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Autore: Rota    29/06/2020    2 recensioni
Sentì i muscoli della schiena dolere. Si allontanò dal fascio di luce della lampada sul tavolo, così da avvicinarsi alla grande finestra che poco prima stava ammirando Mika, godendo dei colori della notte.
Si appoggiò al legno dello stipite con una spalla, incrociando le braccia al petto.
Che bella luna. Che belle stelle.
Tracciò le linee di un tatuaggio straordinario tra le costellazioni senza nome, profili di qualcosa che nessun uomo aveva inventato. Magari, nel loro futuro, potevano essere utili.
Fu in quel modo che vide i primi bagliori – gli sembrò fossero delle stelle cadenti. Una, due, tre, dieci, cento.
La prima cadde a terra e colpì una casa. Prima il buio, subito dopo un’esplosione di fulmini incontrollata.
Shu rimase immobile, inorridito ed esterrefatto, finché anche da quella distanza non si riuscirono a sentire le urla agonizzanti dei suoi stessi concittadini.
Quella fu chiamata, da chi sopravvisse, la prima delle Notti della Pioggia di Potere.
E segnò l’inizio di un nuovo mondo per tutti i cittadini di Yumenosaki.

[LeoxShu principalmente; Fantasy/Steampunk/Tatoo!Au; multicapitolo]
Genere: Fantasy, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Altri, Leo Tsukinaga, Shu Itsuki
Note: AU, Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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*11. Petali – Tracce di un cattivo passato*

 


[Melodie di vento e di pioggia: il movimento della tempesta // CherryBlossoms' Ink FanMix
Track 12: Capitolo 11]



 
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Fanart by Kumiho





 
Non fece neppure in tempo a terminare il proprio gesto che il suo interlocutore parlò di nuovo.
-Davvero, dovresti pensarci seriamente!
Leo fece vagare lo sguardo al resto della taverna attorno a loro pur di non incrociare quello di lui.
Bevve solo qualche sorso, poi appoggiò il boccale sopra il tavolo che li divideva.
Sorrise persino, armandosi di una cortesia un poco impacciata e timida – mentre muoveva le gambe, si accorse che la divisa bianca gli era un po’ stretta.
-Mama, Mikejima. Ci ho già pensato. Questo periodo di riposo è stato duro, ma è tempo per me di rientrare in servizio.
L’uomo più alto insistette, accorato nella voce abbastanza da richiamare l’attenzione di un ubriacone vicino, che ruttò nella loro direzione e poi si riaddormentò sorretto dalle proprie braccia.
Tutto spettinato, sembrava davvero scappato dalla propria dimora in fretta e furia.
-L’ultima volta ti sei ferito gravemente! Non puoi pensare che una cosa del genere passi così! Per te più che per tanti altri è necessario, anzi vitale! Essere in buona salute!
-Era una ferita da niente, è guarita subito.
-Non è della ferita fisica che sto parlando, Tsukinaga!
Quelle parole gli fecero male, per questo si zittì. Benché lo sapesse da solo, era molto più doloroso che un amico come Madara glielo dicesse apertamente.
Ingoiò saliva prima di ribattere.
-Apprezzo che tu sia così preoccupato per me…
Poi alzando lo sguardo vide sul muro una locandina tutta colorata e piena di scritte buffe. Sorrise, perché aveva trovato un ottimo argomento per sviare.
-Domani sera ci sarà lo spettacolo dei ragazzi. Anzu mi ha dato due biglietti per i primi posti, ho promesso a Shu che l’avrei trascinato a vederli anche se mi avessero staccato una gamba. Dopo tutto quello che è successo a quei poveri ragazzi! E non posso non mantenere una promessa con Shu, lo sai bene. Se si arrabbia, poi me lo rinfaccerà per mesi!
A quel punto, per chiunque sarebbe stato ben difficile insistere sullo stesso argomento.
Leo rise, prima di bere ancora dal proprio boccale.
Madara lo guardò a lungo prima di parlare di nuovo, con una luce sconfitta negli occhi.
-Io parto domani mattina, Tsukinaga. Se per caso stanotte cambi idea… io sarò lì ad aspettarti.
Leo scosse la testa in un movimento che non era di diniego né di conferma. Svuotò il boccale e si alzò, senza aggiungere nulla.
Per un secondo, la spilla sul suo petto rifletté la luce del lampadario alto, come se si stesse mostrando.
-Ora devo andare, Mikejima! Spero di rivederti presto, a Yumenosaki!
L’uomo si limitò ad alzare la mano mentre Leo si allontanava, in un saluto mesto.
Fuori dalla locanda, il Comandante dei Knights prese un profondo respiro. Cercò di rassettarsi un poco i capelli e strinse il nodo con il fiocco bianco e blu di Shu, ma era davvero difficile con la sua chioma indomabile. Rinunciò subito.
Chiamò a sé una carrozza, appena raggiunse la strada. Con una divisa e una spilla come le sue, non fu difficile trovare qualcuno che volesse prestargli servizio: anche di quei tempi, esisteva ancora qualcuno che dava rispetto al suo esercizio.
Vide una città quasi deserta. Finestre e porte chiuse, nessun bambino in giro. I negozi non erano ancora aperti, benché fosse passata l’ora della colazione da diverso tempo e il sole fosse ben alto in cielo.
Vide passeggiare solo qualche donna con i sacchi della spesa e dell’acqua, un signore strano e una coppia di Akatsuki in tonaca rossa, null’altro.
Sospirò e si ritirò nei propri pensieri. Doveva prepararsi a rivedere i colleghi dopo giorni di ritiro, compilare le pratiche del rientro e vedere il nuovo Governatore eletto, prima della fine della settimana. Tante, tantissime cose che non poteva più ignorare.
Poi la sua spilla cominciò a scottare sul petto. Picchiò il pugno contro la parete dell’abitacolo, perché il cocchiere si fermasse subito, e quanto più velocemente possibile uscì all’esterno guardandosi attorno.
Doveva trovare subito la persona che aveva attivato il proprio Potere, prima che questa facesse danni a sé o alle altre persone.
Corse a perdifiato, recuperando il proprio flauto da una delle tasche interne della divisa.
A ogni bivio, la spilla rilasciava una diversa quantità di calore qualora lui si allontanasse dalla zona dove era stata rilevata la presenza del Potere – d’altronde, era un oggetto di fine tecnologia, donata al corpo dei Knights dai Sigilli. Però, ad un certo punto, non servì più: vi fu un gran baccano, qualcosa veniva rotto e si spaccava, frantumava in mille pezzi. Leo capì di dover andare in quella direzione.
Sentì qualcuno urlare e poi rumore di passi accelerati. Quello che vide emergere dalla vetrina di un negozio, invece, appena riuscì a svoltare il giusto angolo, fu una strana figura bipede che si muoveva a stento ed emetteva fumo dalla bocca. Si voltò quando lo vide arrivare e Leo riconobbe uno sguardo umano negli occhi che aveva incastrati nell’abbozzo di viso.
Il Potere di rendere le cose pietra aveva reso un essere umano pietra egli stesso; ormai non c’era altro che un golem con quattro protuberanze per gli arti. Dal sangue che colava dal braccio sinistro, il Comandante dei Knights intuì di essere arrivato troppo tardi.
La creatura cominciò ad avvicinarsi a lui. Leo urlò un ammonimento, chiaro e conciso, perché si fermasse e si lasciasse catturare senza opporre resistenza. Non fu ascoltato, perché quella cosa continuò ad avanzare senza neppure temporeggiare.
Leo pensò velocemente se fosse il caso di aspettare, che di certo sarebbe arrivato qualcun altro a dargli aiuto. Molte, molte cose nella sua testa – la forza effettiva del suo Potere, il permesso da firmare, la mancanza di un pericolo effettivo fintanto che quella cosa puntava a lui.
Spuntò però un uomo, accovacciato a terra, i cui lamenti non solo fermarono l’uomo roccia, ma lo fecero pure voltare indietro e, solo dopo un istante, lo condussero da lui. L’uomo si immobilizzò sul posto, con occhi spalancati colmi di orrore.
Leo a quel punto non urlò neppure, portò il flauto subito alle sue labbra.
Cominciò con una melodia nota e abituale, che iniziando con alcune note allegre voleva catturare l’attenzione dell’avversario per poi guidare il resto della musica nella sua incoscienza, quindi farla attecchire con i suoi comandi nel subconscio.
Il golem scosse il capo e urlò senza fermarsi. Leo insistette ancora con diverse note e diverse strofe, accelerando la melodia in preda a un’isteria piuttosto frenetica. Ma nulla accadde, se non generare un poco di fastidio.
Stava sbagliando approccio.
Corse in avanti e si piazzò tra il golem e l’uomo, che così ebbe modo di strisciare via lontano dal pericolo. Il suo tatuaggio brillò sulla guancia larga, generò un vortice di colore e luce semovente, che illuminò tutto il flauto nel momento in cui lo appoggiò di nuovo alle labbra. Suonò ancora e questa volta il golem si fermò.
Poi ruggì, di un ruggito folle e terribile. Guardò lui dritto negli occhi, con un desiderio di morte che raramente il Knights aveva visto.
La musica continuava, conciliante e calma, note basse quasi sulla punta del Shakuhachi.
Il golem si mosse ancora e ancora, sempre più vicino. Leo vide la sua figura contorcersi, il dolore farsi spazio sui tratti rigidi e pietrificati del viso, il suo sguardo mutare mille volte e farsi sempre più cattivo, sempre più violento.
Ormai era davanti a lui, a un respiro di distanza. Ruggì ancora, superando il suono del flauto – era un urlo di dolore, dalle sue labbra uscì sangue rosso in un singulto di morte. Alzò il braccio spesso sulla sua testa mentre ancora lo guardava, dritto.
-Uccidilo! Cosa stai aspettando?
Fu un urlo malvagio, quasi non umano, prodotto da quello stesso uomo che fino a qualche istante prima si trovava a terra pietrificato. Dall’altra parte del marciapiede, al sicuro, lo incitò con quelle poche parole.
Ci fu una nota diversa nell’ultima strofa, poi la melodia cambiò di poco.
Il golem morì immobile prima che Leo staccasse lo strumento dalle labbra, e prima gli altri Knights arrivassero sulla scena.
 
 
Sentiva il rumore dei giovani allievi provenire dalla finestra aperta sul campo degli allenamenti: Narukami stava tenendo il corso di difesa, come ogni giovedì mattina. Le spade, d’altronde, erano un altro degli oggetti simbolici per loro Knights forse perché, tra tutte le armi, ricordava l’elemento dell’aria, leggiadre e fluide. L’arte del combattimento con l’arma bianca, quindi, era un vanto e un onore per tutti loro.
Leo alzò lo sguardo dal pavimento e vide lo stendardo enorme che cadeva dal soffitto. Un fiore di ciliegio, mille petali e una corona, il marchio dei Non Toccati che loro proteggevano, appoggiati a quel blu scuro dello sfondo. Sospirò pesantemente e cercò di rilassarsi sulla propria sedia, svuotando la mente dai pensieri.
Ma qualcuno si avvicinò alla porta di ingresso parlottando, molto animosamente, e un solo uomo entrò. Brandiva in mano alcuni fogli stropicciati, aveva un’espressione a dir poco esasperata.
-Certo che devi proprio avere la testa vuota, Comandante.
Avanzò verso di lui con passo deciso, facendo danzare i lunghi lembi del mantello ancorato alle sue spalle. Izumi era uno dei pochi ad avere la divisa che copriva anche le braccia e le spalle, un guanto alla mano che impugna la spada; il suo tatuaggio non si vedeva affatto. Sembrava un comunissimo essere umano.
Eppure, era lì per ammonirlo, da pari a pari.
Arrivò davanti a lui e brandì il foglio che teneva tra le dita, picchiettandolo contro il suo capo.
-Hai presente quanti documenti dovremo firmare, con questa tua trovata? Andare in giro a suonare senza averne l’autorizzazione! Come se fosse normale!
Acuì la voce, parve per qualche istante che persino fuori dalla finestra lo avessero sentito – poi Narukami aveva detto qualcosa circa il concentrarsi, che di fronte a un nemico non ci si poteva distrarre a quel modo, e tutto era continuato come prima.
Dentro quella stanza, il tempo sembrò fermarsi.
-Cosa credi di essere, un giustiziere mascherato? Che senso ha la divisa che indossi?
Leo non rispose a nessuna insinuazione. Afferrò il foglio con cui l’altro continuava a picchiettarlo e così facendo lo fermò, abbassò le braccia e guardò l’uomo in volto, con la sua totale attenzione.
-Cosa dicono i Non Toccati?
-Ah? Loro? Come al solito esprimono la loro sincera e devota preoccupazione per il clima che c’è in città.
Parlare di determinate persone creava insoliti moti d’animo in Izumi, che iniziò a gesticolare nell’aria, indicando una precisa direzione nello spazio – dove addietro abitavano tutti loro.
-Gliene frega poco come al solito, temono solo che i disordini arrivino anche nella loro cittadella del cazzo!
Alla fine, si sedette accanto a lui, in una delle tante sediole della sala conferenze dei Knights, dove tutto si decideva e tutto si legiferava, dove ogni accordo comune veniva preso assieme.
Qualche secondo di silenzio, Sena si ricordò l’ultima cosa da riferire.
-Ah, e ti ammoniscono a fare più attenzione la prossima volta. Ci tengono, a te! Al Comandante del corpo dei Knights!
Schioccò le labbra e ancora gesticolò.
-Come se noi altri fossimo spazzatura e potessimo pure morire.
Pochi altri rumori si sentirono ancora, perché gli allievi di Narukami si erano radunati ed erano rientrati negli spogliatoi, per lavarsi e cambiarsi in vista del prossimo allenamento. Qualcuno di loro sarebbe andato da Ritsu Sakuma, per allenarsi nella resistenza mentale, mentre altri avrebbero aspettato in una saletta piccola l’arrivo di Sena per ulteriori allenamenti con armi bianche. Altri ancora, invece, semplicemente sarebbero tornati ai propri dormitori, per il meritato riposo.
Nel silenzio della stanza, successe qualcosa.
Un movimento del piede e della spalla, lo spostamento impercettibile del capo che fece ballare i capelli nel vuoto. Per persone come loro, che della sincronia avevano fatto l’elemento fondante di ogni battaglia, non servì davvero altro. Sena si corrucciò e lasciò libera la propria preoccupazione.
-Non fare quella faccia! Non hai diritto di essere triste! Non dopo quello che hai fatto laggiù! Proprio un Potere Errante dovevi beccare…
-Aveva già ucciso e l’avrebbe fatto di nuovo se non l’avessi fermato.
-Ma cosa stai dicendo? Sei tu che hai rischiato di morire! In un modo così stupido e superficiale, poi!
Leo intuì da quelle sue parole che non c’era connessione tra il proprio sentire e l’altro uomo. Lo guardò con espressione vuota in silenzio.
Si leccò le labbra prima di parlare di nuovo, mentre le sue dita si muovevano in scatti nervosi, come se si stessero muovendo ancora sul flauto.
-Sai, Sena. C’è stato un momento… un momento solo, prima di suonare una certa strofa, che pensavo di star facendo la cosa più giusta. Non mi interessava nulla delle scartoffie, di Keito e delle sue assurde regole, della spilla e della divisa che indosso. Nulla di nulla. Sono un Knights, proteggo la gente, faccio solo quello di lavoro, e lo faccio con la mia musica.
Ricordò con precisione quel momento – i suoi occhi si persero a rimembrare il movimento di una tenda scura e i raggi del sole che scendevano oltre l’ombra della tettoia.
Anche le sue parole erano qualcosa che riconosceva a stento, ormai.
-Ma ho cominciato a dubitare di quello che stavo facendo e la musica ha seguito i miei dubbi. Vedi quell’uomo… lo voleva morto.
Izumi però era fermo in una tappa precedente, il suo cuore continuava a battere di una preoccupazione sincera e forse anche eccessiva, che colorava il tono della voce di alterità melodrammatiche, aliene, ma nella sua mente continuava a mancare empatia.
Entrambi chiusi all’altro, per motivazioni differenti.
-E quindi? Ne abbiamo visti un sacco, di persone a cui basta un nulla per diventare delle belve! Tutti i Toccati che non hanno controllo di se stessi sono potenziali assassini, li fermiamo ogni giorno!
-No, non era il Potere Errante a volere morto l’altro. Era la persona che stavo proteggendo.
-Anche questo è normalissimo, Tsukinaga! Tuo il posto, tuo l’orgoglio e tuo l’onore, tua la divisa bianca, la furia e la misericordia, tua la-
-Tua la morte, o Knights che splende.
Izumi lo guardò, irritato per essere stato interrotto.
La formula del rito diceva molte altre cose e si concludeva con quelle parole. Sarebbe stata detta a due settimane da quel giorno dalle nuove reclute, i nuovi cadetti scelti proprio da loro due, dopo una selezione durata mesi, perché entrassero nel Corpo. Loro stessi l’avrebbero ripetuta ad alta voce di fronte a tutte le autorità più importanti della città di Yumenosaki. Governatore, Sigilli, i delegati dei Non Toccati e tutti gli Shi.
Importava così poco, in quel momento, e il guizzo negli occhi del Comandante non fece che esplicitarlo.
-Sena, è la mia morte e la mia vita che devo sacrificare, non quello degli altri.
Si mosse a fatica su quella sedia, a disagio nella propria divisa bianca.
-I morti non hanno orecchie, non sentono nulla. Sarebbe inutile la mia intera esistenza, se mi limitassi a uccidere gente con la mia musica, non credi? Ci si aspetta che noi facciamo del bene.
Erano considerazioni amare, senza possibilità di speranza, a cui Izumi però non si arrese e alle quali rispose con sempre maggiore forza, per contrasto.
-Abbiamo incarcerato e giustiziato così tante persone, in questi anni. Sono questi discorsi a essere inutili, anzi! Ipocriti!
-Ma la giustizia-
-La giustizia è un’idea, Tsukinaga! La realtà è fatta di cose reali! Cosa c’è di giusto, nel destino dei Toccati? Nessuno di voi avrebbe mai voluto fare questo genere di vita, eppure siamo qui! A consolarci di questo beffardo destino che ci ha preso tutti!
Ma a quel punto qualcosa iniziò davvero a stortarsi nell’animo di Leo, già fragile per le mille scosse.
Dall’uno all’altro, passò quel sentimento di frenesia inarrestabile, che ebbe l’effetto di alterare la voce del Comandante e farlo balzare in piedi come se avesse delle molle al posto delle gambe.
-Hai ragione, Sena! Ognuno di noi spera che il proprio figlio cresca sano, senza alcun Potere! Ognuno di noi nasce libero, ma qualcuno diventa schiavo di un tatuaggio! Qualcuno impazzisce, qualcuno invece riesce a fare una vita normale! Siamo noi che glielo permettiamo! Noi che ci prendiamo sulle nostre spalle il peso del disordine! Lo abbiamo sempre fatto, è questo il compito di chi indossa la divisa bianca! Però, però Sena! Guardaci! Non siamo anche noi esseri umani?
Gesticolò in aria, si mosse come il vento nella tempesta, con i capelli impazziti a ogni gesto del capo.
-Dentro il cervello delle persone ci sono desideri e insicurezze, amori e passioni, e terribili paure. Sono ombre che ti mangiano facendoti a pezzi, hanno suoni indicibili di mascelle che si serrano-
Si bloccò per un istante e si calmò apparentemente.
Gli occhi rimanevano spalancati, così come Izumi rimaneva immobile al proprio posto.
-È sempre più difficile vincerli. La mia musica è sempre più debole, a ogni dubbio che provo. Non si tratta neanche di forza e di debolezza, si tratta molto spesso di scelta. E quelle persone scelgono di lasciarsi sopraffare. Posso comporre tutte le melodie del mondo, quello che realmente vogliono gli altri sarà solo una sola cosa e certo non è la giustizia. È una sopraffazione caotica, violenta, senza alcun senso.
Leo si voltò piano verso lo stendardo enorme appeso alla parete.
Stentò a riconoscerlo, a riconoscersi.
-Non c’è più alcuna direzione da seguire.
E dopo aver buttato fuori tutto quel dolore, finalmente si placò un poco, cominciò di nuovo a respirare con regolarità. Sentì all’improvviso tutto il peso dell’adrenalina sulle spalle, che gli portò una nuova sensibilità per la gravità, tanto che anche il minimo passo gli era davvero difficile.
Non c’era più alcuna musica nell’aria, non c’era più alcun sole che filtrava dalla finestra, dacché il cielo era stato coperto da una coltre di nuvole grigiastre.
Sena si alzò piano e si avvicinò a lui, con un’espressione davvero irriconoscibile in volto. Era rimasto colpito più di quanto avrebbe mai potuto prevedere: Leo, il suo Comandante, quell’uomo a cui aveva dedicato tutto se stesso senza nulla volere in cambio, ridotto in quello stato, gli aveva fatto male in modo indicibile, senza che se ne rendesse neppure conto. Ma lui aveva un’anima sensibile e non aveva filtri nel donarsi agli altri – Izumi era sempre travolto, volente o nolente.
Il Vice Comandante parlò con voce dura come la pietra.
-Tu non ti sei ripreso affatto dal tuo periodo di convalescenza, Tsukinaga. Questa è l’unica cosa davvero evidente.
-Se-
-Così come è evidente che hai superato il limite. Quell’oggetto ti sta vincendo, sta prendendo possesso delle tue facoltà. Maledetto il giorno in cui abbiamo permesso a uno Shi di mettere le mani sopra quel legno.
Velocissimo, Izumi prese lo strumento di lui dalla sua fodera e lo scaraventò a terra con tutta la rabbia di cui era capace. Lo Shakuhachi rimbalzò al suolo, rompendosi versa la fine, in modo che l’ultimo foro si separasse dai propri compagni.
Leo urlò dall’orrore e si scaraventò a terra, incapace persino di recuperare i pezzi del proprio strumento: le sue mani tremavano troppo.
-Sena! Cosa hai fatto?
Ancora, qualcosa si inclinò.
Leo sentì il respiro mozzarsi e gli occhi diventare bagnati, la guancia con il tatuaggio ormai in fiamme. Il suo corpo reagì come se fosse stato colpito direttamente, preso a pugni da una mano di pietra. Nessun pensiero, solo i suoi lamenti deboli.
Bassa e rotta e furiosa fu anche la voce di Izumi.
-Vai a casa.
Leo alzò lo sguardo appena, ma il suo Vice gli dava le spalle e si rifiutava di guardarlo.
-Vai a casa, Tsukinaga. Non presentarti ai Knights, domani. Devi-
Vide le sue spalle avere uno strano guizzo, come se si trattenessero a forza dal fare determinati movimenti, accasciarsi e stringersi in preda a chissà quali spasmi.
-Devi riposare ancora, finché non sarai davvero guarito. Allora potrai… Noi abbiamo bisogno del tuo ritorno, Tsukinaga. Ne abbiamo bisogno veramente, del tuo vero ritorno.
Leo non disse più nulla.
Con incredibile forza, prese il pezzo più lungo del proprio flauto e si alzò, trascinandosi verso la porta d’ingresso. Sentì poco l’ultimo singhiozzo di Izumi, preso dalla vacuità delle proprie emozioni.
-Ti prego, tu-
Poi il corridoio, poi le scale, e infine la strada.
Nessuno lo fermò più e nessuno gli si avvicinò, lasciando che camminasse in solitudine.
 
 
Si domandò diverse volte quando tutto quello era iniziato, come mai non si fosse accorto prima di quel processo di tragedia imminente.
Quando aveva cominciato a trovare normale che non ci fosse gente per strada, quando non vedere più bambini nei cortili o alle finestre, quando pensare alla potenziale pericolosità di ogni Potere – vedere un nemico ogni volta che si trattava di confrontarsi con un essere umano.
Izumi aveva ragione: di criminali ne avevano fermati tanti, quasi tutti si trovavano nelle prigioni gestite dagli Akatsuki, in mano a un sistema giudiziario solido per la prima volta da tanti anni. Il nuovo Governatore, Eichi Tenshouin, si era aperto la strada facendo approvare nuove leggi sulla gestione e sull’uso dei Poteri tra i civili e gli uomini comuni, aiutato molto anche dal solido potere esecutivo già nelle mani di Hasumi, Primo Capo del Corpo speciale più importante nella città ormai già da qualche tempo.
Leo si era sentito davvero un giustiziere. Aveva pensato, forse stupidamente, che fare quel genere di lavoro avrebbe portato un poco di pace in quella città. Criminali per le nuove leggi, criminali per le vecchie, in ogni caso era sua competenza intervenire qualora l’intera comunità, e i Non Toccati, sarebbe stati in pericolo.
Eppure era strano, in quel momento, passare davanti al Teatro cittadino e trovare le locandine colorate strappate ai lati. Un gesto così piccolo e così insignificante, fatto verso un gruppo di persone indifese.
Lo vide sporcarsi delle prime gocce di pioggia, di quel tempo pazzo che cambiava ogni tre secondi.
Si inclinò qualcosa, nel suo cuore. Poi i piedi si mossero ancora più veloci verso la collina dello Studio Shi Valkyrie.
 
 
La gabbia della funivia cigolò parecchio quando arrivò in alto, dove il pendio della collina si faceva più ripido. Dondolava pericolosamente, dopo tanti anni di onorato servizio – quante volte Leo aveva scherzato sul fatto che avrebbe potuto cascare di sotto in ogni momento.
Gli sembrò così terribile l’idea di morire in quel momento, al vento gelido di una tempesta sempre più vicina; fu scosso da diversi brividi.
Poi il gancio di metallo si predispose all’arrivo e la gabbia fu fatta entrare nel vecchio abitacolo di legno. Leo dovette fare una piccola corsa per non rimanere sopra e fare di nuovo tutto il percorso a ritroso. Vide solo dopo, quando ebbe i piedi ben saldi a terra, il giovane corvo immobile e chiuso nel proprio mantello, sotto un cappuccio che lo riparava dalla pioggia.
-Sei già tornato? Non ti aspettavamo!
Sembrava trafelato e sorpreso di vederlo lì.
Leo non volle scusarsi di avergli fatto perdere la gabbia. Incassò la testa nelle spalle.
-Non mi hanno trattenuto, il primo giorno.
Ci fu solo un guizzo di curiosità nello sguardo di lui, tergiversò sui capelli bagnati e sulle spalle rigide per il freddo, poi comparve un piccolo sorriso agli angoli della bocca.
-Bene allora! Ti chiedo di darmi una mano! Oshi-san non sta molto bene, devo andare a chiamare un dottore perché venga qui! Stai con lui?
-Nessun problema.
Mika scosse la testa.
Si portò avanti per posizionarsi vicino alla pista, in modo da agevolarsi l’entrata in gabbia. A giudicare dai continui cigolii delle funi, non doveva essere molto lontana. Da canto suo Leo invece si allontanò da lì.
-Dicono che al complesso Ryusetai stiano avendo dei problemi, speriamo che almeno il signor Morisawa sia disponibile questa volta!
La gabbia arrivò e lui ci salì sopra.
Lo salutò prima di cominciare la discesa e quindi sparire dalla sua vista, sventolando il braccio nell’aria.
-Tornerò presto, signor Tsukinaga!
Il Knights ricambiò il saluto a stento, preferendo invece affrettarsi verso l’entrata dello Studio Shi, mentre i primi tuoni borbottavano racchiusi in cielo.
Fu come varcare la soglia di un posto sconosciuto. A cominciare dall’odore di chiuso, al disordine diffuso, a quell’uomo rannicchiato sul tavolo che aveva perso quasi ogni compostezza.
Riconobbe lo Shi solo dal suo sguardo, truce e irritato. Aveva la guancia e il dorso della mano sporche di inchiostro.
-Hai visto Kagehira, per caso?
-Sì-
-Quello stupido! Da andando da qualche parte, non è vero? Ma gliel’ho ripetuto almeno dieci volte! Sto bene!
Leo si azzardò persino a fare un commento ad alta voce, evitando con forza di non fissare tutte le palle di carta che erano a terra, la pila di pentole nel lavandino e tutte i carrelli ribaltati.
-A me non sembra proprio.
Shu non gli rispose neppure. Si alzò dalla propria sedia e si avvicinò con passo deciso.
-Tu, piuttosto. Perché sei tutto bagnato? E cosa ci fai qui? Non dovresti essere dagli altri Knights? Domani hai un sacco di cose da fare!
-Mi è stato permesso di tornare a casa.
-Parecchio strano. Pensano di fare a meno di te? O forse-
Il suo sguardo si assottigliò molto, fu dipinto di sospetto.
-La tua mano?
Leo si ritirò d’istinto, mettendo la mano dietro la propria schiena.
Attaccò, in modo che l’altro si ritirasse in egual misura.
-Sto bene, Itsuki. Piantala di fare l’isterico.
-Non offendermi, non sono isterico!
Shu sbuffò rumorosamente e tornò al proprio posto senza più insistere.
Leo aveva avuto tempo però di vedere le sue occhiaie e la pelle così bianca del suo viso, i vestiti stropicciati. Un peso sempre più grave gli stava schiacciando il petto sottile.
Lo Shi indicò qualcosa con la testa.
-Sai dove sono gli asciugamani. Cambiati, prima di ammalarti di nuovo.
Leo non se lo fece ripetere. Tuttavia, ebbe non poche difficoltà a fare il primo passo dentro lo studio.
Superato quello, gli altri furono più semplici.
Solo dopo aver superato oggetti di ogni tipo riuscì ad arrivare al bagno, dove appesi c’erano un paio di enormi teli morbidi. Una volta denudato, si strofinò i capelli e vi si avvolse completamente, per farsi un poco di caldo. Tornò a piedi nudi per andare davanti al fuoco; i suoi occhi capitarono al tavolino addossato alla parete, dove ancora erano apparecchiati due posti con i piatti vuoti.
Rallentò il passo.
-Tu non hai mangiato.
-Non ho tempo.
-Itsuki, non puoi non avere tempo per mangiar-
-Devo progettare altri tatuaggi, non ho tempo.
-Altri tatuaggi? Come quello dell’uomo pietra che oggi è scoppiato-
Si morse la lingua, ma ormai era troppo tardi: aveva già parlato.
Shu alzò di nuovo lo sguardo a lui, con la faccia stravolta.
-Scoppiato? Intendi dire che qualcuno… ha perso il controllo?
-Sì, esatto. E io l’ho-
Un solo tentennamento, perché pronunciare certe parole le avrebbe rese ancora più vere di quello che già erano. Quindi, decise di mentire.
-Arrestato.
Dopo qualche secondo e delle veloci considerazioni, Shu fece una faccia strana.
-Hai fatto bene, Tsukinaga. Non possiamo lasciare libero chi non ha l’assoluto controllo delle proprie azioni e fa del male agli altri. Finiremmo con l’ammazzarci tutti a vicenda.
Leo bloccò ogni azione, a quelle parole. Era cosciente di aver mentito e che la colpa del proprio gesto era unicamente sua, ma sentì ugualmente delle fitte di dolore alla coscienza.
Come al solito, Shu era bravo a prenderlo nei punti più deboli che non sapeva neanche di avere.
Per un solo secondo, fu tentato di aprire il cesto del pane e prendere qualcosa da mangiare, per calmare lo stomaco. Invece, si limitò ad avvicinarsi al fuoco e a dargli le spalle, iniziando a riscaldarsi.
Guardo l’uomo, sotto quei capelli spettinati e persino sporchi.
-Itsuki, è da un po’ di tempo che ti vedo molto stanco. Dovresti dirmi se qualcosa ti impensierisce, sono il tuo promesso sposo.
-Non c’è niente che non vada, Tsukinaga.
Irriconoscibile davvero.
Sconfitto, Leo si allontanò ancora.
-Vado a salutare anche Mademoiselle.
Lo Shi non disse nulla, neppure quando gli passò accanto.
Il Knights superò l’arco che dava alla parte abitata dello Studio, avvicinandosi alla grande teca dove era rinchiusa la bambola di dimensioni umane. Shu diceva che sempre era rimasta lì, ferma nel tempo e nello spazio, come eredità dei primi Shi Valkyrie. Uno strano oggetto privo di alcun tatuaggio e di alcuna magia.
In un certo senso, la sua continuità statuaria gli donava un senso di pace.
Il Knights, perso nella sua contemplazione, fu scosso all’improvviso da un rumore violento di oggetti buttati a terra con forza. Si precipitò dal compagno molto preoccupato.
-Che succede?
La scena che si presentò ai suoi occhi lo sconvolse non poco.
Shu prendeva tutto ciò che capitava tra le mani e lo distruggeva, lanciandolo in ogni direzione.
Urlò come impazzito, furioso e incollerito dall’ennesimo fallimento. Tutto, per colpa di un tentacolo con una curvatura non perfetta.
-Non va bene! Non va bene per niente! Non è bello, non è artistico! È orrendo a vedersi da ogni angolo lo si guardi!
Prese il foglio e lo strappò fino a renderlo a brandelli.            
Il telo che copriva Leo finì a terra senza alcun rumore. L’uomo gli si avvicinò per fermarlo, temendo si facesse male in qualche modo; la sua preoccupazione era tutta focalizzata su di lui, e nient’altro.
-Itsuki-
Ma Shu gli rivolse lo stesso sguardo pieno d’odio che stava rivolgendo a qualsiasi cosa, senza distinzione.
Ebbe paura, provò tantissime emozioni in quel momento veloce quanto confuso. Quel qualcosa dentro di lui si piegò ancora di più.
Disse la prima cosa che gli venne in mente in quel momento, nel tentativo di placarlo.
-Mademoiselle mi ha detto che vuole sentire il mio nuovo pezzo. È più di una settimana che non vengo qui, perché sei molto impegnato e io sono stato male. Però vorrebbe davvero sentirlo.
L’uomo dai capelli rosa non rispose subito. Guardò nella direzione della bambola, indeciso se maledirlo e insultarlo e dargli del bugiardo oppure acconsentire a quell’assurdità. Le bambole non parlano, dopotutto.
Fu come, però, se Shu si rendesse davvero conto per un attimo appena di quello che era appena successo. Lui coinvolgeva spesso la bambola nelle sue assurde pretese e nella sua routine, quindi subire una cosa simile da un’altra persona fu estraniante.
Guardò quello che aveva attorno, all’improvviso divenne stanco: si sedette alla propria sedia.
-Va bene, suona questo pezzo. Lo sentiremo io e lei.
Leo andò subito a recuperare il proprio flauto dalla divisa, quando tornò da lui cominciò a suonare una melodia che entrambi conoscevano bene, dacché l’avevano scritta assieme tempo addietro, in momenti migliori. Come disegnare nel suono il movimento del vento che preannunciava la tempesta.
Lo calmò fino a fargli chiudere gli occhi e a rilassarlo sul tavolo. Il tatuaggio di Leo si illuminò sulle ultime strofe, quando il Comandante dei Knights avrebbe dovuto suonare alcune note basse, verso la fine del flauto.
Qualche nota appena più lunga, in alto, fu diversa – la strofa spezzata a metà, quando ancora doveva concludersi.
Shu si addormentò sul tavolo arrendevole, braccia incrociate che sorreggevano il capo, in una strana quiete silenziosa. Quella era la prima volta che Leo usava il suo potere con lui, sembrava tanto irreale.
-Itsuki-
Non ci fu risposta, ovviamente.
Si avvicinò a lui e lo vide tranquillo, Allungò la mano nella sua direzione; fu in quel momento che capì che stava tremando e non sarebbe più riuscito a toccarlo.
Pianse piano, chiuso in un abbraccio solitario.
-Shu…
Lasciò cadere il proprio Shakuhachi magico al suolo senza neanche accorgersene, senza sentirne il suono. Non sentì neanche il flebile movimento nella teca di vetro, perché i suoi singhiozzi erano decisamente più forti.
Andò via dallo Studio ben prima dell’arrivo di Mika e di Chiaki, sparendo nell’ombra della notte, tra la pioggia della tempesta che infuriava su Yumenosaki.












Note Autrice: Aggiornamento del lunedì!
Che dire, signore e signori, che dire. /Questo/ penso sia il capitolo che più di tutti strazia l'anima, perché finalmente si capisce cosa sia successo in quei famosi tre anni prima e come mai Leo prova quel che prova - almeno in buona parte. Ho tentato, nel primo flashback, di far vedere quanto puro e sincero fosse alla fine il suo animo, appunto perché si potesse capire /ora/ quanto devastante sia stato il suo crollo. Pezzo a pezzo, è caduto, sia fisicamente sia mentalmente, sia psicologicamente. Ho tentato di rendere questa "caduta" simile a quella in canon, ovviamente con tutte le modifiche del caso, forse per renderla ancora più straziante - lol sì lo so scusatemi.
Izumi è un altro grande personaggio di questo capitolo. Per quanto sia secondario, comunque anche lui attraversa le fasi della caduta di Leo di rimando, più o meno come nel canon, e penso che in questo capitolo sia più che evidente.
Poi Shu. Come dire, anche qui. Shu nel canon non incontra Leo al massimo del suo "decadimento", non mostra in canon l'aspetto di sè peggiore che abbia mai avuto. Nella mia fic sì, e nella mia fic penso sia proprio la goccia che fa traboccare il vaso della disperazione nel cuore di Leo. Questo, alla fine, è un capitolo incentrato sul POV di Leo, su quello di Shu si tornerà poi.
Non lo so, spero vi abbia lasciato qualcosa (?) come lo ha lasciato a me nel rileggerlo. Qualcosa come per esempio la devastazione interiore, o qualcosa di simile.
La canzone associata a questo capitolo penso sia evocativa già solo per il titolo. Il "diavolo" non è da intendere solo in senso letterale - anche se a me piace ficcarci demoni e diavoli in ogni fic ma non è questo il caso, o almeno /non solo/ - ma anche semplicemente come "male". Da qui si capisce molto il riferimento.
PER QUANTO RIGUARDA IL DISEGNO è della mervigliosa Andrea/Kumiho che io consiglio ASSOLUTISSIMAMENTE di andare a guardare perché fa dei disegni sempre super favolosissimi ed è davvero sempre un sacco brava io le voglio bi. La potete trovare sia su FB sia su Twitter!
Siamo ormai all'ultimo arco della fic, quindi ora ci sarà il climax del tutto mehehehhehehehe preparatevi a cose special!
Detto questo, vi saluto. Baciozzi baciozzi e alla prossima!
   
 
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