Scocciatore
«Jamie?»
Il suddetto rimase immobile, gli occhi cocciutamente chiusi,
limitandosi a sbuffare. Si premurò di farlo in maniera
più teatrale e rumorosa possibile, così che lo
scocciatore – sempre lo stesso da nove anni – capisse
l'antifona e lo lasciasse al suo meritato riposo. Era stata una
giornata gloriosa quella del suo compleanno: nonna Molly aveva
realizzato la torta del Puddlemere United più pazzesca della
storia, era stato sommerso di regali – la MaxiCaccabomba allo
sterco di Drago di zio George era troppo figa! - e, con la
complicità di Fred, aveva organizzato scherzi che avevano
attentato alla vita di metà dei presenti, rendendo i suoi
omonimi fieri di lui. Insomma, era stato un trionfo di risate e colori.
Tutto assolutamente perfetto.
Se. Non. Fosse. Per. Un. Particolare.
«Jamie» riprese lagnoso lo scocciatore, alzando la voce e
iniziando a scuoterlo convulsamente per una spalla. «Jamie».
«Sto dormendo!» sbottò spazientito, gli occhi sempre ben serrati.
«Se stai dormendo allora perché mi rispondi?»
strillò quello con tono acuto e recriminatorio, facendogli
scomparire ogni traccia di sonno rimasta. «Ho fatto un incubo» smozzicò vergognoso.
Con un gesto carico di lieve insofferenza, James si portò seduto
e accese la luce sul comodino. Suo fratello, annegato in un accecante
pigiama arancione, era in piedi accanto al letto, il viso corrucciato
in un broncio adorabile.
«Erano Troll o Acromantule, questa volta?» domandò
distratto, stropicciandosi gli occhi con una mano. Al silenziò
che seguì, sollevò lo sguardo: Al stava sfoggiando la sua
classica espressione da Elfo bastonato con gli occhi verdi già
prossimi al pianto. Non era consapevole, ovviamente, che James si era
accorto da tempo che era tutta una messinscena e che fingeva solo per
reggergli il gioco. «Dai, vieni» cedette benevolo,
scostando le coperte e facendogli spazio nel letto.
Albus si sciolse in un sorriso luminoso per mezzo secondo, prima di
tuffarsi rapido ed entusiasta addosso a lui. Ignorando la gomitata allo
stomaco, James sentì le sue labbra arcuarsi all'insù
mentre il fratello si stringeva contro il suo petto. Recuperò la
coperta e gli accarezzò la schiena con movimenti lenti e
circolari, constatando con stupore la tensione dei muscoli.
«Allora, questo incubo?»
Al trattenne il respiro. «Andrai ad Hogwarts» espulse, vagamente accusatorio.
«A settembre» confermò James, placido. «Quindi?»
Lo sentì irrigidirsi, le piccole mani paffute che stringevano la maglia del suo pigiama in una morsa nervosa.
«Ti scriverò tutte le settimane» promise bonario,
sperando di sedare sul nascere lo scoppio di pianto. Perché
quando Al si contraeva in quel modo prometteva fiumi di lacrime per ore. E
sì, stavolta erano autentiche. «E tornerò a casa per le
vacanze, così potrai raccontarmi della tua Puffola. E poi,
quando anche tu avrai undici anni, andremo a Hogwarts insieme-».
«Io non andrò a Hogwarts!» esclamò Al categorico, allontanandosi con un scatto rabbioso.
James sbatté le palpebre, perplesso. «Ah, preferisci
Beauxbatons?» chiese compassato, ricordando con fastidio come,
anche quel pomeriggio, zia Fleur si fosse lasciata andare in un sacco di blablabla su quanto la scuola francese fosse superiore a quella inglese.
Giuro che se gli ha messo in testa questa cavolata, io...
Ma
i pensieri vagamente inquietanti di James furono interrotti dallo
scuotere furioso della testa – come diavolo faceva a rimanergli
attaccata al collo? – del minore. Al lo scrutava ostile e
determinato, le guance tinte di un bel rosso accesso.
«Io non andrò ad Hogwarts» ripeté di nuovo,
afflosciandosi. «Perché sono un Maganò!»
annunciò melodrammatico, sull'orlo della crisi.
James rimase una manciata di secondi a guardarlo inebetito con occhi e bocca spalancati, prima di scoppiare a ridere di cuore.
«È così!» protesto Al, offeso a morte.
«Che cavolata» commentò implacabile, a bassa voce.
«Ti dico che è vero!» affermò il bambino,
contrariato da quella scarsa considerazione a un problema di
fondamentale importanza.
James, con ancora il sorriso sulle labbra, gli sfregò la mano tra i capelli, dispettoso.
«Perché dici così?» chiese condiscendente.
«Perché lo so».
«Ah bhe, allora» sbuffò James con scherno.
Al continuò a guardarlo con muto rimprovero, prima di abbassare
gli occhi con una smorfia di vergogna. Iniziò anche a
tormentarsi il labbro inferiore con i denti.
«Ho sentito zio Ron parlare con papà, oggi»
rivelò infine con voce tremante. «Ha detto che è
strano che io non abbia manifestato nessuna magia. Tutti i nostri
cugini lo hanno fatto prima dei dieci anni. Anche tu» lo
accusò infantile, come se fosse tutta colpa sua.
James sospirò a denti stretti, per evitare di lasciarsi sfuggire
un'imprecazione. Adorava zio Ron, sul serio, ma a volte aveva davvero
delle uscite pessime. Come quando iniziava con i confronti. Detestava
che ogni volta che lo vedeva in sella ad una scopa, si sentisse in
dovere di ricordargli quanto bravi fossero a Quidditch suo padre e suo
nonno e che quindi doveva fare del suo meglio per non sfigurare. Se
James cercava di ignorarlo e di ingoiare la risposta velenosa che era
solita salirgli sulla punta della lingua, era molto meno ragionevole
quanto si trattava del fratellino. Al era più piccolo,
più fragile e più suggestionabile, e zio Ron doveva
imparare a tenere per sé le sue opinioni invece di sfogare le
sue ambizioni adolescenziali sui nipoti e figli.
Iniziava a sospettare che forse suo fratello non dava segni di magia
perché schiacciato dalla pressione. La cosa lo fece infuriare
ancora di più.
«Non sei un Maganò» obiettò ragionevole e
fermo, afferrandolo per un braccio e tirandolo a sé. «Devi smetterla di ascoltare zio Ron, la metà del tempo non sa
nemmeno lui quello che dice. Dieci anni non è il limite massimo.
E poi tu sei speciale, è ovvio che non rientri nella regola».
Al lo guardò riluttante.
«Davvero?» pigolò rasserenato.
«È statisticamente provato che i Maganò siano
estremamente rari e capitino per lo più nelle famiglie
Purosangue. Noi non lo siamo, quindi stai tranquillo».
«Sì, ma io non so fare nulla» protestò Al
indispettito, aggrottando la fronte. «Tu facevi volare le
padelle, Freddy una volta è riuscito a smaterilizzarsi, Teddy
faceva esplodere gli oggetti se si innervosiva, Lily.... Persino Lily riesce ad usare la magia. Perché io non ci riesco?» articolò in un singhiozzo, gli occhi lucidi.
James rimane in silenzio, terribilmente serio.
«Voglio che tu mi ascolti molto attentamente*, Al. Tu
non vali meno degli altri solo perché non sai fare qualcosa. Non
è una gara. Forse ci metterai più tempo, ma alla fine ce
la farai anche tu. Quindi non farti ossessionare da questi paragoni. È stupido e senza senso... Davvero, Al, non devi sforzarti ad essere come
me, non ne vale la pena».
Non si trattava di ipocrisia, lo pensava davvero. Da quando era nato,
Al non aveva fatto altro che imitarlo in tutto e per tutto. Si era
detto che fosse normale. In fondo era il fratello maggiore, era ovvio
che lo avesse assunto come modello. Però con gli anni
qualcosa era cambiato: se prima ogni sua azione sprizzava ammirazione e
allegria, adesso scorgeva una velo di bruciante gelosia ad oscurare
quegli occhi verdi. Al poteva nasconderla dietro ai sorrisi, agli
strilli o ai capricci, ma c'era. E lo stava divorando lentamente.
Lo strinse tra le sue braccia, rassicurato dal calore che quel
corpicino emanava e ignorò la stretta alla gola. Al non lo
sapeva e James era stato ben attento dal farglielo capire, ma avrebbe
fatto qualunque cosa per far in modo che le ombre sparissero da quel
viso.
Ci avrebbe pensato lui a scacciarle. Si erano prese fin troppo di suo
fratello in tutti quegli anni, non avrebbe permesso che avanzassero
oltre.
«Andremo a Hogwarts insieme?» domandò Al più sereno, ignorando i suoi pensieri.
James si schiarì la voce, controllandosi. «Te lo prometto» rispose con affetto. Si godette il sorriso di gratitudine che
spuntò sulle labbra del fratellino, prima di allungarsi per
spegnere la luce.
Appena la stanza tornò nell'oscurità, Al aspettò
dieci secondi scarsi prima di iniziare ad agitarsi nervoso.
James soffocò una risata: prevedibile.
«Che c'è ora?»
Al mugugnò qualcosa, appiccicandosi ancor di più, per quanto fosse
umanamente possibile, a lui. «E se arrivano le Acromantule?» chiese allarmato, muovendo la testa per avere sotto tiro sia la
porta che la finestra.
James trattenne a stento uno sbuffo di scherno. Appoggiò il suo
mento sulla fronte dell'altro, respirando l'odore di quei capelli
morbidissimi e disordinati. «Ci sono io, no?»
mormorò, riprendendo ad accarezzargli la schiena. «Non ti
accadrà mai nulla finché ci sarò io».
Le piccole braccia di Al ripresero a stritolarlo mentre una risatina
deliziata sfuggiva dalle sue labbra. Non lo poteva vedere ma, all'udire
quel suono, James aveva ripreso a sorridere. E stavolta il suo sorriso
era vero, sereno, senza ironia.
Sistemandosi meglio sul materasso rilassò i muscoli, pronto ad
abbandonarsi alla stanchezza e al sonno. Albus non dava segno di
volersi allontanare da lui, anzi si era incollato meglio così da
potersi godere le coccole nella più completa comodità.
«Jamie» lo richiamò dopo un po', assonnato.
«Mmm?»
«Mi racconti una storia?»
James sembrò pensarci.
«Preferirei spiegarti come verrà impiegata quella
MaxiCaccabomba» sussurrò divertito, pensando ad un certo
zio di sua conoscenza e ignorando con coraggio la punizione che ne
sarebbe seguita.
*Voglio che tu mi ascolti molto attentamente citazione di Sirius.
Piccolo esperimento, così, senza troppe pretese. In
realtà doveva svilupparsi in tutt'altro modo ma è
scientificamente provato che, quando inizio a scrivere, faccio
deviazioni su deviazioni rispetto al progetto originale. Tanto anche
quando mi sforzo di rispettarlo non esce mai come ce l'ho in testa,
quindi...
Non so perché ma James è il personaggio che mi ispira di
più della nuova generazione (me lo immagino molto diverso sia da
James Senior che da Sirius, ringraziando Godric!) quindi doveva esserci
in questa prima fic.