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Autore: babykit87l    12/06/2020    0 recensioni
Martino e Niccolò stanno insieme ormai da sette anni, finché un evento traumatico non cambia le loro vite stravolgendole. Sarà dura tornare alla vecchia vita o forse l'unica soluzione è considerare la possibilità di iniziarne una nuova.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 1  

 

Era seduto su una delle seggioline del pronto soccorso, con il telefono e il portafogli di Niccolò in mano. Accanto a lui c’erano Giovanni, Filippo e i signori Fares, avvertiti da Giovanni che aveva preso la situazione in mano. Martino lo aveva cercato non appena aveva terminato la chiamata con Davide, il ragazzo che aveva soccorso Niccolò. Giovanni aveva percepito subito il panico nella voce del suo migliore amico, così si era attivato subito, andando a prenderlo per evitare che dovesse guidare in quello stato. Aveva poi istruito Eva affinché avvertisse i loro amici – Filippo aveva infatti deciso di raggiungere i ragazzi, per stare vicino a Martino – e mentre guidava aveva chiamato i genitori di Nico. Li aveva frettolosamente informati su quanto era successo, e si erano ritrovati tutti lì. Martino aveva subito raggiunto Davide, facendosi raccontare come erano andate le cose. 

“Io non so cosa sia successo di preciso. So solo che stavo camminando e ho visto questo ragazzo a terra, credevo fosse un barbone, ma poi ho notato del sangue e mi sono avvicinato. Quando ho visto il volto tumefatto e la ferita alla testa, ho capito che l’avevano menato, una rissa forse, non lo so, però ho chiamato il 118 e ho seguito l’ambulanza fin qui. Non so altro.” 

“Okay, grazie. Davvero.” 

“Figurati. Ho chiamato i carabinieri visto che probabilmente dovrà fare una denuncia.” 

“Sicuramente.” Intervenne il padre di Niccolò, già livido in volto.  

“Okay, appena arrivano, me ne vado. Dovrò dire quello che so, come ho fatto con voi.” 

Così erano rimasti in silenzio per più di un’ora. I carabinieri avevano preso la testimonianza del ragazzo e avevano fatto diverse domande a Martino e ai genitori di Niccolò - “ha avuto scontri con qualcuno? C'è qualcuno che potrebbe avercela con lui? È una persona facile alla rissa?” 

No. No. No. 

Alla fine dissero che sarebbero tornati nei giorni successivi per la denuncia di Niccolò.  

Martino si avvicinò al banco accettazione del pronto soccorso, chiedendo per l’ennesima volta se avevano notizie di Niccolò. L'infermiera ogni volta lo guardava con uno sguardo compassionevole, che lo innervosiva al punto che avrebbe volentieri spaccato il bancone. Se c’era una cosa che odiava era fare pena a qualcuno.  

“È ancora in sala operatoria. Appena sarà tutto finito, il medico verrà e Le darà tutte le informazioni.” 

“Sì ma sono passate due ore, possibile che sia ancora dentro?” Alzò la voce senza riuscire a trattenersi. “Magari è morto e non me lo vogliono far sapere!”  

“Marti, dai.”  Giovanni gli si era immediatamente avvicinato, cercando di calmarlo. “Se è in sala operatoria è probabile che ci vogliano ore, gli interventi a volte durano tanto.” 

“Scusi, non volevo alzare la voce.” Mormorò e si rimise seduto sulla seggiolina.  

Passarono pochi minuti e Martino vide entrare dalle porte automatiche due facce conosciute. Si alzò in piedi e li raggiunse, abbracciandoli stretti a sé.  

“Che ci fai qui?”  

Sana lo guardò, fulminandolo, e gli batté un pugno sul braccio. “Ti pare che ti lasciavo da solo qui?” 

“Sì, ma sei incinta, al settimo mese tra l’altro, dovresti riposare.” 

“Sono incinta, mica malata.” 

“Io c’ho provato a dissuaderla, ma sai com’è fatta.” Ibrahim alzò le mani in segno di resa di fronte alla determinazione della ragazza, che sorrise prima di prendere Martino da parte e sedersi per parlare. 

“Hai saputo qualcosa? Com'è successo?” 

“Non so un cazzo, Sana. So solo che l’hanno picchiato. A te chi l’ha detto?” 

“Eva. Senti qui al Forlanini c’è un mio ex compagno di corso. Provo a chiedere a lui se sa qualcosa, che dici?”  

“No, tranquilla, tanto siamo qui già da due ore e non penso ci metteranno tanto di più.” 

“Okay. Tu come stai?” Sana si dimostrò subito materna e finora, nonostante gli altri gli fossero stati vicini, era stata l’unica a chiedergli come stava.  

“Ho paura. Non che non si riprenda, so che è forte. Ma... se fosse stato un attacco omofobo? Se l’hanno picchiato per quello?” 

Sana rimase in silenzio, cercando le parole giuste. Purtroppo la paura di Martino ancora oggi era più che fondata. Spesso si sentivano notizie del genere al telegiornale, in alcuni periodi poi ancora di più. Martino e Niccolò erano fortunati ad avere amici e familiari che li amavano e che avevano creato una rete di protezione intorno a loro. Un piccolo angolo in quale farli sentire al sicuro, in grado di far loro dimenticare che razza di gente - piena d'odio e di cattiveria - ci fosse là fuori. Ma a volte questo non bastava e con molta probabilità quello che era successo quella notte ne era la prova.  

“Se fosse così, Niccolò farà la denuncia e i carabinieri faranno il loro lavoro per non lasciarli impuniti.” 

“Ho una rabbia in corpo che non hai idea. Spaccherei qualunque cosa in questo momento.” Martino teneva i pugni chiusi e lo sguardo basso a fissare le scarpe. 

“Lo so. Sai che devi fare ora?” Sana gli poggiò la mano sul ginocchio. 

“Cosa?” 

“Devi essere forte e paziente. Anche se è difficile. E quando tra poco sarà possibile entrare da Nico, ti metterai lì vicino a lui e gli starai vicino.” 

“Sarei dovuto andare io a fare la spesa. Non sarebbe successo niente se non gliel’avessi chiesto.” 

“Ma che cazzo stai dicendo, Marti? Magari sarebbe successo a te.” 

“Sì, ma lui sarebbe stato al sicuro.” 

“E avresti preferito che ci fosse lui in questa situazione di incertezza? Con la paura di sapere se sei vivo o morto?”  

Martino alzò lo sguardo e la fissò per un momento. “Che stronza che sei. No, non vorrei nemmeno questo.” 

“E allora smettila di dire ste cazzate. Okay?”  

“Okay.” Poi si alzò per tornare dai genitori di Niccolò. “Grazie!” Sussurrò mentre l’abbracciava stretta a sé.  

Passò un’altra ora, prima che finalmente un medico uscisse nella sala del pronto soccorso e chiamasse a sé i signori Fares. Martino si avvicinò insieme a loro e Anna gli strinse la mano, cercando di farsi forza. 

“Siete i genitori?” 

“Sì, e lui è il compagno di nostro figlio.” Subito rispose la donna. 

“Okay, allora… è fuori pericolo. Ha un polmone collassato e abbiamo dovuto inserire un catetere per permettere al polmone di riespandersi, ma dovremmo essere in grado di toglierlo in un paio di giorni. Ha diverse contusioni interne e un trauma cranico esteso. Ma per capire l’entità del danno celebrale, attendiamo che si risvegli. Per ora gli abbiamo somministrato degli antidolorifici e l’abbiamo anestetizzato.” 

“Senta, nostro figlio ha un disturbo borderline di personalità. Questo trauma cranico di cui parla, può far peggiorare il disturbo?” Il padre di Niccolò intervenne, preoccupato per la situazione descritta.   

“Peggiorarlo no, ma sicuramente accentuarlo sì. Dipende dall’entità del danno. Vediamo nei prossimi giorni.” 

“Possiamo vederlo?” Chiese Martino. 

“Sì, vi faccio chiamare dall’infermiera appena viene portato in camera intensiva.” 

Poi scomparve nuovamente dentro il corridoio interno, dietro le porte antipanico. I tre rimasero fermi davanti alla porta ormai chiusa e dopo un respiro profondo tornarono dagli altri che erano rimasti in disparte, permettendo loro di avere la giusta privacy. 

“Allora? Come sta?” Giovanni chiese subito. 

Prese la parola Anna, tenendo sempre la mano stretta a quella di Martino che aveva gli occhi lucidi e uno sguardo stravolto. Lo stesso di alcuni anni prima, quando aveva lasciato Niccolò per paura di perderlo. Anche stavolta la paura di perderlo la faceva da padrone, nella testa e nel cuore del ragazzo. 

Anna spiegò quello che il medico aveva detto e poi propose a tutti di andare a casa a riposare. Si erano fatte le quattro del mattino e avevano tutti bisogno di recuperare le forze dopo la nottata. Giovanni si propose di rimanere e dare sostegno, ma i signori Fares furono irremovibili ed alla fine riuscirono a convincere tutti a tornare a casa, soprattutto Sana.  

Così rimasero solo loro tre, in quella sala d’aspetto del pronto soccorso, dove ormai non c’era quasi più nessuno e il silenzio entrava fin dentro le ossa. Alla fine l’infermiera si palesò, li accompagnò nel reparto intensivo e permise loro di vederlo per qualche minuto, ma spiegò che al momento era inutile rimanere lì, soprattutto visto che il ragazzo era adulto, e consigliò loro di andare a casa e di tornare il giorno dopo.  

Entrarono in camera e a Martino si spezzò il fiato in gola. Niccolò era sul letto, la testa fasciata, un tubo usciva dal fianco sinistro. Aveva il volto tumefatto, con uno zigomo spaccato e un occhio fin troppo gonfio. Era difficile credere che fosse lo stesso ragazzo che fino a poche ore prima sorrideva con occhi splendenti e l’entusiasmo di un bambino. Si avvicinarono al letto e restarono così, pietrificati, senza avere nemmeno il coraggio di sfiorare la mano poggiata a peso morto sul materasso. Nessuno riuscì a dire una parola, solo il rumore delle macchine a riempire quel silenzio assordante.  

Quando l’infermiera tornò per farli andare via, Martino trovò la forza di avvicinarsi un po’ di più e lasciare un bacio a fior di labbra sulla fronte in parte coperta dalla fasciatura e sussurrò piano “torno domani, okay? Tieni duro”. Poi uscì dalla stanza senza voltarsi o non avrebbe avuto il coraggio di andarsene.  

“Sei in macchina?” Chiese il signor Fares mentre uscivano sulla Circonvallazione Gianicolense. Era ormai sereno, la pioggia aveva smesso di battere, ma le strade erano ancora bagnate. 

“No, mi è venuto a prendere Gio a casa.” 

“Allora ti accompagniamo noi.”  

Salirono in macchina e in breve arrivarono davanti all’edificio, in cui ormai abitavano da sei anni. Ricordava ancora quando Niccolò gli aveva parlato di quella casa, dove aveva vissuto metà della sua infanzia con la nonna. Era stata un’emozione incredibile quando la signora l’aveva ceduta a entrambi, firmando i documenti per farli diventare entrambi intestatari dell’appartamento. E ormai quelle quattro mura erano diventate  casa . 

Entrò nello stabile e salì al piano, trovandosi davanti alla porta Giovanni ed Eva, seduti entrambi a terra, in attesa del suo arrivo. 

“E voi?” 

“Ti pare che ti avremmo lasciato da solo?” Eva lo abbracciò stretta, mettendosi sulle punte. 

“Come sta?” Giovanni si alzò dalla sua posizione, permettendogli di aprire il portone di casa. 

“Malissimo. Ha uno zigomo spaccato, un occhio non penso riuscirà ad aprirlo facilmente. E un tubo che gli esce dal fianco.” 

“Cazzo...” 

“Già... Domani mattina comunque torno lì.” 

“Marti è già mattina, sono le sei. Forse è meglio se vai nel pomeriggio e ti riposi un po’ adesso.” Disse Eva, prima di andare in cucina a prendere un bicchiere d’acqua. 

“Ah... allora dormo un paio d’ore e poi torno in ospedale. Vorrei essere lì quando si sveglia.” 

“Okay, allora noi restiamo qui e veniamo con te, dopo.” Giovanni si sedette accanto a Eva sul divano, mentre Martino si incamminò verso la camera da letto, per poi fermarsi a metà del corridoio. 

“Ah, sentite, non credo di poter fare quella festa per Sana sabato.” 

Giovanni ed Eva rimasero interdetti per un momento, poi Giovanni scosse la testa. “Martì, vattene a letto va, che altrimenti ti mando a fanculo.” 

“Perché?”  

“Ma ti pare che faremmo la festa per Sana con Nico in ospedale? È ovvio che è rimandata.” Anche Eva intervenne, con un sorriso comprensivo.  

Martino ricambiò il sorriso e poi andò a sdraiarsi sul letto, posando la testa sul cuscino di Niccolò. Sentì subito l’odore del profumo del ragazzo invadergli le narici e permise alle lacrime trattenute di uscire, liberando così una parte del peso che sentiva nel cuore. 

Quando si risvegliò, guardò subito l’orario sul telefono e vide che erano solo le sette e trenta, il che voleva dire che aveva dormito a malapena un’ora. Rimase sdraiato, fissando il soffitto e cercando di metabolizzare il fatto che Niccolò avesse subito un’aggressione. E il suo unico pensiero fu  non l’hai protetto, l’hai lasciato solo quando avevi promesso che non lo sarebbe mai stato.  Chiuse gli occhi e ingoiò il nodo in gola che si era formato. Li riaprì e si guardò la mano, stava tremando. Probabilmente il fatto di aver saltato la cena stava contribuendo a renderlo ancora più debole. Si alzò per andare in sala, che tanto non avrebbe più dormito, e non riuscì a trattenere un pallido sorriso vedendo Giovanni ed Eva sdraiati sul divano, i capelli di lei quasi nella bocca di lui e la mano di quest’ultimo a penzoloni fuori dal divano. Si avvicinò e chiamò Giovanni, cercando di svegliarlo. Il ragazzo tossì, togliendosi i capelli di Eva dalla faccia e aprì gli occhi.  

“Ehi, che ore sono?” 

“Le sette e mezza.” Aveva un tono pacato, non volendo svegliare anche Eva. 

“Ma è prestissimo, Marti.” Mormorò, ancora mezzo addormentato. 

“Lo so, ma voglio andare da Nico. Non riesco a dormire sapendolo lì.” 

Giovanni lo guardò, poi sbadigliò e annuì piano. “Okay, sveglio Eva e andiamo. Però prima fai colazione che non ti vedo toccare cibo da ieri.” 

Così si prepararono e dopo un caffè e qualche biscotto – costretto da entrambi a mangiare, per farli stare tranquilli – salirono in macchina. Non appena raggiunsero l’ospedale, Martino chiese di poter vedere Niccolò e l’infermiera gli disse che anche i suoi genitori erano già lì.  

“Anna!” La chiamò dal corridoio e l’abbracciò quando la raggiunse.  

“Non riuscivamo a dormire. Neanche tu, vero?” 

Martino annuì con un mezzo sorriso. “Si è svegliato per caso?”  

“No, il medico ha detto che ci vogliono ancora almeno un paio d’ore. Puoi entrare se vuoi.” 

Martino prese un respiro profondo ed entrò nella stanza. Niccolò era nella stessa posizione e situazione di poche ore prima. Chissà cosa si aspettava di trovare di diverso. Forse scoprire che s'era trattato soltanto di un incubo, di un brutto scherzo. Si avvicinò al ragazzo e gli lasciò un bacio sulla fronte. “Sono qui, Nì. Non ti lascio solo, te l’ho promesso.”  

Lo osservò per diversi minuti, sentendo sempre più male al cuore. Avrebbe voluto salire sul letto e sdraiarsi accanto a lui, intrecciare le gambe alle sue, sentire il suo calore, ma rimase fermo, in piedi. Una statua di sale. Poi scosse la testa e uscì, subito abbracciato da Eva, cui si aggrappò con tutto sé stesso. Eva era sempre stata quella sorella di madre diversa che lo perdonava ogni volta che faceva una cazzata e c’era sempre; la sua presenza era sempre una costante alla quale non avrebbe mai rinunciato. Si staccò da lei solo quando sentì la vibrazione del telefono, con l’arrivo di un messaggio. 

 

“Forse nel pomeriggio viene anche Rami.” Annunciò poi, rimettendo il telefono in tasca.  

“Marti, ho avvertito anche Elia. Filippo sta arrivando.” Giovanni gli mise una mano sulla spalla quando vide il suo sguardo poco convinto. “Che c’è?” 

“Non lo so, ci sono troppe persone. Finirà per esserci confusione.”  

“Okay, li richiamo e dico di non venire almeno finché Nico non si sveglia.” 

“Sì, ma non voglio che si offendano.” 

“Macché, la situazione è quella che è, lo capiamo tutti.” 

Rimasero in silenzio per qualche secondo, poi Giovanni riprese la parola. “Tua madre l’hai avvertita?”  

Martino sembrò cadere dalle nuvole. “No, non ci ho pensato.” 

“Vabbè se vuoi ci penso io, eh?” Al cenno di assenso di Martino, Giovanni prese il telefono e si avviò verso l’uscita per chiamare Simona. 

“Grazie Gio.” Sentì Martino richiamarlo. Gli sorrise e voltò l’angolo del corridoio. 

Martino si mise seduto su una delle seggioline presenti. Eva gli passò una bottiglietta d’acqua presa al distributore e gli strinse il braccio, sedendogli accanto. Non sapeva cosa dirgli, come rincuorarlo, qualsiasi parola sarebbe stata banale, superflua e probabilmente l’avrebbe solo fatto innervosire di più.  

“Non vedo l’ora che si svegli. Che mi guardi e mi sorrida, dicendomi che va tutto bene e che sono solo un paranoico del cazzo che fa solo drama.” La voce di Martino tremava ed era così bassa che se non fosse stata così vicina sarebbe stato difficile sentirlo.  

“Sarà così, vedrai. E ti prenderà per il culo fino alla fine dei tempi.” 

Martino sorrise e annuì. “Sicuro! Non vede l’ora di trovare qualcosa da rinfacciarmi come faccio io con la cucina.”  

Eva gli si accoccolò sulla spalla e restò con lui fino al ritorno di Giovanni.  

“Ho chiamato anche al lavoro, così puoi restare qui senza preoccuparti pure di questo.” 

“Ah vero. Cazzo. Che gli hai detto?” 

“Che sei qui in ospedale. Non ho dato dettagli.” 

“Grazie, davvero.” 

“Smettila! Siamo qui apposta per aiutarti.” 

Per il resto della mattinata fecero avanti e indietro tra le scale esterne per fumare, il bagno e il distributore per passare il tempo finché lo stesso medico che la notte prima era nel pronto soccorso a spiegargli la situazione li richiamò davanti alla camera intensiva. 

“Il ragazzo è sveglio. Fatica a parlare, ma ha chiesto dei genitori. Venite dentro con me.” 

“Martino, arriviamo subito. Okay?” Anna gli lasciò una lieve carezza sulla guancia, con un sorriso che poteva essere solo di speranza. 

Il ragazzo vide i signori Fares entrare dentro e la porta fu subito chiusa alle loro spalle. Rimase fermo in piedi davanti a quella porta, stringendo la mano di Eva così forte che forse gliela stava stritolando, ma aveva bisogno di un appiglio cui aggrapparsi per sopportare l’emozione. 

Niccolò era vivo.  

Niccolò era sveglio. 

 

 

 

 

 

 

 

Notes:

Angst come se piovesse... Sono poco convinta di andare avanti con questa storia, ho paura di renderla banale e poco realistica. Perciò ho bisogno del vostro parere per capire se continuare o meno. Ho già scritto i prossimi due capitoli e sto finendo anche il quarto capitolo. Attendo i vostri commenti.
Grazie a chiunque sia arrivato fin qui <3
A presto
Babykit

   
 
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