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Autore: Il cactus infelice    14/06/2020    3 recensioni
Estate 2020. Il riscaldamento globale colpisce non solo il mondo Babbano, ma anche quello dei Maghi. La frenesia dei social, della tecnologia, sta travolgendo anche i maghi e le streghe. Bisogna tenersi al passo coi tempi.
Ma mentre queste questioni vengono lasciate ai Babbani - che se ne intendono di più - il Mondo Magico avrà un'altra gatta da pelare.
Harry Potter si ritroverà a dover risolvere un altro mistero, forse addirittura a combattere un'altra guerra e questa volta lo riguarda molto, molto da vicino.
Tutto inizia con un ritorno inaspettato una mattina del 10 Luglio 2020.
Genere: Angst, Azione, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Famiglia Potter, Famiglia Weasley, I Malandrini, Nimphadora Tonks, Teddy Lupin | Coppie: Bill/Fleur, Harry/Ginny, James/Lily, Teddy/Victorie
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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CONFLITTI E NOIE


James Sirius Potter non era certo uno che si faceva influenzare dai giornali, alle volte nemmeno li leggeva, soprattutto se vedeva la foto di suo padre sulla prima pagina. Dopotutto, la Gazzetta del Profeta - e giornali di gossip - sembrava guadagnare soprattutto da articoli in cui parlava del grande Salvatore del Mondo Magico e della sua famiglia, persino lui si era trovato tra le righe di quel giornale. 

Quindi non gli interessò molto quando quella mattina varie Gazzette del Profeta piovvero sul tavolo rosso-oro con una bella foto del crollo del Ponte stampata davanti, e naturalmente l’articolo che diceva che il Capo degli Auror e il Capo dell’Ufficio Applicazione della Legge sulla Magia - Hermione Granger - avevano dichiarato che il Ponte era stato sabotato ma che non sapevano chi potesse essere il colpevole, ma stavano facendo di tutto per trovarlo. E ovviamente la giornalista non si è risparmiata dall’aggiungere le sue opinioni: Harry Potter stava perdendo colpi considerando gli ultimi avvenimenti che avevano scosso l’intera comunità magica, era una vergogna che succedessero questo tipo di cose senza che il Ministero ne sapesse nulla e insinuava che forse il colpevole non sarebbe mai stato trovato, un’insinuazione poco fondata - avrebbe detto James - e non perché c’era suo padre a capo del Dipartimento ma perché ogni caso che Harry aveva seguito era stato risolto. In fondo, non ci lavorava solo lui; aveva una squadra preparata.
Perciò no, a James non importava nulla di quell’articolo. Certo, gli dispiaceva per il Ponte e gli dispiaceva per le vittime, ma non sarebbe rimasto ad ascoltare, o leggere i commenti di un giornale del cavolo.
“Ehi! Si parla di tuo padre nel giornale oggi!” esclamò Micah alzando lo sguardo verso James da sopra la sua Gazzetta del Profeta, seduto dalla parte opposta del tavolo. 

James mugugnò qualcosa di incomprensibile senza smettere di imburrare la sua fetta di pane. 

“Quando mai non si parla di suo padre”, scherzò Tyler, anche lui senza alzare lo sguardo dalla propria tazza di caffè.
Sia Tyler che James non erano molto propensi a chiacchierare la mattina. Nessuno avrebbe comunque mai osato dire qualcosa a James Sirius contro suo padre o la sua famiglia; nessuno sano di mente, almeno, a meno che non avesse perso qualche scommessa. 

“Non vedo Veronica oggi”, disse Tyler dopo un po’, guardando lungo il tavolo rosso e oro. “A dire il vero non vedo nessuna delle tue ammiratrici”. 

James mugugnò di nuovo qualcosa di incomprensibile, mentre mischiava il caffè pigramente. 

Ad un tratto sentì qualcuno crollargli a fianco sulla panca e quando guardò di traverso riconobbe una zazzera di capelli rossi e lunghi. 

“Sorellina!” esclamò James improvvisamente sveglio. 

“Ciao, Jamie”, disse lei versandosi del tè in una tazza. “Oggi scrivi con me la lettera per mamma e papà?”

“O potremmo contattarli con lo specchio magico”.

La ragazzina alzò gli occhi al cielo. “Sei davvero così pigro a scrivere? Come prendi gli appunti?”

“Semplice, non li prendo. Ci pensa il mio amico qui per me”. James mostrò un sorriso a trentadue denti a Tyler che scosse il capo sorridendo in rassegnazione. 

“Lo specchio è più veloce. Non dobbiamo aspettare una risposta o che il gufo faccia il viaggio”.

“Ma potrebbero comunque non rispondere. Scriviamo la lettera dai. Avvisiamo anche Albus”. 

“Glielo dici tu?”

Lily sospirò rumorosamente e si girò verso il fratello. “Non vuoi proprio avvicinarti al tavolo dei Serpeverde?”

“Lo sai che io e Al ci prendiamo a parole ogni volta che ci parliamo”. 

“Potresti benissimo evitarlo”. 

“È lui che mi risponde sempre in maniera sarcastica”. 

“Va bene, James!” concluse Lily con un tono definitivo finendo di spalmare la propria fetta di pane. 

“Ci vediamo stasera nel cortile dell’orologio allora”. 


Al tavolo dei Tassorosso, Dominique percorse quasi l’intero tavolo per raggiungere Louis seduto di fronte al suo migliore amico, Winston. 

Louis sentì una mano pesante poggiarglisi sulla testa e arruffargli i capelli. Il ragazzo corse subito con la mano mentre con la coda dell’occhio guardava Dominique sedersi accanto a lui e afferrare un biscotto dal loro tavolo. 

“Perché rubi il cibo del nostro tavolo? Hai lo stesso anche al tuo”, fece il fratello inespressivo, gli occhi fissi sul proprio piatto. 

“Oh non so, i biscotti dei Tassorosso hanno un sapore diverso. Devono essere pieni della vostra… dolcezza”. 

“Non c’è alcuna correlazione tra la dolcezza dei biscotti e la casa dei Tassorosso”. 

“Suvvia, Louie, non rovinare così i miei sentimenti”. 

Winston alzò il capo e sorrise leggermente a Dominique; la sorella del suo migliore amico era una ragazza decisamente particolare e gli piaceva quel carattere. Era divertente, ironica, sapeva rispondere a tono. La trovavamo tutti i giorni al loro tavolo, soprattutto per colazione quando controllava che Louise stesse bene e che non avesse bisogno di nulla. Era un po’ difficile tenere d’occhio Louise quando i due erano in case diverse, ma Dominique si sforzava lo stesso. Nessuno glielo aveva chiesto, naturalmente, e Louise probabilmente non lo aveva capito. Non che Louise avesse davvero bisogno di qualcuno che lo tenesse costantemente d’occhio, ma la famiglia si preoccupava sempre. Tutti gli insegnanti e i loro compagni di Casa erano pazienti con Louise e le sue difficoltà, e comunque il ragazzo se la cavava meglio di tutti loro; quantomeno non aveva più attacchi d’ansia e episodi come quando era al primo anno. 

Purtroppo però Louise non era riuscito a farsi così tanti amici e si poteva letteralmente dire che Winston fosse l’unico - l’unico con il quale passava il suo tempo per la maggior parte e con cui scambiava più di quattro parole - ma per una persona autistica anche il concetto di amicizia era un po’ diverso. Winston sapeva che quando Dominique avesse concluso Hogwarts quell’anno, sarebbe toccato a lui avere un occhio più attento al ragazzo. 

Dominique finì il suo biscotto e poi alzò lo sguardo di colpo, fissando qualcuno che le stava passando di fronte. 

“Ragazzi! È stato un piacere rubarvi i biscotti. Ci vediamo più tardi”, disse e si alzò dal tavolo senza aspettare una risposta. 

“E.J.!” esclamò la ragazza avvicinandosi a un giovane coi dread che si aprì in un sorriso non appena la vide. I due si incontrarono a metà strada verso il tavolo dei Corvonero.

“Niky!” esclamò questi allegramente. “È sempre bello vederti di prima mattina”.

“Oh, taglia corto. Siamo d’accordo per stasera?”

“Ma certo!” rispose l’altro malizioso. “Per te sempre”. 

Dominique annuì piegando le labbra in un sorriso sghembo e si allontanò verso il suo tavolo, ignorando la McGranitt e il suo sguardo da avvoltoio dal tavolo dei professori.


Valeva la pena saltare la lezione di Erbologia per nascondersi nella Stamberga Strillante e fumare? Mentre camminava quel pomeriggio per raggiungere la casa infestata, come la chiamavano ancora tutti, la Corvonero che c’era in Dominique stava cercando di fare capolino cercando di farla sentire in colpa perché saltava le lezioni. Ma era maggiorenne, nessuno poteva dirle niente. E non era che saltasse le lezioni; certo, non si impegnava nel seguire o nel fare i compiti, ma non saltava spesso le lezioni. E quell’anno erano pochi i corsi che seguiva. Non sapeva davvero perché il Cappello Parlante l’avesse messa nella Casa di quelli intelligenti. Ma poi, Dominique si chiedeva, in quale casa sarebbe potuta finire? Non sentiva davvero di appartenere a nessuna di quelle e a volte poteva dire di avere i tratti di un po’ di tutte.

Ma ora, inebriata dai fumi di quello che le avevano offerto i suoi amici - più o meno - non le importava. Non sapeva nemmeno cosa fosse esattamente, stavano sperimentando cose nuove. Era tutta roba fatta con erbe e intrugli magici, molto più facile da trovare di quella Babbana. 

Dominique rabbrividì e sentì la pelle d’oca salirle su gambe e braccia. Faceva freddo in quel posto, non sapeva perché non avessero optato per andare nella Stanza delle necessità. L’autunno era arrivato da un po’ ormai e non faceva più caldo come quell’estate. 

Dominique preferiva il freddo ma non quando si trovava seduta sul freddo pavimento di una squallida catapecchia. 

“Qua fa un freddo cane”, mormorò, la testa abbandonata contro il muro dietro di lei e gli occhi chiusi. Non si accorse di aver espresso quel pensiero ad alta voce finché non sentì la propria voce parlare, quasi non riconoscendosi con quel tono strascicato che le era venuto fuori. 

“Posso scaldarti io”. La voce di Sean arrivò da qualche parte in fondo alla stanza e quando Dominique aprì gli occhi per guardare in quella direzione, il fumo che aleggiava nella stanza le rese tutto opaco. Tuttavia le parve di scorgere uno strano sguardo addosso a Sean, quasi predatorio, desideroso… o forse era solo un’illusione ottica. Non sapeva più dire davvero cosa fosse vero e cosa no. E non era abbastanza lucida perché gliene importasse. 

“Passami quella pipa”, disse invece, indicando con lo sguardo una pipa che stava a terra in mezzo alle gambe di Tara e Lincoln. Quest’ultimo gliela allungò senza risparmiarsi un sorriso sghembo. 

“Niky preferisce le mie braccia”, fece il ragazzo. 

Dominique esitò con gli occhi sul suo volto sperando che fosse sufficiente come risposta, anche se non sapeva che risposta volesse dare. Lincoln era un bel ragazzo, alto, atletico, la pelle caffelatte e i lineamenti ordinati, come se fosse stato disegnato. Per fortuna, pensò lei, perché in qualche modo gliela doveva ripagare quella roba che stavano fumando. 


Albus, seduto in sala comune con Scorpius sulle loro poltrone vicino al camino - quello che ormai avevano designato come il loro posto - venne attirato da un gruppo di ragazze a qualche metro da loro che si erano sedute in una specie di mucchio, mentre cercavano di raggiungere - abbracciare, toccare - quella che stava in mezzo con lo sguardo basso e abbacchiato. Albus la conosceva solo di vista, era del secondo anno e non ricordava nemmeno come si chiamava. Johanna forse o Johanne. 

Una delle sue amiche le passò il pollice sotto gli occhi per asciugare quelle che dovevano essere lacrime.

Albus distolse lo sguardo e cercò di tornare sul suo fumetto, ma poi qualcosa gli oscurò la luce. Alzò di nuovo lo sguardo solo per trovarsi davanti la figura alta e imponente - sotto quella luce offuscata della sala comune dei Serpeverde almeno - di Elliot Rascall che lo scrutava dall’alto.

“Suo zio è morto sul Ponte”, disse questi con un tono duro. Albus inarcò le sopracciglia confuso. Poi sembrò ricordare. Anche Scorpius ora aveva abbandonato la lettura del suo libro per concentrarsi su Rascall. Era un ragazzo del quinto anno che ogni tanto adorava dare il tormento ai due. Per fortuna si limitava solo a qualche battuta offensiva e altezzosa, nulla di più, ma ad Albus dava fastidio comunque, soprattutto quando era coi suoi amici che lo istigavano e ridacchiavano dietro, e lui non sapeva mai come rispondergli a tono. 

“Mi dispiace”, riuscì solo a dire Al. 

“Certo, come no. Anche al tuo paparino dispiace, Potter?” 

Potter. Albus odiava quando lo chiamavano così, con quel tono. Potter. Non gli piaceva. Ma non gli piaceva nemmeno Albus. Gli sembrava che il suo nome avesse il peso di dieci macigni che gli gravano sulle spalle rischiando di schiacciarlo.

“Cosa c’entra il padre di Al? Mica lo ha fatto cadere lui il Ponte”, fece Scorpius a quel punto, imitando il tono altezzoso e duro dell’altro, sedendosi ora dritto con la schiena, l’espressione tipica dei Malfoy alzata sul volto. 

“Non dovrebbe proteggere i cittadini? È il suo lavoro”. 

“Mica può prevedere i crolli dei ponti”. 

Eliot spostò lo sguardo dall’uno all’altro e poi, piegando le labbra in un’espressione infastidita e quasi schifata, disse: “Ma non sa nemmeno chi è stato. Non ci sarà giustizia per tutte quelle vittime. Il Salvatore del mondo magico inizia a perdere colpi”.

Infine, si allontanò. 

Scorpius lo seguì con gli occhi finché non lo vide sparire nel proprio dormitorio. Poi si rilassò nuovamente contro la poltrona, riaprendo il libro. “Non lo ascoltare, Al. Come al solito vuole fare l’arrogante. Ma non sa nemmeno quello che dice”. 

Quelle parole però ad Al erano rimaste impresse, benché non lo volesse. Succedeva sempre e sapeva che rimanerci male ogni volta che Eliot o uno dei suoi amici apriva bocca non poteva portarlo a nulla di buono. Ma lui non aveva la risposta pronta o la nonchalance di suo fratello James, e nemmeno il suo rispetto. A James nessuno si sarebbe mai rivolto a quel modo. E nemmeno a Lily, e non perché fosse una ragazza, ma semplicemente perché lei non si faceva mai colpire da niente e perché era orgogliosa, non le importava di cosa pensavano gli altri. 

Albus voleva essere un po’ più come loro. E invece si trovava sempre più spesso ad affidarsi a Scorpius che, benché fosse pacato e taciturno come lui, almeno sapeva rispondere. E ogni volta che succedeva qualcosa di quel tipo si sentiva un intruso in quella casa, in quella scuola, nella famiglia a cui apparteneva, nel nome che portava. 

Tutta la voglia di leggere gli passò d’un colpo. 

“Penso che andrò a letto. È tardi”, disse e si alzò prima ancora di dare tempo all’amico di dire qualcosa. 


***

E’ mezzanotte passata quindi è ufficialmente domenica e posso aggiornare XD
Il fatto è che oggi faccio una gita in famiglia e non so esattamente quanto tempo mi porterà via per cui non volevo lasciarvi tutto il giorno nell’attesa.

Spero vi siate goduti questo intermezzo di capitolo, il prossimo sarà un po’ più drammatico (credo). 


Alla prossima,

C.

P.S. quasi dimenticavo: vi lascio un paio di foto della prestavolto di Dominique. Ditemi cosa ne pensate.

   
 
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