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Autore: heliodor    28/06/2020    1 recensioni
Valya sogna di diventare una grande guerriera, ma è solo la figlia del fabbro.
Quando trova una spada magica, una delle leggendarie Lame Supreme, il suo destino è segnato per sempre.
La guerra contro l’arcistregone Malag e la sua orda è ormai alle porte e Valya ingaggerà un epico scontro con forze antiche e potenti per salvare il suo mondo, i suoi amici… e sé stessa.
Aggiunta la Mappa in cima al primo capitolo.
Genere: Avventura, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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Le Vecchie Pietre
 
“Che hai?” le chiese suo padre. “È da quando sei tornata dal pozzo che sembri strana.”
Valya scosse la testa. Sedeva sulla panca vicino all’ingresso della forgia, dove suo padre stava sbarrando la porta con delle assi di legno.
Il sole era appena sorto e il cavallo era stato attaccato al carretto. Suo padre l’aveva acquistato da Ivraim, un allevatore che viveva a un paio di miglia di distanza e non andava quasi mai al villaggio.
Valya sospirò. “Voglio solo andarmene da questo posto” disse. “E non rivederlo mai più.”
“Pensavo ti piacesse Cambolt. È più sicuro di una grande città sporca e affollata.”
“Una città” disse Valya. “Non so nemmeno come è fatta. Ferrador è grande?”
“L’ultima volta che ci sono stato, traboccava di persone” disse suo padre.
“Ci sono maestri di spada dove stiamo andando?”
Suo padre smise di inchiodare le assi e si accigliò. “Perché me lo chiedi?”
Valya scrollò le spalle. “È solo una domanda.”
Suo padre sembrò pensarci su. “Ci sono. Come in tutte le grandi città.”
“Anche un certo Elyas Kroft?”
Stavolta Simm Keltel socchiuse gli occhi. “Dove hai sentito quel nome?”
“Da nessuna parte. In giro, credo. Lo conosci?”
Suo padre annuì grave. “Purtroppo sì.”
“È abile?”
“Più con la bocca che con la spada, anche se ai miei tempi diceva di voler sposare una ricca vedova e ritirarsi. Sembri delusa.”
“No, affatto” rispose lei alzandosi di scatto. “Hai finito? Possiamo andare adesso?”
“Sali sul carro.”
“E tu dove vai?”
“Devo controllare che sia tutto a posto” disse con tono vago.
Simm Keltel fece il giro della forgia e quando tornò sembrava soddisfatto.
A Valya parve che fosse compiaciuto.
Suo padre afferrò le redini e le schioccò con gentilezza. “Andiamo, su” disse rivolto al cavallo.
Quando lo aveva portato alla forgia Valya gli aveva chiesto come si chiamava.
“Non lo so. Ivraim non me l’ha detto. Forse nemmeno ce l’ha un nome.”
“Ma deve averne uno” aveva protestato Valya.
“Che differenza fa?”
Valya lo aveva chiamato Bel.
“Bel?” le aveva chiesto suo padre.
“È il diminutivo di Bellir” gli aveva risposto.
Suo padre aveva scosso la testa affranto.
A due o tre miglia di distanza dalla forgia, lo vide girare la testa tre o quattro volte e fare un mezzo sorriso.
Valya sedeva accanto a lui sul cassone, godendosi il sole della tarda mattinata e il vento fresco che spirava da settentrione.
“Che hai da ridere?” gli chiese.
“Niente” rispose lui ghignando.
“Voglio ridere anche io.”
Simm Keltel serrò le labbra.
Valya si alzò di scatto e guardò dietro al carro. La collina era alle loro spalle con essa il bosco che la circondava. Vicino alla sommità si alzava un pennacchio di fumo che velava il cielo altrimenti di un azzurro limpido.
“Un incendio?” domandò. Il pensiero la colpì all’improvviso. “La forgia” esclamò rivolta al padre. “Sta andando a fuoco.”
Simm emise un brontolio sommesso.
“Dobbiamo tornare indietro o brucerà anche la casa.”
“Torna a sedere” disse lui con tono perentorio.
“Ma…”
“Siedi e goditi il viaggio.”
Valya ubbidì.
Suo padre continuò a stare zitto per qualche minuto, poi disse: “Anche io ne avevo abbastanza di Cambolt” disse con tono sommesso. “Non ci torneremo. La forgia non serve più. E quell’idiota di Chernin avrà solo delle macerie fumanti.”
Valya incrociò le braccia sul petto. “Credevo che i Keltel non fuggissero senza pagare i loro debiti.”
“Non stiamo scappando” rispose lui. “E chi ti dice che quei debiti non siano stati saldati?”
“Con quali soldi?” domandò Valya allarmata.
“Ci ha pensato Falgan. Fa parte del nostro accordo.”
“Voi due avete un accordo?”
“Più o meno” disse suo padre scrollando le spalle.
“Quando volevi dirmelo?”
“Non è necessario che tu sappia tutto.”
Valya sbuffò e guardò altrove. Dopo che ebbero superato il vecchio ponte che collegava le due sponde del Serpente Pigro, le campagne e i boschi lasciarono il posto a una pianura coperta da erba di colore giallo e verde scuro punteggiata da macchie di alberi.
Sulla sinistra, verso settentrione, si innalzava la cima solitaria e grigia di una montagna. “Che posto è questo?”
“Siamo ancora nei dintorni di Cambolt” rispose suo padre annoiato.
“E quella montagna?”
“È il Picco dell’Esilio.”
Valya lo fissò interdetta.
“Che c’è?” fece suo padre.
“Si chiama proprio così?”
Lui scrollò le spalle.
“È un nome stupido. Chi glielo ha dato?”
“Che vuoi che ne sappia io? Si chiamava già così da prima che nascessi.” Fece una pausa. “E perché sarebbe stupido?”
“A me sembra un nome stupido. Picco dell’Esilio. Che dovrebbe voler dire seconde te?”
Suo padre sbuffò. “Non lo so. Perché sei di cattivo umore? Pensavo fossi contenta di andare via da Cambolt.”
“Lo sono. Chi ti dice che sono di cattivo umore? Ti ho fatto solo una domanda. Potresti anche dirmi qualcosa, ogni tanto.”
Simm Keltel sbuffò. “È per non farti preoccupare di cose inutili. Lo faccio per te.”
Valya andò dietro, sedendo tra le casse piene di martelli e pinze e vecchie coperte di lana piena di tarme. Per caso lo sguardo le cadde sul baule con la spada.
La spada.
Chissà se è ancora lì dentro? Si chiese. Certo che lo è, ho controllato prima di partire. Ma se non ci fosse più? Se per qualche motivo papà l’avesse tolta e lasciata da qualche parte in casa, dimenticandosene? Potrebbe essere bruciata nella forgia. forse dovrei tornare indietro e…
“Stai già dormendo?”
La voce di suo padre la riportò alla realtà.
Da quanto sto fissando la cassa? Si chiese.
Il sole era alto nel cielo e stava iniziando a calare verso oriente.
“Vuoi vedere qualcosa di interessante?” le chiese.
Valya annuì e dimenticò la spada.
Suo padre indicò un punto all’orizzonte, dove i particolari erano sfumati dalla foschia. “La vedi?”
“Che cosa dovrei vedere?”
“La collina. È proprio lì.”
C’era una leggera irregolarità nel terreno dove suo padre le aveva detto di guardare.
“Cos’è?”
“Le Vecchie Pietre” disse lui.
Valya si accigliò.
“Ci siamo passati la prima volta che siamo venuti qui.”
“Avevo cinque anni.”
Simm Keltel sospirò.
“Che ha di così speciale?”
“Niente” rispose lui. “A parte il fatto che è il ritrovo di fuggiaschi e rinnegati di mezzo continente.”
Valya sgranò gli occhi. “E ci passeremo molto vicino?”
Lui le rivolse un’occhiata di traverso. “Ti spaventa?”
“Affatto” rispose raddrizzando la schiena.
“Dovrebbe. Quella feccia sarebbe ben lieta di scannarci nel sonno e prendersi il poco che abbiamo.”
Valya deglutì a vuoto. “Allora giriamoci attorno.”
“La via per la Strada dei Re è questa. Dall’altra parte ci sono paludi per decine di miglia e io non ho voglia di sporcarmi gli stivali. No, non ci passeremo vicino, ma proprio in mezzo, come la prima volta che sono passato di qui.”
 
Le Vecchie Pietre, proprio come aveva detto suo padre, dovevano quel nome al fatto che fossero antiche.
Prima ancora di arrivare alla collina vera e propria si imbatterono nei resti di colonne spezzate e disseminate in giro come ossa spolpate dai predatori e lasciate a cuocere al sole.
Un cerchio di pietre grigie delimitava quello che doveva essere stato un tempio o un’abitazione, Valya non avrebbe saputo dirlo e, proprio lì in mezzo, sorgeva una tenda.
Un uomo dai capelli rossicci e la pelle abbronzata sedeva all’ombra di una colonna spezzata e li fissò con sguardo accigliato mentre si avvicinavano.
Suo padre lo salutò con un cenno della testa. “Che si dice alle Vecchie Pietre?”
L’uomo lo guardò con sospetto. “Chi lo vuole sapere?”
“Un viandante” rispose suo padre.
“Questo viandante ha un paio di monete da darmi? Parlare è faticoso sotto questo sole.”
“Posso darti una moneta” disse Simm Keltel. “E un paio di strisce di carne secca.”
L’uomo si umettò le labbra e venne verso di loro.
Suo padre gli puntò contro l’indice. “Non avvicinarti oltre, per favore.”
L’uomo si fermò. “Sei un tipo prudente.”
“Non voglio affaticarti con una camminata inutile. Allora?” Lui gli gettò una striscia di carne secca che cadde nell’erba alta davanti ai piedi dell’uomo.
“Mi chiamo Bradis” disse dopo essersi chinato.
“Non ti ho chiesto il tuo nome.”
Bradis scrollò le spalle. “Fammi una domanda allora.”
“Chi è che comanda a Vecchie Pietre? Rod Tarrin è ancora seduto sul suo trono?”
L’uomo scosse la testa. “Manchi da molto, viandante. Tarrin è morto otto anni fa. Adesso comanda Fas Marden, il suo vecchio aiutante di campo.”
“Che tipo di persona è questo Marden?”
Bradis si strinse nelle spalle. “Non lo conosco bene” disse con voce incerta.
Simm gli gettò un’altra striscia di carne secca.
“Ma spesso i suoi ragazzi passando di qui e mi raccontano di quello che fa Marden alle Vecchie Pietre. Non sembra una cattiva persona. Mantiene l’ordine, insieme ai suoi ragazzi e in cambio chiede solo qualche moneta. Per la protezione, non so se mi spiego.”
“Ti sei spiegato benissimo” disse suo padre facendo schioccare le redini.
Bradis si accigliò. “Dove vai? E la mia moneta?”
“Te la darò a prossima volta. Quella carne vale molto di più.”
Valya rivolse una rapida occhiata a Bradis. L’uomo stava ritornando a testa bassa verso la sua tenda.
“Potevi dargli quella moneta” disse a suo padre. “Ora ci starà lanciando le sue maledizioni.”
“Che faccia pure” rispose lui. “E se volevi dargli una moneta, potevi dargliene una delle tue.”
“Io non ho monete” protestò Valya.
“Forse perché le hai date tutte agli sconosciuti.”
“Non è vero” disse con veemenza.
Potevo averne duecento a quest’ora, se avessi accettato i dannati soldi di Ros, si disse. Chissà che cosa stanno facendo lui e i suoi fratelli, ora. Avranno già visto l’incendio della forgia e Myron sarà andato su tutte le furie?
Quel pensiero la consolava e la distraeva dalle fatiche del viaggio.
Un sentiero di terra battuta avvolgeva la collina sulla cui sommità era stato eretto un villaggio di tende e baracche di legno. Valya notò giovani e adulti mescolati tra loro. Cera anche qualche ragazza e un paio di donne le rivolsero un’occhiata distratta mentre col carro si facevano strada tra la piccola folla che sostava vicino alle bancarelle di legno.
Un uomo dal ventre enorme richiamava l’attenzione delle persone indicando la merce stesa ai suoi piedi su di un tappeto sbrindellato.
Valya gettò una rapida occhiata alle pentole e ai piatti allineati. Non ce n’era uno che non fosse ammaccato, graffiato o con qualche parte mancante. Un piatto era stato ricucito con del filo di ferro.
Una ragazza dalla pelle nera invitava i passanti ad esaminare i vestiti esposti su di una stampella.
“Vieni, signora. Da questa parte, ho sicuramente la taglia giusta per te. Lino di Chazan e broccati di Nazedir. Con uno di questi addosso il tuo uomo sarà felice. E se non hai un uomo, te lo farà trovare.”
Un tizio dall’aria assonnata esponeva degli animali spellati si un’asta di legno. Ogni tanto muoveva un braccio per scacciare un nugolo di mosche ci ronzava attorno.
Valya distolse lo sguardo. “Che posto è questo? Perché siamo venuti qui?”
“Devo sbrigare una commissione” rispose suo padre con aria assorta.
“Che genere di commissione?”
“Del genere che non mi devi chiedere niente al riguardo.”
Valya serrò le labbra. “Perché questa gente vive qui?”
“Forse gli piace il posto.”
“A chi può piacere vivere in un posto del genere?” gli chiese sconcertata.
“A uno che non ha altro posto in cui vivere” rispose suo padre. “Qui è tranquillo. Non ci sono guardie o Vigilanti.”
“Vigilanti?”
“Stregoni che danno la caccia ai rinnegati.”
Valya fece una smorfia di disgusto. “C’è una puzza tremenda. Dovevamo andare a Ferrador senza passare di qui. Quanto ci fermeremo?”
“Lo stretto necessario per quella commissione.”
“Ma cosa devi fare di così importante” iniziò a dire.
“Basta domande” disse suo padre con tono perentorio.
Valya si azzittì.
Suo padre strinse le redini. “Scusa. Non ti volevo urlare contro.”
“Lo fai sempre.”
“Ti ho chiesto scusa, no?”
Suo padre fermò il carretto in uno spiazzo libero dalle tende e lontano dal mercato a cielo aperto. Saltò giù con un gesto agile e legò le redini al cassone. “Non muoverti di qui. Resta nel carro, hai capito?”
Valya annuì.
“Non uscire per nessun motivo, nemmeno se senti delle grida.”
Lei lo guardò accigliata.
“A volte scoppiano delle risse. Di solito si risolve tutto con un paio di ossa rotte e qualche pugnalata.”
Valya fece per dire qualcosa.
“Tu fatti gli affari tuoi e non immischiarti in quelle faccende, chiaro? È importante.”
Valya annuì decisa.
Suo padre si guardò attorno con fare agitato. “Io torno subito, non ci metterò molto.”
“E se qualcuno tenta di entrare nel carro e prendere la nostra roba?”
“Non lo faranno.”
“Ma…”
“Ascoltami, Valya” disse suo padre con voce agitata. “Devo fare questa commissione, è davvero importante. Devi stare qui per un po’, senza uscire e senza muoverti. Possibile che sia così difficile da capire?”
“E se ti succede qualcosa?”
“Non mi succederà niente. Ora vado. Resta dentro il carro.”
Suo padre le voltò le spalle e si avviò verso il mercato. Valya lo seguì con lo sguardo finché non sparì tra la folla. Un attimo dopo si gettò nel retro del carro.

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