CAPITOLO
17
UNA
FAMIGLIA CHE PRENDE FORMA
Ikki
non sapeva cosa l'avesse svegliato dal sonno
poco ristoratore in cui era precipitato, con la testa a ciondoloni sul
petto
mentre sedeva sulla scomoda sedia di plastica che aveva trovato nella
stanza;
con un movimento doloroso, il ragazzo si mise dritto, e
strizzò più volte gli
occhi nel tentativo di distinguere qualcosa nella
semi-oscurità che lo
circondava, mentre il dolore ai muscoli si faceva più
intenso ad ogni nuovo
movimento, o tentativo di farlo.
Con
cautela, mosse il collo: questo piccolo
movimento gli strappò un lamento di dolore, segno che le
botte che aveva preso
dovevano aver lasciato qualche conseguenza.
Sentendosi
stranamente più lucido del solito, il
Saint di Phoenix strinse il pugno e, con fatica, si mise in piedi,
riuscendo
finalmente a distinguere la sagoma del fratello che giaceva sul letto
di fronte
a lui, debolmente illuminata da una fioca luce che proveniva dalla
strada.
Seiya.
Il
pensiero del fratello lo colpì come un pugno
nello stomaco e si rese conto finalmente di cosa l'aveva svegliato.
Piangeva.
Poteva
sentirlo singhiozzare e avrebbe riconosciuto
quei bassi ansimi misti a lamenti ovunque, troppe erano state le notti
in cui
si era ritrovato a dividere la stanza con Seiya quando erano bambini;
in quelle
notti, quando lui sembrava addormentato e senza alcuna preoccupazione
al mondo,
aveva invece trascorso le lunghe ore di buio in bianco, con l'orecchio
teso a
udire i fievoli lamenti che provenivano dal letto di Shiryu, presso cui
Seiya
aveva imparato presto a cercare conforto alla malinconia e al dolore
ancora
troppo fresco di non poter più vedere la sorella.
Aveva
imparato a riconoscerli come aveva imparato
fin dalla più tenera età a riconoscere quelli di
Shun quando si aggrappava a
lui alla ricerca di calore e conforto, di cure e cibo.
E,
forse, già da allora nel suo cuore si era
radicato un seme di affetto, di amore fraterno…
No.
Con
una fitta di dolore che gli squassò il petto,
Ikki si piegò in avanti e trattenne a stento un lamento.
Non
poteva lasciarsi vincere da quel sentimento che
aveva così a lungo tentato di reprimere.
Poteva
ancora sconfiggerlo.
Poteva
ancora proteggerli da sé stesso e dargli la
vita che meritavano, non una vita macchiata dalla presenza di una
persona che
non aveva cercato di fare altro che di ucciderli, di una persona che
aveva
alzato le mani sul sangue del proprio sangue, che aveva odiato tutti
loro e
aveva desiderato la loro morte in maniera dolorosa.
Seiya
era al sicuro, si disse, ricordando quanto
accaduto nelle ultime ore.
Era
riuscito a portarlo in salvo.
Poteva
andarsene, aveva già perso troppo tempo e più
i minuti passavano e più Seiya era esposto al male che
sentiva di emanare da
ogni poro.
Ikki
doveva andarsene.
In
quel momento, dalle labbra del ragazzo più
giovane eruppe un lamento, l'ennesimo, e un'invocazione.
"Mamma…"
Ikki,
titubante, si avvicinò di un passo e,
illuminate dalla luce di alcuni fari di una macchina che passava in
quel
momento, vide le lacrime.
Le
vide scorrere come fiumi in piena lungo le guance
scarne e pallide di Seiya, le vide morire tra le sue labbra e sul
lenzuolo che
lo copriva fino al collo, le vide picchettare il cuscino e inumidirne
il
tessuto.
Non
avevano alcun freno.
Qualunque
cosa stesse sognando Seiya in preda alla
febbre, non doveva essere piacevole.
Il
suo primo istinto fu quello di sfiorargli le
guance pallide con la punta delle dita.
Le
sentì gelide, pelle di ghiaccio contro pelle così
bollente che neppure il freddo più intenso riusciva a
spegnerne il fuoco che
emanava; ne delineò i lineamenti con delicatezza, come il
tocco di un fantasma
che si prepara ad abbandonare per sempre il mondo terreno ma
desiderando
ricordare almeno un po' il volto di una persona amata.
Seiya
si lamentò ancora, singhiozzò nel sonno e
altre lacrime, unite a invocazioni accorate, sgorgarono dai suoi occhi
chiusi.
"Niisan…
Io… Io…"
Ikki
si paralizzò sul posto mentre le orecchie
rimbombavano del battito del proprio cuore che sembrava essere
diventato quasi
assordante.
Seiya
lo stava chiamando.
Seiya
lo stava cercando.
Anche
senza che il fratello avesse pronunciato il
suo nome, Ikki sapeva che lo stava cercando.
Lo
sentiva nella pronuncia accorata di quelle quattro
sillabe, nella supplica che si celava nella sua voce rotta dal pianto.
Ikki
sapeva che Seiya lo stava cercando e che
l'aveva sempre cercato, che si era spinto in un mondo buio e freddo
soltanto
per poterlo rivedere, anche per un attimo.
Fu
quella consapevolezza, improvvisa come il
temporale d'estate, a spingerlo ad agire: con infinita attenzione, la
stessa
cura che aveva riservato in passato soltanto a Shun e che ora sentiva
fosse
qualcosa che doveva anche a Seiya, lo prese tra le braccia e gli fece
poggiare
il capo sul proprio petto; come aveva fatto soltanto per Shun in
passato, lo
cullò tra le braccia mentre le prime lacrime dopo anni di
deserto emotivo gli
caddero dagli occhi, andandosi a mischiare con quelle che ancora
uscivano a
stille da quelli gonfi di Seiya.
Non
si accorse subito del risveglio del ragazzo più
giovane, ma fu la mano di lui, tremante e fredda che sfiorava il
bicipite nudo,
a riscuoterlo; i loro occhi si incontrarono nella
semi-oscurità, castano nel
blu, e il sorriso sghembo che il tredicenne gli rivolse
sembrò illuminare la
stanza di nuova luce, pulsante di vita.
"Niisan…"
sussurrò Seiya con voce roca, di
pianto e malattia.
Con
la gola serrata e incapace di dire alcunchè,
Ikki si limitò ad annuire prima di muoversi con l'intento di
farlo nuovamente
sdraiare, ma Seiya lo bloccò con una mano alzata e tremante,
che gli sfiorò la
guancia: "Dove sei stato, niisan?" mormorò Seiya, "Mi sei
mancato…" confessò con un filo di voce.
Con
la voce nella sua testa che gli urlava di
andarsene, di scappare lontano, di non infettare altri con il male che
trasudava, Ikki si lasciò sfuggire un lamento di dolore,
mentre il cuore nel
petto sembrava sul punto di esplodere, tanto gli faceva male;
combattuto,
diviso tra la volontà di andarsene via e il bruciante
desiderio di restare,
Ikki si piegò in avanti e artigliò con una mano
il lembo della maglietta
all'altezza del cuore mentre altre lacrime continuavano a scorrere dai
suoi
occhi.
Il
ragazzo più anziano strinse i denti mentre nuove
ondate di dolore lo lambivano, i singhiozzi si affollavano nella sua
gola,
impedendogli di respirare a meno di non lasciarli uscire, e Ikki non
voleva
affatto lasciar loro campo libero: non poteva lasciarglielo, oppure
avrebbe
perso quell'ultima stilla di controllo che ancora aveva.
Controllo
che tuttavia perse un attimo dopo, quando
le braccia sottili di Seiya andarono a cingergli il collo e il fratello
affossò
il proprio viso contro la sua spalla: "Niisan… So che hai
paura… Le mamme…
Le mamme me l'hanno detto." confessò lui in un sussurro, "Ma
non devi
più averne, ci sono io qui con te. Io sono qui, e sono vivo."
Poi,
con una mano, Seiya prese quella libera del
fratello e se la portò al petto, all'altezza del cuore:
"È un cuore
malandato, ma batte ancora, e ha continuato a battere per tornare da
te, da voi
tutti… E continuerà a farlo, sempre e soltanto
per voi, per la mia famiglia…"
confessò mentre un tenero sorriso gli sfiorava le labbra
rosate: "Scusami…"
Ikki
non riusciva a parlare, avrebbe voluto
chiedergli per cosa si stesse scusando ma le parole non avevano la
forza di
uscire.
"Scusami
per avervi costretti a vedermi… A
sentirmi morire."
La
voce di Seiya, così sottile, gli diede l'impressione
di un ultimo respiro e istintivamente Ikki lo strinse di
più, come a volergli
impedire di andarsene via ancora.
"Scusami
per tutto il male che vi ho fatto… Che
ti ho fatto."
Era
troppo.
Ogni
singola difesa che il Saint di Phoenix aveva
tirato su negli ultimi anni, sulla strada prima e durante
l'addestramento,
quelle stesse difese che l'avevano reso vulnerabile a paura e rabbia
represse –
le stesse che aveva equivocato come male che suppurava da lui come una
ferita
infetta -, crollò miseramente come un castello di sabbia
travolto dai marosi in
tempesta sull'oceano.
E
mentre piangevano, uno tra le braccia dell'altro,
finalmente le ferite cominciavano a rimarginarsi.
§§§
Fu
un bussare leggero alla porta a distrarre Ikki e
ad attirarne l'attenzione, parecchi minuti dopo.
Sfinito,
Seiya si era appisolato con la testa a
ciondoloni contro la spalla del fratello, il quale l'aveva di nuovo
sdraiato
sul materasso e coperto con la trapunta che fino a pochi istanti prima
giaceva
abbandonata a terra.
Sul
chi vive, il ragazzo più anziano si alzò in
piedi e scrutò la porta con espressione allucinata mentre
questa si apriva con
un cigolio e, dalla soglia, entrava una lama di luce che illuminava la
sagoma
di Saori.
Come
se fosse stato un animale sorpreso sulla strada
dai fari di una macchina, Ikki restò paralizzato sul posto,
incapace di dire
alcunchè mentre il Cosmo divino di Athena abbracciava
entrambi con calore quasi
materno.
Senza
dire nulla, sorridendo appena, Saori
attraversò la stanza in silenzio e li raggiunse; dopo aver
lanciato un'occhiata
rassicurante a Ikki, lei si chinò su Seiya e gli
posò un bacio sulla fronte,
prima di prenderne la mano: "Eravamo preoccupati per voi." disse
soltanto,
non aveva bisogno di specificare chi fosse il destinatario della sua
preoccupazione.
Il
Saint di Pegasus si mosse nel sonno, ma non si
svegliò, a suo agio sia per il calore della coperta che per
la presenza di
Saori al suo fianco.
Quando
finalmente la reincarnazione in terra di
Athena fu soddisfatta, questa si mise in piedi e spostò la
propria attenzione
su Ikki, ancora fermo immobile accanto al letto.
Con
gentilezza, lei gli fece cenno di sedersi sul
bordo libero del materasso, per poi imitarlo subito dopo che questi si
fu
accomodato.
Un
attimo dopo, Saori gli prese la mano e la strinse
nella propria, più piccola e sottile, delicata.
"Sono
venuta a prendervi, se vuoi tornare a
casa con noi." iniziò lei con voce bassa per non svegliare
il suo protetto
esausto: "Non voglio costringerti a fare niente, Ikki."
precisò,
tenendo lo sguardo fisso su quello del ragazzo più grande,
"Ma non è più
necessario che tu ti nasconda, vorrei prendermi cura di te come sto
cercando di
prendermi cura anche degli altri. E non lo faccio perché mi
sento in dovere, ma
piuttosto perché voglio aiutarti, vogliamo aiutarti. Io per
prima sono
colpevole di questa situazione perché è vero che
Seiya aveva bisogno di aiuto,
ma non per questo trascurare te e questo dolore che ti stai portando
dietro da
anni è stata una cosa giusta. Sei rimasto solo troppo a
lungo, e non voglio che
questo accada ancora."
Sulle
prime, la reazione che Ikki ebbe fu di rabbia,
e il ragazzo sentì il proprio Cosmo eruttare con violenza e
quasi
schiaffeggiare Saori, ma la sottile barriera dorata –
invisibile ai più ma non
a lui – la protesse e dissolse il lembo di Cosmo infuocato
che era scattato in
avanti per colpire la Dea.
Questa
gli sorrise triste, ma non lasciò andare la
sua mano: "So che credi di essere il male incarnato, che credi che Shun
e
tutti gli altri stiano meglio senza di te, lo so benissimo," disse lei,
prima di alzare la mano per interromperlo, "Lo so perchè
molto spesso ho
creduto di me stessa la medesima cosa." aggiunse lei, mentre
l'espressione
affettuosa si tramutava in una smorfia di dolore.
"Quando
morì mio nonno… Quando morì mio nonno
e
trovai i documenti dove si parlava di voi, quando trovai il vero
testamento e
non quello fasullo che la Fondazione prese in mano per farmi erede,
ebbi un
momento di mancamento, subentrato da rabbia e dolore. Avevo sempre
saputo di
non essere sua figlia, di non avere con lui alcun legame di sangue,
eppure
avevo osato toccare i suoi figli, avevo osato ferirvi in maniera
indicibile per
un bambino e avevo permesso a Tatsumi di torturarvi. Sì, so
tutto." Saori
rispose alla domanda inespressa sul viso allucinato di Ikki: "Credo di
averlo sempre saputo, e questo non ha mitigato la mia percezione, se
possibile
l'ha esacerbata. Mi sono sentita il male incarnato, la crudele aguzzina
di
bambini che avrebbero avuto più diritto di me di vivere nel
lusso e nella
bambagia, la torturatrice. L'ho detto anche a Ban qualche settimana fa:
la
coscienza di Athena deve essersi risvegliata in quel momento.".
"Siamo
uguali in questo, Ikki. Abbiamo creduto
di essere il male, di ferire ogni cosa che tocchiamo, ogni persona che
ci è
cara, ma la realtà è ben diversa. Torna a casa
con me, con noi. Ricostruiremo
tutto, te lo prometto."
Una
volta di più in quella nottata gelida, malgrado
la paura e la rabbia, Ikki decise di fidarsi: con un semplice cenno di
assenso
con la testa, acconsentì.
Qualcosa,
in lui, si era spezzato, e uno strano
calore – che non pensava più di provare in vita
propria - iniziò a riempirgli
il petto mentre sentiva di aver ripreso a respirare più
liberamente.
Quando
Satsuki entrò nella stanza, seguita dai due
individui che Ikki ricordava avessero soccorso lui e Seiya, lei gli
rivolse un
sorriso gentile prima di concentrarsi su Seiya; in un turbinio di
azioni troppo
rapide perché la sua mente completamente priva di energie
riuscisse a
concepirle, caricarono Seiya su una barella mentre lui e Saori
rimanevano in
piedi a poca distanza.
Quando
terminarono di preparare il fratello per il
viaggio, Ikki rispose con un grugnito al saluto di Sasagawa e del suo
compagno
che si congedavano da loro con alcune ultime
raccomandazioni, la sua attenzione era completamente
assorbita dal viso
pallido di Seiya.
Saori,
con gentilezza, lo tirò dietro di sé lungo il
corridoio e poi all'esterno.
Una
volta che Satsuki e l'autista dell'ambulanza ebbero
caricato la barella a bordo, lei e Ikki salirono a bordo, accomodandosi
sulla
panca accanto a Satsuki.
Meccanicamente,
Ikki prese la mano di Seiya che
spuntava da sotto la coperta e la strinse con forza: non disse nulla,
non ce
n'era bisogno.
Stavano
tornando a casa.
Insieme.
§§§
Quando
l'ambulanza rientrò nel cortile della
clinica, a sirene spente, Meiko e Jean erano in attesa sulla soglia
dell'ingresso dell'edificio principale: una volta apertosi il
portellone, i due
infermieri si avvicinarono per aiutare e facilitare la discesa della
barella di
Seiya – svegliatosi da poco ma ancora intontito -; dietro,
vennero Satsuki,
Ikki e Saori, lei chiudeva la fila con dei documenti tra le mani.
"Bentornato,
Seiya-kun, ci hai fatti
preoccupare." Meiko si chinò sul ragazzino e gli
sistemò i capelli dietro
le orecchie con fare materno.
Jean
si era portato accanto a Ikki per spingere la
barella mentre Satsuki si affrettava all'interno per andare a cercare
il dottor
Makishima e avvertirlo del loro ritorno.
Quando
il gruppetto si ritrovò nel corridoio, Saori
notò subito il resto dei ragazzi addormentati sulle panche,
gli uni
praticamente sopra gli altri: "Gliele ho messe io addosso." disse
Fournier mentre indicava le coperte, "Non hanno voluto scendere in
caffetteria e si sono addormentati così, non volevo che
prendessero
freddo."
Saori
annuì riconoscente: "Grazie del pensiero,
Fournier-kun."
Ikki
non disse nulla, ma restò immobile a fissare il
mucchio di corpi sparpagliati per la fila di panche in posizione
precaria, li
riconobbe per le sfumature delle capigliature, prima Shun, abbracciato
a Hyoga,
poi Shiryu, che era aggrappato alla spalla di Geki, il quale faceva da
cuscino
a tutti quanti; Ban, con la testa di Jabu sulle ginocchia aveva le
braccia
strette attorno alle spalle di Ichi e Nachi.
Non
sarebbe bastata una spranga per separarli.
A
Ikki si chiuse lo stomaco e il groppo che aveva in
gola minacciò di soffocarlo: si lasciò sfuggire
un singhiozzo che, per quanto
basso, ebbe l'effetto di svegliare Shun; il fratello si mosse nel
dormiveglia
tra le braccia di Hyoga, con il risultato di disturbare a cascata tutti
gli
altri e svegliarli.
Ma
fu lo stesso Shun il primo ad aprire gli occhi e
a riconoscerlo.
In
un momento, il più giovane si lanciò tra le sue
braccia, ripetendone in maniera quasi ossessiva il nome;
istintivamente, Ikki
ne fermò la caduta, stringendolo con forza mentre gli altri
attorno a loro
borbottavano per il brusco risveglio.
"Siete
tornati!" esclamò Jabu con voce
arrocchita, quando riconobbe Saori prima e poi Ikki a terra con Shun:
"Dov'è
Seiya?" chiese poi.
"In
camera," indicò Saori, puntando il
dito verso la porta della stanza: "Ha la febbre piuttosto alta e
qualche
graffio, ma sta bene."
Jabu
annuì, poi si alzò dalla panca e si
portò
davanti a Ikki con espressione truce: "Sai che sei veramente
stupido?" gli disse, dopo averlo osservato con aria torva per qualche
minuto, "Dove sei stato per tutto questo tempo? Ti abbiamo cercato un
sacco!"
Ikki
non rispose e, dopo aver sciolto l'abbraccio
con Shun, si alzò in piedi e diede le spalle a Unicorn,
prima di dirigersi
verso il punto più esterno della panca, lo sguardo tenuto
basso e il fianco
tenuto fermo dalla mano mentre si sedeva.
"Ti
sei ferito?" Shiryu fu il primo ad
affiancarlo; con una mano sulla spalla, lo costrinse ad alzare lo
sguardo –
Shiryu lo vide velato di lacrime –: "Fammi vedere." disse, il
suo
tono era pacato ma non ammetteva la minima protesta.
Ikki
lo lasciò fare e, quando il Saint di Dragon gli
ebbe sollevato la maglietta, la prima cosa che questi vide fu la pelle
tumefatta, violacea per una serie di lividi che percorreva il fianco
dall'ascella alla vita; quando Shiryu lo toccò, Ikki si
lamentò.
"Hai
almeno tre costole rotte." lo avvertì,
prima di passare ad esaminare la benda logora e sporca di sangue che
gli
cingeva il busto, sotto la quale si intravedeva una ferita arrossata e
infetta.
Il
resto dei fratelli li circondò, osservando la
scena con orrore.
Shun
sussultò spaventato mentre Jabu allungava la
mano per saggiarne la temperatura: "Quest'idiota ha la febbre!"
gridò, prima di afferrare la mano di Hyoga, sempre gelida,
per usarla al posto
di una pezza bagnata.
Ikki
esalò un sospiro di sollievo intanto che si
lasciava cadere privo di forze contro il muro.
Hyoga
prese la coperta che Shun gli passava e la
drappeggiò sulle spalle del fratello maggiore e Ichi si fece
strada tra loro
con una bottiglia d'acqua in mano: "Me l'ha data Jean-san." disse lui
con una scrollata di spalle, "Makishima-sensei ha quasi finito con
Seiya,
appena possibile verrà qui." aggiunse.
Shun
si sedette accanto a Ikki e posò la testa
contro la spalla del Saint di Phoenix: "Niisan… Come hai
fatto a ridurti
così?" mormorò tra le lacrime.
"Chiederselo
è inutile." Hyoga teneva
ancora la mano sulla fronte del fratello: "Dovremmo piuttosto chiederci
come fare ad aiutarlo." Shiryu, nonostante fosse in pensiero per Seiya,
sentiva di dover prima di tutto occuparsi di quella situazione.
"E
c'è ancora da chiederselo?" Jabu
giocherellava con il cordino della felpa: "Quando Seiya
verrà dimesso,
anche a costo di legarlo e buttarlo in macchina, porteremo alla villa
anche
Ikki."
"Anche
se i modi di Jabu sono un po'… bruschi,
credo che sia l'idea più sensata." Ban, che aveva raccolto
tutte le
coperte e le aveva riconsegnate a Jean, sovrastava i fratelli: "Ha
perso
peso, è praticamente l'ombra di sé stesso, ed
è chiaro che non abbia avuto
molta cura della propria salute. Anche lui è nostro
fratello, e dobbiamo
prendercene cura."
E
mentre i suoi ragazzi discutevano del modo
migliore per curare le ferite sia del corpo che dello spirito di Ikki,
a Saori
sfuggì un singhiozzo commosso.
La
famiglia che aveva tanto sognato stava finalmente
prendendo forma davanti a suoi occhi.