cingergli il collo e il fratello affossò il proprio viso contro la sua spalla: "Niisan… So che hai paura… Le mamme… Le mamme me l'hanno detto." confessò lui in un sussurro, "Ma non devi più averne, ci sono io qui con te. Io sono qui, e sono vivo."

Poi, con una mano, Seiya prese quella libera del fratello e se la portò al petto, all'altezza del cuore: "È un cuore malandato, ma batte ancora, e ha continuato a battere per tornare da te, da voi tutti… E continuerà a farlo, sempre e soltanto per voi, per la mia famiglia…" confessò mentre un tenero sorriso gli sfiorava le labbra rosate: "Scusami…"

Ikki non riusciva a parlare, avrebbe voluto chiedergli per cosa si stesse scusando ma le parole non avevano la forza di uscire.

"Scusami per avervi costretti a vedermi… A sentirmi morire."

La voce di Seiya, così sottile, gli diede l'impressione di un ultimo respiro e istintivamente Ikki lo strinse di più, come a volergli impedire di andarsene via ancora.

"Scusami per tutto il male che vi ho fatto… Che ti ho fatto."

Era troppo.

Ogni singola difesa che il Saint di Phoenix aveva tirato su negli ultimi anni, sulla strada prima e durante l'addestramento, quelle stesse difese che l'avevano reso vulnerabile a paura e rabbia represse – le stesse che aveva equivocato come male che suppurava da lui come una ferita infetta -, crollò miseramente come un castello di sabbia travolto dai marosi in tempesta sull'oceano.

E mentre piangevano, uno tra le braccia dell'altro, finalmente le ferite cominciavano a rimarginarsi.

§§§

Fu un bussare leggero alla porta a distrarre Ikki e ad attirarne l'attenzione, parecchi minuti dopo.

Sfinito, Seiya si era appisolato con la testa a ciondoloni contro la spalla del fratello, il quale l'aveva di nuovo sdraiato sul materasso e coperto con la trapunta che fino a pochi istanti prima giaceva abbandonata a terra.

Sul chi vive, il ragazzo più anziano si alzò in piedi e scrutò la porta con espressione allucinata mentre questa si apriva con un cigolio e, dalla soglia, entrava una lama di luce che illuminava la sagoma di Saori.

Come se fosse stato un animale sorpreso sulla strada dai fari di una macchina, Ikki restò paralizzato sul posto, incapace di dire alcunchè mentre il Cosmo divino di Athena abbracciava entrambi con calore quasi materno.

Senza dire nulla, sorridendo appena, Saori attraversò la stanza in silenzio e li raggiunse; dopo aver lanciato un'occhiata rassicurante a Ikki, lei si chinò su Seiya e gli posò un bacio sulla fronte, prima di prenderne la mano: "Eravamo preoccupati per voi." disse soltanto, non aveva bisogno di specificare chi fosse il destinatario della sua preoccupazione.

Il Saint di Pegasus si mosse nel sonno, ma non si svegliò, a suo agio sia per il calore della coperta che per la presenza di Saori al suo fianco.

Quando finalmente la reincarnazione in terra di Athena fu soddisfatta, questa si mise in piedi e spostò la propria attenzione su Ikki, ancora fermo immobile accanto al letto.

Con gentilezza, lei gli fece cenno di sedersi sul bordo libero del materasso, per poi imitarlo subito dopo che questi si fu accomodato.

Un attimo dopo, Saori gli prese la mano e la strinse nella propria, più piccola e sottile, delicata.

"Sono venuta a prendervi, se vuoi tornare a casa con noi." iniziò lei con voce bassa per non svegliare il suo protetto esausto: "Non voglio costringerti a fare niente, Ikki." precisò, tenendo lo sguardo fisso su quello del ragazzo più grande, "Ma non è più necessario che tu ti nasconda, vorrei prendermi cura di te come sto cercando di prendermi cura anche degli altri. E non lo faccio perché mi sento in dovere, ma piuttosto perché voglio aiutarti, vogliamo aiutarti. Io per prima sono colpevole di questa situazione perché è vero che Seiya aveva bisogno di aiuto, ma non per questo trascurare te e questo dolore che ti stai portando dietro da anni è stata una cosa giusta. Sei rimasto solo troppo a lungo, e non voglio che questo accada ancora."

Sulle prime, la reazione che Ikki ebbe fu di rabbia, e il ragazzo sentì il proprio Cosmo eruttare con violenza e quasi schiaffeggiare Saori, ma la sottile barriera dorata – invisibile ai più ma non a lui – la protesse e dissolse il lembo di Cosmo infuocato che era scattato in avanti per colpire la Dea.

Questa gli sorrise triste, ma non lasciò andare la sua mano: "So che credi di essere il male incarnato, che credi che Shun e tutti gli altri stiano meglio senza di te, lo so benissimo," disse lei, prima di alzare la mano per interromperlo, "Lo so perchè molto spesso ho creduto di me stessa la medesima cosa." aggiunse lei, mentre l'espressione affettuosa si tramutava in una smorfia di dolore.

"Quando morì mio nonno… Quando morì mio nonno e trovai i documenti dove si parlava di voi, quando trovai il vero testamento e non quello fasullo che la Fondazione prese in mano per farmi erede, ebbi un momento di mancamento, subentrato da rabbia e dolore. Avevo sempre saputo di non essere sua figlia, di non avere con lui alcun legame di sangue, eppure avevo osato toccare i suoi figli, avevo osato ferirvi in maniera indicibile per un bambino e avevo permesso a Tatsumi di torturarvi. Sì, so tutto." Saori rispose alla domanda inespressa sul viso allucinato di Ikki: "Credo di averlo sempre saputo, e questo non ha mitigato la mia percezione, se possibile l'ha esacerbata. Mi sono sentita il male incarnato, la crudele aguzzina di bambini che avrebbero avuto più diritto di me di vivere nel lusso e nella bambagia, la torturatrice. L'ho detto anche a Ban qualche settimana fa: la coscienza di Athena deve essersi risvegliata in quel momento.".

"Siamo uguali in questo, Ikki. Abbiamo creduto di essere il male, di ferire ogni cosa che tocchiamo, ogni persona che ci è cara, ma la realtà è ben diversa. Torna a casa con me, con noi. Ricostruiremo tutto, te lo prometto."

Una volta di più in quella nottata gelida, malgrado la paura e la rabbia, Ikki decise di fidarsi: con un semplice cenno di assenso con la testa, acconsentì.

Qualcosa, in lui, si era spezzato, e uno strano calore – che non pensava più di provare in vita propria - iniziò a riempirgli il petto mentre sentiva di aver ripreso a respirare più liberamente.

Quando Satsuki entrò nella stanza, seguita dai due individui che Ikki ricordava avessero soccorso lui e Seiya, lei gli rivolse un sorriso gentile prima di concentrarsi su Seiya; in un turbinio di azioni troppo rapide perché la sua mente completamente priva di energie riuscisse a concepirle, caricarono Seiya su una barella mentre lui e Saori rimanevano in piedi a poca distanza.

Quando terminarono di preparare il fratello per il viaggio, Ikki rispose con un grugnito al saluto di Sasagawa e del suo compagno che si congedavano da loro con alcune ultime  raccomandazioni, la sua attenzione era completamente assorbita dal viso pallido di Seiya.

Saori, con gentilezza, lo tirò dietro di sé lungo il corridoio e poi all'esterno.

Una volta che Satsuki e l'autista dell'ambulanza ebbero caricato la barella a bordo, lei e Ikki salirono a bordo, accomodandosi sulla panca accanto a Satsuki.

Meccanicamente, Ikki prese la mano di Seiya che spuntava da sotto la coperta e la strinse con forza: non disse nulla, non ce n'era bisogno.

Stavano tornando a casa.

Insieme.

§§§

Quando l'ambulanza rientrò nel cortile della clinica, a sirene spente, Meiko e Jean erano in attesa sulla soglia dell'ingresso dell'edificio principale: una volta apertosi il portellone, i due infermieri si avvicinarono per aiutare e facilitare la discesa della barella di Seiya – svegliatosi da poco ma ancora intontito -; dietro, vennero Satsuki, Ikki e Saori, lei chiudeva la fila con dei documenti tra le mani.

"Bentornato, Seiya-kun, ci hai fatti preoccupare." Meiko si chinò sul ragazzino e gli sistemò i capelli dietro le orecchie con fare materno.

Jean si era portato accanto a Ikki per spingere la barella mentre Satsuki si affrettava all'interno per andare a cercare il dottor Makishima e avvertirlo del loro ritorno.

Quando il gruppetto si ritrovò nel corridoio, Saori notò subito il resto dei ragazzi addormentati sulle panche, gli uni praticamente sopra gli altri: "Gliele ho messe io addosso." disse Fournier mentre indicava le coperte, "Non hanno voluto scendere in caffetteria e si sono addormentati così, non volevo che prendessero freddo."

Saori annuì riconoscente: "Grazie del pensiero, Fournier-kun."

Ikki non disse nulla, ma restò immobile a fissare il mucchio di corpi sparpagliati per la fila di panche in posizione precaria, li riconobbe per le sfumature delle capigliature, prima Shun, abbracciato a Hyoga, poi Shiryu, che era aggrappato alla spalla di Geki, il quale faceva da cuscino a tutti quanti; Ban, con la testa di Jabu sulle ginocchia aveva le braccia strette attorno alle spalle di Ichi e Nachi.

Non sarebbe bastata una spranga per separarli.

A Ikki si chiuse lo stomaco e il groppo che aveva in gola minacciò di soffocarlo: si lasciò sfuggire un singhiozzo che, per quanto basso, ebbe l'effetto di svegliare Shun; il fratello si mosse nel dormiveglia tra le braccia di Hyoga, con il risultato di disturbare a cascata tutti gli altri e svegliarli.

Ma fu lo stesso Shun il primo ad aprire gli occhi e a riconoscerlo.

In un momento, il più giovane si lanciò tra le sue braccia, ripetendone in maniera quasi ossessiva il nome; istintivamente, Ikki ne fermò la caduta, stringendolo con forza mentre gli altri attorno a loro borbottavano per il brusco risveglio.

"Siete tornati!" esclamò Jabu con voce arrocchita, quando riconobbe Saori prima e poi Ikki a terra con Shun: "Dov'è Seiya?" chiese poi.

"In camera," indicò Saori, puntando il dito verso la porta della stanza: "Ha la febbre piuttosto alta e qualche graffio, ma sta bene."

Jabu annuì, poi si alzò dalla panca e si portò davanti a Ikki con espressione truce: "Sai che sei veramente stupido?" gli disse, dopo averlo osservato con aria torva per qualche minuto, "Dove sei stato per tutto questo tempo? Ti abbiamo cercato un sacco!"

Ikki non rispose e, dopo aver sciolto l'abbraccio con Shun, si alzò in piedi e diede le spalle a Unicorn, prima di dirigersi verso il punto più esterno della panca, lo sguardo tenuto basso e il fianco tenuto fermo dalla mano mentre si sedeva.

"Ti sei ferito?" Shiryu fu il primo ad affiancarlo; con una mano sulla spalla, lo costrinse ad alzare lo sguardo – Shiryu lo vide velato di lacrime –: "Fammi vedere." disse, il suo tono era pacato ma non ammetteva la minima protesta.

Ikki lo lasciò fare e, quando il Saint di Dragon gli ebbe sollevato la maglietta, la prima cosa che questi vide fu la pelle tumefatta, violacea per una serie di lividi che percorreva il fianco dall'ascella alla vita; quando Shiryu lo toccò, Ikki si lamentò.

"Hai almeno tre costole rotte." lo avvertì, prima di passare ad esaminare la benda logora e sporca di sangue che gli cingeva il busto, sotto la quale si intravedeva una ferita arrossata e infetta.

Il resto dei fratelli li circondò, osservando la scena con orrore.

Shun sussultò spaventato mentre Jabu allungava la mano per saggiarne la temperatura: "Quest'idiota ha la febbre!" gridò, prima di afferrare la mano di Hyoga, sempre gelida, per usarla al posto di una pezza bagnata.

Ikki esalò un sospiro di sollievo intanto che si lasciava cadere privo di forze contro il muro.

Hyoga prese la coperta che Shun gli passava e la drappeggiò sulle spalle del fratello maggiore e Ichi si fece strada tra loro con una bottiglia d'acqua in mano: "Me l'ha data Jean-san." disse lui con una scrollata di spalle, "Makishima-sensei ha quasi finito con Seiya, appena possibile verrà qui." aggiunse.

Shun si sedette accanto a Ikki e posò la testa contro la spalla del Saint di Phoenix: "Niisan… Come hai fatto a ridurti così?" mormorò tra le lacrime.

"Chiederselo è inutile." Hyoga teneva ancora la mano sulla fronte del fratello: "Dovremmo piuttosto chiederci come fare ad aiutarlo." Shiryu, nonostante fosse in pensiero per Seiya, sentiva di dover prima di tutto occuparsi di quella situazione.

"E c'è ancora da chiederselo?" Jabu giocherellava con il cordino della felpa: "Quando Seiya verrà dimesso, anche a costo di legarlo e buttarlo in macchina, porteremo alla villa anche Ikki."

"Anche se i modi di Jabu sono un po'… bruschi, credo che sia l'idea più sensata." Ban, che aveva raccolto tutte le coperte e le aveva riconsegnate a Jean, sovrastava i fratelli: "Ha perso peso, è praticamente l'ombra di sé stesso, ed è chiaro che non abbia avuto molta cura della propria salute. Anche lui è nostro fratello, e dobbiamo prendercene cura."

E mentre i suoi ragazzi discutevano del modo migliore per curare le ferite sia del corpo che dello spirito di Ikki, a Saori sfuggì un singhiozzo commosso.

La famiglia che aveva tanto sognato stava finalmente prendendo forma davanti a suoi occhi.

   
 
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