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Autore: sissi149    13/06/2020    6 recensioni
Dopo la fine del World Youth Tsubasa ha chiesto a Sanae di sposarlo e la ragazza ha accettato.
I festeggiamenti sono nel culmine, ma andrà davvero tutto liscio?
Genere: Drammatico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Atsushi Nakazawa, Nuovo personaggio, Sanae Nakazawa/Patty Gatsby, Tsubasa Ozora/Holly
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Era qualche giorno che Holly non dormiva bene: si sentiva intrappolato in un limbo in cui sapeva di non essere Oliver Hutton, ma non era nemmeno Tsubasa Ozora. Aveva ricordi troppo parziali per poter affermare con certezza di essere il campione nato dalla penna di Yoichi Takahashi. Aveva la sensazione di star vivendo due vite a metà.
Kitty non era più tornata direttamente alla carica per cercare di convincerlo a riconquistare Sanae, ma si lasciava sfuggire spesso delle frecciatine al riguardo. Non era una che si arrendeva facilmente e molte volte avrebbe voluto non rispondere ai suoi messaggi o alle sue chiamate, ma era l’unica persona con cui poteva parlare della situazione e, spesso, era proprio lui a cercarla.
Come quel giorno.
Stavano passeggiando nel parco con due caffè bollenti in mano nel tentativo di riscaldarsi dal freddo che si stava facendo sempre più pungente.
“Credi che presto nevicherà?” Chiese la donna un istante prima di portare alle labbra il bicchiere.
“Penso che ci vorrà ancora qualche settimana.”
Gli alberi erano ormai completamente spogli e gli animali tutti rintanati al caldo delle loro tane, un silenzio surreale circondava il parco.
“Volevo domandarti una cosa.”
“Tutto quello che può esserti utile.”
Kitty non si smentiva mai, aveva realmente a cuore l’intera faccenda.
“Tsubasa Ozora aveva un fratellino, giusto?”
Kitty annuì energicamente.
“Sì, il piccolo Daichi. Ti sei ricordato di lui?”
L’architetto sospirò pesantemente.
“No, purtroppo, però se lo ritrovassi potrebbe aiutarmi a ricordare. Magari il legame di sangue è più forte di questa maledizione ed il rivederci potrebbe far affiorare i ricordi di entrambi. Per te ha senso o è una teoria assurda?”
Oliver si grattò la nuca con una mano in imbarazzo, ora che aveva pronunciato quelle parole ad alta voce si rendeva conto di quanto potessero essere deliranti.
La sua compagna lo guardò negli occhi.
“Ti ricordo che stai parlando con la pazza che è convinta che questa cittadina esista solo perché è stata lanciata una maledizione, nessuna teoria è troppo assurda per me.”
“Non ti facevo così autoironica! Quindi che ne pensi?”
La donna fece qualche passo in silenzio, bevendo qualche altro sorso di caffè.
“Potrebbe essere plausibile – disse meditabonda – fare un tentativo non costerà nulla di  male.”
“Tu sai dov’è?”
Era quella la questione che più gli premeva, poiché Kitty sembrava sapere ogni cosa sullo stato in cui si trovavano tutti, doveva sapere anche dove fosse suo fratello…
“Purtroppo no.”
L’architetto si arrestò di colpo, sentendo le sue speranze svanire.
“Come? Tu sai..”
“Io so tante cose – Kitty lo fermò, appoggiandogli la mano sinistra sul braccio – ma non so tutto. Non ho potuto scoprire tutto.”
La donna bevve un altro sorso di caffè. Holly non sapeva che pensare, aveva riposto molte aspettative nell’idea di trovare Daichi, doveva scoprire se il bambino stava bene. Non poteva fare nulla per riprendersi Sanae, poteva cercare di riprendersi l’altra parte di famiglia che aveva perso. C’era il legame di sangue che gli dava il diritto prendere il bambino sotto la sua cura.
“Posso fare un’ipotesi.”
La voce di Kitty gli diede una piccola scarica:
“Che intendi?”
“C’è l’orfanotrofio. Insomma, prima di andare a cercare a casa di tutte le famiglie di New Team Town potresti provare lì.”
Holly ci pensò su, non era un’idea malvagia fare qualche domanda sui bambini dell’orfanotrofio, erano tutti senza famiglia e non era inverosimile che suo fratello fosse finito tra di loro, sempre che non fosse stato adottato nel frattempo. Allora sarebbe stato punto e a capo. Aveva anche il sospetto che eventuali genitori adottivi sarebbero stati un osso molto duro da convincere a cedergli il bambino.
“Potrei tentare. In fondo devo cominciare  da qualche parte con le ricerche!”
“Così mi piaci!”
Kitty gli  diede un buffetto sulla guancia e poi lo invitò a brindare facendo incontrare i due bicchieri di caffè.
“Alla nuova investigazione!”
 
 
 
Dopo l’incontro con Kitty, Oliver non si era recato subito all’orfanotrofio, aveva aspettato qualche ora, non tanto perché non fosse convinto della bontà dell’idea, piuttosto temeva di non riuscire a riconoscere il fratello e di ricevere una delusione. Da qualche parte doveva pur incominciare se voleva sperare di trovare qualcosa, così si era deciso ed aveva salito i tre gradini di pietra che conducevano all’istituto. L’edificio aveva tutto l’aspetto di una di quelle vecchie scuole di mattoni rossi con alte finestre, progettate e costruite in altri tempi. Dava l’idea di non essere un posto molto accogliente.
Suonò un colpo secco al campanello, non voleva apparire impaziente o assillante. A dire la verità, non sapeva bene ancora quale scusa avrebbe usato per indagare sui bambini che venivano ospitati nella struttura o anche solo farsi ammettere all’interno delle mura.
La porta venne aperta da una suora piccola e mingherlina, che lo osservava da dietro un paio di occhiali rotondi dalla montatura  sottile.
“Buongiorno.”
“Oh, buongiorno! – esclamò la religiosa, allegra e pimpante – Lei dev’essere uno dei nuovi volontari che vengono a giocare con i bambini! Prego, è il benvenuto!”
La suora si fece da parte per lasciarlo passare, poi lo condusse verso una stanza a piano terra.
“Lei non sa che favore ci fa a venire a dedicare un po’ del suo tempo a questi piccoli! Purtroppo la maggior parte di noi non è più giovane e attiva come un tempo e delle nuove energie sono sempre un toccasana.”
Oliver era travolto dal fiume di parole di quella suora e stentava a credere che le donne fossero così in difficoltà con bambini e ragazzi.
“Non la trovo per niente stanca, sorella.” Disse cortesemente.
La suora ridacchiò, mentre apriva una porta a vetri a due ante.
“Oh, non mi riferivo a me! Io sono ancora nel pieno delle mie forze. Eccoci arrivati.”
La prima cosa che colpì Oliver fu il chiacchiericcio dei bambini divisi in piccoli gruppetti. Ognuno di loro indossava un grembiulino a quadretti: bianco e azzurro per i maschi, rosa e bianco per le femmine. Erano tutti in età da scuola elementare e pensò di essere stato fortunato, poiché secondo i suoi calcoli Daichi doveva avere circa nove o dieci anni. C’erano così tanti bambini, non sarebbe stato facile trovare suo fratello.
“Non pensavo ci fosse un numero così elevato di orfani a New Team Town.” Constatò, grattandosi la nuca quasi in imbarazzo: era andato lì per trovare un singolo bambino e ora provava una specie di senso di colpa per non aver pensato a tutti gli altri.
“Purtroppo signor….”
“Hutton, Oliver Hutton.”
“Dicevo, signor Hutton – proseguì la religiosa – il nostro istituto si occupa di un territorio più ampio di quello della sola cittadina. Ora, se non le dispiace, potrebbe giocare con i bambini. Tra poco arriverà qualcuno per le bambine.”
Detto questo, la donna indicò energicamente ai piccoli di spostarsi nella zona a sinistra e li lasciò alle cure dell’architetto, raccomandandosi di comportarsi bene con il loro nuovo amico.
“Se ha bisogno di aiuto sono nell’ufficio in fondo al corridoio, ma non credo che avrà troppi problemi: quando vogliono sanno essere degli angioletti.”
La suora si allontanò e per un secondo Oliver avrebbe giurato di averla sentita fischiettare.
“Che tipo! – pensò – Bene bambini, chiamatemi pure Holly!”
“Ciao Holly!” ripeterono tutti in coro.
L’uomo si guardò intorno in cerca di un’ispirazione per un gioco o un’attività in cui coinvolgerli, finché non vide due grosse scatole trasparenti piene fino all’orlo di mattoncini colorati. Un grande sorriso si dipinse sul suo viso.
“Che ne dite di costruire qualcosa?”
 
 
 
 
“Signora Patty, mi stai ascoltando?”
“Certo, dimmi pure tesoro.”
Patty si impose di prestare attenzione alla piccola Isabel e alle disavventure capitate al vestitino preferito della bambola Camille.
Come tutte le settimane era andata all’orfanotrofio per il suo pomeriggio di volontariato con le bambine. Solitamente era molto concentrata e dedicava tutta sé stessa ad ascoltare le loro storie, le loro preoccupazioni e le loro gioie. Quel giorno invece non riusciva ad essere concentrata come avrebbe voluto, poiché ogni tanto lanciava occhiate trasversali al gruppo dei maschietti ed all’uomo che era intento a giocare con loro. Tra tutti gli abitanti di New Team Town, lui era l’ultima persona che si sarebbe aspettata di trovare lì.
Starsene a giocare con i bambini non corrispondeva esattamente alle informazioni che lei aveva sul conto di Oliver Hutton, il responsabile del più grande disastro avvenuto nella cittadina da almeno cinquant’anni. Le era stato sempre dipinto da tutti come un uomo insensibile al dolore che aveva causato, al punto da non rendersi nemmeno conto che lasciare la città da parte sua sarebbe stato un sollievo per tutti. Invece ora lo vedeva nel salone dell’orfanotrofio, circondato da bambini tutti intenti a costruire un grande grattacielo di mattoncini colorati. E i bambini parevano gradire la sua compagnia, era da un po’ che non li vedeva così entusiasti, perfino i più timidi erano coinvolti nel gioco.
“E quindi la povera Camille è dovuta stare tre giorni senza poter indossare il suo vestitino.” Isabel aveva terminato il suo racconto.
“Spero che tu le abbia dato qualcos’altro con cui vestirsi.” Commentò la moglie del Sindaco.
“Certo! Con questo freddo prendeva il raffreddore. Ma il vestito Rosso è meglio di quello blu.”
“Sono d’accordo con te piccola, ma non sempre possiamo vestirci come più ci piace.”
Depositò un bacio sulla testina bionda della bambina, giusto un attimo prima che Suor Ermengarda, la vice direttrice, arrivasse ad avvisare tutti che mancavano dieci minuti all’ora della preghiera. I bambini, sia maschi che femmine, scattarono tutti come piccoli  soldatini ed in pochissimo tempo rimisero in perfetto ordine la loro sala giochi, salutarono gli ospiti e si accodarono silenziosamente dietro l’anziana suora.
Solo quando i  bambini furono spariti in fondo al corridoio Patty si rese conto di essere rimasta sola con Hutton. Lentamente si alzò e sistemò le pieghe della gonna, mentre il silenzio si faceva imbarazzante, doveva dire qualcosa.
“Buonasera, signor Hutton.” Lo salutò formalmente, educata, ma non confidenziale.
Vide l’uomo irrigidirsi quando si rese conto di essere stato salutato, forse non l’aveva nemmeno notata, impegnato nella sua attività con i bambini.
“Buonasera signora Becker.”
Patty avvertì freddezza nel tono dell’ex architetto e, dopotutto, non poté biasimarlo, sapeva che i rapporti con suo marito erano tesi. Si avvicinò all’attaccapanni per recuperare il cappotto ed andarsene abbastanza in fretta. Il suo dovere l’aveva fatto: era stata educata, aveva salutato, non erano necessarie altre parole.
“Non mi aspettavo di vederla qui.” Le scappò fuori dalle labbra quasi senza che se ne rendesse conto.
L’uomo, non troppo distante da lei, si irrigidì ulteriormente.
L’aveva fatta grossa e ora doveva rimediare:
“Non mi fraintenda – disse voltandosi verso di lui – non sono molte le persone che rinuncerebbero a parte del loro tempo per stare con degli orfani.”
Oliver annuì in maniera meccanica.
Sperando di aver superato l’incidente, Patty infilò il cappotto ed iniziò ad allacciarselo.
“Nemmeno io mi aspettavo di vedere qui la moglie del Sindaco.”
“Faccio solo quello che posso per questi bambini. – sospirò – Lei è molto bravo con loro. Non ho mai visto il piccolo David partecipare con gli altri, di solito è sempre in un angolino tutto solo. È stato molto bravo a coinvolgerlo.”
La donna era stupita da sé stessa: senza volerlo si era trovata ad instaurare una vera e propria conversazione con Oliver Hutton.
“In realtà non ho fatto nulla di particolare.” Anche l’architetto aveva indossato il suo piumino, di colore scuro.
“Si vede che è molto portato per stare con i bambini. L’aveva mai fatto prima?”
Si erano avviati lungo il corridoio che portava all’uscita, continuando a chiacchierare.
“Ecco… io avevo, cioè ho, un fratellino più o meno della stessa età di quei bimbi.”
“Oh, che meraviglia!” Patty unì le mani e le portò vicino alla bocca spalancata: era sinceramente colpita, le sarebbe piaciuto moltissimo avere una sorella o un fratello minore, invece aveva dovuto crescere come figlia unica.
La porta esterna dell’orfanotrofio si aprì e nell’ingresso entrò suo marito.
 
 
 
 
Holly non riusciva a credere di aver incontrato Patty all’orfanotrofio, men che meno si sarebbe immaginato di scambiare qualche chiacchiera e confidenza con lei e mai avrebbe pensato possibile accennargli addirittura qualcosa su Daichi. Tuttavia lei aveva notato l’attaccamento che il piccolo David aveva sviluppato per lui in poco tempo, chissà se quel bambino poteva essere il fratellino perduto.
“Oh, che meraviglia!”
L’espressione di genuini stupore e gioia che erano appena apparsi sul volto della signora Becker lo fecero restare qualche secondo di troppo ad osservarla, proprio nel momento in cui il Sindaco aveva aperto la porta.
“Caro, bene arrivato! Cosa ci fai qui?”
Patty andò incontro al marito e gli diede un affettuoso bacio sulla guancia.
Lo stomaco di Holly si contorse. Per un momento aveva quasi dimenticato la situazione assurda in cui si trovava con Sanae e Taro. Aveva abbassato la guardia solo per un istante, ma la realtà si era violentemente materializzata davanti a lui, con la forza di un tackle del miglior difensore del campionato.
“Volevo farti una sorpresa. Finito?”
“Da poco.”
“Ho l’auto qui fuori.”
“Arrivederci signor Hutton.”
Patty lo salutò con il sorriso e sparì leggiadra oltre la porta cavallerescamente tenuta aperta dal marito. Quest’ultimo si trattenne qualche minuto, fissando l’architetto con sguardo gelido.
“Cosa stava facendo con mia moglie? Spero non la stesse importunando con qualche sua sciocca rimostranza sull’affare del cantiere.”
L’attacco che aveva appena ricevuto era del tutto gratuito. Decise di non starsene zitto, come avrebbe fatto una volta per il quieto vivere di tutti, ma rispose con decisione:
“Ho solo incontrato sua moglie mentre entrambi giocavamo con i bambini. Altre questioni non ci hanno minimamente sfiorato la mente, o forse lei teme che a sua moglie possano arrivare voci su questioni che ha fatto di tutto per tenere nascoste?”
Il Sindaco fece mezzo passo all’indietro.
“Mi sta forse minacciando?”
“Assolutamente no. Mi domandavo solo come mai un uomo che dice di non aver nulla da nascondere su quanto successo al cantiere si preoccupi che nessuno ne parli con la moglie.”
Becker sembrava sul punto di perdere la calma: con un profondo respiro riuscì a recuperare abbastanza contegno per ribattere un’ultima volta:
“Lei ha le traveggole, Hutton. Se ne vada a casa.”
Se ne andò senza nemmeno salutarlo.
Holly aspettò un po’ di tempo prima di uscire, per essere sicuro che Tom fosse salito in auto e si fosse allontanato, non voleva che Patty, che la sua Sanae, assistesse ad una possibile scenata tra loro due.
Avvertiva una leggera punta di rammarico per essersi comportato in maniera così acida con il migliore amico, ma l’accenno alla questione del cantiere l’aveva fatto scattare: ancora gli pareva inconcepibile aver ricevuto una simile pugnalata alle spalle proprio da Tom. Il fatto che Taro non sapesse il loro reale legame poteva essere un attenuante alle sue azioni, ma non le rendeva meno dolorose.
Se non smetteva di pensarci, quella situazione l’avrebbe fatto impazzire.
Uscì dall’edificio chiudendosi la porta alle spalle e prendendo la risoluzione di tornare quanto prima: avrebbe tentato di capire qualcosa sulla storia del piccolo David e forse avrebbe incontrato di nuovo Sanae.
Nonostante tutto, il pensiero lo fece sorridere.




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Mi dispiace molto per il ritardo con cui arriva questo capitolo, ma questo periodo è stato veramente pienissimo di altro ed anche il periodo a venire si prospetta molto intenso.
Spero di poter riprendere ad aggiornare regolarmente, se non tutte le settimane, almeno una volta ogni 15 giorni.
  
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