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Autore: RosaRossa_99_    23/06/2020    0 recensioni
"Vado in camera mia…"
Dissi alzandomi dalla sedia
"È un invito?"
Lo guardai malamente
"Ti ringrazio per avermi fatto passare una 'splendida' mattinata"
Virgolettai 'splendida' con le dita, per poi girarmi e andarmene
"Vedrai il pranzo allora!"
Era assolutamente, estremamente odioso.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago
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POV Sophie

bip bip bip

 

Un rumore costante e ripetitivo scandiva il tempo, risuonando nelle mie orecchie e svegliandomi dallo stato in cui mi trovavo

 

Bip bip bip

 

Il suono si faceva più insistente, più forte. Spalancai gli occhi di colpo

 

“Papà!”

 

Urlai, guardandomi intorno freneticamente, cercando di mettere a fuoco il posto in cui mi trovavo, ma le pareti bianche rendevano difficile vedere, facendo rimbalzare la luce e rendendola accecante.

Sfregai gli occhi, sentendomi il braccio limitato nei movimenti. Quando riaprii gli occhi, mi resi conto di essere attaccata a delle macchine con dei tubicini e che la stanza bianca era una stanza di ospedale. Cercai di alzarmi, ma un bruciore al torace mi riportò giù, distesa sullo scomodo materasso. Subito dopo sentii un gran vociare provenire dai corridoi, e una equipe di medici invadere la mia stanza

 

“È sveglia!”

 

Guardai con occhi corrucciati il dottore in camice che si fece avanti

 

“Dov’è mio padre?”

 

Pronunciai con voce gracchiante, la gola secca che urgeva acqua. Dietro di questo gli infermieri si scambiarono sguardi pieni di pietà

 

“Signorina, cosa si ricorda?”

 

Chiese lui incerto. Cercai di fare mente locale, sfregandomi debolmente le tempie

 

“I-io… ricordo Cesare, Stefan che urlava e...”

 

Sbiancai di colpo, alzando lo sguardo e incontrando quello del medico che mi guardava afflitto.

Cesare aveva sparato a mio padre. I ricordi mi investirono, lasciandomi solo paura e terrore

 

“V-voi l’avete s-salvato, non è così? Insomma, l-lui non p-può...”

 

Il medico abbassò lo sguardo, incapace di sostenere il mio, e così provai a guardare quello degli infermieri dietro di lui, ottenendo gli stessi sguardi colmi di pietà

 

“D-dov’è… perché nessuno me lo vuole dire”

 

Lacrime iniziarono a scendere dai miei occhi, perché sapevo. Sapevo che lui era… non riuscivo neanche a pensarlo

 

“Signorina, il signor Elia Fiore è stato ucciso in una sparatoria, il giorno in cui lei è stata salvata. Cesare Moretti insieme a tutti i suoi complici hanno ricevuto l’ergastolo”
 

Mi portai una mano sulla bocca, cercando di nascondere i singhiozzi, consolandomi solo con il pensiero di sapere Cesare, l’uomo che mi aveva rovinato la vita, rinchiuso in una cella. Mio padre non c’era più… anche l’ultimo genitore che avevo mi era stato portato via precocemente. Una morsa mi stringeva a livello del cuore, rendendomi difficile respirare, e il medico se ne accorse, avanzando e toccandomi il braccio

 

“Signorina, so che è una notizia tremenda… ma deve cercare di calmarsi, per la sua salute”
 

Io annuii, cercando di regolare il respiro, e riuscendoci qualche minuto dopo. Strinsi gli occhi, e accettai il bicchiere d’acqua offertomi da uno degli infermieri, sorseggiandolo con calma.

Avevo bisogno di un abbraccio dall’ultima persona che mi era rimasta… avevo bisogno che mi tenesse stretta a sé, dicendomi che tutto sarebbe andato per il meglio. Ma perché lui non era qui aa tenermi la mano?

 

“S-stefan. Dov’è il mio ragazzo”

 

Il medico mi lanciò un altro sguardo pieno di pietà, e mi sentii morire. Anche lui no

 

“Non mi dica che...”
 

Sussurrai, sentendo le lacrime rifare il loro corso verso gli occhi. L’uomo iniziò a scuotere la testa, facendomi tirare un sospiro di sollievo

 

“E allora dov’è”

 

“Ne parleremo tra un momento. Intanto ho bisogno di fare un controllo per vedere se è tutto apposto, tre mesi in coma possono aver influenzato le funzioni motorie”

 

Sbiancai

 

“T-tre m-mesi…? C-coma?”

 

Il medico mi guardò incerto

 

“Signorina, lei è qui perché le hanno sparato tre colpi. Due hanno colpito non parti vitali, ma uno le ha perforato il polmone destro che abbiamo dovuto esportare di urgenza. Se l’avessero portata in ospedale due minuti più tardi probabilmente lei non sarebbe qui in questo momento. Il recupero è stato lungo, e per questo all’inizio, per i primi giorni, è stata indotta in un coma farmacologico, per accelerare la sua guarigione. Ma anche dopo averlo interrotto non si risvegliava. È stata dormiente per tre mesi e sette giorni”

 

Il mio cervello elaborò le informazioni velocemente. Non avevo più un polmone, questo era il motivo del bruciore. Ed ero stata in coma, per tre fottuti mesi e sette cazzo di giorni. Questo voleva dire solo una cosa:

 

“Il suo… funerale”

 

Il medico si sedette accanto a me, stringendomi l’avambraccio, cercando di darmi una qualche sorta di conforto

 

“È stato fatto due mesi fa, hanno aspettato un suo risveglio fino all’ultimo momento... ma non potendo più attendere… lo hanno seppellito accanto a sua madre, qui a Viterbo”

 

Il mio cuore martellava nel petto. Non ero riuscita a dirgli l’ultimo addio, e neanche a presenziare al suo funerale. Non ero stata in grado di vedere il suo viso per un’ultima volta, di dirgli quanto lo avevo amato, che padre fantastico era stato nonostante tutto. Lacrime iniziarono a scendere dai miei occhi. Avrei voluto non risvegliarmi più, il dolore sarebbe stato di meno...

I medici iniziarono a fare i vari controlli, mentre io ero come estraniata da tutto. Non sentivo neanche più dolore. Volevo solo Stefan, il suo abbraccio confortante che mi avrebbe fatto sentire meglio.

 

“Dov’è Stefan”

 

Chiesi nuovamente e con voce ferma. Non volevo più aspettare, non potevo più aspettare.

Il medico sospirò, dirigendosi verso il comodino sulla mia sinistra e aprendone il cassetto, tirandone fuori un foglio piegato con il mio nome scritto su

 

“Questa risponderà alle sue domande. Le lasciamo un po' di tempo, sembra andare tutto apposto, la terremo qui ancora per qualche giorno poi sarà libera di andare”

 

Andare dove? Non avevo più una casa, una famiglia, non avevo niente da cui ritornare.

Dicendo così, uscì dalla mia stanza, seguito dal gruppo di infermieri, lasciandomi più confusa che altro.

Mi rigirai il foglio in mano, incerta se aprirlo: non poteva premettere nulla di buono.

Presi un respiro profondo, prima di aprirlo con mani tremati e iniziare a leggere quelle parole scritte con mano inferma, con l’inchiostro sbiadito lì dove le sue lacrime era state assorbite dalla carta

 

 

------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Sophie,

quando leggerai questa lettera io probabilmente non sarò lì con te, ad abbracciarti e darti quel conforto di cui avresti bisogno.

So che dopo che avrai letto queste parole probabilmente mi odierai, e mi sta bene così, amore mio. Perché tutto quello che ho fatto, è stato solo per te. E se mi detesterai… sarà più semplice per te andare avanti e lasciarmi come una piccola virgola della tua vita.

 

Non dovevi farmi da scudo. Quelle pallottole erano destinate a me, solo a me; a quest’ora ci sarei io su questo lettino a combattere per la vita, non tu.

Sei così innocente, così pura Sophie. Non ti meriti tutto questo dolore. Ti meritavi qualcuno di normale, un ragazzo con cui passeggiare mano nella mano nel parco, andare al luna park, dividere un frappè con due cannucce. Non ti meritavi me, pieno di problemi e con la storia già scritta, senza un lieto fine.

 

Sono stato un egoista a non lasciarti andare, se fossi riuscito a frenare i miei istinti niente di tutto questo sarebbe successo, o almeno non la parte in cui tu sei distesa su quel cazzo di letto.

Non poterti stare accanto mi distrugge l’anima, vederti stesa qui ha frantumato gli ultimi pezzi del mio cuore. Ho una paura folle di perderti, Sophie. Ma so che non ho scelta.

 

I dottori hanno detto che il peggio è passato, ma che non sei fuori pericolo, e io sarei voluto rimanere lì al tuo fianco, a stringerti la mano e aspettare il tuo risveglio. Perché si Sofia Fiore, tu ti risveglierai. Io sono sicuro che combatterai con le unghia e con i denti e ti risveglierai, amore mio. Lascerai tutti a bocca aperta, riprendendoti completamente, così come riuscivi a stupire ogni giorno me.

Ma non sarò lì con te.

 

Quando ti hanno portato via da me sono impazzito e ho smesso di ragionare. E le mie azioni hanno avuto delle conseguenze: ho ucciso mio padre, gli ho piazzato una pallottola nel cervello, Sophie, e non me ne pento.

Con lui una parte dei miei demoni se ne sono andati. Ma ne sono arrivati degli altri: dovevo trovarti, a qualunque costo. Non potevo lasciare che Cesare ti avesse senza combattere, e così ho fatto l’unica cosa che mi avrebbe dato qualche chance: sono andato all’FBI.

Ho stretto un patto con loro Sophie, un patto che non potrò spezzare.

All’inizio non riuscivamo a localizzarti, poi è arrivato un messaggio da un telefono sconosciuto che rivelava la tua posizione, e ci siamo cascati tutti. Non mi importava se era una trappola, quel che sapevo era che quella era l’unica pista possibile, e l’ho seguita. Se non fossi stato così irruente, così imprudente, forse avremo potuto organizzare un piano migliore e magari Elia sarebbe vivo… è colpa mia se lui non c’è più. Questo fardello lo porterò per tutta la vita.

 

Ti starai chiedendo perché non posso essere lì con te e so che appena lo leggerai, mi odierai. Ma non avevo scelta, perché la mia libertà viene e verrà sempre dopo la tua salvezza.

Mi sono consegnato all’FBI, Sophie.

Ho confessato tutti i miei crimini, compresa l’uccisione di mio padre, e in cambio loro mi hanno aiutato a ritrovarti, mettendomi a capo di una squadra. Ho ottenuto una riduzione di pena per aver collaborato con loro, fornito tutte le attività illegali di mio padre e aiutato nella cattura di Cesare, di Zayn, di Dave.

È finita, sono tutti in carcere in attesa del processo che non potrà fare altro che ritenerli colpevoli. E tu sarai libera, amore mio. Libera da tutta quella merda, libera da me.

Sophie, starò in carcere per dieci anni, otto con la buona condotta. È questo il motivo per cui non mi vedrai al tuo risveglio, per cui non mi rivedrai mai più.

 

Per questo ti chiedo, ti prego: dimenticami. Vai avanti con la tua vita, trova un ragazzo che ti ami almeno quanto ti ho amato io, che ti porti fiori e cioccolatini a San Valentino, che ti tenga per mano mentre camminate in spiaggia all’alba, che ti sappia consolare e tenere stretta.

Io sono stato solo una piccola parte nella tua vita, non era nel destino un nostro lieto fine, ma tu puoi ancora averlo. Non sprecare la tua vita ad aspettarmi, amore mio. Vai avanti.

Il tuo cuore è così pieno di amore. Sarà capace di provarlo di nuovo, più forte e intenso di prima, Sophie.

 

Non ti dimenticherò mai, Sofia Fiore. Rimarrai sempre la parte più importante della mia vita, e per questo, finalmente, riesco a lasciarti andare. Ti rendo libera da tutto questo male, puoi ricominciare la tua vita d’accapo.

 

Ho caricato tutti i miei risparmi in un conto a nome tuo. Voglio che tu li prenda, insieme a quelli di tuo padre, e che tu vada dove ti porta il cuore, che sia l’Italia, l’America o anche l’Antartide. Vai dove sarai felice e ricomincia la tua vita.

Sii felice.

Per sempre tuo,

Stefan

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Osservai il foglio, con un’espressione marmorea. Nessuna lacrima scese dai miei occhi. Nessun urlo uscì dalla mia bocca. Non provavo niente, niente rabbia, niente tristezza. Il nulla assoluto.

Quella lettera era stata la molla per spegnere qualsiasi cosa dentro di me, ogni tipo di sensazione e sentimento. Ero un corpo privo della sua vitalità, un corpo vuoto.

Richiusi la lettera e la posai nel cassetto.

 

 

Era passata una settimana ed ero stata dimessa dall’ospedale. Ora stavo camminando a passo lento sul prato verde, con qualche fiore che sbucava regalandogli chiazze di colore. Il sole alto e il cielo più azzurro che mai, ma il clima e il tempo non rispecchiavano il mio umore, né tanto meno il luogo in cui mi trovavo.

Avanzai con passo incerto, le mie ballerine nere lucide, affondavano sul terreno lasciando impronte leggere. Era da anni che non venivo in questo posto, viaggiando sempre e spostandoci di paese in paese l’ultima volta che vi ero stata ero piccola, talmente piccola da non ricordamelo neanche.

Ed eccole lì, le due lapidi una di fianco all’altra, di un marmo candido che faceva riflettere la luce, facendola rispecchiare sulle targhette dorate: Cristina ed Elia Fiore.

Lo avevano seppellito con il nome che aveva preso dopo aver adottato me, cancellando il suo passato da Carlo Rizzo.

Accarezzai le due foto, ritraenti i volti dei miei genitori, troppo giovani per trovarsi lì, troppo sorridenti e felici.

Le lacrime iniziarono a scendere copiose, e le mie ginocchia tremarono, facendomi finire a terra, ma non mi curai di sporcare il vestito o la mia pelle

 

“Mi avete abbandonata”

 

Dissi tra le lacrime e i singhiozzi

 

“Dovevamo essere una famiglia felice”

 

Poggiai la testa sulla lapide di mio padre

 

“Non ti ho potuto neanche dire addio. Tu non hai potuto, te l’ho impedito… se solo- se solo potessi tornare indietro papà… ti amo così tanto e non te l’ho potuto dire un’ultima volta! M-mi dispiace, papà! Sono una delusione, non riesco ad essere forte. Mi hanno lasciato tutti, sono sola! Perchè non potevi lasciare tutto e vivere una vita felice con me… perché hai deciso di indagare? PERCHÈ?!”

 

Iniziai a prendere a pugni la lapide, fino a farmi sanguinare le nocche. Urlai dalla disperazione. Probabilmente sembravo una pazza, ma d’altronde lo ero. Ero disperata, una pazza disperata.

Non mi rimaneva più niente.

 

 

Tre anni dopo

Aprii la porta di casa, cercando di mantenere in equilibrio i sacchi della spesa con una mano, e girare la chiave con l’altra, ma fallii miseramente, rovesciando tutto il contenuto per terra

 

“Merda”

 

Mi chinai, cercando di raccogliere tutto velocemente

 

“Ei, aspetta. Ti aiuto”
 

Una voce profonda attirò la mia attenzione, e sollevai lo sguardo incontrando due occhi color nocciola e capelli ricci che ricadevano sulla fronte

 

“Uhm, grazie”

 

Gli sorrisi, mentre mi porgeva le ultime cose. Ci alzammo, mentre lui mi prese due dei sacchi che avevo in mano facendo guizzare i muscoli, porgendomi quella libera

 

“Sono Leone, Leo, piacere”

 

Gli sorrisi cordiale, stringendo la sua mano

 

“Sofia, ti ringrazio per i pacchi. Puoi darmeli, ce la faccio”

 

Feci per prenderli ma lui indietreggiò

 

“Non sarei un gentiluomo”
 

Gli sorrisi, spostando una ciocca dietro l’orecchio. Il suo sguardo in un certo senso mi intimoriva

 

“Non ti avevo mai visto in questo palazzo, appena trasferito?”
 

Lui annuì, chiamando l’ascensore e facendomi cenno di entrare

 

“Giusto ieri. A che piano sei?”

 

“Ultimo”

 

I suoi occhi si illuminarono, e per la prima volta mi rivolse un sorriso con i denti

 

“Saranno le coincidenze… ma anch’io sto all’ultimo”

 

Sentii le guance arrossarmi e abbassai lo sguardo

 

“Cosa ci fai qui, a Viterbo?”

 

Gli chiesi

 

“Mi sono appena laureato e mi hanno assunto come tirocinante in uno studio veterinario”
 

Gli sorrisi

 

“E tu?”

 

Nel mentre le porte dell’ascensore si aprirono e io gli feci strada verso il mio appartamento

 

“È una storia lunga… ma sono all’ultimo anno di lingua e letteratura inglese”

 

Lui si lasciò sfuggire un “wow” di ammirazione, al cui ridacchiai

 

“Ho tutto il tempo che vuoi… sono curioso di sentire la tua storia”

 

Richiusi la porta alle spalle

 

“Beh, sto scrivendo un libro su questa… non è una storia normale”

 

Dissi ridacchiando, ripercorrendo la mia vita.

Erano passati ormai tre anni e qualche mese da quel giorno, quel giorno che aveva cambiato la mia vita per sempre.

Il primo anno era stato il peggiore, ero rientrata a Vienna dove avevo terminato i miei studi, ma non ero rimasta nella stessa casa… troppi ricordi ovunque.

Così avevo affittato un appartamento vicino scuola con Kylie, con cui tutt’ora ero in contatto e che mi aveva aiutato tantissimo per quel periodo così buio.

Dopo aver terminato gli studi, seppur a fatica, avevo girato un po' il mondo, cercando di capire cosa volessi fare, ed ero arrivata ad una conclusione: Viterbo.

Qui era dove la mia vita era finita, e dove sarebbe ricominciata. Avrei avuto i miei genitori vicini, anche se non fisicamente, e Stefan… non trovai mai il coraggio di andare a trovarlo, troppo dolore. Ma non lo avevo dimenticato e con il tempo avevo imparato a perdonarlo per avermi abbandonato, perché mi aveva salvato. Se non fosse stato per lui a quest’ora non do dove sarei stata…

Dopo lui il mio cuore non era più riuscito ad aprirsi, ma con il tempo le sue ferite si stavano rimarginando.

 

“Non vedo l’ora di leggerlo allora”

 

La voce profonda del ragazzo richiamò la mia attenzione.

Sembrava così diverso da tutti quelli incontrati in questi anni e c’era qualcosa che mi attirava, che mi faceva venir voglia di conoscerlo…

Chissà cosa mi avrebbe preservato il destino.

 

 

 

   
 
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