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Autore: Pervinca95    23/06/2020    2 recensioni
Nora Gigli frequenta l'ultimo anno del liceo quando decide di trovarsi un piccolo impiego come babysitter per aiutare sua mamma con le spese.
Peccato che, troppo tardi, si renderà conto che i bambini di cui dovrà prendersi cura sono i fratelli di Riccardo Sodini, il ragazzo per cui la maggior parte del genere femminile della sua scuola ha un debole.
*
Dalla storia:
Appena si fu girato gli feci una boccaccia. Fu un impulso al quale non potetti resistere.
"Come hai detto che ti chiami?"
Mi bloccai con un piede già fuori dalla porta. Che mi avesse beccata?
Virai con lo sguardo su di lui, fermo a fissarmi con le mani nelle tasche dei jeans.
Evitai di fargli notare che non ci eravamo ancora presentati. "Nora", risposi guardinga.
Abbassò un attimo gli occhi mentre si mordeva il labbro inferiore per trattenere una risata. Quando li rialzò, l'azzurro delle iridi luccicava di spasso. "Fossi in te, Nora, mi darei un'occhiata" affermò con un sottile tono schernente. "Prendilo come un consiglio" aggiunse senza risparmiarmi il suo sorrisino. Poi ruotò di nuovo le suole e si avviò verso la cucina.
Quando uscii da quella casa mi prudevano le mani.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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Mai Una Gioia 







 

 

 

 

Lunedì pomeriggio, martedì e mercoledì erano stati un incubo.

Il caro, piccolo ed angelico Tommaso me ne aveva combinata una dietro l'altra.

Lunedì, ad esempio, ero stata tanto sciocca da assecondare il gioco partorito dalla sua mente diabolica. 

Lui e Irene mi avevano fatta distendere sul divano e, assicurandomi di usare la penna con l'inchiostro simpatico, mi avevano dipinto la faccia.

L'idea di riposarmi un po' su quel comodo divano non mi era apparsa tanto malvagia, così, ingenuamente, avevo acconsentito.

Inoltre avevo espressamente chiesto ai bambini di mostrarmi la loro penna magica, che avevo riconosciuto essere uguale a quella che tenevo sulla mia scrivania. 

Mi ero fidata come una polla. 

Il marmocchio aveva visto bene di sostituire l'inchiostro invisibile con uno nero.

A fine turno mi ero presentata davanti a Sorcio Sodini con un paio di bellissimi baffi, un appariscente pizzetto, delle lacrime a cascata sotto agli occhi e la dolce scritta befana sulla fronte. 

Ignara delle condizioni della mia faccia mi ero persino risentita quando il sopracitato era rimasto a fissarmi per qualche secondo, per poi strozzarsi con una risata mentre si defilava nel corridoio. 

Inutile descrivere le espressioni della gente che mi aveva vista camminare per strada. 

Ebbene sì, perché quel demente di Sodini non si era premurato di avvertirmi. Mi aveva lasciata uscire da casa sua in quelle pietose e ridicole condizioni.

Un animo davvero cavalleresco il suo. 

Giunta a casa ero corsa in bagno per guardarmi allo specchio. 

Per una serie indefinita di istanti, probabilmente per lo shock, non avevo mosso un muscolo. Successivamente avevo lanciato un urlo misto ad un ringhio di rabbia e mi ero fiondata in camera per prendere a cuscinate il mio letto, immaginando fosse Sodini. 

Quella sera avevo sprecato quasi un'ora a lavarmi il viso, riducendomi ad una faccia paonazza.

Se non altro, meditai giovedì mattina, un'altra settimana stava per volgere al termine.

Mi strinsi nel cappotto mentre procedevo verso la scuola, i palmi sudati per l'ansia che la Fantucci potesse restituire i compiti.

Quella faina era velocissima a correggere le verifiche, secondo molti perché godeva nel trovare errori e nell'elargire brutti voti. 

Non contavo di aver preso la sufficienza, non potevo aspirare a tanto dopo aver tentato di risolvere i problemi, ma almeno avrei abbassato la media del mio caro amico

Varcai il cancello e camminai spedita lungo il viale, avvistando Sodini e compagnia con la coda dell'occhio. 

Mi scappò un sorrisetto vittorioso. 

Avevo poco di cui rallegrarmi, in effetti, dato che il pessimo voto me lo sarei beccato lo stesso, ma il pensiero di poter nuocere a quel demente mi elettrizzava. 

Un po' di giustizia, perbacco. 

Le prime due ore passarono senza complicazioni dato che a letteratura italiana aveva spiegato e ad arte pure. 

Al termine della seconda ora volai in bagno, incrociando quello stupido di Sodini nell'atrio del primo piano che si recava al laboratorio di chimica. 

Evitai di concedergli il lusso di una mia occhiata. 

Mi parve solo di scorgere un angolo della sua bocca incurvarsi mentre gli passavo accanto, ma non gli diedi importanza.  

La campanella della terza ora suonò che salivo gli ultimi gradini della mia torretta. Accelerai il passo per evitare che la Fantucci arrivasse prima di me, considerata la sua puntualità. 

Non appena raggiunsi il banco, infatti, la faina fece il suo ingresso in aula, portando con sé una nube di freddezza e malumore.

Vanessa, seduta impettita accanto a me, trattenne il respiro.

Mi voltai a guardare Linda e Francesca da sopra la spalla: la prima apparentemente tranquilla, sebbene sapessi quanto fosse agitata, la seconda con una mano davanti alla faccia. 

Saltai letteralmente sul posto, spaventata, quando la Fantucci sbatté qualcosa sulla cattedra. I miei occhi misero a fuoco un plico di fogli: le verifiche corrette.

Sudai freddo mentre lo stomaco mi si stringeva. 

<< Mantucci, distribuiscili >> ordinò severa.

Edoardo Mantucci scattò come un soldatino. 

<< Non ho parole per descrivere l'orrore di questi compiti >> attaccò lei, congiungendo le mani. << Ore e ore a spiegare per nulla. Neanche i ciuchi avrebbero potuto fare peggio. >> 

Malgrado la drammaticità della situazione, mi venne da sorridere per quella frase.

La Fantucci, ogni volta che restituiva le verifiche, partiva con dei monologhi che duravano anche tutta l'ora e che io trovavo molto divertenti. 

Non capivo nemmeno io perché dato che spesso ci andava giù pesante: forse era la combo di ciò che diceva con il suo tono acido, a tratti stridulo. 

<< Una parola: schifo >> continuò. << Mi sono vergognata per voi e spero che farete altrettanto una volta visti i vostri errori, asini. >> Sull'ultima parola alzò la voce, gli occhietti in fiamme. 

Sul mio banco planò il compito, un tempo bianco come una colomba. In quel momento, invece, pieno di segni e scarabocchi rossi, con un bel tre al centro dell'ultima pagina. 

Sospirai mesta. 

Subito dopo arrivò quello di Vanessa, che rilassò le spalle alla vista di un sei meno. 

Le feci una carezza sulla schiena e le sorrisi per congratularmi. 

Lei guardò il mio voto e s'incupì, dispiaciuta. Mi strinsi nelle spalle e alzai i palmi al cielo, il tutto col sottofondo della Fantucci che persisteva a lamentarsi.

Mi voltai a cercare lo sguardo di Francesca, speranzosa che avesse preso la sufficienza. 

Fui contenta di constatare che stesse sorridendo, così, notando che la stavo guardando, girò il foglio e mi mostrò un grosso sei, gli occhi che sprizzavano felicità. 

Battei le mani silenziosamente e l'attimo dopo mi concentrai su Linda che, imitando Francesca, mi fece vedere che aveva preso sette.

Sollevai un pollice e sorrisi a entrambe, contenta per loro. 

<< Per oggi non ho intenzione di  spiegare, sarebbe inutile andare avanti dopo questi pessimi risultati >> disse la Fantucci con una smorfia schifata. << Ricopiate gli errori e meditateci su, in silenzio. Il primo che parla vola dal preside. >> 

Per tutto il resto dell'ora cercai di fare quanto aveva comandato. Provai davvero a capire cos'avessi sbagliato e, seppur con qualche difficoltà, afferrai alcune delle correzioni scritte dalla professoressa. 

Le altre, quelle su cui avevo dei dubbi, le ricopiai così da poter chiedere a Linda di spiegarmele.  

La campanella suonò mentre stavo scrivendo i restanti numeri. Mi alzai tra gli ultimi per riconsegnare il compito e, quando lo feci, la Fantucci mi scoccò un'occhiata raggelante.

<< Puoi trattenerti, Gigli? Vorrei parlarti, gli altri possono uscire >> disse alzando il tono, fulminando uno a uno quelli che erano ancora in classe.

Ero confusa e agitata. 

Che volesse rimproverarmi per il brutto voto? Lo aveva fatto per circa un'ora, anche se non a me personalmente. 

Salutai mentalmente tutti i miei compagni, anche le mie amiche, che si allontanavano con sguardo preoccupato. 

La Fantucci impilò le verifiche e le picchiettò sulla cattedra per allinearle. << Dimmi un po', Gigli, cosa vogliamo fare quest'anno? >> mi chiese, senza alzare gli occhi su di me. 

La mia confusione aumentò. 

Aggrottai la fronte e mi sfregai le mani, agitata. << Voglio recuperare, mi sto impegnando per migliorare. >> 

Lei annuì con un piccolo sorriso da brividi. << E in che modo? >> Puntellò un gomito sulla scrivania ed appoggiò il mento sul pugno, ruotandosi a fissarmi.

La situazione stava diventando inquietante. Il mio naso avvertiva puzza di guai, ma non capivo dove fosse nascosto il tranello. 

<< Sto prendendo ripetizioni da Sodini, come ha voluto lei >> dissi.

Le sue iridi nere furono attraversate da un lampo. Lì capii di essere caduta nella trappola. 

<< Sicura, Gigli? Perché vedi... >> Abbassò le mani e le congiunse, per poi inclinare il capo e studiarmi con nervosismo. << Sodini mi ha riferito tutt'altro. >> 

La mia mascella sfondò il pavimento.

<< Che cosa? >> mi uscì di bocca prima che potessi pensarci, il tono più alto. 

<< Gigli, evitiamo i melodrammi >> mi rimbrottò subito lei, severa. 

Ingoiai la caterva di parole che avrei voluto riversarle addosso. 

Le tempie presero a pulsarmi per la rabbia mentre il mio battito cardiaco accelerava. 

<< Ti affianco un tutor valido e capace per permetterti di migliorare e tu che fai? >> Assottigliò lo sguardo, rendendolo affilato quanto una lama. << Non ti presenti alle ripetizioni? >>

Quella falsità mi urtò le orecchie come acido. 

Feci per rispondere, ma lei mi interruppe subito alzando una mano. 

<< Non m'interessano le tue giustificazioni >> asserì secca. << La considero una mancanza di rispetto nei miei confronti. Credi davvero di poterti concedere il lusso di fare come ti pare, contravvenendo ad una mia direttiva? Vuoi finire l'anno a piangere? >> 

Strinsi così forte i denti da non poter contrattaccare. 

Era chiaro quanto la Fantucci stimasse Sodini, non avrebbe mai creduto a me. La mia media del quattro mi classificava tra coloro che non avevano diritto di replica. 

Lei scosse il capo con una smorfia infastidita. << È chiaro che per questa volta il tuo voto non andrà ad incidere su quelli di Sodini, sarebbe ingiusto. >>

Nella mia mente urlai, urlai con tutte le mie forze. 

Quell'odioso essere era riuscito a scamparla accampando quella sporca menzogna. 

Ora mi spiegavo il perché della sua aria rilassata l'ultima volta che gli avevo fatto presente della clausola stipulata dalla professoressa o del suo sorrisetto nel corridoio, proprio quella mattina.

<< D'ora in poi, Gigli, farai esattamente come ho detto >> disse lei, ridestandomi dalle maledizioni che stavo riversando su Sodini. << O a fine anno piangerai sul serio >> concluse acida. 

Annuii soltanto, accecata dalla rabbia. 

Lo avrei trovato e ucciso, quel mucchietto di sterco suino. 

Aveva superato il limite, mettendomi persino nei guai con la Fantucci. 

<< Ora puoi andare >> sentenziò con un gesto stanco della mano. 

Non me lo feci ripetere due volte. Partii con la furia di un bulldozer, mi precipitai fuori dalla classe e puntai alle scale.

Quel fetido sorcio doveva trovarsi nei pressi del laboratorio di chimica. Speravo che fosse ancora lì per potergli riversare addosso il fiume d'insulti che stavo trattenendo da un po'. 

Prima che riuscissi a mettere piede sul primo gradino, fui strattonata all'indietro. 

Riconobbi i volti delle mie amiche, a metà tra il preoccupato e l'interrogativo. 

<< Che cos'è successo? >> mi chiese Linda, scavando nel mio sguardo. << Sembra tu voglia picchiare qualcuno. >> 

<< Hai indovinato. Sodini ha le ore contate >> sputai tra i denti. << Quello schifoso bugiardo ha raccontato alla Fantucci che non mi sono mai presentata alle ripetizioni così da non farsi sciupare la media dal mio voto >> spiegai frettolosamente. 

Ripeterlo mi fece montare ancora più rabbia. 

Era assurdo che la faina gli avesse creduto senza prima accertarsi che fosse la verità. 

Francesca strabuzzò gli occhi. << Cosa? Da lui non me lo sarei mai aspettato. >> 

<< E non sei riuscita a spiegare alla Fantucci che non era vero? >> mi chiese Vanessa, le sopracciglia arcuate. 

Battei le mani sulle gambe. << Non mi ha creduta, non mi ha neanche lasciata parlare. >> 

Vedevo rosso, se avessi beccato Sodini lo avrei incornato come un toro.

<< Scusate, ma ora devo andare a regolare i conti >> dissi prima di voltarmi. 

Linda mi trattenne ancora una volta. 

Le rivolsi un'occhiata truce, ma non perché ce l'avessi con lei. Era solo che in quel modo prolungava il lasso di tempo che mi separava dallo scannare il sorcio.

<< Non pensi sia meglio sbollire un po' di rabbia prima? >> tentò con sguardo supplichevole.

Il suo consiglio era saggio, molto saggio. Peccato che i miei neuroni fossero di tutt'altro avviso: più propensi alla vendetta. 

<< No >> dissi infatti. 

<< Ma pensaci bene >> continuò lei. << Se qualcuno vi vedesse discutere animatamente potrebbe chiamare qualche professore o persino il preside. >> Vanessa e Francesca annuirono per darle manforte. << E poi tra poco finisce la ricreazione, non avresti molto tempo. >> 

Dovevo ammettere che le sue ragioni non facevano una piega. Non mi interessava se professori o preside ci avessero visti, anzi, avrei approfittato dell'occasione per raccontare loro la verità, ma il fatto di non avere abbastanza tempo per regolare i conti mi seccava parecchio. 

Sbuffai nervosamente e alzai gli occhi al cielo. << E va bene >> accordai. 

Tutt'e tre sorrisero. 

<< Così nel frattempo avrai modo di spegnere il fuoco della rabbia che ti divora >> aggiunse Francesca, facendomi l'occhiolino. 

La guardai severamente. << Ne dubito. >> 

Vanessa si strinse nelle spalle. << Tu provaci. >>

Sbuffai ancora. << E va bene. >> 

Ci avrei provato solo perché ero una persona civile e ben educata. 

Odiavo la violenza e le discussioni, non volevo proprio averci a che fare. Perciò avrei fatto l'immane sforzo di perdonare Sodini, o almeno di convincermi che era possibile farlo. 

Dovevo ricordarmi che ero una dolce fanciulla, tenera e compassionevole, garbata e angelica. 

Espirai dal naso e rilassai le spalle. 

Sì, potevo farcela. Potevo abbandonare l'ascia di guerra e tornare ad essere la me stessa cortese.

Potevo farcela. 

 

 

 

 

 

 

 

 

                                                                   *  *  *

 

 

 

 

 

 

 

 

Ero carica a pallettoni. Lo avrei steso, quel mollusco rivoltante. 

La meditazione delle ore precedenti non aveva sortito in me l'effetto sperato, bensì mi aveva rammentato quanto Sorcio Sodini fosse stato infido e sleale. 

Ero arrivata alla conclusione che non avrebbe potuto passarla liscia. 

Volevo la rissa selvaggia, al diavolo la civiltà. 

Diedi ben due scampanellate al suo numero civico, sperando vivamente che fosse in casa. 

Il portone scattò dopo avermi fatto attendere per almeno una quindicina di secondi che contribuirono ad irritarmi.

Mi precipitai per le scale e salii gradino dopo gradino con una furia animale. Ero un toro pronto ad incornare.

Una volta giunta al suo pianerottolo, mi fiondai in casa e lo cercai con sguardo omicida, sbattendomi la porta alle spalle. 

Il suddetto topo di fogna si affacciò dalla cucina con una lattina di Coca Cola in mano. 

Gli spuntò un sorrisetto da schiaffi mentre si appoggiava alla porta con una spalla, le caviglie incrociate. << Com'è andato il compito? >> chiese prima di bere un sorso della bibita. 

Il babbuino osava fare pure dello spirito. 

Ridussi gli occhi a due fessure ed avanzai verso di lui puntandolo con un dito. << Tu, lurido sacco di fetida immondizia, come hai potuto? Hai idea della figura che mi hai fatto fare con la Fantucci? >> 

Arricciò il naso, l'espressione derisoria. << Che peccato. >>

Chiusi per un attimo gli occhi, raccogliendo quanto più ossigeno nei polmoni. 

Stavo per esplodere, me lo sentivo. 

<< Come ti sei permesso di mettermi nei guai? >> chiesi fra i denti, guardandolo truce. << Sono già ai ferri corti con la prof, e tu mi peggiori la situazione? >>

Lui inarcò un sopracciglio. << Dovrebbe importarmi? >> 

Spalancai la bocca di fronte alla sua risposta. Come poteva essere tanto insensibile? 

Contrassi così forte la mandibola da rischiare di perdere un dente. La rabbia mi stava esplodendo in scintille dietro le palpebre. 

Dovette trovare la mia espressione particolarmente spassosa perché subito dopo gli scappò da ridere. 

<< Pensavi davvero che mi sarei fatto rovinare la media da te? >> domandò con sguardo incredulo, come se fossi solo una povera stupida. 

Arcuai un sopracciglio con stizza. << Pensavo che saresti stato leale ai patti. >> 

Fece spallucce, le labbra stese in un mezzo sorriso di scherno. 

Potevo dire di aver conosciuto l'essere più odioso sulla faccia della terra. 

Era quanto di più irritante potesse esistere. 

Abbassai gli occhi sulla sua lattina. L'idea di rovesciargliela in testa fu talmente allettante che non riuscii a trattenere il mio braccio dal muoversi fulmineo per strappargliela di mano. 

Lui si mosse di scatto per riafferrarla, ma io retrocessi di un passo e gli lanciai direttamente il contenuto addosso. 

Osservai con immensa soddisfazione i suoi vestiti e i suoi capelli bagnati, per poi esaminare la sua faccia gocciolante nel momento in cui la alzò per infilzarmi con un'occhiata. 

Sfoggiai un sorriso ed inclinai la testa di lato. << Chi la fa, l'aspetti. Te l'hanno mai insegnato, Sodini? >> 

Dalla sua bocca uscì un insulto rivolto alla mia splendida persona. 

Poco me ne importava, quella piccola vendetta mi aveva ben ripagata. 

<< Che fate? Giocate? >> La voce della piccola Irene sopraggiunse da dietro di me. 

Mi voltai per sorriderle calorosamente mentre i suoi occhioni oscillavano tra me e il sorcio. Mi piegai sulle ginocchia e indicai la pozza ai piedi del demente. << Tuo fratello si è fatto la pipì addosso, visto? >> 

Irene rise divertita e batté le mani paffute, per poi additare il fratello e urlare la parola "pipì" a ripetizione. 

Accanto a lei spuntò il terribile Tom Riddle, armato del suo fido fucile ad acqua, per accertarsi dei fatti. 

<< Tommi, mi presteresti il tuo fucile? >> Il suo tono spazientito fece risuonare nel mio cervello la campana d'allarme. 

No, non gli avrei permesso di farla franca. 

Scattai subito in piedi e mi frapposi fra loro. << No >> dichiarai risoluta, alternando lo sguardo fra i fratelli. 

Sodini senior prese ad avanzare verso il suo degno seguace con determinazione. 

Spalancai le braccia e gli ostruii il passaggio. << Non provarci >> sibilai.

I suoi occhi azzurri mi puntarono beffardi mentre compiva un ulteriore passo avanti, finendo per interporre solo pochi centimetri fra i nostri corpi.

Sollevai il mento per non slegare i nostri sguardi, ritrovandomi ad osservare i ciuffi mossi che gli coprivano parte della fronte, la linea decisa dei suoi zigomi, della sua mandibola. E poi ancora quelle iridi del colore del cielo, così irritanti quanto scombussolanti. 

Sentii il suo avambraccio sfiorarmi il fianco, così sgranai gli occhi, conscia di quanto stesse accadendo.

Non ebbi il tempo di voltarmi verso il piccolo traditore che Sodini aveva già afferrato il fucile. 

Me lo puntò contro impugnandolo con un solo braccio, da cecchino esperto, mentre retrocedevo in un vano quanto disperato tentativo di sfuggirgli.

Un angolo della sua bocca si incurvò divertito. << Ultime parole? >> 

<< Me la pagherai >> dissi fra i denti. 

Lanciai un urlo nel momento in cui quel demonio mi sparò addosso un fiotto d'acqua gelida. Mi colpì dritta al petto, per poi mirare alla faccia ed infine alla schiena quando mi misi a correre nel corridoio. 

Giunsi in salotto che mi gocciolava una parte dei capelli, che avevo mezza maglietta fradicia e il trucco colato. 

Mi passai le dita sotto gli occhi per ripulire le sbavature, osservando poi i polpastrelli completamente neri. 

La mia vena sulla fronte pulsò per il nervoso. 

Sodini si appoggiò allo stipite della porta con la spalla, il fucile puntato al soffitto e l'espressione soddisfatta. 

I bambini entrarono uno dopo l'altro, per poi scoppiare a ridere delle mie condizioni. 

Oltre al danno anche la beffa. Avrei voluto pestare i piedi per terra e urlare. 

Non avevo avuto il tempo di godermi una piccola rivincita che subito mi ritrovavo con le spalle al muro. Perché finiva sempre in quel modo? 

Fulminai Sorcio Sodini con odio per beccarmi un sorrisetto derisorio in risposta. 

Ero stufa di lui, ne avevo fin sopra i capelli. 

Era finito il tempo in cui subivo senza attaccare. Dovevo seriamente studiare una vendetta appropriata, toccarlo nel suo punto debole. 

Tutti avevano un tallone d'Achille e lui non faceva eccezione. Lo avrei trovato e colpito senza pietà. 

Si era messo contro la Nora sbagliata. 

 

 

 

 

 

 

 

 

                                                                   *  *  *

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Erano le sette e un quarto di sera quando uscii dal condominio di casa Sodini.

Restai per un attimo ferma sulla soglia ad inspirare a pieni polmoni la brezza serale e trovare un po' di pace.

Essendo alle soglie di Novembre, le giornate stavano cominciando ad accorciare. 

Il cielo era segnato da un tramonto rosso come il fuoco, intanto che avanzava l'oscurità. 

Mi presi del tempo per osservare la volta celeste farsi man mano più buia, lasciando spazio alla luna. 

Se solo avessi potuto spedire Sodini su quel satellite... Mai una gioia.

Un tiepido alito di vento mi smosse i capelli ancora umidi, così mi decisi a mettere in fila un passo dopo l'altro. 

Procedetti a testa bassa, stringendomi nel cappotto leggero. Almeno fin quando, casualmente, individuai la macchina di Sodini parcheggiata lungo la strada. 

Era così lucida da far sfigurare quelle accanto. 

La cura che aveva per quell'auto, oltre che maniacale, era quasi inquietante. 

Speravo con tutto il cuore che gliela picchiassero o graffiassero, avrei scodinzolato di felicità.  

Poi, a quel pensiero, nel mio cervello si accese una lampadina. 

Rallentai il passo mentre ponderavo la cosa. 

Scossi il capo, dandomi della stupida, per poi lasciare che, ancora una volta, la mia mente si soffermasse su quell'idea malsana.

Ripensai al primo incontro con Sodini, a quando aveva scimmiottato il mio consiglio, a  quando, ad educazione fisica, aveva fatto in modo che fossi la prima a svolgere il percorso ad ostacoli, a tutte le volte in cui si era preso gioco di me, a quando mi aveva umiliata di fronte ai suoi amici, alla festa, a quando mi aveva fatta uscire da casa sua con la faccia tutta disegnata e dulcis in fundo la bugia inventata a mio danno. 

La miccia della rabbia tornò ad accendersi.

Lui si era forse fatto scrupoli a nuocermi? Gli era mai importato di come mi sentissi? 

Lasciandomi guidare dal corso di quei pensieri estrassi le chiavi di casa dalla tasca dello zaino, poi, zitta zitta, mi avvicinai allo sportello del passeggero della sua macchina. 

Mi guardai intorno per assicurarmi che non ci fosse nessuno, subito dopo, lesta, incisi una piccola riga sulla carrozzeria. 

Mi ritrassi come scottata, il cuore in folle corsa e le mani sudate.

Ero una vandala. Santo cielo, in cosa mi ero trasformata? 

Nascosi le chiavi nella tasca dei pantaloni e ripresi a camminare lungo il marciapiede, solo a passo più spedito. 

Provavo un miscuglio di sensazioni: da una parte soddisfazione, dall'altra profondo pentimento. 

Un lato del mio cervello mi diceva che avevo fatto bene a vendicarmi, che lui non si era mai fatto tanti problemi a colpirmi, la coscienza, invece, mi rimproverava severamente.

In fondo un brutto voto avrei potuto recuperarlo, forse. 

Ero una persona troppo perbene per non provare sensi di colpa, a differenza di quello stupido. 

O forse mi facevo tanti problemi per nulla. Forse non si sarebbe mai accorto di quel piccolo graffio sulla portiera, dopotutto non poteva essere tanto maniacale da controllarla ogni giorno. 

E poi poteva essere stato chiunque, non avrebbe certo pensato a me. 

Sì, sicuramente. Non ci avrebbe mai fatto caso.

E non avrebbe mai potuto accusare me. 

Mai.

  
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