Una ferita mai cicatrizzata

 
 


«Sapevo che ti avrei trovata qui!»
Era stato un sussurro quello che aveva abbandonato le labbra del giovane uomo che, con passo lento e misurato, avanzava verso una figura rannicchiata in terra.
Era una splendida giornata quel due maggio. Il cielo turchese era talmente limpido da far male agli occhi se osservato troppo a lungo. Il sole sembrava un'immensa palla di fuoco che illuminava in ogni dove, senza. Le fronde degli alberi erano immobili, nemmeno un alito di vento ad accarezzarle.
In quel dipinto di perfezione, però, due erano le note stonate, le pennellate a rendere imperfetto quell'angolo di paradiso.
Una giovane donna se ne stava rannicchiata su se stessa. Le gambe al petto, le braccia ad avvolgerle e lo sguardo fisso davanti a sé, perso in ricordi lontani, che mai sarebbero tornati.
Dietro di lei vi era un uomo. Se ne stava in piedi, le mani nelle tasche dei pantaloni azzurri dal taglio elegante e un sorriso, che non raggiungeva gli occhi, sul volto non più bambino.
Se ne stavano fermi, immobili, ognuno perso nel proprio mondo eppure felici di avere l'altro accanto.
«Mi manca...» sussurrò semplicemente la donna mentre i suoi occhi color del miele si posavano sulla lapide davanti a lei e una lacrima silenziosa le rigava il volto niveo.
Faceva ancora male, nonostante fossero passati ormai otto anni. La sua assenza era una ferita indelebile che sembrava non voler smettere di sanguinare.
«Anche a me» ammise l'uomo sedendosi al suo fianco e posandole un braccio sulle spalle in un abbraccio del quale entrambi sentivano la necessità.
L'altro era l'unico a poter comprendere il vuoto che si portavano dentro da ormai troppo tempo e non importava che avessero raggiunto una parvenza di normalità, stabilità. In quel giorno, ogni anno, avrebbero sempre avuto bisogno del reciproco sostegno.
«Ti voglio bene, George!» disse la donna posando il capo sulla spalla dell'amico.
«Anch'io, Hermione!»