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Autore: PaikeApirana    24/06/2020    2 recensioni
Da che se ne ha memoria i serpenti a sonagli, nel deserto del Mojave, sono sempre stati considerati creature demoniache. Jake Sonagli, L'Angelo della Morte, viene persino considerato il Demonio fatto serpente.
Ma in questo inferno in cui le pallottole volano rapide e bruciano più del sole di mezzogiorno, si trova a vagare anche una creatura del paradiso, Beatrice Campbell, giovane femmina di serpente a sonagli cresciuta in una famiglia rispettosa e osservante delle leggi di Dio. Come Dante, pellegrino, lei si ritrova da sola nel pericoloso Vecchio West, in mezzo a tagliagole e pistoleri mercenari.
Rango, lo sceriffo di Polvere, farà inavvertitamente incontrare (di nuovo) l'angelo e il demone, quando un culto sospetto inizia a mietere vittime nei dintorni della città e l'inferno sale in terra per giudicare i peccati dei serpenti.
Genere: Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime, Movieverse | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Entro mezzogiorno, tutto il comitato era già tornato in città. I membri stanchi e logori vennero accolti dalle loro famiglie, che subito li bombardarono di domande e offrirono loro letti comodi e pasti caldi. Tutti a Polvere erano stati molto in pensiero per i membri del comitato, non tanto per la spedizione in sé, quanto per il fatto che con loro ci fosse stato uno dei pistoleri più temuti del deserto.
Dal canto suo Jake strisciò di fretta verso la catapecchia, immusonito per come era andata la sera prima.
 Beatrice non uscì dalla canonica finché non fu certa che fosse rientrato nel suo alloggio. Non si azzardò nemmeno ad affacciarsi alla finestra e Tilde ebbe il buonsenso di fare lo stesso. Solo don Terence scostò leggermente una tendina per guardare il famigerato fuorilegge. Aveva uno sguardo pensieroso, ma per niente impaurito o spaventato, e seguì Jake finché quello non entrò nella stamberga sbattendo la porta malandata. Solo allora, Beatrice si azzardò a parlare: «L… lo avevate già incontrato, padre Terence?».
«Mhm?» fece il vecchio parroco, come se non avesse sentito la domanda. Gli ci volle qualche secondo per capire a chi si riferisse Beatrice. «Beh, non proprio…» rispose poi, continuando a guardare fuori dalla finestra «Non ci conosciamo direttamente ma… è una storia complicata e non voglio tediarti in un giorno così importante. Tilde ti sta già aspettando sul retro e, per favore Beatrice, dammi del tu. Troppi formalismi mi imbarazzano».
Lei fece un sorriso timido, non ancora abituata a tutta quella cordialità e assenza di etichetta che regnava nella canonica. Non che Tilde e don Terence fossero maleducati, semplicemente erano più… spontanei, ecco, liberi da tutte le briglie del galateo. A Beatrice questo non dispiaceva e si era subito resa disponibile ad aiutare i suoi nuovi amici in qualsiasi compito, per ripagarli della loro ospitalità.
Quel giorno, in particolare, avrebbe dovuto accompagnare Tilde in città, per dare un’occhiata alla scuola che avrebbe dovuto mettere in piedi.
Si congedò quindi da don Terence e raggiunse Tilde. Insieme si incamminarono verso Polvere, anche se Beatrice continuava a pensare alle parole del vecchio parroco: aveva conosciuto Jake in qualche modo? In che rapporti era con lui?
Il suo sguardo perso nel vuoto non sfuggì alla lucertola che le camminava a fianco, la quale chiese: «Ti vedo molto pensierosa, Beatrice. Tutto bene?».
«Ehm… sì sì» disse, per poi inventarsi qualcos’altro «Stavo solo pensando a dove potrei trovare un’altra sistemazione, in modo da non dovervi più dare fastidio nella canonica».
«Non dai affatto fastidio» la corresse Tilde con un sorriso «Comunque non hai ancora chiamato nessuno dei tuoi familiari, saranno preoccupati per te».
Calò un silenzio imbarazzante. In quei giorni Beatrice aveva cercato di raccontare il meno possibile sulla sua famiglia e la sua vita. Voleva risparmiarsi l’umiliazione di dire che, se anche avesse chiamato qualcuno, i suoi familiari di certo non si sarebbero scomodati a venire. Non per una come lei.
 In quel momento però doveva pur dire qualcosa a Tilde, quindi inventò: «In realtà… non ho nessuno da chiamare. Non ho altri parenti in vita… Scusa se non te l’ho detto prima.»
«Oh…» fece Tilde «Mi dispiace. Anzi scusami tu. Padre Terence ha proprio ragione a dire che ho la lingua troppo lunga».
In effetti… pensò Beatrice, rammentandosi della parlantina, talvolta volgare, che caratterizzava la lucertola muraiola. Era l’esatto opposto del modello di signorina mite e pacata nel linguaggio su cui avevano plasmato lei in collegio.
Non dissero niente per il resto del tragitto. Il caldo della giornata si fece presto sentire sulla loro pelle, che prese a cuocere come dentro a un forno. Non c’era nemmeno un alito di vento a rinfrescare un po’ le due, così, siccome Tilde si era dimenticata la borraccia, decisero di andare a bere qualcosa nel primo bar disponibile.
In realtà fu la lucertola a prendere l’iniziativa. Beatrice non era infatti entusiasta all’idea di entrare in un locale frequentato da chissà quali brutti ceffi. Tuttavia, stava morendo di sete. Aspetterò fuori mentre Tilde ordina, si disse.
Appena imboccarono la strada principale della città, però, fu costretta a cambiare idea. Al loro passaggio si udiva lo sbatacchiare delle porte e delle finestre di legno marcio, mentre i vicini parlottavano tra loro, additando le due ragazze in modi più o meno discreti. Presto però, entrambe si resero conto che il grosso dell’attenzione era per Beatrice.
«Non ne abbiamo già troppi di serpenti a sonagli?»
«Che sarà venuta a fare qui?».
«Anche il prete però è strano…»
«E se fossero in combutta col Mietitore?»
«In effetti sono stati loro a dargli alloggio…».
«Io per sicurezza dormo già col fucile sotto al letto…»
Beatrice si sentì avvampare per la vergogna. Avrebbe voluto spiegare che lei non voleva avere niente a che fare con Jake, ma Tilde le fece cenno di andare avanti e ignorarli. Tuttavia, era evidente che anche lei stesse ribollendo di rabbia, visto il modo in cui stringeva i pugni, affondandosi le unghie nei palmi.
Procedettero spedite verso il primo locale aperto che videro, fino a quando un sassolino non centrò in pieno la nuca della lucertola. Quella imprecò, girandosi per guardare in faccia il colpevole, o meglio i colpevoli. Uno stuolo di ragazzini prese infatti a ridacchiare dallo stretto vicolo tra due case. Tutti a parte una bambina, una topolina con due grandi occhi ambrati, vestivano abiti logori e decisamente troppo grandi per loro, con i pantaloni e le scarpe inzaccherati di fango. Le loro pellicce, invece, erano sbiadite dalla polvere di cui erano intrise e Beatrice si domandò da quanto tempo non facessero un bagno.
 Tilde si diresse a passi minacciosi verso la combriccola di vandali, senza che la sua compagna avesse il tempo di fermarla. Sul muso aveva un’espressione micidiale, che però non spaventò affatto i bambini.
 «Mi pare un modo un po’ maleducato di presentarsi alla vostra maestra» disse in tono freddo.
 «Prr noi non andiamo a scuola. Non ci sta nemmeno una scuola a Polvere!» le rispose uno dei piccoli con una pernacchia. Era un topolino basso, con l’occhio e il piede sinistro malamente fasciati e due prominenti incisivi che pendevano dalla mascella. I suoi capelli corti e sudici sembravano erbacce annerite.
«Beh, c’è adesso» rispose Tilde in tono asciutto, continuando a fissare i bambini «Stavo giusto andando ad aprirla».
«Tu sei una strana» disse la topolina con il vestito bianco. Aveva una vocina tranquilla e anche i suoi enormi occhi ambrati non lasciavano trasparire alcuna emozione. «Perché ti vesti da maschio?» domandò.
«Perché non mi piacciono le gonne» tagliò corto Tilde.
«Strano» ripeté la bambina «Se Jake o un altro serpente a sonagli ti mangia posso prendermi i tuoi stivali?».
Tilde la guardò come se le fosse spuntata una seconda testa e persino Beatrice fu raggelata da quella domanda.
«Ehm… No» rispose Tilde dopo qualche secondo, come se credesse di non aver sentito bene. «Comunque se mi tirate un altro sasso vi beccate tutti una nota» minacciò.
Un coro di pernacchie fu l’unica risposta che ottenne dai monelli, prima che girassero i tacchi per andarsene.
«Tanto noi non ci andiamo a scuola!»
«Sì! Troppo noioso e inutile!»
«E poi mia madre non vuole che stia vicino ai serpenti. Ha detto anche che non devo andare a messa visto che c’è Jake Sonagli…» concluse il bambino con l’occhio e il piede fasciato. L’ultima parte in particolare, la disse in tono decisamente più basso, guardandosi intorno come se temesse che solo il suo nome evocasse il temibile fuorilegge.
Tilde sbuffò sonoramente, dando un calcio alla pietra rimasta in mezzo alla strada.
«Prendiamo qualcosa da bere» bofonchiò a Beatrice, prima di raggiungere il porticato di un saloon proprio lì vicino. L’idea iniziale della ragazza di attendere la sua amica fuori, fu presto accantonata per via degli sguardi sospettosi e carichi di disprezzo che si sentiva addosso. I passanti e la gente affacciata alle finestre puntavano gli occhi contro di lei, qualcuno accarezzava persino la colt appesa alla fondina. Ma perché? Che aveva fatto di male lei?
Avrebbe voluto chiederlo, ma l’aria tarchiata di quei figuri la dissuase e decise di rimanere vicino a Tilde. Una volta all’interno del locale, però, la situazione non migliorò. C’era un silenzio irreale all’interno del locale, che pure era strapieno di gente. Un ventilatore cigolava malinconico sopra le loro teste, mentre un rospo puliva alcuni bicchieri al bancone. Non badò per niente a Tilde, appena sedutasi lì davanti. Come tutti i suoi clienti, anche lui fissava Beatrice con aria dubbiosa.
Ansiosa di andarsene, la giovane decise di prendere posto in un angolo buio del locale, vicino a quello che sembrava un palcoscenico ormai mal ridotto e divorato dai tarli. L’attenzione, tuttavia, rimaneva calamitata su di lei.
«Un bicchiere d’acqua e uno di succo di cactus» ordinò Tilde, spezzando il silenzio con non curanza.
Il rospo borbottò qualcosa, prima di preparare i bicchieri.
«Bene, bene, bene» fece improvvisamente qualcuno alla sua destra «Allora il misterioso garzone del parroco è in realtà una fanciulla…».
 Solo in quel momento le due nuove arrivate si accorsero dell’energumeno appoggiato a una delle colonne, intento ad aspirare un grosso sigaro. Era un mostro di Gila dalle squame smorte, vestito con una sudicia camicia piena di patacche. Il suo odore fece storcere il naso a Tilde, che tuttavia rimase seduta.
«Matilde Bettazzi» rispose, laconica, mentre quello si avvicinava.
«E che ci fai in un posto come questo tutta sola, Matilde?» le chiese spegnendo il sigaro nel posacenere.
«Non sono sola» lo corresse accennando a Beatrice.
«Bill, smettila» lo ammonì un gatto seduto lì vicino, intento a sorseggiare un liquido ambrato.
«Quella è un serpente a sonagli?» grugnì il tipo, mentre Beatrice cercava di stringersi nell’angolino più che poteva, terrorizzata dalla sua aria decisamente poco raccomandabile.
«Ovvio che no» rispose Tilde afferrando i bicchieri «Mi pare evidente che sia un centopiedi albino».
Bill le afferrò il braccio appena si alzò dalla sedia, intimandole di non fare la spiritosa. L’atmosfera nel locale divenne allora tesa come una corda di violino, mentre Beatrice osservava pietrificata. Sarebbe dovuta correre a chiamare padre Terence o lo sceriffo? Ma la porta era bloccata proprio da quell’energumeno, che peraltro aveva una pistola appesa alla cintura...
«Lasciala, Bill» fece di nuovo il gatto, alzandosi.
«Sempre a soccorrere le fanciulle indifese, Oliver?» fece quello, beffardo, prima che Tilde lo minacciasse a sua volta: «Leva subito la tua zampa dal mio braccio».
Da un lato, Beatrice si meravigliò del suo tono freddo e deciso, mentre sosteneva lo sguardo del mostro di Gila. Dall’altro però, si chiese cosa diamine le passasse per la testa.
«Sennò che fai, lucertolina?» le chiese in tono mellifluo. Prima che qualcun altro potesse intervenire, Tilde strisciò di un passo avanti, rovesciandogli i bicchieri addosso. Riuscì a distrarlo e sbilanciarlo quanto bastava per afferrargli il gomito. Con un unico, fluido movimento, si portò alle sue spalle, mettendogli l’altra mano, ormai libera, sul collo grasso. Girò su sé stessa trascinandosi dietro Bill, che a stento riusciva a mantenere l’equilibrio, poi gli dette una spinta, mandandolo verso l’uscita. Il mostro di Gila caracollò cercando di non cadere a terra, prima che Tilde gli assestasse un calcio proprio sul posteriore. A quel punto Bill andò a sbattere contro le ante che segnavano la porta del saloon, rovinando sulle assi di legno con la sua pancia flaccida.
«Tu! Piccola…!» ringhiò alzandosi e cercando convulsamente il manico della pistola, senza trovarlo.
«Cerchi questa?» domandò Tilde, osservandolo a braccia conserte. Appesa alla sua coda, stava proprio l’arma del mostro di Gila. «Facciamo che per ora la tengo io».
Bill le rivolse uno sguardo carico di odio. Alle spalle della lucertola, un coniglio con il pelo sudicio e una bombetta forata cercò di avvicinarsi di soppiatto, stringendo un coltello nella zampa. Beatrice se ne accorse appena in tempo per avvertirla, facendola scattare in automatico. Proprio mentre il braccio si alzava per assestare il colpo, Tilde si girò, facendo una mossa molto simile a quella usata contro Bill. Questa volta però, dopo aver sbilanciato il suo assalitore, la ragazza gli afferrò il braccio, fece una rotazione e costrinse in ginocchio il coniglio. Gli piegò dolorosamente la mano verso l’alto, costringendolo a mollare il coltello. Faceva forza con la spalla per impedirgli di alzarsi, premendo col pollice sul nervo vicino al gomito.
«Va bene, va bene! Mi arrendo mi arrendo!» gemette quello dopo qualche interminabile istante di dolore.
Tilde mollò bruscamente la presa, spingendo anche lui verso l’uscita. Gli altri due complici all’interno del locale lo seguirono in fretta.
Tutti i presenti fissarono attoniti la scena, non riuscendo a credere che quella straniera mingherlina avesse messo in fuga da sola quella banda di piantagrane. Non aveva nemmeno avuto bisogno di sparare per impartire al loro capo una lezione.
 Persino i bambini di poco prima avevano assistito al calcio nel sedere che aveva rifilato a Bill e ora la fissavano con occhi meravigliati.
Una volta preso finalmente il suo bicchiere e affidata la pistola a Beauford, affinché la consegnasse allo sceriffo, Tilde e Beatrice uscirono dal locale, sotto le occhiate incredule dei clienti.
«Maremma impestata, sudicia e ladra» sbuffò la lucertola, una volta di nuovo sulla strada «Possibile che tutte le volte mi tocca lo spaccone di turno?».
«Poteva essere pericoloso…» disse Beatrice, sorpresa dalla prima imprecazione della sua accompagnatrice «Ma che cosa intendi? Ti è capitato altre volte di…?».
«Di fare una piccola rissa?» finì per lei Tilde «Oh sì! Per ogni nuova città che visito c’è sempre quello che vuole allungare le mani, convinto che non sia capace di impedirglielo. Per favore, però, non dire a padre Terence che mi sono azzuffata di nuovo. Altrimenti mi tocca la predica».
Beatrice annuì. Trovava non poco disdicevole che una signorina come Tilde si comportasse così… da maschiaccio e attaccasse così spesso briga con gli sconosciuti. Tuttavia, dovette riconoscere che in quel momento, lei era il miglior chaperon che si potesse permettere, l’unica persona di fiducia in grado di proteggerla in quella città perigliosa.
Un pensiero germogliò spontaneo nella sua mente: e se fosse proprio per il suo carattere poco femminile che Tilde non era ancora maritata e viveva con padre Terence? D’altronde chi avrebbe accettato di mettersi in casa un simile peperino?
Ormai erano praticamente arrivate davanti al fatiscente edificio che avrebbe dovuto essere la scuola della città. Entrambe si meravigliarono del fatto che persino sulla sua facciata spiccassero fori di proiettile. Stando alle chiazze più chiare lasciate dalle lettere sul cornicione dell’edificio, in origine doveva chiamarsi Frederich Raymond School. Molte delle lettere, tuttavia, erano cadute ormai da tempo e l’edificio ormai era stato abbandonato alla decadenza.
«Mi sa tanto che avremo il nostro bel da fare per rimettere questo posto in sesto…» pensò ad alta voce la lucertola.
Con la coda dell’occhio si accorse poi dello stuolo di ragazzini di poco prima, radunati proprio accanto ai resti decrepiti della scuola. La studiarono qualche altro secondo con i loro occhietti vispi, prima che uno di loro, un gattino un po’ spelacchiato, chiedesse, tutto eccitato: «Come hai fatto a rubare la pistola a Bandito Bill?».
«Puoi farcelo rivedere?» chiese un altro «E’ stata la cosa più forte che abbia mai visto!».
«Tu rubi spesso alla gente?».
«Sei una fuorilegge come Jake?» chiese la topolina col vestito bianco, in tono assolutamente neutro «È per questo che lo ospitate in canonica?».
«Puoi fare di nuovo la mossa per torcere il braccio a qualcuno?».
Tilde fu pronta a frenare quell’ondata di entusiasmo: «Buoni, buoni, buoni!» disse «Quella che avete visto si chiama autodifesa, quindi no: non sono una fuorilegge e non rubo spesso alla gente».
I piccoli parvero non poco delusi dalla sua risposta e si lasciarono andare a diversi sbuffi e sospiri. Tuttavia, fu proprio allora che a Tilde venne in mente un’idea per radunare la sua prima classe di studenti.
«Però potrei insegnarvi» disse, sorridendo quando vide i musetti di tutti i bambini illuminarsi di speranza «A una condizione: dovrete venire a scuola e frequentare le mie lezioni dal lunedì al venerdì, dalle otto del mattino alle due del pomeriggio. Da quell’ora fino alle quattro, invece, io vi insegnerò autodifesa».
I bambini confabularono per un po’ tra di loro, scambiandosi diverse occhiate dubbiose.
«Prometto che non farò lezioni molto noiose» si affrettò ad aggiungere Tilde.
«Se non ci piace però ce ne andiamo» precisò la topolina col vestito bianco e la maestra annuì.
Beatrice invece era a dir poco sorpresa. Addirittura, Tilde voleva insegnare ai bambini come combattere? E poi a tutti, persino alle bambine! Che tipo di scuola voleva mettere in piedi?
La risposta la scioccò ancora di più quando i piccoli le chiesero il nome del loro nuovo istituto di educazione e lei rispose, con un sorriso furbo: «Fray School».
La scuola delle risse. Infatti, per una strana coincidenza, le lettere ancora appese al cornicione, indicavano proprio questo bizzarro nome.

Spazio autrice: Sorpresa sorpresona! Finalmente sono tornata! Scusate se sono stata via tanto tempo, ma la preparazione all'esame di stato ha richiesto tutta la mia attenzione e le mie energie. Adesso però sono finalmente tornata (dopo aver portato a casa un bel numero a tre cifre) e pronta a rimettermi in carreggiata! 
In questo capitolo forse Beatrice vi starà un po' antipatica, ma il fatto è che sto cercando di rappresentare anche la sua mentalità, in qualche modo figlia del tempo e del luogo in cui è vissuta. Non è detto che rimarrà così fino alla fine, ma vedremo!
Di Tilde che ne pensate? Un bel peperino che si è già inimicata Bill e la sua cricca! Ho la sensazione che tra lei e Jake voleranno scintille!
Ci sentiamo per il prossimo capitolo!
   
 
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