Serie TV > Supernatural
Segui la storia  |       
Autore: DonnieTZ    21/06/2020    3 recensioni
[Destiel] [Human!AU]
Dean ha una vita semplice: un lavoro all'officina di Bobby, i venerdì sera al Roadhouse, una storia lunga un anno alle spalle e il desiderio (irrealizzabile?) di avere una famiglia tutta sua, un giorno.
Poi un certo Castiel Novak porta a riparare la sua macchina e "semplice" non è più la parola che Dean userebbe per descrivere la sua esistenza.
O forse sì?
Perché perfino la cosa più complicata, profonda e sconvolgente della vita può rivelarsi quella giusta.
***
Questa storia è fluffosa e spensierata. Insomma, è la family!fic di cui avevo bisogno, in questo periodo incerto.
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester, Famiglia Winchester, Gabriel
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

4




 
Quella notte, Dean impiega ore a prendere sonno, tutto preso dalla consapevolezza di avere il numero di Cas registrato nel cellulare.
Cas
che ha un figlio.
Cas che ha comprato la vecchia casa di Cain.
Cas che ha bisogno del suo aiuto e non ha rifiutato l’offerta.
Non sa di preciso cosa gli stia succedendo dentro, ma non c’è un momento migliore della notte per tirare tutto fuori e farci i conti. Castiel Novak ha qualcosa che spinge Dean a voler passare il tempo con lui. Probabilmente è l’aura scompigliata che si porta in giro, come se avesse bisogno dell’aiuto di qualcuno. Dean ha sempre avuto un debole per le persone in difficoltà. Il complesso dell’eroe, come lo chiama Sam.
Però non è solo questo, Dean lo sa bene.
Perché Cas ha dimostrato di saper prendere in mano la situazione e di avere una personalità decisa. Dean vorrebbe dirsi che è ammirazione per un uomo che ha iniziato una nuova vita, con un figlio da crescere, un lavoro da cervellone e tutto il resto, ma lo farebbe solo perché è abituato a mentire a se stesso.
La verità è che Castiel è interessante e basta, sotto ogni punto di vista, compreso quello estetico. Non c’è niente di male ad ammetterlo, tutti hanno gli occhi.
Questo non fa di Dean…
Qualcosa.
Non significa proprio nulla.
Ha avuto fantasie simili anche in passato, ma non hanno mai avuto conseguenze. Sono piccole distrazioni innocue, che lui si tiene per se e che finiscono lì, di notte, fra le lenzuola.
Come in quel momento, mentre pensa al modo in cui la sua maglietta stava addosso a Castiel, ai suoi occhi blu che lo squadrano, alla bocca rosa pallido che si apre in un sorriso.
Dean infila i denti a fondo nel labbro inferiore e decide che non farà proprio un bel niente con l’immagine che gli si è appena formata nella mente.
Si limiterà a dormire e basta.

 
***
 
Il suo piano non funziona, e il mattino dopo Dean decide di occuparsene sotto la doccia, sperando di sbrigare la faccenda alla svelta e senza sentimento. Si concentra così tanto a non pensare a Cas che finisce per pensarci e il piacere è quasi accecante. Ma i cervelli funzionano così: più si prova a non focalizzarsi su qualcosa, più la mente finisce lì. Tutto ha una spiegazione, in fondo, se Dean si impegna abbastanza da trovarla.
Per i due giorni successivi, mentre lavora sotto le auto e dentro i cofani, si sente in colpa per aver permesso ai suoi pensieri di avere conseguenze molto, molto reali, per quanto private. Ogni tanto valuta l’idea di chiamare Cas e chiedergli se possono andare insieme a fare un sopralluogo nella vecchia casa di Cain, ma si ricorda dei suoi pensieri sconvenienti e rimanda a un momento che non si è ancora presentato.
Così arriva venerdì sera e si ritrova teso e confuso al solito tavolo del Roadhouse. Come la settimana prima, ogni volta che c’è del movimento dalle parti della porta, Dean guarda in direzione dell’ingresso.
«Per la barba di merlino, Dean, vuoi bere la tua birra e smetterla di agitarti?» lo rimprovera Charlie, massaggiandosi il braccio dove il gomito di Dean l’ha colpita nel tentativo di sbirciare il gruppo di persone appena entrato.
«Scusami,
scusami
«Si può sapere che ti prende? Avrai detto sì e no due parole, stasera.»
«Mh?»
«Ecco, appunto. Sei tutto agitato. Che succede? Aspetti qualcuno?»
Sembra una replica del venerdì precedente e Dean quasi sorride all’idea di un Cas brillo che si lancia in disquisizioni su Tolkien.
«Conosco quel sorriso,» interviene Sam.
«Quale sorriso?» borbotta Dean tornando serio. «Ma cosa volete?»
«Hai conosciuto qualcuno.»
Suo fratello lo dice con una certa sicurezza, perché dopo tutti quegli anni non ha ancora imparato le due regole fondamentali che Dean ha cercato di insegnargli: farsi gli affari propri e mai parlare dei sentimenti come in una commedia romantica.
«Smettetela,» dice, prendendo due lunghi sorsi di birra.
Ma quasi soffoca quando sente la voce di Gabriel risuonare per il Roadhouse.
«Gente, sono qui, potete smetterla di aspettarmi!»
Dean cerca di guardare dietro le sue spalle, ma non c’è traccia di Cas. Forse è fuori e deve ancora entrare, forse arriverà più tardi, forse…
«Tutto bene, Deano?» chiede Gabriel, sedendosi troppo vicino a Sam.
«Sì, sì.»
«Perché se stai aspettando Cassie, oggi non viene.»
Charlie e Sam gettano a Dean un’occhiata inquisitoria, nel sentire le parole di Gabriel, ma lui li ignora. Sì, stava aspettando una persona con cui vorrebbe fare amicizia, e allora? Non c’è niente di criminale. Torna a bere la sua birra e spera di lavare via un po’ di delusione.
«Povero Cassie. Ha una consegna importante per settimana prossima e in più Claire non può aiutarlo con Jack, questa sera, quindi si trova a dover badare a lui mentre prova a tradurre dall’enochiano o qualcosa di simile. Non so neanche se mangerà.»
Gabriel sta usando un tono esageratamente melodrammatico, guardando in direzione di Dean come se stesse insinuando qualcosa.
«E perché non sei rimasto a casa ad aiutarlo, mh?»
«Avevo un appuntamento,» conclude Gabriel, prima di strizzare l’occhio verso Sam e farlo arrossire.
Dean ignora la tavolata che si rianima di conversazioni dopo l’arrivo di Gabriel e i conseguenti saluti. Pensa a Castiel chiuso in casa, che cerca di lavorare e mettere a letto Jack, con l’ansia di dover consegnare un lavoro perché ha bisogno di soldi. Gli si agita qualcosa dietro lo sterno e decide all’improvviso di dar retta a quella sensazione.
«Dove stai?» chiede a Gabriel.
«Come?»
«Dove abiti di preciso?»
Il sorriso di Gabriel si allarga e diventa malizioso, mentre risponde. Dean memorizza l’indirizzo e si alza, lasciando una banconota per la birra sul tavolo. Sa benissimo di essere caduto nella trappola di Gabriel – non era neanche necessaria, vuole essere amico di Cas già di suo – e non ha bisogno di leggergli in faccia la vittoria.
«Che fai, te ne vai?» chiede Sam.
«Vado a portare la cena a Cas, va bene? Suo fratello fa schifo, quindi qualcuno deve pur aiutarlo.»
Gabriel fa una linguaccia, ma niente scaccia la sua espressione trionfante. Sam invece, proprio come mezzo tavolo, non sembra poterci credere: apre e chiude la bocca un paio di volte, lo sguardo che si sposta da Dean ai loro amici.
«Cosa?»
«Niente, niente, è che è venerdì e, sai, sei sempre felice di suonare,» spiega Charlie.
Dean sbuffa e si allontana. Non vuole rischiare che Cas mangi prima che lui possa portargli la cena, né ha intenzione di subire domande per cui non è certo di avere delle risposte. Intercetta Ellen, le spiega che ha un’emergenza – va bene, forse non è proprio un’emergenza, ma ci va vicino – e le lascia la sua ordinazione. Come sempre, il Roadhouse si dimostra la sua casa, e in pochi minuti si ritrova con la sua cena e quelle da portare a Cas e Jack.
Il viaggio sull’Impala è breve, ma Dean lo passa tutto preoccupandosi di superare una linea di confine ed essere invadente. Quando parcheggia nella via di Gabriel, decide che il piano migliore è quello di avvertire Cas prima di presentarsi senza essere invitato. Respira per controllare l’agitazione e fa partire la chiamata.
«Pronto?» risponde la voce rauca di Castiel, dopo il terzo squillo.
«Ehi, Cas,
sono Dean.»
Segue un po’ di silenzio statico e Dean realizza che Castiel gli ha dato il numero con l’invito a farsi sentire, in modo che avessero entrambi il contatto dell’altro. Tutto preso dalle sue fantasie, Dean non ha pensato a come quella mancanza potesse sembrare dall’altra parte.
«Sei al Roadhouse?» chiede Cas.
Ascoltarlo parlare senza vedere le sue espressioni rende difficile interpretare il tono di voce. Sembra curioso, un po’ stupito, ma Dean non è certo di cogliere bene le diverse inflessioni. Sa solo che anche al telefono quella voce è incredibile.
«Uhm, in realtà sarei dalle tue parti. Cioè, dalle parti di Gabriel. Mi ha detto che stai lavorando e che Claire non è potuta venire.»
«Oh.»
Se è stato difficile interpretare il tono di prima, quel singolo suono può voler dire tutto e niente. Dean attende, tentando di tenere a bada la sua reazione. È deluso, perché si aspettava dell’entusiasmo da parte di Cas, ma si sente anche in colpa perché non ha rispettato le normali regole fra due persone che stanno per essere amiche e non lo sono ancora del tutto; ha il cuore che gli batte troppo forte e gli fa ronzare il sangue nelle orecchie, ma è anche preoccupato da quanto sia importante la reazione di Cas a quel semplice gesto.
«Non sono esattamente… presentabile,» conclude Cas, con una nota dispiaciuta nella voce.
«Ehi, è venerdì sera e stai lavorando, non devi essere presentabile. Ho solo portato hamburger e patatine per te e Jack. Ti consegno tutto e me ne vado, niente di che.» Si passa una mano sulla nuca, cercando di scacciare il disappunto all’idea di non poter passare un po’ di tempo insieme e di doversene tornare a casa a mangiare la sua porzione da solo. «Magari avete già mangiato, ma almeno non devi pensare al pranzo per domani.»
Cas sembra pensarci e pochi istanti dopo si sente un frusciare seguito da uno scambio che Dean non può sentire bene, fatto di voci sommesse e accordi. Alla fine arriva un verdetto.
«Sai già qual è la casa?» chiede Cas.
«Sì, tuo fratello mi ha detto tutto.»
«D’accordo. Ti aspettiamo.»
Dean vorrebbe quasi colpire il volante dalla gioia, appena si salutano, ma non farebbe mai del male alla sua bambina. Salta fuori e percorre i pochi metri che lo separano da casa di Gabriel. Appena bussa alla porta, Cas la spalanca.
È più scompigliato delle altre volte. Indossa la solita camicia e i soliti pantaloni del completo – perfino a casa, di venerdì sera – e i capelli sparano in tutte le direzioni. Ha sempre gli occhi più blu che Dean abbia mai visto.
«Consegna speciale,» dice Dean, scavando nel sacco per separare la sua cena dalle loro e consegnare solo il necessario.
«Entra pure.»
«Come? Cioè, non voglio disturbare.»
«Non
disturbi
Cas gli fa un sorriso tenero, che fa gonfiare la vertigine nello stomaco di Dean al punto che non è certo di riuscire a mangiare.
«Stavamo proprio decidendo cosa scongelare per cena.»
«Scongelare, uh?»
«
Non ho molto tempo.»
Dean segue Cas dentro casa e trova Jack seduto sul divano, davanti a quello che ha tutta l’aria di essere un documentario sulle api. Poco lontani sono sparsi libri, carte e appunti, segno che Cas stesse lavorando proprio lì prima di essere interrotto.
«È in punizione?» sussurra Dean.
«Come?»
«Dico, è in punizione, per questo gli stai facendo vedere… quello?»
«No,» risponde Cas, con le sopracciglia corrucciate come se fosse confuso. «Ultimamente è l’unica cosa che vuole guardare: api. Gabriel gli ha comprato una serie di documentari a tema.»
Dean annuisce una singola volta, com’è solito fare, e non aggiunge altro. Jack non è un bambino convenzionale, ma questo gli è stato chiaro fin dal primo istante. Spera solo che quello non gli crei problemi a scuola e con i compagni, perché non vorrebbe mai che il bambino si sentisse in dovere di cambiare o di nascondersi a causa delle pressioni degli altri.
«Jack, Dean è
arrivato
A quel richiamo, il figlio di Cas mette in pausa il documentario da solo, scende dal divano e si avvicina con un sorriso pieno e felice, allungando una mano per stringere quella di Dean.
«Buonasera,»
gli dice.
E Dean si sente scaldare da dentro, perché tutto in quel bambino gli suscita tenerezza.
«Buonasera a te,» risponde, ricambiando la stretta.
«Papà dice che hai portato la cena e che è un hamburger.»
«Ah, vai dritto al sodo, eh?»
«Andiamo in cucina,» li interrompe Cas. «Mangi con noi?»
«Se per te
va bene.»
Non voleva presumere, Dean, ma è contento di sapere che potrà davvero passare un po’ di tempo con quei due.  Li segue attraverso una porta e li guarda collaborare per apparecchiare sull’isola che sta nel mezzo della stanza: Cas da indicazioni specifiche e Jack esegue con concentrazione. Dean non sa bene cosa fare, così si limita a restare in disparte e guardarli, pensando al modo in cui i due sono una famiglia anche in quei semplici gesti.
Quando Cas ha finalmente sistemato Jack – Dean nota che il suo sgabello è differente, con i braccioli che possono evitargli di cadere –, inizia a mettere gli hamburger nei piatti.
Dean si siede e inizia a sentirsi un po’ più a suo agio. Non è casa sua e si è presentato di punto in bianco, ma i due non ne hanno fatto un problema e sembrano tranquilli di averlo lì.
«Grazie per, beh, avermi invitato a restare,» dice, quando anche Cas si siede.
«Grazie a te per aver portato la cena.»
«Ho pensato… in realtà ho pensato che potrei stare io un po’ con Jack mentre lavori.»
Cas lo guarda, fermando a mezz’aria la bottiglia d’acqua con cui stava riempiendo i bicchieri. Sembra davvero sorpreso dalla proposta, ma cerca di riprendersi in fretta.
«Non sei costretto. So che hai i tuoi impegni, di venerdì.»
«Mi sono offerto, no?» risponde Dean, sfoggiando uno dei suoi sorrisi abbaglianti.
Jack non parla, durante quello scambio, e si limita a mangiare l’hamburger con tutta la concentrazione di cui sembra capace, anche se il panino è la versione da bambini e non è neanche grande la metà di quelli che Cas e Dean hanno nei piatti.
«Che dici?» insiste Dean, quando una risposta non arriva.
«D’accordo.»
«Dean si ferma a guardare le api con me?» chiede finalmente Jack, alzando lo sguardo dalla sua cena.
«Sembra di sì.»
Jack non ha considerazioni da condividere, dopo quell’annuncio, così la cena prosegue. Chiacchierano di argomenti superficiali – la città, il Roadhouse, l’officina – e sorridono di qualche commento inaspettato da parte del bambino. Cas si rilassa visibilmente e Dean si convince che una pausa dal lavoro fosse d’obbligo. Quando i piatti sono ripuliti, è lui ad offrirsi di sparecchiare e lavarli.
«No, sei un
ospite
«Avanti, fammi sdebitare per essermi auto-invitato.»
«Non ti sei “auto-invitato”, ti ho chiesto io di restare.»
«Hai capito che intendo.»
Cas soppesa l’offerta, poi rilassa le spalle e accetta.
«Mentre io faccio questo, tu poi portare di qua tutte le tue cose, così lavori in pace e non procuri danni irreparabili alla tua schiena.»
«Posso restare di là con voi, non è un problema. Non manca tanto all’ora di andare a letto, per Jack.»
Dean gli riserva un’occhiata – quella di chi non ha intenzione di lottare su ogni singola proposta – e Cas ripete il gesto fatto poco prima: rilassa le spalle e annuisce.
Sembra avere il peso del mondo addosso e Dean si chiede per l’ennesima volta quanto sia quello ad attirarlo dell’uomo.
Non che sia attirato in quel senso, certo.
Nonostante i pensieri, i sogni e l’incidente della doccia.
Presto sono tutti ai loro posti: Cas in cucina, chino sulle sue carte, e Dean con Jack sul divano a finire il documentario lasciato in pausa.
«Sai, conosco una persona che ha delle api,» dice al bambino.
«Davvero? Api vere? Veramente?»
È la prima volta che lo vede così emozionato, così Dean continua.
«Api vere. Si chiama Cain e fa anche il miele, sai?»
«Cain è l’uomo che aveva la nostra casa brutta, prima prima. Ora è nostra. Possiamo andare a vedere le sue api, una volta?»
Il bambino è tutto rivolto verso di lui, con gli occhi grandi di speranza e l’espressione emozionata. Dean allunga la mano e gli scompiglia i capelli.
«Certo. Se tuo padre vuole, ovviamente.»
«Oh, papà vuole. Anche a lui piacciono le api. E il miele! Il miele è il suo più preferito. Sai che se muoiono le api finisce il mondo?»
Dean sbuffa una risata e annuisce, affascinato dal modo semplice in cui Jack filtra l’universo. Parlano un altro po’ di api e di natura mentre il documentario finisce e ne parte subito un altro sullo stesso argomento. Presto Jack inizia a sbadigliare fra una frase e l’altra, trascinando le parole che sembrano uscire con più tranquillità ora che conosce Dean un po’ meglio. Quando Dean lo vede faticare a tenere gli occhi aperti, decide che è il momento di prendere il controllo della situazione.
Allunga la mano e Jack la prende istintivamente, scaldandogli il cuore.
«Andiamo a vedere cosa combina papà?»
Si incamminano verso la cucina, Jack che trascina i piedi, e trovano Cas chino sui libri proprio come l’avevano lasciato.
«Ehi?»
«Oh, ciao. Tutto bene?»
«Sono passate più di due ore e-»
«Come?» Cas sposta lo sguardo sull’orologio appeso alla parete e spalanca i suoi begli occhi blu. «Non me ne sono accorto. È tardi. Jack dovrebbe già essere a letto.»
Si alza tutto agitato e prende in braccio il bambino, sparendo in fretta al piano di sopra senza degnare Dean di uno sguardo. All’inizio quella reazione lo lascia perplesso, poi si rende conto che Cas dev’essere preoccupato per il lavoro e per l’intera situazione in cui si trova.
Fruga in cucina e decide che è il caso di una bevanda calda – magari non un caffè, viste le condizioni di Cas – e di un po’ di pausa. Riesce a trovare tutto e si mette all’opera perché due tazze fumanti siano pronte sul ripiano della cucina quando Cas scende.
«Non so se ti piace, ma ho fatto del tè.»
«Bevi il tè?» chiede Cas, suonando esausto.
«No, in realtà, ma non credo che un caffè ti faccia bene, a quest’ora.»
Cas lo studia per qualche secondo, poi fa un piccolo gesto deciso e si avvicina per recuperare la sua tazza. Sorseggiano in silenzio per qualche secondo, prima che il desiderio di parlare sia troppo e Dean decida di riempire il vuoto.
«Tutto bene con Jack? Dorme?»
«È crollato subito.» Cas guarda il liquido ambrato nella tazza – che a Dean fa schifo, ma che decide di continuare a bere anche solo per provare un punto alla voce di Sam nella sua testa che lo sta prendendo in giro – e si perde nei suoi pensieri per qualche istante, prima di continuare. «Devi pensare che io sia un pessimo padre.»
Dean sente l’aria sfuggirgli dai polmoni in un suono sorpreso. Cas un pessimo padre? Non ha idea di cosa sia un pessimo padre. Dean può scusare tanto a John, perché adesso che è adulto sa cosa deve aver significato perdere la donna che amava e restare con due figli da crescere, ma questo non farà mai di lui il padre dell’anno. Non cancellerà tutto il resto: la sensazione di non essere mai abbastanza per lui, la paura di pensarla diversamente o di disobbedire a un ordine, il terrore di essere diverso e di non venire accettato. Non cancellerà il periodo delle paranoie dettate dall’alcol, in cui li costringeva a difendersi da forze invisibili mettendogli in mano pistole cariche. Non è mai stato violento, John, neanche nei momenti peggiori del suo alcolismo, ma non si è mai neanche sforzato di farli sentire amati. Non ha mai potuto – c’era il suo dolore a fagocitare tutto il resto, questo Dean lo sa – ma non fa meno male.
No, non è il momento di pensarci.
«Cas,» inizia, posando la tazza per mettergli una mano sulla spalla. «Sei un buon padre. Gli vuoi bene e si vede. Ti preoccupi che non gli manchi niente e che sappia di essere amato. Non c’è niente di quello che fai che qualcuno potrebbe rimproverarti. E se ci provano, dovranno vedersela con me.»
Cas gli riserva per l’ennesima volta uno sguardo che sembra volergli scrutare l’anima, ma quando pare arrivare a una conclusione nella sua testa, sospira e fa un sorriso stanco.
«Grazie Dean.»
«Hai tanto per le mani, in questo periodo. Sei stressato. Capita, questo non significa che tu sia un pessimo padre,» ribadisce Dean, perché il concetto penetri a fondo.
Finiscono il tè e Cas si affaccenda a ripulire le tazze, ma quando finisce e ritorna a parlare, non è per chiedere a Dean di andarsene.
«Ho lottato per tenerlo,» esordisce. «Ho dovuto dimostrare di essere idoneo in così tante occasioni che dev’essermi rimasta una certa paura. Penso sempre che un assistente sociale possa spuntare fuori da un momento all’altro e portarmelo via perché sono… inadeguato.»
Dean vorrebbe fare così tante domande che la testa gli gira, ma resta fermo dov’è, posato contro il ripiano della cucina, con le braccia conserte sul petto e l’espressione interessata.
«Non sono il suo padre biologico,» continua Cas, sistemando le carte sul tavolo senza fare davvero attenzione a quello che fa. «È il figlio della mia migliore amica. Era in una relazione abusiva ed è scappata appena ha scoperto di essere incinta. L’ho aiutata, si è trasferita da me, ho cercato di farla stare tranquilla, ma ha vissuto tutta la gravidanza nell’ansia che lui potesse spuntare fuori e reclamare diritti su Jack. Era così terrorizzata all’idea che ha ufficializzato le sue ultime volontà e mi ha affidato la cura di Jack nel caso le fosse successo qualcosa. Sono stato con lei durante ogni ecografia, ogni visita, ogni scelta da prendere. Ed ero con lei quando qualcosa è andato storto durante il parto. Mi hanno fatto uscire quando la procedura ha iniziato a complicarsi. Quando sono venuti a parlarmi, lei era già morta. Sono stato il padre di Jack ancora prima che nascesse e per tre anni è stato tutto perfetto.»
Non c’è bisogno di fare calcoli per capire che tre anni di perfezione significano almeno altri tre anni in cui le cose non sono andate come dovevano. Dean immagina Cas che perde una persona così importate e si ritrova allo stesso tempo a prendersi cura di un bambino tutto da solo. Pensa alle notti insonni, alle pappe, ai pannolini e il cuore sembra deciso a fargli male per i prossimi cento battiti. C’è una parte di lui che vorrebbe che la magia esistesse per viaggiare nel tempo e aiutare quel Cas del passato.
«Mi dispiace per la tua perdita,» dice invece.
Ed è la verità. Gli dispiace perché sa cosa significherà per Jack crescere senza madre, con quel vuoto dentro, e cosa vorrà dire per Cas doverci essere sempre e comunque, nel tentativo inutile di riempirlo. È grato che Cas sia un padre diverso da John e che Jack sperimenterà un amore incondizionato, però.
Cas si mette a sedere davanti ai libri, tutto scompigliato ed esausto, e Dean prende posto al suo fianco. Forse troppo vicino, forse troppo voltato verso di lui. Osserva il suo profilo, l’accenno di barba, la linea delle labbra piene. Allunga una mano e gliela posa sulla nuca, stringendo appena.
«Cos’è successo, dopo?» chiede.
«L’ex di Kelly ha scoperto di Jack. Si è convinto di volerlo ed essendo il suo padre biologico la situazione si è complicata.»
Cazzo.
«Potevo dimostrare qualche abuso, i ricoveri di Kelly in ospedale, ma senza denunce era comunque la mia parola contro la sua. Non solo, era la mia parola contro quella di Kelly, che ha sempre negato le violenze del passato. Non le faccio una colpa, era una situazione difficile e dolorosa, ma senza niente di ufficiale le udienze e gli accertamenti si sono trascinati per anni. Non aiuta che in quel periodo…»
La frase sfuma nel silenzio. Dean tiene la mano lì, fra i corti capelli alla base del cranio di Cas, dove può sentire il suo calore oltre il colletto spiegazzato della camicia.
«Non devi parlarne, se non vuoi. Ma se hai paura che ti giudichi o pensi che tu sia un cattivo padre, beh, toglitelo dalla testa.»
Dean sorride il suo sorriso accattivante e Cas gli riserva un’occhiata a cui è difficile dare un nome. C’è del divertimento, nelle sue iridi blu, ma anche dell’esasperazione. Come se Dean fosse insopportabilmente adorabile.
Dean potrebbe abituarsi ad essere considerato adorabile.
«Avrai notato che Jack si distingue dai suoi coetanei.»
Dean corruga la fronte, confuso dalla piega del discorso.
«Non c’è niente che non vada in Jack,» ribatte indignato, come se qualcuno avesse osato offendere il bambino e lui fosse pronto a intervenire per difenderlo.
Cas si apre in un sorriso abbagliante, ma scuote la testa.
«Certo che non c’è niente di sbagliato, in lui,» lo rassicura. «Quando sono iniziati gli accertamenti per via del processo per l’affido, Jack è stato diagnosticato come autistico. Il suo padre biologico ha cercato di usare la diagnosi come un’arma nei miei confronti.»
Dean prova a capire cosa significhi per Jack essere autistico, cosa comporti, come dovrebbe rapportarsi con il bambino ora che lo sa. Mentre prova a scavare nel suo cervello alla ricerca di qualsiasi informazione sull’autismo che ricordi, Castiel lo precede.
«So cosa stai pensando: “non sembra autistico”.»
«Cosa? No, no che non sto pensando che non sembra autistico. Che razza di pensiero sarebbe? Gesù, Cas...»
Dean rimuove la mano e Cas sembra quasi ferito da quell’allontanamento.
«Scusa, è che a volte la gente non conosce bene l’argomento e s’immagina che ogni persona autistica sia come le dipingono nei film.»
«Umh… ecco, non so molto sull’autismo, d’accordo? Ma posso informarmi. Anzi, mi informerò, puoi scommetterci. So solo che si parla di spettro autistico e quindi che ce ne devono essere parecchie sfumature o cose così.»
Cas lo guarda con l’espressione sorpresa e Dean si sente arrossire fino alla punta delle orecchie.
«Devi ringraziare Sam e Charlie se non sono un troglodita su tutte queste cose, okay? Non guardarmi come se fosse merito mio,» borbotta in risposta a quello sguardo.
«Penso che dovresti prenderti un po’ del merito, Dean.»
Quella frase è detta con voce profonda e carica di intenzione. È così sentita, che Dean deve sviare dalla serietà di quella dichiarazione.
«Sì, d’accordo, come vuoi. Non capisco come possa essere usata contro di te come cosa. Voglio dire, Jack è semplicemente fatto così, no?»
«Sì, ed è il motivo per cui oggi Jack è qui con me e non con il suo padre biologico. Il fatto è che non si conoscono le cause che rendono una persona autistica e questo, invece di smentire tutte le teorie che non hanno prove scientifiche, ha aperto la strada ad insinuazioni e ragionevoli dubbi, almeno secondo gli avvocati. È un argomento così complesso, che semplificarlo è già di per sé un arma… » Cas scuote la testa, sembra rivivere i momenti di cui sta parlando. «Lo vedi come sono fatto. Non è stato difficile per il padre di Jack attribuirmi colpe. E nel frattempo Jack ha passato un periodo nel sistema, affidato a un paio di famiglie, con la possibilità sia per me che per suo padre di vederlo alla presenza di un assistente sociale. Come se io e quell’uomo avessimo la stessa importanza nella sua vita»
Dean trattiene il fiato e immagina Jack abbandonato a se stesso, in un meccanismo che può essere dannoso per i bambini in generale, figurarsi per lui. Vorrebbe trovare quest’uomo che Cas continua a definire “padre” e spiegargli con le maniere forti cos’avrebbe fatto davvero un padre nella sua situazione.
«Stavo per cedere,» aggiunge Cas, duro, prima di serrare la mascella al suono di quella confessione.
«Cosa?»
«Hai sentito. Stavo quasi per convincermi che avessero ragione, che non sarei stato un padre adatto e che stavo solo cercando di esaudire i desideri di Kelly. Ero costantemente sotto scrutinio, seguito dagli investigatori privati, sorpreso da visite degli assistenti sociali. Una parte di me è consapevole che stessero tutti facendo il loro dovere, ma è stato un processo lungo ed estenuante. Perfino la mia omosessualità è diventata motivo di indagine e ho avuto paura che avessero ragione, che tutto quello che sono non sarebbe mai stato abbastanza per meritare di crescere Jack.»
Dean torna a cercare un contatto qualsiasi con Cas. Vorrebbe stringerlo e rassicurarlo, vorrebbe proteggere l’uomo che immagina lui sia stato, perso e insicuro. Invece tiene la mano sul suo collo e lascia che il calore delle loro pelli diventi uno solo.
«Tutto è finito bene, però,» gli ricorda, perché è tutto quello che può fare.
«Sì.»
Cas guarda Dean a lungo e gli permette di studiare gli occhi stanchi, le occhiaie pronunciate, la vecchia paura che ancora lo abita. SI guardano a lungo, mentre i minuti dell’orologio appeso alla parete ticchettano via. Per un istante, uno solo, Dean pensa che potrebbe baciarlo, ma il momento si infrange e il discorso prosegue.
«Appena tutto si è concluso, sono venuto qui. Non voglio avere paura che Jack possa essere… preso. Nonostante sia ormai ufficialmente mio, non voglio correre rischi e vivere guardandoci le spalle. Qui ho Gabriel e ho la possibilità di crescerlo lontano da tutto quello che è successo.»
«Hai preso la decisione giusta.»
«Forse. O forse è stata una decisione avventata.»
«Ehi, ehi, no.» Dean infonde al suo sguardo tutta la convinzione che riesce a racimolare. «No. Ora sei qui, e hai tutti noi. Non solo Gabriel, ma anche Sam e Charlie e Jody e Donna e…»
Passano attimi di silenzio, in cui nella testa di Dean le convinzioni fanno a pugni con i sentimenti. Ogni nome di quell’elenco è uscito fuori perché vorrebbe dire qualcos’altro. Alla fine si sforza e lo dice, sputando fuori le sillabe come se fosse importante strapparsi quel cerotto.
«Hai me. Non devi più preoccuparti. Ci sono io.»
Solo in macchina, mentre guida verso casa con tutte quelle informazioni che continuano a rigirarglisi dentro, realizza un punto importante di quella conversazione. Era così preso da Jack e dalle paure di suo padre da non averci dato importanza.
Ma è
importante.
È
fondamentale.
Cas è gay.




 
Buongiorno, buona domenica.
Lo so che è passato un po' di tempo, ma ho dovuto far sedimentare un po' di idee sulla storia (e informarmi). Per farmi perdonare ho lasciato il capitolo luuuuuungo proprio come mi è uscito.
Spero vi piaccia e che lo slow burn non vi stia esasperando.
Prometto che dopo questa rivelazione Dean inizierà a scendere a patti con la sua attrazione (ok, forse, cioè, diamogli tempo, il ragazzo è un po' lento su 'ste cose, ecco)!
Al prossimo capitolo!!!
   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Supernatural / Vai alla pagina dell'autore: DonnieTZ