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Autore: Mahlerlucia    14/06/2020    2 recensioni
Tu ti preoccupi sempre di tutti. Ma dimmi... alla fine, chi si preoccupa di te?
[Brotp || Daichi x Kuroo]
Genere: Introspettivo, Slice of life, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Daichi Sawamura, Tetsurou Kuroo
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Anime/Manga: Haikyuu!!
Genere: Introspettivo, Slice of life, Sportivo
Rating: Verde
Avvertimenti: Missing moments
Personaggi: Daichi Sawamura, Tetsurou Kuroo (Karasuno, Nekoma, Fukuroudani)
Pairing: #DaiKuroo 
Tipo di coppia: Brotp



 
Kuroneko

 
 

Scappare dalle proprie responsabilità non era da lui, ma non aveva potuto fare altrimenti. Era rimasto sul rettangolo di gioco fino ai saluti finali, aveva ricevuto ringraziamenti inusuali da Kenma e aveva aiutato Kai ad accompagnare Yaku in infermeria; con ogni probabilità la caviglia del libero sarebbe rimasta fuori uso per almeno un paio di settimane. Poco importava, dato che la loro squadra era stata definitivamente esclusa dall’accesso al campionato nazionale. Avevano tentato il tutto e per tutto, ma non era stato sufficiente: l’Itachiyama di Sakusa Kiyoomi si era rivelata troppo superiore sia in termini di coesione che di tattica.
Era doloroso doverlo ammettere, ma per quanti sforzi avesse compiuto nel corso di quel suo ultimo anno scolastico, alcuni dissapori interni al team non si erano mai completamente dissipati. Questa amara consapevolezza lo demoralizzava ancor più della sconfitta stessa.
Che razza di capitano sono stato? Come ho potuto chiudere gli occhi davanti all’evidenza di certi segnali?

Eppure Kenma lo aveva ringraziato. Il ragazzino più pigro e distaccato che avesse mai conosciuto in vita sua – colui che avrebbe passato ore, giorni e settimane intere a smanettare su una console portatile grande quanto uno smartphone rovesciato – aveva finalmente riconosciuto apertamente quanto fosse stato gratificante essere introdotto nel mondo di uno sport avvincente come la pallavolo. Certo, l’aver conosciuto quello che per lui era divenuto solamente “Shōyō” doveva aver rimosso in via definitiva l’ultimo ostacolo che ancora gli impediva di viversi il tutto come mero divertimento e pura adrenalina. Da quando quel piccoletto era entrato a far parte della sua vita era diventato persino più loquace; tanto che in un primo momento si era persino risentito, visto l’impegno quadruplo con cui aveva cercato di arrivare agli stessi risultati a partire dalla loro infanzia. La sua era una gelosia sciocca, di quelle impossibili da ostacolare una volta entrate in circolo, ma da tenere sottochiave per evitare di apparire immaturo o – peggio ancora – inadatto al ruolo che quell’anno gli competeva di diritto.
Era il senpai di tutti, tranne che di quei due disgraziati che per tre anni lo avevano sopportato e supportato. Kai e Yaku avevano pianto assieme a lui in quegli ultimi minuti di condivisione di maglia, ripensando a tutti i momenti trascorsi assieme e a quanto ogni singolo battibecco li avesse uniti in maniera sempre più indissolubile.
Si sentì in colpa per aver detto loro che si sarebbe allontanato per qualche minuto poiché aveva esigenza di andare al bagno; in realtà si era rintanato in un angolo buio di uno spogliatoio inutilizzato.

Tetsurou aveva assoluto bisogno di restare solo, di concentrarsi su pensieri e stati d’animo che il più delle volte era stato costretto a tenersi dentro, a non esternare per non complicare ulteriormente situazioni già particolarmente delicate.
Nascose il viso tra le mani, lasciandosi finalmente andare a quel pianto che chiedeva disperatamente di potersi esprimere per riportare alla luce le inquietudini della sua anima smodatamente altruista.
Ho fallito! Vi chiedo scusa ragazzi... vi chiedo sentitamente perdono per la mia incapacità!
 
***
 
Daichi aveva assistito all’intera partita che si era svolta tra Nekoma e Itachiyama, uscendone completamente sconvolto. Non che ritenesse la vittoria dei secondi immeritata, affatto. In verità era sentitamente dispiaciuto per l’eliminazione di capitan Kuroo e dei suoi ragazzi, considerando anche quanto fosse stato prezioso l’aiuto che avevano fornito ai suoi kōhai in piena crisi adolescenziale e personale.
Sugawara puntualizzò che la partita successiva avrebbe visto contrapporsi la Fukurōdani e la Nohebi e che si sarebbe svolta nel palazzetto accanto. Lo ascoltò distrattamente, intento ad osservare Hinata che si era soffermato più del previsto a chiacchierare con un Kozume dall’aria stanca, ma tutto sommato serena. Non gli era mai capitato di vederlo così coinvolto in un contesto sociale se non attraverso il suo capitano, dietro il quale troppo spesso soleva nascondersi. Provò a cercare quest’ultimo con lo guardo, ma non lo trovò. All’appello mancavano anche gli altri due ragazzi del terzo anno, tra i quali il libero titolare che aveva subito un serio infortunio ad una caviglia.

“Mi hai sentito, Daichi?! Starei parlando con te!”

“Eh?! Ah sì, ho capito. Cominciate ad andare. Il tempo di andare in bagno e vi raggiungo.”

Kōshi storse la bocca, decisamente poco convinto da quella banale scusante che avrebbe permesso al suo capitano di allontanarsi in tutta tranquillità portando a termine ciò che gli stava balenando per la testa. Pensò saggiamente di contenere la propria curiosità, assecondando le sue parole. Si limitò ad annuire e a ricordargli che lo avrebbe aspettato nei pressi dell’ala ovest degli spalti.
Prima di rifugiarsi nei cunicoli che lo avrebbero condotto all’infermeria, notò che Tsukishima e Yamaguchi erano rimasti vicino alla balaustra, in attesa che Hinata tornasse a considerarli per lo spostamento di squadra; Kei, in particolare, era isolato nel suo mondo fatto di musica e dinosauri, in un atteggiamento ancora più taciturno e guardingo rispetto alle abitudini. Daichi non escludeva il fatto che potesse esserci rimasto piuttosto male per la sconfitta della squadra di casa, anche se non lo avrebbe mai ammesso apertamente. In fondo era il primo tra loro ad aver avuto a che fare con Kuroo e i suoi allenamenti serali. Da quello che aveva potuto appurare dai successivi chiarimenti voluti in sua presenza, inizialmente non erano stati molto garbati l’uno nei confronti dell’altro. Motivo in più per andare a fare quattro chiacchiere con lui.
 
***
 
Dove si troverà l’infermeria in questo posto dimenticato dagli dèi?

Non fu difficile per Daichi intuire che doveva aver sbagliato area. O magari – e molto più intelligentemente – Yaku poteva essersi già recato in Pronto Soccorso per farsi medicare in maniera più adeguata.
Dopo aver girato per una decina di minuti in lungo e in largo all’interno di quell’ambiente dalla scarsa luminosità, constatò che forse sarebbe stato meglio raggiungere quanto prima la rimanenza della Karasuno; sia mai che a Sugawara venisse in mente di farlo cercare da agenti in borghese con tanto di cani molecolari al seguito!
Tornando al punto da cui ricordava di essere arrivato, dovette fermarsi a causa di un rumore sordo ed improvviso proveniente dalla stanza accanto. La porta in ferro era semichiusa, particolare che gli fece intuire che poteva esserci qualcuno – o qualcosa – al suo interno. Si augurò solo che non si trattasse di animali poco rassicuranti.
Decise di farsi forza pensando a quanto avrebbe goduto Sugawara nel vederlo preoccupato a quel modo. Lo avrebbe sicuramente paragonato ad Asahi, noto anche per la sua fobia nei confronti di qualsiasi specie di ragno e roditore. Sospinse la porta con la punta delle dita, sino a sentirla scricchiolare in maniera sinistra. Entrò quasi in punta di piedi facendo luce mediante il display del telefono; l’agitazione che lo stava inconsciamente divorando non gli permise di ricordarsi di avere in dotazione un’apposita torcia all’interno dello stesso dispositivo.
Girò lo schermo più volte, mantenendolo parallelo al suo viso. Fece un salto di mezzo metro all’indietro quando si ritrovò due occhi felini che lo fissavano quasi con stizza. In realtà uno dei due occhi risultava essere parzialmente nascosto da qualcosa di scuro.

Oya, Sawamura! Quelli nella foto di sfondo assieme a te sono gli altri due vecchietti della ‘mitica’ Karasuno?”

Daichi avrebbe riconosciuto quella voce tra un milione di urla di sottofondo, così chiara e limpida ma allo stesso tempo più flebile e scandita del solito. Tetsurou Kuroo se ne stava seduto su di una panca sgangherata con un gomito poggiato sul ginocchio e la testa accoccolata al palmo della mano. Aveva lo sguardo spento, per quanto si sforzasse di apparire sereno e strafottente. Si alzò e si avvicinò a quello schermo strizzando gli occhi.

“Sì, sono loro. Ma che carini!”

Non gli lasciò il tempo di parlare, di formulare domande che avrebbe potuto reputare indiscrete. Prima fra tutte, cosa ci faceva solo e al buio in un momento in cui avrebbe dovuto occuparsi di un compagno infortunato? Era arrivato al punto di dimenticarsi persino di quell’amico di vecchia data che stava per disputare un incontro che, in fin dei conti, era importante anche per i sostenitori della Nekoma?

“Non vai dai tuoi compagni, Kuroo-san?”

“Ah, potrei farti la stessa domanda, Sawamura!”

“Ci stavo andando. Sai, sono già andati al palazzetto affianco per assistere alla partita della Fukurōdani.”

Kuroo si decise finalmente a pigiare l’interruttore utile ad accendere la luce al neon che, di primo acchito, provocò intolleranza alla loro vista, oramai abituatasi all’oscurità.
La tuta rossa apparve in tutto il suo splendore, così come quell’assurda pettinatura che sovrastava il suo metro e ottantotto d’altezza, una spanna abbondante superiore alla sua. Come aveva già avuto modo di notare, nel suo sguardo era presente un’aura diversa, un alone malinconico che in qualche modo aveva da sempre conservato dentro di sé, ma che presumibilmente quel pomeriggio si era palesato più del dovuto. Senza ombra di dubbio l’amara sconfitta da poco subita ci aveva messo del suo nel mitigare vecchi sensi di colpa che sembravano essere stati messi da parte, seppur non in maniera definitiva.
Sorrise senza manifestare reale contentezza, posando entrambe le mani lungo i fianchi ed assumendo una posa statica e perentoria che lasciava intendere al suo interlocutore di non essere particolarmente propenso al dialogo, almeno nella sua forma più sociale ed estesa. In una situazione resa quasi ai limiti del surreale, Tetsurou dava l’idea di aver chiesto per qualche ora un cambio di ruolo al giovane Kenma, anche allo scopo di iniziarlo all’imminente cambiamento che ci sarebbe stato di lì a qualche mese, quando le loro strade si sarebbero inevitabilmente divise.
Avrebbe continuato a giocare a pallavolo? Chissà!

“Sono sicuro che i ‘gufi del malaugurio’ passeranno il turno senza particolari problemi.”

“Me lo auguro per loro.”

“E anche voi. Tsukki e il gamberetto me lo avevano promesso.”

“Si chiama Hinata.”

“No, si chiama ‘Shōyō di qui e Shōyō di là’!”

Daichi sorrise cercando di non darlo troppo a vedere. Era chiaro a chi si stesse riferendo in maniera specifica il suo “avversario” di ruolo. Nel turbine delle emozioni e della frustrazione dettati dalla situazione, tutti i nodi riuscivano a venire al pettine senza grandi sforzi, in maniera decisamente più spontanea e naturale.
La smorfia che comparve sulla sua bocca lasciò intravedere un lieve sdegno dovuto alla sua reazione, così come un impalpabile senso d’insicurezza non necessariamente legato a quella bonaria presa per i fondelli inflitta dal capitano della Karasuno. Per tutta risposta, voltò più volte il capo prima a destra e poi a sinistra, come a voler scacciare dalla sua mente quel ridicolo sentimento di gelosia nei confronti di un ragazzino che non faceva niente di più che essere sé stesso in ogni circostanza.

“Hinata sarebbe capace di far parlare anche i muri. Non che stia paragonando Kozume ad una testa dura, sia chiaro.”

“No, lui è solo una testa di budino che trascorre troppo tempo dietro ai videogiochi. Ad ogni modo, il prossimo anno saprà sorprendervi come non mai. Corvi, gufi e volatili vari... preparatevi!”

“Lo farò presente a Ennoshita. Se ben ricordi, nemmeno io farò più parte della ciurma liceale il prossimo anno, ahimè.”

“Uh, sarà lui il tuo successore?”

Big Spoiler!”

“Ottima decisione comunque. Quel Tanaka è folle – per non dire altro – al pari di Tora.”

“Non mi costringere a darti ragione.”

Il ghigno di soddisfazione che comparve sul viso del più alto non passò inosservata. Daichi finse di non darci peso, ma il suo atteggiamento lo stava tradendo in tutto e per tutto. Tossì nervosamente più volte, prima di trovare la rettitudine intellettuale utile a lasciar intendere quanto non volesse dargliela vinta. Non c’era davvero nulla in palio tra loro, almeno in senso concreto; ma l’orgoglio era un nemico con il quale era difficile scendere a patti, specie perché si ostinava a dettar legge, senza mai sottostare ad alcun controllo volontario.

“Non credo ci sia mai stato un attimo della mia vita in cui io non abbia avuto ragione.”

Sawamura socchiuse gli occhi e digrignò appena i denti. Non capiva se stesse per scoppiare a ridere per l’idiozia che aveva appena udito o se fosse stato più produttivo, dal punto di vista psicosociale, stare al gioco di quelle scemenze che non avevano altro motivo di esistere se non quello di farlo esasperare. Tolto l’obbiettivo primario, forse il discorso si poteva tramutare in qualcosa di più maturo e condivisibile. Del resto, conosceva abbastanza bene quel ragazzo da poter dire che non fosse solo un cumulo di battute di bassa leva e leadership indiscussa. E se c’era una cosa che apprezzava della suo modo di essere era il modo con cui riusciva a spronare i suoi compagni ponendoli tutti esattamente sullo stesso livello, senza alcuna distinzione dovuta all’età e ai diversi compiti che dovevano svolgere in campo.

“Sì, sono sicuro che i tuoi kōhai hanno imparato molto dalla tua ‘inestimabile’ saggezza!”

La cadenza strascicante ed ironica con cui pronunciò le ultime due parole lasciò presto intuire quanto lo stesse deliberatamente prendendo in giro, per quanto non lo considerasse affatto poco intelligente. Desiderava semplicemente mettere in chiaro che forse stava solo esagerando con le attribuzioni positive verso la sua stessa persona. Ma senza dubbio non poteva negare che, legittimo o arrogante che fosse, era un modo come un altro per cercare di risollevare il morale. D’altronde, la resilienza e la buona volontà non gli erano mai mancate.

“Anche qualcuno dei tuoi. Ad esempio, i due che hai nominato poco fa.”

“Lo so, lo so. Mi parlano spesso di te e di Bokuto.”

Stoccata secca e decisa, volutamente sentenziata per fargli intendere quella che era la realtà dei fatti. E meno male che aveva omesso la venerazione che Kageyama avvertiva nei confronti di Akaashi, specie in seguito all’episodio in cui il setter dagli occhi verdi salvò Tobio da un imminente soffocamento.
Lo vide porsi a braccia conserte mentre si mordicchiava insistentemente il labbro inferiore. Si voltò verso la parete bianca e asettica per evitare quello sguardo che non stava facendo altro che innervosirlo con la sua fissità. Schioccò la lingua prima di realizzare quanto stesse diventando difficoltoso trattenere quel pianto che si portava dentro dal fischio finale dell’arbitro, segnale infausto che decretò la fine della sua carriera nella pallavolo in ambito juniores.
Si affrettò a raggiungere la porta e spense la luce, senza preoccuparsi del fatto che Daichi fosse ancora all’interno di quel piccolo locale. Voleva impedire che facesse commenti mentre si asciugava il viso alla bell’e meglio con la manica della tuta, nell’estremo tentativo di ripristinare il suo equilibrio interiore. Vi erano dei momenti in cui avrebbe voluto essere il protagonista di uno di quei giochini per cui Kenma andava matto: una volta sconfitto avrebbe avuto almeno altre due possibilità a disposizione; ma anche una volta esaurite, sarebbe potuto ripartire daccapo semplicemente pigiando qualche tastino colorato.
Peccato che la vita, specie al termine di percorsi importanti come quello dell’adolescenza, fosse tutt’altro genere di corsa ad ostacoli. A volte era sufficiente poggiare male un piede per cadere o finire in un pozzo dal quale diventava impossibile risalire.

“Sawamura, tu vai pure ad assistere alla partita. Io vi raggiungo tra un po’.”

Ancor prima di ricevere risposta, avvertì il trillo di una notifica appena giunta sul suo telefono. Immaginò che potesse trattarsi di uno qualunque dei suoi compagni che si stava giustamente chiedendo che fine avesse fatto. Toccò proprio a Kenma cercare di rintracciarlo e la cosa gli fece senz’altro piacere. Per un attimo aveva distolto l’attenzione dal suo Shōyō per ricordarsi della sua esistenza.

“Forse qualcuno mi ha anticipato?”

“Che vuoi dire?”

“Qualcuno tra i tuoi amici ha puntualizzato che dovresti tornare da loro?! Perché era quello che ti stavo per invitare a fare. Kuroo-san, quello che è stato è stato. Ora bisogna andare avanti!”

Tetsurou fissò il display del suo iPhone con l’intento di rileggere il breve messaggio del suo migliore amico, evitando ancora una volta lo sguardo penetrante di quel ragazzo dai modi accoglienti e consolatori. Una lacrima bagnò lo schermo nel punto esatto in cui si trovava l’immagine-profilo del suo setter. La luce fioca non impedì a Sawamura di avvertirne la consistenza emotiva.

“Ah, ora non me la sento. Davvero, vi raggiungo dopo. Dillo tu a Kenma... per favore.”

“Rispondi al suo messaggio, perché se non hai intenzione di tornare dai tuoi compagni... beh, resterò io a farti compagnia. Ben inteso!”

“Nah, non penso che a Sugawara potrebbe far piacere una cosa del genere.”

Daichi doveva ammettere di non aver considerato l’eventuale reazione di Kōshi a fronte della sua prolungata lontananza dalla squadra. Un capitano non avrebbe mai dovuto comportarsi in quella maniera se voleva dare il buon esempio a ciascuno dei suoi studenti, e lui lo sapeva bene.
Purtroppo o per fortuna, le contingenze che lo avevano spinto in quel posto e con quella specifica persona non si potevano spiegare con delle semplici apologie. Avvertiva profonda empatia per un amico che era stato costretto ad abbandonare un sogno prima del tempo, nonostante i numerosi e dispendiosi sforzi che aveva messo in atto dal momento esatto in cui aveva indossato quella maglia rossa, quasi tre anni prima. Non avrebbe mai potuto far finta di nulla di fronte a tanta sofferenza resa ancor più evidente proprio dai continui tentativi messi in atto per reprimerla.
Si era sempre fidato ciecamente di Suga ed era certo che avrebbe compreso la situazione.

“Tu non ti preoccupare. Penso che in questo momento ci sia qualcuno che abbia bisogno della mia presenza ancor più di lui.”

Kuroo si asciugò ancora una volta il viso usando la solita manica della tuta. Non fece in tempo a strofinare sulle palpebre che si ritrovò un profumato fazzoletto di stoffa sotto il naso. Daichi si era ricordato di averne uno in tasca, fortunatamente ancora intonso.
Il capitano della Nekoma lo accettò di buon grado, ringraziando con un lento cenno del capo. Oramai non aveva più senso nascondere il proprio stato d’animo dinnanzi a chi mostrava tanto sincero interesse nei suoi riguardi.

“Ah... Questa persona deve davvero essere molto fortunata.”

“È già fortunata di suo, visto quanto è vera e leale.”

Tetsurou arrossì violentemente, cosa che non gli era mai capitata prima di allora; per lo meno, non in quella maniera così imprevedibile. Nonostante l’emozione provò a pensare a qualcosa di sensato da dire per rispondere a quei meravigliosi complimenti che da tutti si sarebbe aspettato, meno che da un suo diretto avversario.
L’arrivo di un nuovo messaggio interruppe il flusso confuso dei suoi pensieri. Diede una rapida occhiata alle conversazione aperte su WhatsApp e notò un nuovo messaggio vocale.
Bokuto non aveva preso benissimo la sua assenza sugli spalti mentre sosteneva di star dando il meglio di sé.

“Forse è meglio tornare.”

“Già. Se s’incazza Koutarou mi devo poi sorbire sia lui che Akaashi. No, no... ci tengo alla mia pellaccia da gatto nero.”

“Meno male.”

“Non ho mai detto il contrario.”

Un altro messaggio, questa volta sul telefono di Daichi. Sugawara non gliele stava di certo mandando a dire.

“Mi concede due minuti di tempo per raggiungerlo, altrimenti chiamerà la polizia!”

Scoppiarono a ridere un’ultima volta insieme, prima di dirigersi a passo spedito verso il palazzetto incriminato.
Da quel pomeriggio compresero quanto fosse profondo e intenso il senso di rispetto che avevano maturato l’uno nei confronti dell’altro.
Poco importava quanto le loro scelte di vita li avrebbero costretti ad allontanarsi.
 
 
 
… Amico mio mi basta
che almeno ci sia tu
 a ridere se piango
e a tirarmi su...










 

Angolo dell'Autrice


Ringrazio in anticipo tutti coloro che avranno voglia di leggere e recensire questa mia one-shot! :)

La mia prima #DaiKuroo! Sono emozionata! **
L’idea iniziale era quella di puntare agli esordi di una relazione amorosa, come mi è già capitato di fare con altre ship con basi più solide e sulle quali sicuramente scrivo con maggiore scioltezza. Ma scrivendo ho appurato che la cosa stava diventando un tantino forzata e così ho rivisto un intero pezzo di storia basandomi maggiormente sui concetti di amicizia, supporto e sana rivalità tra capitani di squadre avversarie. Era parecchio tempo che non trattavo questa tematica in ambito sportivo e devo dire che è stata un’ottima occasione per fare un po’ di esercizio su un tema che a mio avviso viene troppo spesso messo in secondo piano.

Ma veniamo alla storia. La Nekoma ha appena perso l’ultima partita di qualificazione al torneo nazionale contro l’Itachiyama di Sakusa, per cui è stata definitivamente eliminata dalla competizione. Per Tetsurou si tratta dell’ultima partita da capitano, il ché gli farà vivere la sconfitta con ancora più desolazione. Una volta occupatosi di Yaku e del suo infortunio (perché, giustamente, l’eliminazione non era già abbastanza!) decide di ritirarsi in un luogo appartato per starsene un po’ da solo.
Come ho potuto notare nel manga (riletto di recente per l’occasione) Kuroo si lascia più volte andare al pianto, specie negli ultimi frangenti della sua carriera con la Nekoma. Ho puntato su quei sentimenti che spesso reprime per vergogna e per non dare dispiacere ai suoi compagni, soprattutto agli studenti più giovani che da lui hanno appreso tanto.
Daichi decide di andare a cercarlo, con la scusante dell’infortunio di Yaku. S’incontreranno in questa stanza adibita a spogliatoio e inizieranno a punzecchiarsi e a chiacchierare del più e del meno, come sono soliti fare anche nel canon. Entrambi saranno poi attesi al varco da un po’ di amici più o meno gelosi ed impazienti; decideranno quindi di tornare ad unirsi a loro dopo una bella dichiarazione di fiducia e amicizia. Spero solo di non aver esagerato con lo zucchero! XD

Kuroneko significa gatto nero. In Giappone, al contrario dell’Italia, è considerato sacro proprio perché porterebbe fortuna.
La storia è scritta in terza persona con p.o.v. alternato e al tempo passato.
L’estratto di testo che riporto nella fine della storia è tratto dal brano ‘Amico mio’ di Alex Britti.

Grazie ancora a chiunque passerà di qua. **

Alla prossima,


Mahlerlucia

 
 
 
   
 
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