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Autore: nalasinlove    16/06/2020    1 recensioni
Una sparatoria interrompe un concerto in una serata estiva. Due amiche rimangono ferite e quando si rivedono per la prima volta in ospedale le paure e i ricordi del trauma lasciano spazio ad una dichiarazione d'amore
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
- Questa storia fa parte della serie 'girlzz'
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"Mamma puoi lasciarci sole per un po'?"
"Si, ma stai attenta, per qualsiasi cosa chiama" mi dice mettendo i freni alla carrozzina.
"Va bene, grazie"
Mia madre poi esce dalla stanza, seguita dalla madre di Nicole.

Osservo la mia amica e noto che ha il braccio destro fasciato dal polso al gomito e dalla manica della maglia dell'ospedale si intravede un livido ormai giallo. Anche la gamba destra è fasciata dal ginocchio in su. Nascondono le ferite dell'esplosione. 

"Ti fanno male?" Le chiedo rompendo il silenzio con voce neutra.
"Non molto. L'infermiera miha dato un'anestetizzante" 
"Hai un livido sulla spalla" osservo.
"Si, siamo cadute sul fianco nello sgabuzzino" mi dice mentre preme sulla zona interessata per vedere quanto faceva ancora male.
"Lo so, è grazie al tuo braccio se non ho sbattuto la testa" è vero, mi ha fatto da scudo con il suo corpo e invece di atterrare sul pavimento, sono atterrata sul suo braccio.

Mi risponde con un sorriso triste guardando il pavimento, riesco a immaginare come si sente, anche se ciò che è successo lo abbiamo vissuto insieme non siamo rimaste ferite allo stesso modo, il mio corpo è dimora di ferite molto più gravi, ma so che la sua sofferenza interna supera quella di una pallottola nella coscia. Posso immaginare quello che sta provando in questo momento solo perché mia sorella mi ha raccontato cosa è successo mentre ero in coma, so che è venuta a vedermi appena ha potuto, e una volta arrivata al mio fianco si è accasciata sul letto, diceva che non se lo sarebbe mai perdonata e mi chiedeva scusa per ciò che era successo, quasi come se fosse colpa sua. Se potessi cancellargli dalla testa tutti quei pensieri sbagliati non ci penserei due volte. 

Abbasso i piedini della carrozzina per appoggiare i piedi a terra, metto le mani sui bracciali e mi spingo in su cercando di alzarmi ma è più difficile del previsto, appena Nicole capisce cosa voglio fare e vede che non ce la faccio viene verso di me, mi prende le mani per tirarmi su facendo attenzione a non toccare la flebo e avvolge un braccio alla mia vita per darmi più sostegno. 
Una volta in piedi un dolore lancinante che attraversa la gamba mi costringe a trattenere il fiato e piegarmi in avanti, sarei già con la faccia sul pavimento se non ci fosse lei a reggermi. Porto tutto il mio peso sulla gamba sana e il dolore svanisce, posso tornare a respirare.

Appoggio la testa sulla sua spalla, sento il calore del suo collo a pochi centimetri dal mio naso, sto cercando il suo profumo ma è coperto da quello intenso dell'ospedale, rimango un po delusa, sono sicura che sentire di nuovo il suo profumo mi avrebbe ridato la forza che mi serviva almeno per reggermi in piedi, allora chiudo gli occhi e provo ricordarlo, cerco un po' di sollievo nel ricordo del suo odore. 

Ora entrambe le sue braccia mi cingono delicatamente la schiena da qualche minuto, non ci siamo mai abbracciate così, anzi non ci siamo proprio mai abbracciate, non siamo quel tipo di amiche. Vorrei dirle di stringermi più forte, che non mi fa male se mi abbraccia, magari la sua forza può darne un po' a me, così poi posso abbracciarla forte anche io, invece le mie braccia sono talmente deboli che non riesco nemmeno a sentire il loro peso.

Con la guancia appoggiata alla mia testa e il suo rspiro tra i miei capelli cerca di sopprimere un singhiozzo, e poi un' altro, e poi un'altro ancora, ma per quanto ci provi il suo corpo la tradisce ogni volta e le costole non possono fare a meno di alzarsi ritmicamente con forza ad ogni colpo. Sta piangendo. L'ho vista piangere solo una volta, non è una che piange davanti alle altre persone, non vuole mostrare segni di debolezza, per questo mi ha colta un po di sorpresa, se piange significa che sta davvero male, e mi rattrista sapere che mentre io mi stavo beando di questa intimità, lei ne sta soffrendo.

"Non è colpa tua Nicole..." So che non servirà a niente dirglielo, ma non smetterò di ripeterlo finché non ne sarà convinta.
"Mi dispiace..." Si abbandona ai singhiozzi e alle lacrime con tutta se stessa.
Mentre lascio che si sfoghi, ancora con la testa nell'incavo del collo, presto attenzione al suo battito: è veloce, regolare ma sicuramente più veloce del mio.
Ricordo che quella sera ho sentito il mio battito per tre volte. La prima volta, nel momento in cui scendevo le scale correndo in mezzo ad altre centinaia di persone e ho realizzaato che la sua mano non era più nella mia, la folla doveva averci divise e la prima cosa che ho provato è stata un'immensa solitudine, mi guardavo attorno e cercavo il suo viso o i suoi capelli, provavo a distinguere la sua voce che mi chiamava in mezzo ad altre mille voci, ma non sentivo altro che il mio cuore, lo sentivo battere come se ce lo avessi avuto nelle orecchie. Ne ho sentiti molti di spari quel giorno, ma ricordo solo quello che mi ha colpita alla gamba, subito dopo lo sparo ho sentito il mio battito per la seconda volta, un rumore martellante che si mescolava con un fischio assordante e la voce di nicole che urlava il mio nome. E poi, l'ultima volta l'ho sentito nello sgabuzzino in cui credevamo di aver trovato riparo, insieme al mio c'era anche il suo battito, riuscivamo a sentire solo quelli, e mentre ci stringevamo la mano non avremmo mai pensato che potesse succedere ciò he è successo dopo.

Dopo che si è calmata e ha ripreso a respirare regolarmente, le parlo di nuovo.

"Alessia mi ha detto che sei venuta da me quando ero in coma. Io non me ne sono accorta, non ti sentivo. Però mi ha detto che sembravi distrutta e che ti sentivi responsabile... continuavi a chiedermi scusa come se fosse colpa tua. Nicole non è colpa tua. Se quel proiettile ha colpito la mia gamba è solo colpa di chi ha sparato"

 "Stavi venendo da me per portarmi al sicuro, se non fossi così testarda e ti avessi ascoltato subito, nessuno ti avrebbe sparato e non saresti stata in coma"
Le sue lacrime ricominciano a scendere, mi fa un male tremendo vederla così, ora capisco come si sentiva quando mi ha vista cadere per terra. 
"Ho avuto paura di perderti, Vale" 
Queste parole sono come un pugnalata al cuore, gli occhi mi si appannano di lacrime, devo farle capire che ora sono qui, sono con lei e non la lascerò mai più. Voglio che sappia quanto io sia grata che il proiettile abbia colpito me e non lei, soffrirei tutti suoi dolori se sapessi che lei non dovrebbe soffrire mai più.

Porto una mano sulla sua guancia e la accarezzo, strofino il pollice sotto gli occhi le asciugo le ultime lacrime. 
"È vero quello che mi hai detto nello sgabuzzino?" Sussurro facendole venire la pelle d'oca.
"Cosa?" 
"Sai di cosa parlo... poco prima dell'esplosione... Stavi dicendo sul serio?"

Attendo la sua risposta per un po ma non dice niente e si è irrigidita molto, sembra che anche il suo respiro si sia fermato, però non il cuore, quello batte più forte di prima. Dopo qualche altro secondo capisco che non ha intenzione di rispondere, vorrei che fosse sincera con me e me lo dicesse lei stessa, ma non importa, ancora una volta il suo corpo parla per lei e io decido di ascoltarlo. Non succede tutti i giorni di scoprire che un'amicizia di 4 anni mascherava non solo la mia ma anche la sua sofferenza di credere che l'amore non fosse corrisposto, non spreco questa occasione.

 Alzo leggermente la testa in modo da avvicinarmi di più al suo viso e concentro lo sguardo sulle sue labbra. Quelle labbra che cantavano quella sera al concerto, e che poche ore dopo urlavano il mio nome in mezzo alla folla impanicata, la stessa bocca che ha tirato un sospiro di sollievo sia quando mi ha vista dall'altra parte della strada dopo che il panico generale ci aveva divise, sia quando siamo riuscite a nasconderci nello sgabuzzino di un palazzo pubblico. Le stesse labbra da cui è uscito un gemito di paura quando la pallottola si è conficcata nella mia gamba, che hanno chiamato il 118  perché eravamo state ferite da un'esplosivo nascosto dai terroristi a pochi metri dal nostro nascondiglio e io perdevo molto, troppo sangue. Le labbra che sto fissando ora sono le stesse che mi hanno detto "ti amo" pochi attimi prima dell'esplosione.  

Con lei ancora immobile, sfrutto la mano che ho sulla sua guancia per spingere le sue labbra ancora più vicine alle mie. Strofino delicatamente la mia bocca già un po' aperta sulla sua e poi le lascio un bacio all'angolo della bocca. Quando anche le sue labbra si sono schiuse, finalmente posso baciarla. La bacio e mi meraviglio di come questo semplice contatto riesca cancellare ogni cosa attorno a noi,non c'è più niente attorno a noi, niente rumori di macchinari, niente persone in corridoio, solo io, lei e il nostro primo bacio.  

Mi stacco leggermente e mi allontano, osservo ogni dettaglio del suo viso e mi soffermo sugli occhi. I suoi occhi marroni sono più belli di qualunque altro sopravvalutato occhio azzurro o verde, non ho dubbi, poi ora che mi sta guardando sono ancora più belli. Sono gli occhi di chi sta guardando l'amore in faccia dopo che lo ha combattuto per anni cercando di nasconderlo nell'armadio, ed ora è felice di essersi arreso. 

"Ti amo anche io" le sussurro quasi impercettibile sulle labbra. 
E poi, senza aspettare una risposta, la bacio di nuovo, la bacio e stavolta anche lei si sblocca, mi stringe più forte a se e mi lascia giocare con i suoi capelli mentre le nostre lingue si conoscono e si intrecciano. Il nostro primo bacio non è esattamente il più romantico, sa di ospedale, è pieno di dolore per i nostri corpi indolenziti, è salato per le lacrime che sono sfuggite alla mia mano e probabilmente i passanti in corridoio si sono anche fermati a guardare, ma dopo tutto è anche dolce, sa di libertà, di un nuovo inizio, sa di serenità perché finalmente non devo più nascondermi quando la guardo e non devo mascherare il rossore ogni volta che mi sfiora, ora sono libera di amarla a modo mio. 

Vorrei fermare il tempo e restare così per l'eternità, ma devo fermarmi, il mio corpo è troppo fragile e sta per cedere, ci stacchiamo e appoggiamo le nostre fronti l'una contro l'altra riprendendo fiato. 

Sento le voci delle nostra madri nel corridoio, stanno tornando.

Raccolgo le ultime forze rimaste e mi allontano per guardarla bene in volto, continuo a giocare con i suoi lunghi capelli e nel vedere le sue guance rosse non riesco a trattenere un sorriso compiaciuto, anche lei sorride a sua volta e va a finire in una piccola risata di complicità.

"Ci vediamo dopo" mi dice baciandomi il palmo della mano e accarezzandomi la schiena.

La porta si apre ed entrano le nostre madri, allora mi aiuta a sedermi di nuovo sulla sedia a rotelle e si assicura che sia messa bene. 

"Mi dispiace interrompere ma il dottore sta venendo a visitarti" annuisco a mia madre che sblocca i freni e indietreggia verso la porta.

Le mimo un "A dopo" con le labbra a cui risponde con un sorrisino dolce, e poi vengo trascinata fuori ad aspettare che arrivi dopo.
   
 
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