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Autore: Lily710    23/06/2020    2 recensioni
[Storia partecipante al contest “Il Citazionista 3” indetto da SheryHolmes sul forum di EFP]
Durante un giorno innevato poco prima di Natale, due giovani Fred e George Weasley, grazie alle spiegazioni del loro fratello maggiore Bill, si ritroveranno a scoprire che Voldemort forse non era morto per davvero come credevano – e che era più probabile il fatto che fosse scomparso chissà dove. Eppure, nonostante alcune titubanze iniziali, i due bambini capiranno sin da piccoli che la migliore arma per fronteggiare le emozioni negative sono e saranno sempre le risate... e la presenza dell'altro.
Dal testo: «E se torna, come dite voi... noi lo affronteremo senza paura, insieme» [...]. «...resteremo per sempre insieme, noi due... non è vero?» [...] «Sicuro che resteremo sempre insieme, Georgie! Non ci lasceremo mai, e lo sai» [...]. Erano legati sin dalla nascita, come se attorno ai loro cuori vi fosse un filo indissolubile che, in ogni caso, avrebbe ricondotto sempre e comunque l'uno all'altro. [...] «E se mai un giorno ci attacca di nuovo, come tanti anni fa... noi lo combatteremo insieme, fianco a fianco, senza mai separarci!» [...]
Aveva perso metà del suo cuore e della sua anima. [...] Non sarebbe stato mai più al suo fianco.
Genere: Fluff, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Bill Weasley, Famiglia Weasley, Fred Weasley, George Weasley
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Note dell'autrice: in questa storia è presente una citazione che ho tratto dal contest a cui partecipo (“Come pensi di poter scappare da ciò che è dentro la tua testa?” ), grazie alla quale ho tratto l'ispirazione necessaria per costruire parte della storia. Prima che io possa lasciarvi alla FF, tuttavia, ci tenevo a dirvi che purtroppo non sono a conoscenza di quando, con esattezza, i gemelli Weasley siano venuti a sapere alcune verità sulla storia di Voldemort... comunque sia, la vicenda – che ho appunto approfondito nella one-shot – l'ho voluta immaginare così.
Spero comunque, nonostante sia la mia prima fic in questo fandom, che vi possa piacere – e se qualcuno dovesse lasciare una piccola recensione, critiche costruttive, errori ed eventuali consigli sono ben accetti. Grazie per l'attenzione e buona lettura!

-Lily










 
La Tana, 21 Dicembre 1986




Due identiche paia di puntaspilli blu elettrico, talmente sveglie da destare stupore e dolcezza in chiunque le contemplasse anche per un solo attimo, stavano osservando distrattamente l'innevato prato inglese del loro umile giardino; osservandole bene, si poteva intravedere in loro un'aria piuttosto vispa, spesso accompagnata da ghigni divertiti – il ché le contraddistingueva dalle iridi azzurre dei loro fratelli.
In due settimane appena, l'erba era stata ricoperta in ogni sua parte da una coltre di candida neve, che in quel momento mostrava una solenne e velata sfumatura di rosso e giallo per via del sole  – ormai in fase di tramonto – il quale rifletteva la propria luce variegata in tutto il suo splendore.
Le giornate si erano infatti accorciate di parecchio: era arrivato il mese di Dicembre, evento che non permetteva ai bambini di far trascorrere le giornate all'aria aperta senza la preoccupazione che, pensava Molly Weasley, si prendessero un brutto raffreddore dall'eccessivo freddo.

«Freddie» Disse improvvisamente, quasi intimorito, uno dei due, frenando di colpo l'altalena su cui si stava dondolando al fine di poggiare i propri piedi sulla terra innevata.
Era stato il loro giovane padre, Arthur Weasley, che aveva deciso tempo addietro di farle costruire per i suoi figli, dato il suo spiccato interesse verso i marchingegni babbani – sebbene sua moglie Molly fosse stata piuttosto contraria a riguardo.

Quel giovanotto era alto a malapena un metro, il suo nasino arrossato dal freddo si trovava in perfetto equilibrio tra gli occhi cristallini, il suo viso godeva di due tonde guanciotte, ricche di lentiggini. Quest'ultime, di fronte al fievole riflesso solare, sembravano tante stelline appartenenti a costellazioni diverse, risaltanti al tempo stesso ogni suo lineamento in modo più che particolare.
Il pesante e super-imbottito giubbotto blu che indossava, però, lo rendeva decisamente meno mingherlino di quanto egli lo fosse in realtà; i guanti di lana, d'altra parte, ampliavano più del dovuto il volume delle sue dita, di natura estremamente fine.
Quando lo chiamava con quel tono di voce, pensò l'altro, voleva sicuramente parlare con lui di qualcosa di importante.

«Sì, Georgie?» rispose il bambino rimasto sull'altalena, della stessa altezza del primo, con un sorriso raggiante ed innocente – il quale metteva in risalto le piccole fossette attorno alle ancora sottili labbra. Per un attimo, immaginò vagamente cosa stesse passando nella mente del suo, praticamente, riflesso.
Era impressionante come, almeno da un punto di vista somatico, quei due fossero in tutto e per tutto uguali; persino il numero delle lentiggini presenti sui loro volti era lo stesso, giurò un giovanissimo Fred Weasley una volta.

«Io stavo pensando... resteremo per sempre insieme, noi due... non è vero?» chiese allora George con un tono piuttosto malinconico, accompagnato da uno sguardo incupito ed un po' perso nel vuoto; quest'ultimo ricevette dall'altro un'espressione piuttosto interrogativa per risposta, sebbene non venne notata dal primo giacché, appunto, questi era impegnato altrove con le proprie iridi.
Anche Fred smise quindi di dondolarsi e scese dall'altalena, quasi con fare sbrigativo, al fine di raggiungere il gemello e guardarlo dritto dritto negli occhi. Si mise così al suo fianco, tenendo fra le mani il berretto azzurro di lana del gemellino, cucito dalla mamma. Da quando erano saliti sulle altalene, questo era infatti caduto chissà come vicino a lui, allora egli si era premurato di raccoglierlo solo un attimo prima.

«Perché me lo chiedi?» un ancora minuscolo George Weasley sospirò per risposta, mentre un vento leggero ma parecchio pungente sbatacchiava ai due i capelli rossi e piuttosto ribelli di qua e di là – che, nonostante il cappellino, sfuggivano imperterriti dalla testolina coperta di Fred.
«Io non... lo so» mormorò impercettibilmente, contemplando, come se fossero la cosa più interessante del mondo, i suoi scarponcini, solo per un attimo colpito della sua stessa domanda. Era un bambino di soli sette anni, per intenderci.
A pensarci bene, lui in realtà sapeva benissimo, nonostante la sua giovane età, il perché glielo avesse chiesto.

 
• • •


Il cielo a tratti nuvoloso di quel pomeriggio lasciava traspirare in ugual modo alcuni pallidi raggi solari, i quali illuminavano l'ambiente con fare delicato riscaldando al tempo stesso le guance di Fred e George. I due si stavano per l'appunto godendo a pieno quel tepore, appena accennato ma tanto raro e prezioso, giacché erano da poco usciti in giardino a giocare – lasciando però distratti, senza quindi pensare al freddo, i propri berretti di lana in casa.

Avevano una certa fretta, a dire il vero: se non fossero entrati in azione per l'ora della merenda, avrebbero perso l'unica occasione di rintracciare a sorpresa il loro fratello maggiore Percy Weasley – a detta dei due, "il simpaticone della famiglia". Sapevano inoltre che la mamma non avrebbe fatto particolari storie riguardanti l'accaduto, ancora solo nei loro dispettosi piani, per via dell'atmosfera natalizia tanto amata... ecco perché quella non poteva che essere la chance perfetta, si erano detti all'unisono.
Mancavano per l'appunto soltanto pochi giorni alla tanto attesa notte di Natale, e l'aria in casa Weasley non poteva che essere delle migliori; Arthur si era preso dei giorni di pausa dal lavoro, mentre Bill e Charlie erano da poco tornati da Hogwarts per le vacanze – motivo per cui i nove dai capelli rossi si erano felicemente ritrovati al completo.

I due vispi gemelli, intanto, erano stati distratti in modo ambiguo da qualcosa di molto più grande, quel pomeriggio: per via di una banale coincidenza avevano infatti intercettato, proprio mentre stavano progettando alle spalle della vittima lo scherzo in questione, un'insolita e strana conversazione avvenuta tra i genitori.

«No Fred, così Ronnie lo viene a sapere e farà di sicuro da spia, quindi-» George si interruppe incuriosito non appena sentì un nome abbastanza conosciuto, trovandosi nel frattempo insieme al gemello nei paraggi di una finestra aperta appena della cucina, risuonare ovattato ma aspro nelle proprie orecchie.
Così fermò di colpo i propri passi, incitando l'altro ad origliare con lui in silenzio – il quale in fretta annuì convinto, poiché anche ad egli era parso di sentire quel nome... sebbene credeva solo di aver capito male.

«...Tu-Sai-Chi» .
«... Chissà che fine ha realmente fatto, caro... ma sai, non sono nemmeno sicura di volerlo sapere» La voce della madre rimbombò angosciata nei loro timpani come poche volte l'avevano sentita, seguita da quella del padre – che aveva verosimilmente assunto un tono altrettanto cupo.
«Già... e non credo che riuscirò mai a credere, nonostante siano già passati ben cinque anni, che sia morto per davvero» .

I gemelli si scambiarono degli sguardi interrogativi, spiazzati da quella confessione.
«Ma non avevano det-» Iniziò George innocente tentando di esporre la propria teoria a Fred, ma questi lo mise subito a tacere portando la sua mano contro la bocca dell'altro.
«Shh! Sta arrivando qualcuno!» si erano infatti appena uditi diversi tonfi poco delicati e frettolosi provenire dalle scale, segno che qualcuno stava scendendo giù in cucina.
E l'ultima cosa che volevano era essere scoperti ad origliare qualcosa di tanto interessante.

«Mamma, posso avere un pezzo di torta?» chiese quella che i due riconobbero come la voce di Bill, apparentemente stanca e un po' strascicata.
«Certo, tesoro! E poi è tutto il giorno che studi, riposati un po'!» quell'anno infatti il maggiore dei Weasley doveva tenere i suoi G.U.F.O., motivo per cui impiegava la maggior parte delle sue giornate chino sui libri nonostante le vacanze.

I fratellini si guardarono di soppiatto con espressione stupita ed illuminata da qualche idea delle loro, ma non ebbero nemmeno il bisogno di spiegarsela a parole.
«Bill!» sussurrarono in coro, smettendo di spiare dalla bassa finestra ed entrando in casa, un po' infreddoliti; in un lampo, i due furono deliziati da un forte profumo di zucchero a velo.

«Fred! George! Dove sono finiti i vostri berretti?» sebbene in quel momento fosse impegnata in cucina, la breve sgridata dal timbro squillante della madre arrivò comunque puntuale come un orologio svizzero – coincidente nel loro caso con il richiudersi della porta di legno – la quale fece per un attimo sussultare i fratellini.
«Emh, forse n-» Iniziò a spiegare Fred con la solita espressione solo all'apparenza innocente sul viso, ma venne subito interrotto dal padre che, andando verso i figli con passo tranquillo, rassicurò la moglie con un sorriso radioso.
«Suvvia, lasciali stare, Molly: non sono stati fuori per molto, in fondo» Arthur accarezzò poi i capelli dei due, aventi qualche fiocco di neve, con fare paterno e protettivo, intimandoli di mettersi al caldo vicino al camino. Egli, invece, andò a sedersi sulla propria poltrona.

Mentre l'uomo dagli occhiali leggermente storti iniziò a leggere la Gazzetta del Profeta com'era solito fare quando riposava, Bill d'altra parte si accomodò su una sedia di legno, posizionata dinnanzi al fuoco, con un ormai minuscolo pezzo di torta fra le mani. Venne seguito a ruota dai gemelli, i quali optarono, invece, per sedersi sul pavimento; anche loro intenti ad assaggiare un pezzo del dolce, a differenza del maggiore lo terminarono, tuttavia, in un batter di ciglia.
Assorto fra i suoi pensieri, il ragazzo venne riportato alla realtà solo dai due bambini che, si accorse, lo stavano per di più fissando con fare astuto da cinque minuti buoni; i loro volti, non appena si sentirono osservati a loro volta, si contrassero in una smorfia accigliata.

«Ma cosa avete tanto da guardarmi in quel modo, voi due?» rise, dopo aver ingoiato l'ultimo boccone. I bambini si alzarono da terra.
«Bill, possiamo chiederti una cosa?» incalzò Fred, servendosi di uno sguardo intenerito per cercare di convincerlo.
«Vieni, dai» Lo incitò George a sua volta, afferrando il polso destro del maggiore – al fine di trascinarlo, insieme al gemello, verso la porta di casa con prepotenza infantile.

Con quell'innocente spaccato di vita, i tre fratelli lasciarono i genitori con un sorriso addolcito dipinto sul volto, ma che tra le guance di Molly Weasley assumeva comunque un'aria vagamente sospetta...
o quasi. Intimato neanche un attimo dopo da uno sguardo canzonatorio da parte di lei, solo dopo aver indossato in fretta il proprio cappotto bordeaux il più grande si premurò, infatti, di prendere dal davanzale all'ingresso i cappellini dei gemelli – azzurri e con un ciuffo dello stesso colore che si ergeva al centro – prima di varcare la soglia della porta insieme ai due.
Una volta in giardino, il rosso diede loro assenso di iniziare il discorso cui prima avevano accennato, sperando in cuor suo che non gli avrebbero chiesto di essere complice di uno scherzo ai danni di qualcuno dei loro fratelli – cosa altamente improbabile, conoscendoli.
George guardò altrove dubbioso, affondando gli scarponcini nella coltre di neve, quindi fu Fred a formulare la fatidica domanda per tutti e due.

«Bill, ma... Tu-Sai-Chi è... morto, non è vero?» un brivido salì lungo la sua piccola schiena: non pensava che chiedere spiegazioni su quell'argomento avrebbe potuto turbarlo così.
Al contempo Bill rimase spiazzato da quella domanda, che arrivò nel suo cuore facendosi breccia tra i suoi sentimenti – come fosse vernice colorata capovolta d'improvviso da un secchio sulla candida neve dispersa nel prato.

«... Perché me lo chiedete?» fu allora la sua risposta spontanea, la voce ridotta ad un sussurro, mentre ciondolava su se stesso con le mani impagliate in tasca. Sperò sul serio di non dover incappare in quel discorso abbastanza complicato – che, per l'appunto, non amava propriamente approfondire.
«Abbiamo sentito mamma e papà poco fa... per caso, ovvio... e hanno detto qualcosa come "forse non è morto"» Spiegò Fred tutto d'un fiato, teso. George sospirò in un tentativo di placare la propria angoscia.

«Che significa? Perché ci avete mentito?» esalò triste quest'ultimo con voce tremante – incrociando lo sguardo con quello del più grande, diversi centimetri più alto di lui – spezzato da quella triste verità che, pensandoci, forse sarebbe comunque potuta arrivata nelle loro vite... ma di certo non in quel modo, come di nascosto. E loro questo non lo accettavano.
Bill non poté fare a meno di sorridere malinconico nel vedere le facce insolitamente cupe dei due, talmente identiche in ogni dettaglio ed espressività da risultare ai suoi occhi un meraviglioso scherzo della natura. Si chinò alla loro altezza, piegando le ginocchia con fare dolce; una gelida corrente scompigliò i capelli rosso vivo ai tre fratelli.

«Vedete... la verità è che nessuno sa realmente che fine abbia fatto. C'è chi vocifera non sia più in vita, come vi è stato detto sin da piccoli, ma c'è anche chi pensa sia scomparso... e chissà dove. Però la cosa certa è che adesso è comunque "fuori gioco", o come si dice... e noi siamo al sicuro» Spiegò, forse un po' sbrigativo ma comunque da buon fratello maggiore; vedendo i due pronti a ribattere come se avesse dimenticato qualcosa, allora aggiunse prontamente: «... E mamma e papà non ve lo hanno detto subito perché quando avete saputo di questa storia eravate ancora troppo piccoli per capirla davvero.»
Rivolse allora ai fratellini un sorriso rassicurante: se George attenzionò sovrappensiero con le proprie perle azzurre la candida neve per risposta, Fred ricambiò il gesto dell'altro, interessato dall'argomento.

«E tu cosa pensi, invece?» domandò quindi curioso quest'ultimo. Bill scostò per un attimo lo sguardo da lui, sospirando, un po' intimidito dalla quella scomoda richiesta di conoscenza.
Poi rise mentalmente: erano ancora bambini... cosa poteva farci.
«Chissà, magari non è morto, e forse potrebbe ritornare... ma ve lo ripeto: state tranquilli, perché adesso siamo al sicuro... e poi, non dovete temere nulla finché saremo tutti insieme» I suoi occhi brillarono intrisi di emozioni contro le due paia identiche fra loro che si ritrovava davanti. Per un attimo calò un palpabile silenzio imbarazzante, che venne subito spezzato da George in modo innocente ed involontario.

«E se torna?» sussurrò tentennante e giù di corda: non aveva più parlato da quando aveva chiesto spiegazioni all'inizio della conversazione. Fred lo osservò riflessivo, un po' intenerito da quel tono di voce che conosceva fin troppo bene.
Eppure, per quanto potessero essere simili quelle due paia di iridi blu, se una scintillava appunto di innocente curiosità l'altra pareva come turbata e a disagio, fatto che contribuì a mettere ancor di più Bill in imbarazzo. Percepiva bene che il discorso non era poi di troppo gradimento per George, motivo per cui non voleva farlo soffrire ancora e aveva deciso che avrebbe dato un taglio a quella conversazione il prima possibile.
Erano entrambi ancora troppo giovani per capire nel profondo determinate cose, pensò di nuovo... sebbene lui stesso fosse il primo ad essere consapevole di non conoscere ancora certe profonde inquietudini perché solo un quindicenne.
Ed era meglio così.

«E se torna, come dite voi... noi lo affronteremo senza paura, insieme.»
Non pensava del tutto quelle parole, in realtà. Lui sapeva, infatti, di avere paura per quella probabile e parecchio verosimile situazione: quel pomeriggio aveva però realizzato per l'ennesima volta quanto, da buon fratello maggiore che si impegnava ad essere, il compito di proteggere i suoi fratellini fosse di primaria importanza.
E tutto il resto non sarebbe contato più.

Si fermò un attimo per cercare le parole adatte, poi concluse: «E voi due, poi, siete davvero così fortunati... perché potrete contare in particolar modo l'uno sull'altro, sempre» .
Infine si alzò, schiarendosi nel frattempo la voce, mentre un brivido di freddo gli percorse la schiena. O forse era dettato dalla leggera tensione accumulata.
Subito dopo si avvicinò a Fred, e con l'indice rimosse divertito un po' di zucchero a velo da un angolo della sua bocca. Questi fece lui una buffa smorfia per risposta.

«Io vado a studiare» Poi li scrutò quasi torvo, lasciando i berretti ai rispettivi proprietari; «... e mettetevelo, altrimenti mamma mi ammazza» Si avvicinò all'ingresso con passo felpato, e quando fece per varcare la porta sorrise ai due. Entrambi con il cappellino invernale, decorato dal ciuffo, fra le mani ricoperte dai guanti, egli notò come ancora avevano un'espressione un po' spiazzata.
Così i gemelli, una volta lasciato Bill alla soglia di casa, prima di addentrarsi nel cuore del giardino decisero insieme di rimandare il fatidico scherzo all'indomani, promettendosi che niente e nessuno li avrebbe più distratti dal loro obiettivo.


Fred era decisamente il più sereno tra i due dopo aver ricevuto quei chiarimenti, ma George non riusciva proprio a darsi pace. Qualcosa lo aveva tormentato sin dall'inizio, eppure non era ancora pronto per condividere i suoi sentimenti al gemello.
Dopo aver deciso in comune accordo di andare a divertirsi con gli gnomi, egli cercò infatti di mascherare il suo malumore agli occhi di Fred – sebbene questi in pochissimo si accorse che qualcosa non andava.
«Tutto bene? Vuoi forse fare qualcos'altro?» di fatti, pensando che magari il suo gemellino non voleva trascorrere le successive ore con quegli esserini dispettosi alle calcagna, gli propose allora di giocare con le altalene – dando il via a chi si dondolasse più velocemente.
Lassù, come se per un attimo ogni suo pensiero fosse volato spensieratamente al vento come il suo berretto, all'inizio George riuscì a celare con facilità le sue vere emozioni nel divertimento... ma poco dopo si fermò di colpo, investito da esse come gli fossero piombate addosso giù dal cielo – senza riuscire più a reggere il gioco, fin troppo combattuto dal malumore.


 
• • •


Fred emise un risolino, prendendolo quasi in giro.
«Sicuro che resteremo sempre insieme, Georgie! Non ci lasceremo mai, e lo sai» Proferì certo, togliendosi quei ciuffi di capelli dagli occhi con fare rapido e leggermente nervoso per via del vento, piuttosto insistente. Probabilmente aveva detestato poche cose, almeno fino a quel momento nel corso della sua vita, come le correnti d'aria simili a quelle.
L'altro esitò, affondando le sue dita sottili nel cappotto blu, uguale a quello del fratellino, a livello dell'avambraccio, per poi stringere il tessuto morbido a sé; un brivido percorse la sua piccola schiena.
E non era soltanto perché sentiva un freddo tremendo.

«Sai, F-Fred...» Cominciò, balbettante, e le sue manine iniziarono a gesticolare più del previsto; «è che prima, quando Bill ci ha raccontato di... Tu-Sai-Chi...» Un fremito lo scosse nel non-pronunciare quel nome; «io ho pensato che...» Con ancora voce tremante e senza concludere la propria frase sospirò profondamente, frattanto il suo acutissimo sguardo si divincolava in ogni dove come a cercare un appiglio sicuro.

Gli divennero poi gli occhi un po' lucidi, che presero a brillare al calar del sole, mentre le sue palpebre sbattevano ad un ritmo quasi irrefrenabile. Fred lo guardò apprensivo, leggermente giù di morale per lo stato emotivo di George: le guance di quest'ultimo erano diventate rossissime come il suo nasino, già entrambi provati dalla bassa temperatura.
Per un solo e preziosissimo attimo, alla Tana venne dato in dono dai più chiassosi della famiglia un religioso silenzio – di cui, ahimè, si poteva godere molto ma molto raramente.
Spesso, tuttavia, non era nemmeno un buon segno il fatto che ci fosse.

«Io mi chiedevo... se torna per davvero, u-un giorno, proprio come diceva Bill... cosa succederà, ecco» Finì poi il discorso, tutto d'un fiato se non fosse stato per le pause spontanee che avevano intervallato le sue frasi. Al solo pensiero di rivivere ancora una volta, proprio come cinque anni fa – sebbene non avesse poi troppi ricordi di ciò, avendo solo tre anni alla scomparsa di Voldemort – quella orribile sensazione di paura quotidianamente palpabile in famiglia, gli si contorsero le viscere.
Ancora peggio, come aveva constatato quel pomeriggio dopo averci piuttosto riflettuto sopra, sarebbe stato lasciare che alcuni tra i suoi cari "andassero in cielo", proprio come i suoi zii Fabian e Gideon... men che meno il suo adorato gemello, il quale lo preferiva di gran lunga sulla Terra. Decisamente.
Ecco, quella era una delle cose che temeva di più in assoluto.

Fred rimase come assopito da quella confessione, in quel momento con lo sguardo fisso ai colori assortiti del cielo, un po' combattuto nel decidere se guardare o meno il gemellino negli occhi.
Sapeva benissimo quali erano le paure dell'altro, le conosceva meglio delle proprie tasche. Le aveva afferrate sin dalla prima parola che Bill aveva proferito loro in quella conversazione avvenuta appena poche ore prima. Anche se il suo gemello, magari, le scrutava da un punto di vista leggermente diverso dal suo, esse corrispondevano in ugual modo con le sue come fossero riflesse in uno specchio.
Molto ma molto di rado, questo lui lo sapeva benissimo, capitava che George facesse discorsi del genere – seppur talvolta non fossero troppo lunghi tantomeno intensi – quando era un po' giù di tono per qualcosa. Era proprio uno di quelli che si era aspettato quel pomeriggio, sin da quando avevano parlato dopo il discorso con Bill. Nella realtà di fatto, però, non era per niente sicuro che ne avrebbe affrontato uno così... cupo, forse.

Fred per di più non gli aveva mai confessato per davvero che teneva tantissimo a lui, almeno a parole. Erano infatti legati sin dalla nascita, come se attorno ai loro cuori vi fosse un filo indissolubile che, in ogni caso, avrebbe ricondotto sempre e comunque l'uno all'altro. Se facevano uno scherzo ai loro familiari, se prendevano in giro il loro saputello fratello maggiore Percy, se giocavano a scambiarsi l'uno con l'altro per far confondere la mamma o se combinavano un misfatto, erano sempre insieme. Sempre.
Non si separavano mai.
E quando litigavano per delle stupidaggini, neanche dieci minuti dopo erano già lì a chiedersi scusa per poi continuare a progettare un nuovo scherzo, o semplicemente per stare insieme.
E poi, pensava, erano ormai passati anni, lui non era più in giro... erano al sicuro! Lo aveva detto Bill – e lui sapeva tutto!
Dopo una breve pausa di riflessione, egli decise di acquietare i dubbi del fratellino.

«George... l'hai detto tu stesso prima, e pure Bill lo ha detto! È stato sconfitto! Siamo al sicuro adesso! Non ci pensare più!» sbuffò dolcemente mettendo la manina sinistra sulle spalle ancora un po' tese del gemello – tenendo il berretto di questi nella destra – il quale annuì per risposta.
Si guardarono negli occhi, mentre uno scintillio attraversò le iridi blu mare di Fred. Quelle del suo gemellino stavano ancora luccicando.
Il primo sospirò, pensando attentamente alle parole che stava per dire.

«E se mai un giorno ci attacca¹ di nuovo, come tanti anni fa... noi lo combatteremo insieme, fianco a fianco, senza mai separarci né in battaglia e nemmeno gli altri giorni!» poi inspirò per bene, mise il cappellino in testa a George alla meno peggio – il quale per un attimo lo osservò con espressione interrogativa – e poggiò, appena poco dopo, entrambe le mani sulle spalle del gemello, in modo da averlo di fronte a sé.
«Te lo prometto, Georgie!» affermò infine coraggioso, donando forza al fratello proprio come il vero Grifondoro che si sarebbe rivelato.
Un timido sorriso si fece spazio fra le guance di George, che tirò nel frattempo su con il naso.

L'altro inarcò un sopracciglio, lasciando che un ghigno divertito gli si dipingesse sul volto, sapendo in cuor suo di avere la vittoria in pugno contro qualcosa di più grande – di cui in realtà, forse per la sua giovane età, non aveva ancora realizzato a pieno la potenza.
O possibilmente perché, a dire il vero, in fondo sapeva che ridere in faccia al male era la migliore arma rispetto di tutte – ideale a cui non avrebbe mai rinunciato.

«... e poi, chi lo sa, magari se torna gli tiriamo una caccabomba di nascosto! Che ne dici?» schizzò di gioia Fred sfoggiando il suo sorriso, mancante alcuni denti, mettendosi quasi a saltare dall'eccessiva eccitazione.
Ah, i bambini. Quanta spensieratezza.
Dopo quella frase George cominciò a sorridere come era solito fare, rassicurato dalla sola presenza di Fred.
Come avrebbe fatto senza di lui?

«Hai ragione, lo sai?» disse, scrollandosi di dosso le mani dell'altro con fare divertito e avvicinandosi un po' di più a lui, riducendo la sua successiva frase ad un sussurro.
«Gliene combineremo una grossa, sicuro! Tu ed io!» un ghigno identico a quello che il gemellino aveva sfoggiato poco prima si dipinse come un quadro di Van Gogh tra le sue guanciotte lentigginose.

Nel frattempo, il cielo sopra di loro era diventato talmente bianco tale da sembrare un'unica e morbida distesa. Intenti nel dialogo, non si erano accorti di come, sotto ai loro occhi, le nuvole si erano unite tra loro, candide e perfettamente limpide, ed avevano dato vita a quella distesa dalle nobili dimensioni. Regalava un'immagine tanto poetica, quel cielo, che d'improvviso cominciò a liberare alcuni fiocchi di neve, che caddero leggeri e lenti come tante piume.
Uno dei primi si poggiò sul naso di Fred, motivo per cui George porse d'impulso la propria mano destra contro il bel faccino dell'altro – il quale inizialmente si ritrasse d'istinto, vedendo quell'azione come un attentato di accecamento.
Poco dopo però egli mostrò lui il fiocco di neve quasi sciolto sul palmo della mano, facendogli l'occhiolino, ma non lasciò nemmeno che il fratellino lasciasse trasparire la sua più bella espressione meravigliata alla vista di quella cascata di coriandoli bianchi che George lo scrutò con aria di sfida. Ciò lasciò ancor più perplesso Fred sin da quando, con un brusco gesto, l'altro aveva precedentemente scacciato le sue manine dalle proprie spalle.

«Adesso basta, mi sto annoiando! Vieni a prendermi se ci riesci!» esclamò infine George non appena iniziò a correre senza preavviso, nuovamente felice come da consuetudine, coprendo l'imbrunire di risate insieme a quelle del gemellino - che aveva cominciato poco dopo ad inseguirlo con lo stesso sorriso stampato in viso.
Fu così che, apparentemente, i due si erano appena lasciati alle spalle - tra un passo affondato ed un altro - quella che, come avrebbero definito poco dopo, era stata solo una conversazione fin troppo seria per i loro gusti.


 
• • •


 
La Tana, 7 Giugno 1998



A distanza di dodici anni da quel soffice giorno, un ormai cresciuto George Weasley ricordava quel dialogo a momenti filosofico come fosse ieri, lasciandosi cullare da un vento un po' fastidioso –caratteristico di un'estate ormai alle porte – che gli scompigliava i capelli rossi e ancora ribelli in ogni direzione. Seduto sull'erba, con un braccio intento a cingere le proprie ginocchia al petto, ne accarezzava – a momenti strappava – con il palmo della mano alcuni morbidi ciuffi verdi, invidiando l'intensità che spigionavano anche grazie alle tonalità del crepuscolo. Nel complesso, essa emanava quel tipico aroma pungente, ma fresco, che l'aveva da sempre caratterizzata – distinguibile fra milioni.

Dopo tutti quei giorni trascorsi fra le mura della sua stanza, rifletté, poterlo riassaporare gli donava una strana sensazione. Chissà se lo sentiva ancora da lassù, lui, il profumo di quel prato tanto amato.
La freschezza della corrente arrivò alle sue narici diffondendosi in esse come una goccia di acquarello colorato su un foglio bianco.
"Non è gelido come quel giorno... ma forse gli avrebbe dato fastidio comunque" Pensò amaramente, rivolto più a se stesso che al vento, tirando su con il naso.

La coppia di altalene poco lontana da lui cigolò malinconica, arrugginitasi con il trascorrere degli anni – come, del resto, avevano fatto molti suoi ricordi da un giorno all'altro. Visti con la tristissima realtà dell'ultimo mese, essi sembravano per l'appunto piuttosto surreali, ma al tempo stesso sapevano di vissuto proprio come l'odore di quei maglioni di lana fatti a mano. Ormai inutilizzati ed intoccabili, da poche settimane essi giacevano sia nell'armadio della sua stanza, per tutta la vita condivisa con Fred, che in una parte remota del loro piccolo appartamento sopra al negozio insieme ad altre sue cose.
Non aveva ancora avuto la forza necessaria per entrarvi.

I colori del tramonto illuminarono i suoi occhi azzurri – i quali di fatto non furono contagiati da quella luce, spenti da qualcosa di troppo più grande dello stesso sole da giorni all'apparenza infinitamente lunghi – ed una fitta al cuore venne accompagnata da un'eco di giovani risate che, come un fulmine a ciel sereno, riecheggiò in un baleno nella sua mente.
Lo spettro di un sorriso spontaneo, seppur avente un'ombra triste, si fece strada nel suo volto lentigginoso; una lacrima solcò la sua guancia destra e scese giù, solitaria – proprio come lui tirava avanti le sue giornate dal fatidico 2 Maggio.
I suoi occhi stavano nuovamente brillando alla luce solare in quel giardino tanto amato. Molto più dell'ultima volta.
Per una serie di coincidenze, sembrava tutto così vagamente simile a quel lontanissimo pomeriggio d'inverno... ma no.
Ogni giorno era diventato troppo diverso rispetto a qualsiasi altro del passato, e ciascuna cosa lo era in ogni sua parte.
Tutto era diverso.

Pensandoci, era passato talmente tanto tempo che Voldemort era tornato per davvero, e avevano anche combattuto insieme i suoi seguaci...
ma lui, in quella fottuta battaglia di mezzanotte, aveva perso metà del suo cuore e della sua anima. Fred non sarebbe mai più riuscito a coronare la promessa fatta, dodici anni or sono, al gemello.
Per di più, i sensi di colpa per non essere riuscito ad essere lì al suo fianco in quel momento gli contorcevano le viscere il giorno dopo ancora peggio di quello precedente.
Non era riuscito ad evitarlo. E tutto ciò, il giovane ragazzo non se lo sarebbe mai perdonato.

Quando guardava rabbuiato qualunque superficie che rifletteva se stesso, ormai si riconosceva a stento.
Aveva sempre gli occhi gonfi ed arrossati dal pianto, le guance scavate come delle piccole fosse sulla terra, i capelli rosso fuoco in disordine e senza un criterio. Era così a qualunque ora del giorno.
Tuttavia, nonostante ciò, in una parte remota della sua immagine riflessa lui vedeva sempre e comunque quel volto in forma e sorridente, maledettamente simile al suo... ma che di fatto non era più lì, e mai lo sarebbe potuto più essere. Lui lo sapeva – giacché, non essendo più in vita, Fred non era tantomeno capace di specchiarsi da qualche parte...
e che quindi quella non poteva essere altri che l'agonia, la quale giocava George bruttissimi scherzi minuto dopo minuto con maggiore frequenza.

In ogni caso, la visione della sua metà, da qualunque cosa fosse dettata, gli provocava tanta serenità quanto un immane dolore al tempo stesso. Eppure, il ragazzo quelle frasi se le ripeteva comunque in continuazione.
"Come pensi di poter scappare da ciò che è dentro la tua testa?
Anche se ti fa soffrire, come puoi anche solo immaginare di farlo sapendo quanto la realtà ti faccia paura?"

Sebbene di tanto in tanto avvertisse anche, in un certo senso, una presenza fisica dell'altro, sia guardando il proprio riflesso – mentre provava a non mandare in frantumi quei vetri tanto malvagi e veritieri – che ascoltando una risata, negli ultimi trascorsi tanto rara, di un componente della sua famiglia... non lo avrebbe mai più visto sulla Terra in ogni caso.
Non sarebbe stato mai più al suo fianco a combinare misfatti, a fare scherzi agli amici o a mandare avanti il negozio, il loro più grande sogno. Perché Fred non c'era più, e tutto era successo sin troppo in fretta per riuscire a realizzarlo.

Ancora una volta venne investito dalle sue stesse emozioni di soprassalto, sebbene ormai non fosse né spensierato come una volta tantomeno così giovane. Il suo cuore si strinse in una presa più aggressiva del morso di una tigre affamata, cominciando dopo ciò ad accelerare sfrenato. Il suo respiro si velocizzò di conseguenza.
Forse un giorno sarebbe riuscito a trovare uno spiraglio di luce, ma sicuramente in quel periodo l'unica cosa di cui fu davvero certo era il baratro in cui stava lentamente sprofondando, senza riuscire a controllarsi... anche se, in fondo lo sapeva, Fred non lo avrebbe mai voluto.
Eppure era stato inevitabile.

Dopo averlo osservato col cuore spezzato dalla soglia della porta per alcuni minuti, che parvero lui ore sin troppo lunghe e ricche solo di angoscia, Bill si diresse verso George con passo felpato, si chinò con fare delicato e silente sull'erba morbida – che per un momento solleticò il palmo di ambedue le sue mani – e lo abbracciò. Lasciò infine che l'altro poggiasse la testa sulla sua spalla e si asciugò fugace una lacrima, sforzandosi di non crollare al fine di farsi forza per entrambi.
Nonostante i suoi pieni tentativi, suo malgrado Bill era pienamente cosciente del fatto che non sarebbe mai stato davvero in grado di immedesimarsi, neppure lontanamente, nell'immenso dolore del perdere per sempre la propria esatta metà; al di là di ciò, non aveva esitato nemmeno per un secondo a stargli accanto in ogni momento.
Non poteva permettersi di perdere anche lui.
Era giusto così, quel giovane ragazzo aveva bisogno in particolar modo dell'appoggio della sua famiglia – e lui, da buon fratello maggiore quale era, avrebbe adempiuto a quel compito ad ogni costo... come aveva fatto, del resto, sin da ragazzino.

Le lacrime cominciarono a scendere inesorabili dalle iridi azzurre di George, non più vispe come una volta, ed il suo respiro divenne ancor più irregolare mentre il suo corpo iniziò a tremare, scosso dal pianto. Lasciandosi cullare, distrutto, dallo strofinio della mano del fratello maggiore sulle proprie spalle, il più giovane al contempo cercò di realizzare per l'ennesima volta che il suo fratellino era sul serio andato in cielo... l'ultimo posto al mondo dove, sin da bambino, voleva che il suo adorato gemello andasse.
E la vita di Fred, per essere stato solo un ragazzo di appena vent'anni, era stata strappata via proprio come in quel momento, frustrato, il suo gemello sradicava quegli innocenti ciuffi d'erba di fianco a sé, ormai sopraffatto ancora una volta dai singhiozzi e dalle lacrime.
Nessun suo sorriso avrebbe curato più alcun suo dolore.






 
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¹ = si tratta di un piccolo errore grammaticale voluto.
   
 
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